Collana: I NOSTRI SOLDI, LE NOSTRE FATICHE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Banca d’Italia,

Banca Centrale Europea,

Federal Reserve:

 

la grande truffa

 

volume 2 di 3

 

 

 

 

 

 

release 0.6

 

 

 

 

Girovagando su Internet e visitando i cosiddetti “Siti Alternativi di Informazione”, si scoprono cose incredibili ! Provate quindi ad inserire, in un qualunque motore di ricerca (www.yahoo.com, www.google.com, www.lycos.it, ecc…) le parole: “SIGNORAGGIO”, “BCE”, “BANCONOTE” e scoprite su cosa camperebbero i Signori Banchieri…

 

 

Il diritto di “signoraggio” è il potere del “signore” di emettere biglietti con un valore nominale ampiamente superiore al valore intrinseco e quindi di ricavare un guadagno dalla sovranità sulla moneta.

Perché debba farlo una Banca PRIVATA è un mistero…



I meccanismi del debito e le possibili vie d’uscita

(prof. Riccardo Moro - Economista)

 

Coordinatore responsabile del progetto tecnico di conversione del debito nella presidenza del Comitato Ecclesiale Italiano per la riduzione del debito estero dei Paesi più poveri

 

Quando si deve parlare di un problema normalmente si inizia con le definizioni ma, in qualche modo, le saltiamo, per entrare nel problema attraverso una storia, perché, forse, attraverso il racconto le cose si capiscono meglio e poi, alla fine, possiamo riprendere tutto, raccogliendo effettivamente le definizioni del problema e provando a vedere quali sono gli elementi che giocano oggi sul tavolo internazionale. Le saltiamo tutte tranne una, vale a dire la definizione principale di questo problema; noi ci occupiamo del debito estero dei Paesi poveri, è vero, ma non è vero allo stesso tempo: noi, di fatto, ci occupiamo della povertà. La grande questione che abbiamo davanti oggi, in questo momento, è la grande, eccessiva, provocante, inaccettabile povertà che tocca troppe persone al giorno d’oggi nel pianeta, soprattutto se confrontata alle condizioni di vita, al confronto prodigiosamente agiate di cui in qualche modo godiamo noi. Tenendo conto che il nostro obiettivo fondamentale è la lotta alla povertà, piuttosto che non quella al debito, proviamo a ragionare su che cos’è questo debito. Qualcuno mi chiede: “Debito cosa significa? Si dice ‘debito estero’, ‘debito pubblico’? Chi è il debitore? Verso chi? ecc…”. Allora, anziché fare una dotta spiegazione dei vari tipi di debito che esistono, dei vari tipi di credito che il governo italiano ha, che le banche italiane possono avere, io credo che se spieghiamo un po’ la storia di quello che è capitato, mettiamo dentro, forse un po’ più facilmente, gli attori di questa vicenda e alla fine della storia abbiamo le idee chiare, senza bisogno di fare un’analisi troppo arida e che non è tanto piacevole da ascoltare.

 

La storia del debito comincia nel 1973; in realtà comincia anche un paio d’anni prima, però qui partiamo da questa data. Cosa capita in quell’anno? Per chi era abbastanza grande per ricordarlo, nel 1973 successe una cosa simpatica, almeno per chi aveva 13-15 anni a quell’epoca, ovverosia che la domenica si andava in giro, in mezzo alle città, in bicicletta, o con i pattini a rotelle. I prezzi del petrolio erano prodigiosamente impazziti; aumentarono repentinamente di quattro volte. Perché? Questa è una bella domanda che richiederebbe l’intera serata, ma fondamentalmente aumentarono perché i produttori di petrolio erano pochi, erano riuniti in un cartello, che esiste tutt’ora e che si chiama OPEC, in cui fondamentalmente v’erano i Paesi arabi, ma non solo: v’era anche il Venezuela, ad esempio. I Paesi arabi decisero per varie ragioni di far salire alle stelle il prezzo del petrolio. Noi si andava in bicicletta proprio perché tutti i Paesi del mondo erano (e sono) consumatori di petrolio, ma era così costoso e comportava gravi conseguenze sull’economia di tutti i Paesi, che questi cercavano di consumarne di meno. Nonostante, però, le riduzioni e i risparmi, i Paesi produttori, gli Arabi in modo particolare, incassarono una quantità enorme di valuta rispetto a quella che incassavano prima. Fu il cosiddetto fenomeno dei petroldollari, perché il petrolio era valutato in dollari e la moneta internazionale era il dollaro. I Paesi arabi si trovarono così a incassare una quantità spropositata di denaro, la spesero per migliorare l’aspetto delle loro capitali, per fare di tutto e di più, ma era stato così repentino e così grande l’aumento che si trovarono comunque una liquidità tra le mani che non erano in grado di spendere.

 

Quando uno avanza dei soldi, quando uno risparmia dei soldi, non riesce o non vuole consumarli, cosa fa? Li porta in banca. I Paesi arabi fecero esattamente questo: offrirono questo denaro alle grandi banche internazionali. Queste ultime fecero il mestiere di una banca; ovverosia presero il denaro da chi avanzava soldi, lo raccolsero promettendo in pagamento un interesse applicando un tasso e lo offrirono a chi aveva bisogno di denaro, per effettuare investimenti, per spenderlo in qualche modo (progetti e quant’altro). Questo denaro venne offerto agli imprenditori del Nord e anche al Sud del mondo, anzi venne offerto in modo particolare al Sud del mondo, perché nel Sud del mondo v’era un fortissimo fabbisogno di infrastrutture. Da noi v’erano ospedali, porti, linee elettriche e quant’altro uno desideri avere; nel Sud del mondo queste infrastrutture erano molto più scarse. Questa grande quantità di denaro poteva essere messa proprio a disposizione di grandi progetti di investimento che realizzassero le infrastrutture mancanti nel Sud del mondo. Qui lo sviluppo economico era tale per cui non v’era un pullulare di imprese e gli interlocutori economici principali erano i governi. Non solo: l’interlocutore che più correttamente avrebbe dovuto realizzare quelle infrastrutture era il governo di ogni nazione. Per cui i banchieri di tutto il mondo, con tutti questi petroldollari tra le mani, andarono dai governi del Sud a dire: prendete questo denaro a prestito, perché con tutto questo denaro potete finalmente finanziare i vostri progetti infrastrutturali e così i governi del Sud presero questo denaro a prestito. Perché lo presero? Perché era molto conveniente indebitarsi in quel periodo. Che cosa significa? Significa che i tassi di interesse erano molto bassi. Perché? Proprio per questo fenomeno dei petroldollari. Mi spiego: se noi vendiamo arance al mercato e abbiamo poche arance e vi sono tanti compratori, tendenzialmente facciamo pagare abbastanza care le arance; se, invece, di arance ne abbiamo tante ed è anche la fine della giornata e rischiamo di tornare a casa con le nostre arance, abbassiamo i prezzi, applichiamo un’offerta speciale e promuoviamo due cassette al prezzo di una, pur di vendere le arance, che, altrimenti, il giorno dopo marcirebbero. Con il denaro è un po’ la stessa cosa. Il prezzo del denaro è il tasso di interesse, perché quando io vado in banca a chiedere del denaro, perché voglio, ad esempio, cambiare l’automobile, o acquistare la casa, o fare qualsiasi altra cosa, desidero, comunque disporre del denaro che la banca ha e io no, compro quel denaro pagandolo con un tasso di interesse, ovverosia la banca me lo dà se io le pago gli interessi. Gli interessi sono il prezzo della moneta. Quando in un sistema economico v’è molta disponibilità di denaro, normalmente i prezzi di questo denaro, ovverosia i tassi d’interesse, scendono; quando v’è scarsità di liquidità i tassi d’interesse tendono a salire e questo è anche abbastanza naturale, perché il mestiere della banca è quello di guadagnare sui prestiti che concede. Per cui le banche, trovandosi tutto questo denaro tra le mani, che gli veniva dato dai Paesi arabi produttori di petrolio, offrirono anche a tassi d’interesse molto bassi il denaro pur di collocarlo comunque, pur di non tenerlo infruttuoso, o infruttifero nelle proprie tasche. Allora, questa immissione repentina di denaro sul mercato determinata dall’aumento del petrolio, fece crollare i tassi di interesse.

 

Il crollo dei tassi di interesse rendeva evidentemente poco costoso l’indebitamento, per cui tutti si fecero tentare e presero a prestito grandi quantità di denaro. Non solo, un’altra cosa abbastanza simpatica dal punto di vista numerico, in quel periodo, fu che ci si trovò in situazioni in cui i tassi di interesse reali erano negativi. Cosa vuol dire tasso di interesse reale negativo? Vuol dire che l’inflazione[1] è più alta dei tassi d’interesse; questo accadde in quel periodo. L’inflazione, in quegli anni, era determinata in modo particolare dal petrolio; il petrolio era diventato più costoso, tutte le nostre industrie, ad esempio, avevano bisogno di petrolio, perché o dovevano far muovere i furgoni con la benzina, che deriva dal petrolio, e costa, o per far muovere le macchine - torni, frese, e quant’altro negli stabilimenti - avevano bisogno di energia elettrica (l’energia elettrica, in Italia, è fondamentalmente erogata attraverso centrali termoelettriche, ovverosia centrali che producono energia elettrica consumando, bruciando, attraverso caldaie, petrolio). Per cui il petrolio incide sui costi di tutte le imprese, in modo particolare sui costi energetici. Quando un’impresa ha i suoi costi che sono aumentati, se non vuole andare in perdita, aumenta i prezzi. Questo meccanismo ha toccato un po’ tutti i settori. Tutti i prezzi si sono alzati, ma alzandosi i prezzi, io che nella mia azienda devo pagare la bolletta energetica (ENEL, benzina, ecc…), ma devo anche comperare dei componenti, dei manufatti, dei pezzi da montare insieme, da assemblare per fare il prodotto finale ho un aumento di costi dato anche da queste azioni, perché, ad esempio, io, imprenditore di prodotti finiti, mi rivolgo ad altri imprenditori–produttori di componenti per il prodotto finito, i quali a loro volta si rivolgono ad altri imprenditori di materiali. Allora, io mi trovo ad avere più costi per il petrolio, più costi per l’aumento dei diversi componenti nei diversi passaggi; non posso che aumentare, e ancora di più, i miei prezzi del prodotto finale.

 

È nata, allora, quella che si chiama “spirale inflativa”: i prezzi aumentavano, in ragione dell’aumento si determinava un aumento successivo, un aumento successivo ancora, ecc…  Immaginate di essere in un’inflazione al 20% e immaginate che i tassi d’interesse siano del 10%. In questa situazione bisogna subito correre in banca a indebitarsi da morire, perché chi non si indebitasse sarebbe un po’ addormentato… Se una persona va in banca il 2 gennaio e prende in prestito 100.000 lire, poi va al mercato e compra, per esempio, un microfono da 100.000 lire, va a casa e lasciandolo imballato lo pone sotto il letto, il 31 dicembre prende il suo microfono va al mercato e lo vende. Al 2 gennaio aveva detto al direttore di banca: “Tu prestami 100.000 lire e io pago il 10% di interessi fra un anno”, però io so che l’inflazione è intorno al 20%. Dopo un anno vendo il microfono; il prezzo, se l’inflazione è del 20, è aumentato del 20%, vale a dire che adesso costerà 120.000 lire; incasso questa somma, vado dal direttore di banca, il quale pensava che io avrei fatto fatica a restituire i soldi; gli tiro i soldi sulla sua scrivania, facendogli vedere che io, invece, sono capace di restituire i soldi. Dò il 10%, ovverosia pago 10.000 lire per gli interessi, lo saluto e vado via, perché i miei rapporti con lui sono terminati, perché il 10% sono gli interessi e mi sono rimaste “magicamente” in tasca altre 10.000 lire, perché le ho incassate vendendo il microfono a 120.000 lire, grazie all’inflazione. Quest’ultima passa, quindi, sopra la testa dei singoli consumatori. Quando l’inflazione è alta e i tassi d’interesse sono bassi è molto conveniente indebitarsi. Questa condizione fu quella che esattamente si determinò nei primissimi anni dopo il ’73, tra il ’73 e il ’75. Per cui tutti fecero la gara a indebitarsi, ma anche abbastanza giustamente, perché il petrolio aveva fatto salire i prezzi e la grande quantità di petroldollari (dollari derivati dal ricavo del petrolio) aveva fatto abbassare e crollare i tassi d’interesse. Tutti si indebitano e per un certo periodo vivono piuttosto felici e contenti, quasi come nelle favole, e le cose vanno avanti per circa cinque o sei anni. La seconda data che ci interessa per la storia del debito è il biennio 1978–1979, perché nel ’79 si determinò la seconda crisi dei prezzi del petrolio. Prima i prezzi del petrolio erano aumentati di quattro volte in un anno; nel 1979 i prezzi del petrolio aumentano di cinque volte in un anno. Questo significa che in totale i prezzi sono aumentati non di nove, bensì di venti volte, perché se prima costava 100, sono passati a 400, poi v’è un ulteriore aumento di 5 volte sui 400 (5 x 4 = 20) e si arriva a 2.000. Per cui nello spazio di 6 anni il petrolio aumenta di 20 volte il suo prezzo. Che cosa capita? In teoria potrebbe capitare quello che è capitato nel ’73, ovverosia grande inflazione, crollo ulteriore dei tassi di interesse, condizioni di indebitamento particolarmente vantaggiose; tutti vanno di nuovo in banca e nelle grandi banche internazionali a farsi prestare del denaro per effettuare nuovi progetti di investimento. Invece le cose non vanno così e sono un po’ diverse, perché vi sono due personaggi con tratto molto virile e volitivo che arrivano alla responsabilità di governo della Gran Bretagna (anche se alcuni dicono dell’ Inghilterra, perché, dicono, non v’era la prospettiva dell’attenzione anche ai bisogni sociali in Scozia, in Galles, ecc… — ma non importa —) e degli Stati Uniti, che sono: Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Questi due individui, virili, avevano l’opinione che l’approccio più efficace per combattere l’inflazione fosse quello monetarista. Loro, e anche chi non condivideva le loro opinioni, ritenevano che l’inflazione fosse diventata veramente troppo alta e che l’inflazione fosse un male piuttosto perverso e pernicioso dell’economia; ed è abbastanza vero.

 

L’inflazione, nell’esempio che abbiamo citato prima, può determinare dei guadagni che prescindono dai meriti degli operatori: io ho guadagnato 10.000 lire, nell’esempio di prima, non perché ho aggiunto un valore al microfono, ma solo perché le condizioni di mercato si sono trasformate, mentre sarebbe corretto che io venissi premiato in ragione del valore che so e che posso aggiungere (valore della mia fantasia, perché ho eseguito un decoro, di un servizio che ho aggiunto, perché l’ho consegnato al domicilio del consumatore, oppure perché l’ho migliorato, ecc…); in realtà, lì, io non ho aggiunto alcunché. L’inflazione è una media. Quando si dice che v’è un’inflazione del 2%, questo valore è una media di diversi settori. Questo significa che vi sono alcuni settori in cui l’inflazione è cresciuta solo dell’1,5%, altri in cui è cresciuta del 2,5%, ecc… Se noi abbiamo alcuni settori in cui l’inflazione è cresciuta dell’1,5% e altri in cui è cresciuta del 2,5%, vuol dire che a fine anno vi sarà qualcuno (quelli del 2,5%) che hanno avuto un’opportunità di aumentare i loro ricavi dell’1% in più rispetto a quelli del settore dell’1,5%, perché i primi prezzi potevano aumentare del 2,5%, mentre i secondi solo dell’1,5%. Se abbiamo che uno di noi guadagna l’1% in più dell’altro, non in ragione della sua capacità, bensì in ragione dell’inflazione che sta sopra le teste, chi se ne importa: è solo l’1%. Se invece l’inflazione è del 20%, e noi in quegli anni l’abbiamo avuta anche superiore, questo vuol dire che vi sono settori al 15% e altri al 25% e la differenza tra un settore e l’altro può essere anche del 10%, che comincia a essere abbastanza consistente.

 

Allora, avendo anche alcune attenzioni di giustizia sociale, di equità, effettivamente un’inflazione molto elevata, a due cifre, soprattutto superiore al 20%, è piuttosto imbarazzante all’interno della propria comunità, perché può determinare degli scompensi di notevole rilevanza tra i singoli operatori. Giustamente occorre combatterla. Reagan e la Thatcher ritenevano che le ricette monetariste fossero le più efficaci. Cosa dicono queste ricette? Si ispirano a quella corrente del pensiero economico che è il monetarismo, il cui esponente più noto è tale Milton Friedman[2], e affermano sostanzialmente che in un’economia l’inflazione dipende strettamente dalla quantità di moneta circolante. Detto così magari non si capisce tanto. Io, di solito, uso fare questo esempio, perché mi sembra che possa essere abbastanza chiaro: a me la mattina piace acquistare diversi quotidiani (quando passo davanti all’edicola ne compro dai 3 ai 5), però sono anche piuttosto sbadato e spesso dimentico i soldi, che porto nei pantaloni e non nel portamonete, nei pantaloni del giorno prima, per cui se non cambio i pantaloni compro i giornali, se li cambio sono senza soldi. Comunque, mi capita di uscire con alcuni soldi in tasca, con sole 10.000 lire, ovvero senza soldi e a seconda di quanti soldi ho in tasca, compro 3 o 4 quotidiani, ne compro 1 solo, o non ne compro alcuno e la mia decisione d’acquisto non dipende dal mio stipendio, dal mio reddito, da quanto io guadagno, bensì solo da quanti soldi ho in tasca in quel momento. Secondo i monetaristi, questo meccanismo vale per l’intera economia aggregata, cioè a dire: tanto più denaro è presente in un’economia, che vuole dire in una nazione, tanto più saranno finanziati acquisti, tanto più gli operatori eserciteranno una domanda d’acquisto, di qualsiasi bene, dai giornali ai microfoni, ecc… I monetaristi dicono, allora, che tanto più forte è la domanda, tanto più la domanda si scaricherà sui prezzi, alzandoli. Voglio dire che se io produttore vedo che v’è tanta gente che vuole comperare, come nell’esempio delle arance, tendo ad alzare i prezzi; analogamente se vedo che la gente non compra più tendo ad abbassare i prezzi per favorire gli acquisti. I monetaristi dicono che se noi consentiamo che in un’economia vi sia in circolazione molta moneta, noi consentiamo che la domanda di acquisti sia elevata e questo può determinare un aumento dei prezzi. Viceversa se noi abbiamo già un’inflazione alta, ovverosia i prezzi alti a causa del petrolio, e abbiamo come obiettivo quello di abbassare l’inflazione e, se riusciamo, anche di abbassare in termini assoluti i prezzi, dovremo fare il contrario: restringere la quantità di moneta (per tornare all’esempio di partenza, togliere i soldi dalle tasche del sottoscritto in modo tale che compri meno quotidiani). Ovverosia: togliere denaro dal mercato in modo che la domanda di beni si abbassi. In ragione di questa riduzione della domanda i produttori probabilmente tenderanno ad abbassare i prezzi, per favorire un recupero della domanda e poter vendere, collocare la loro offerta, la loro produzione e avremo, di conseguenza, una riduzione di prezzi che compenserà l’aumento dei prezzi del petrolio e avremo un’inflazione gestibile e che diminuisce. Questo modello dei monetaristi dovrebbe ottenere la riduzione della domanda. In effetti loro proprio questo desideravano; si parlava, a quel tempo, con estrema chiarezza, anche nelle parole, di “raffreddamento della domanda”: noi dobbiamo invogliare la gente ad acquistare di meno, perché raffreddando la domanda indurremo i produttori ad abbassare i prezzi, che però poi significa anche a produrre di meno, perché se vi sono meno acquisti abbasso sì i prezzi, ma a un certo punto produco anche di meno, il che significa che mando a casa anche qualche operaio, perché non posso tenermelo lì a pagarlo per fare niente.

 

Questo obiettivo venne perseguito con chiarezza e puntuale precisione dai due governi di USA e UK e successivamente, di fatto, fu anche imitato da tutti gli altri governi europei (penso che sia esperienza di tutti noi la recessione degli anni ’80, che è durata per tutti gli anni ’90. Con questa “intelligente” politica, composta con l’innovazione tecnologica che v’è stata, che richiede meno persone per fare le stesse cose che si facevano gli anni prima, grazie ai computer e quant’altro, noi abbiamo avuto tutti i problemi di ristrutturazione, di ricollocazione delle persone, di prepensionamenti, in Italia e in tutta l’Europa, ma anche negli Stati Uniti e un po’ in tutto il mondo. Per cui la politica monetarista ha avuto come “costo sociale” la disoccupazione, che noi tutt’ora scontiamo… Questo tipo di politica doveva ridurre l’inflazione. Due tesi si scontravano a questo proposito e si scontrano tutt’ora nel dibattito politico, anche se i nostri (tele)giornali ci parlano dei “respiri” dell’una e dell’altra: vi sono coloro i quali dicono che dobbiamo prestare attenzione a evitare surriscaldamenti inflazionistici e dobbiamo avere politiche di strettezze creditizie, controlli stretti della moneta e di controllo della domanda, mentre altri, invece, dicono di no e che il prezzo di questa politica sarà sì il controllo dell’inflazione, ma, di fatto, il prezzo del controllo dell’inflazione è la disoccupazione, la recessione, ecc… ed è meglio adottare altra politica. Le due correnti di pensiero sono, se pur semplificando in modo abbastanza violento, quella dei monetaristi da una parte (che possiamo anche chiamare neo-liberisti, neo-conservatori, ecc…) e quella dei neo o post-keynesiani[3].

 

I monetaristi dicevano, allora, che la politica keynesiana che si è adottata dagli anni ’50 fino agli anni ’70 è andata bene per un po’, ma in quel periodo si scontrava con l’inflazione del petrolio e, se si fosse aumentata la domanda, si sarebbe prodotta solo nuova inflazione, e dicevano che si doveva cambiare registro. Il registro fu cambiato, per diverse ragioni, anche politiche; Reagan da una parte e la Thatcher dall’altra dissero: noi dobbiamo avviare uno stretto controllo della moneta, per evitare ripercussioni sull’inflazione, anzi per “addolcire” l’inflazione. Come si fa a controllare la moneta? Vi sono tanti strumenti, ma alla fine si sintetizzano in un risultato, che è sia strumento sia risultato di queste operazioni, che è l’aumento dei tassi d’interesse. Se io per varie vie alzo i tassi d’interesse - perché la Banca centrale alza il tasso di sconto, ovvero perché io, governo, offro sul mercato i Buoni Ordinari del Tesoro (BOT) e i Certificati di Credito del Tesoro (CCT) - prometto un tasso d’interesse molto alto: se il BOT o il CCT ha il 10% del tasso d’interesse e io, governo, decido che questa settimana li vendo al 20% del tasso d’interesse, cosa succederà? Tutti gli altri che offrono titoli a un tasso d’interesse, alzeranno anche loro il tasso d’interesse promesso, perché altrimenti tutti comprano BOT e CCT e nessuno compera gli altri. Per cui gli altri, pur di collocare la loro offerta, visto che anche loro hanno bisogno e lavorano di questo, evidentemente promettono interessi più alti -; quindi, una decisione del governo determina un innalzamento di tutta la struttura dei tassi d’interesse di mercato. I governi inglese e americano decisero di alzare i tassi d’interesse e questi balzarono da un giorno all’altro, veramente, verso l’alto. Perché questo serve a raffreddare la domanda e a ridurre la quantità di moneta? Se i tassi d’interesse diventano improvvisamente più alti, io che ho denaro, prima probabilmente lo usavo per comperare, per esercitare “domanda”; se adesso sono così alti, almeno una parte di quel denaro lì, io la investo finanziariamente visto che si guadagna così bene. Io che, invece, non ho denaro e desidero farmelo prestare per spenderlo in progetti di investimento, in consumi, ecc… me ne farò prestare di meno visto che è diventato così costoso. Per una via e per l’altra, con una tale decisione, il governo riduce la quantità di denaro disponibile per finanziare acquisti, per finanziare la domanda, che si riduce. La leva è alzare violentemente il tasso d’interesse, per ridurre la quantità di moneta, per combattere l’inflazione. Questo venne fatto e voi capite che se questo è fatto in Inghilterra e negli Stati Uniti, poi Italia, Francia, Germania e Spagna lo fanno a loro volta; perché? Pensate all’Italia di quel periodo, che aveva dei deficit di bilancio abbastanza elevati; per finanziarli poteva alzare le tasse (ma questo strumento è sempre piuttosto fastidioso), ovvero poteva chiedere soldi a prestito ai cittadini italiani, con i BOT e i CCT. Se, però, il titolo del tesoro americano promette il 15% e quello italiano promette il 10%, la gente va ad acquistare quello americano e non quello italiano, visto che là si guadagna di più; allora il governo italiano deve alzare il tasso d’interesse del suo BOT allo stesso livello di quello americano e, probabilmente, ancora di più, perché se io, che vivo nel periodo ’79-’80, guadagno la stessa cifra negli Stati Uniti d’America e in Italia, probabilmente compero il titolo statunitense, perché in America v’è una bella stabilità di governo, l’economia più ricca del mondo e non v’è un presidente del partito di maggioranza, il quale viene rapito e poi ammazzato dai terroristi, un governo che dura sei mesi e poi è sostituito… L’instabilità politica in Italia, il fenomeno Badermeinnhoff in Germania, ecc… in quel periodo determinavano un’incertezza per cui i governi che non erano gli Stati Uniti e che non erano l’Inghilterra, hanno dovuto imitare o addirittura superare i tassi di interesse di questi Paesi, per poter collocare i loro titoli, che servivano per finanziare la spesa pubblica, in ragione di queste decisioni anglo-americane.

 

Per cui la decisione di due Paesi è stata trasmessa immediatamente a tutti gli altri. Tutti i tassi d’interesse volarono verso l’alto. Perché ci interessa tutto questo? I Paesi del Sud dei quali noi ci occupiamo si erano indebitati moltissimo dal ’73 in avanti, pagando tassi d’interesse intorno al 5%. Con l’affermarsi delle politiche monetariste, i tassi d’interesse volano oltre al 20%. Per i Paesi del Sud il tasso medio era intorno al 25%, ma molto spesso ha toccato anche il 30%. Voi immaginate che cosa vuol dire aver fatto dei programmi per finanziare un pagamento a degli interessi al 5% su un debito che io ho assunto e che cosa significhi dovermi trovare a pagare il 30%; v’è una certa differenza.Di più: v’è un fenomeno importantissimo di quel periodo del ’79 ed è la scelta degli Stati Uniti di far apprezzare il dollaro. L’apprezzamento di una moneta è il contrario di una svalutazione, ovverosia è l’aumento di quella moneta rispetto alle altre valute. Gli Stati Uniti erano e sono tutt’ora un Paese fortemente importatore: importano molto più di quanto esportano. Il ragionamento dei governanti americani, allora, era questo: noi abbiamo già l’inflazione che ci dà parecchio fastidio, importiamo moltissimo, il costo delle importazioni è cresciuto in ragione dell’aumento del prezzo del petrolio perché questo fa parte delle nostre importazioni; tutto questo ci dà fastidio, per cui combattiamo l’inflazione coi tassi d’interesse, ma vediamo se riusciamo a far crescere il valore del dollaro, perché se il nostro dollaro cresce noi paghiamo meno le importazioni. Mi spiego: un’auto italiana costa, per ipotesi, 200 milioni, oggi il dollaro vale più o meno 2.000 lire, per comperare questa automobile occorrono 100.000 dollari.

 

Se io, Stati Uniti, riesco a far aumentare il valore del dollaro, forse riesco a comprare l’auto con meno dollari. Se i miei dollari li faccio passare a valere non più 2.000 lire, ma 4.000 lire, io cambio i dollari in lire, perché l’auto italiana la pago sempre in lire, i 100.000 dollari che prima mi procuravano 200 milioni di lire ora mi fanno procurare 400 milioni di lire, per cui con gli stessi 100.000 dollari mi compro 2 automobili, ovvero ne compro 1 con 50.000 dollari. Voi capite che per gli Stati Uniti, avendo un forte fabbisogno di importazioni, avere un dollaro forte era importante, perché si potevano comperare, a parità di dollari, più beni, ovvero si compravano le stesse quantità, pagando meno dollari. Mai, purtroppo, venne raggiunto un obiettivo di politica economica con così tanta efficacia; perché? In realtà è sfuggita ai governanti americani questa situazione, nel senso che loro volevano sì l’apprezzamento, ma non così virulento. Il dollaro passa, con le lire italiane, da circa 600 lire fino a toccare le 2.200 lire, ovverosia quadruplica il suo valore nel giro di un anno; nello stesso periodo, cioè all’interno del periodo che va da fine ’78 a inizi ’80, raddoppia il suo valore rispetto alla sterlina, al marco, al franco svizzero e alle valute più forti e lo decuplica e più ancora rispetto alle valute del Sud. Con l’Italia, che non aveva una valuta fortissima, il rapporto è stato di 1:4, con valute più deboli di quella italiana è stato peggio ancora. Ora, voi immaginate che cosa questo può essere costato ai Paesi del Sud. Perché? Perché la valuta internazionale era il dollaro. I beni che venivano venduti sul mercato internazionale facevano riferimento ai prezzi che avevano sul proprio mercato nazionale, ma il mercato dei soldi, ovverosia il mercato finanziario (prestiti, debiti, crediti…) non è che avesse un mercato nazionale di riferimento, era un mercato misurato sostanzialmente in dollari. Questo significa che questi Paesi s’erano indebitati in dollari, promettendo di pagare un certo tasso d’interesse, ma si sono trovati dal 5% a dover pagare il 30%, inoltre si sono trovati ad avere lo stesso debito misurato in dollari (non era cambiato il loro debito): un debito che, misurato in valuta locale, era diventato enorme. Qui spiego sempre con l’esempio della coppia che mette su casa. Se una delle nostre coppie prodigiose ha questa intenzione, immaginiamo che voglia spendere 300 milioni. La zia di uno dei due regala loro 100 milioni, per dar loro una mano e questi si recano in banca a chiedere un prestito di 200 milioni. Guadagnano 2 milioni al mese a testa, che vuol dire 48 milioni in due all’anno, il che può dare una certa tranquillità. Dicono: prendiamo 200 milioni in prestito dalla banca, paghiamo il 5% di tasso d’interesse, che vuol dire 10 milioni ogni anno, il mio reddito serve a vivere, ecc…, mentre il tuo serve a pagare gli interessi e per cominciare a restituire il capitale; facciamo l’operazione della nostra vita, ringraziamo la zia, e ci siamo fatti la casa. Le cose magari vanno bene il primo anno e poi immaginate che capiti quello che è capitato nel ’79, ovverosia che i tassi d’interesse improvvisamente schizzino al 30%, la qual cosa non è tanta piacevole, perché il 30% di 200 milioni è 60 milioni. Questo vuol dire che lo stipendio di chi dei due doveva pagare gli interessi e restituire il debito non è più sufficiente, ma non bastano neanche i due stipendi messi insieme (48 milioni); è un gran pasticcio! È anche piuttosto perverso se uno pensa che in realtà, in poco più di tre anni, con interessi di questo tipo, loro pagano alla banca la stessa cifra che avevano contratto all’inizio come capitale di debito, perché in un arco di tempo di tre anni, a colpi di 60 milioni all’anno, restituisco 180 milioni.

 

Noi, per “servire il debito”, come si dice, abbiamo pagato i 180 milioni, ma abbiamo sempre questo debito di 200 milioni da pagare ancora. Il servizio del debito sarebbero gli interessi più la rata di restituzione periodica del capitale. Si dice “servire il debito” perché io per poter mantenere in mano mia il capitale che ho ricevuto, devo fare il servizio di pagare gli interessi e restituire una piccola quota ogni anno. Voi immaginate se questa coppia avesse avuto la luminosa idea di prendere dollari anziché lire (tante nostre famiglie hanno contratto un prestito in valuta diversa dalla lira quando, prima del ’92, le nostre banche proponevano di fare i prestiti misurati in ECU, l’attuale euro, che creò qualche imbarazzo. Perché? Immaginate che capiti oggi quello che capitò 20 anni or sono, quando in un anno il dollaro quadruplicò il suo valore rispetto alla lira…). Immaginate, quindi, che la coppia sia andata in banca e abbia contratto un prestito di 200 milioni di lire, ma con valuta in dollari, per cui sono stati dati loro 100.000 dollari. Firmano e prendono i 100.000 dollari, li cambiano in lire, prendono 200 milioni, con i quali aggiunti a quelli della zia acquistano la casa e va tutto bene. Arriva, poi, il 30% sui 100.000 dollari, la qual cosa è già sgradevole, per cui la banca che prima chiedeva interessi per 5.000 dollari annui, ora chiede il 30%, ovverosia 30.000 dollari e poiché ogni dollaro equivale a 2.000 lire, le dovevano essere corrisposti 60 milioni di lire, ovverosia 30 mila dollari. L’anno dopo immaginate che capiti questa cosa “prodigiosa” per cui il dollaro acquista 4 volte il valore che aveva prima e passa da 2.000 a 8.000 lire. Questo è piuttosto imbarazzante, perché non vi sono più soldi per pagare alcunché.

 

Proviamo a effettuare i conti: il debito che noi abbiamo è sempre di 100 mila dollari, però ognuno dei dollari che compongono questo capitale va moltiplicato, ora, per 8.000 lire, quindi il prestito, ora, corrisponde, misurato in lire, a 800 milioni. Quindi, questi hanno comprato una casa da 300 milioni e si ritrovano con un debito di quasi 1 miliardo. Di più, la cosa più “simpatica” di tutte è che gli interessi, che corrispondono, al 30%, sono sempre 30.000 dollari, perché sono il 30% di 100.000 dollari e la banca non vuole un dollaro di più. Il problema è che le lire necessarie per pagare quei 30.000 dollari adesso sono 8.000 per ognuno di quei 30.000, ovverosia 240 milioni. Solo per pagare gli interessi, questa coppia deve pagare una cifra più alta di tutto il capitale; deve vendere la casa per pagare gli interessi di un anno, ma l’anno dopo hanno ancora 240 milioni da pagare. Questo sembra un racconto di fantascienza, di fanta-politica, o di fanta-economia, ma è esattamente quello che è successo tra il 1978 e il 1980 e dall’80 in avanti ha continuato a succedere, perché i prezzi erano esposti in dollari. Non solo: quando succedono questi avvenimenti nascono fenomeni di sfiducia delle valute nazionali che si svalutano, per cui la svalutazione continua e diventa ancora più veloce e più vigorosa; nascono fenomeni di iperinflazione all’interno del Paese che subisce queste svalutazioni e queste creano ulteriori ingiustizie sociali, fenomeni di mancanza di equità sul piano economico con conseguenti grandi disastri. Per quanto ci interessa in relazione al debito, noi abbiamo che questi governi si indebitarono con le banche internazionali, ossia con soggetti privati, quando era conveniente indebitarsi, in teoria per effettuare progetti interessanti per il proprio Paese: infrastrutture e altro. Dopodiché si sono trovati con interessi aumentati violentemente, faticano, quindi, a trovare le risorse per pagare gli interessi e, in aggiunta, si trovano con l’esplosione del valore del debito in valuta locale, perché in termini di dollari (valuta forte) il loro debito non è mutato, ma loro ricavano le risorse per pagare il debito da quelle nazionali e queste non bastano più, perché, espresso in valuta nazionale, il debito è letteralmente esploso. Per un po’ i Paesi ce la fanno a pagare, svenandosi letteralmente, ma nell’estate del 1982 il Messico dichiara l’insolvenza. Il 1982 è la terza data importante nella storia del debito, perché segna lo scoppio della crisi del debito internazionale. I Paesi del Sud smettono di pagare, perché non ce la fanno più; non è umanamente possibile pagare. Io dico sempre, un po’ scherzando, che quella famiglia che si è indebitata e deve pagare 240 milioni di interesse non scappa nemmeno, perché uno scappa quando prende i soldi e poi ha da guadagnare. Non scappi perché è chiaro che nessuno di noi può pagare 240 milioni solo d’interessi solo per essersi comprato un alloggio. Allora questi Paesi si comportano nello stesso modo e dicono: noi non siamo più nelle condizioni di pagare. Cosa succede a questo punto? V’è una grande preoccupazione nella comunità internazionale, perché la grande comunità del Nord dice: se le grandi banche internazionali si trovano in questa situazione, per noi diventa sgradevole perché se a loro mancano gli afflussi di denaro che arrivano dai pagamenti periodici che i debitori devono versare, vuol dire che non avranno il denaro per pagare i pagamenti che noi chiediamo loro di fare da noi. Le grandi banche internazionali erano quelle in cui qualunque azienda del Nord, ma anche noi e le nostre famiglie, avevamo i nostri conti. Se noi diciamo alla nostra banca di pagare una bolletta e la nostra banca non esegue l’ordine, a noi dà fastidio, perché il servizio per cui paghiamo la bolletta dopo un po’ ci viene tolto e noi ci chiediamo il motivo, visto che al pagamento avrebbe dovuto pensarci la banca.

 

Se continuasse a succedere su cifre più grandi e noi fossimo correntisti di una banca piccolina, cominceremmo a pensare che quella banca non ha i soldi, allora ritireremmo tutti quello che abbiamo da quella banca per andare a metterlo da un’altra parte, perché non avremmo più fiducia nella capacità di questa banca di sostenere i pagamenti che deve effettuare. Il timore era che si creasse un fenomeno analogo nel Nord del mondo. Ovverosia: le banche internazionali non avevano le rimesse che avrebbero dovuto arrivare dal Sud (gli incassi) e così si trovavano a non aver denaro per finanziare i pagamenti che noi al Nord chiedevamo di effettuare; un’impresa chiedeva alla banca di pagare le commesse a un’altra impresa, ecc…, ma se la banca non pagava, l’impresa intermedia non forniva più la prima, che non poteva più produrre fisicamente quello che produceva, non poteva venderlo, non aveva i soldi per pagare gli operai e succede un gran pasticcio. La crisi del ’29 fu di questo tipo, vale a dire una crisi di fiducia nel sistema bancario: la gente cominciò a temere che le banche non fossero più in grado di onorare i pagamenti e si formarono proprio delle file fuori dagli sportelli, lungo le strade, di persone e di famiglie che andavano a ritirare tutti i propri risparmi per paura di perderli, per paura che le banche non avessero più capacità di pagamento, di solvenza. Se v’era rischio che si determinasse la crisi, essa, con questo sistema, si determinò con certezza, perché le banche, a quel punto, effettivamente non ebbero più una lira, perché tutti ritirarono i capitali e scoppiò la grandissima e gravissima crisi del ’29, che determinò conseguenze in tutto il mondo, anche di natura politica piuttosto grave, come è capitato in Germania con l’ascesa al potere di Hitler.

 

Il timore fu quello che capitasse qualcosa di simile anche con questa situazione di crisi per il debito internazionale. I governi del Nord, allora – così vediamo che entra in scena un attore importantissimo e fondamentale -, dissero: noi non possiamo permetterci una situazione rischiosa di questo tipo, interveniamo; tutti insieme andiamo dai debitori, convocandoli uno a uno, e si dice a ciascuno: tu sei un bambino un po’ discolo perché non hai pagato, questa situazione del dollaro che si è ipervalutato non centra niente, conta che tu non hai pagato e […] vogliamo darti una nuova opportunità. Questa è che noi ti diamo delle nuove scadenze, così ti diamo più tempo e ti diamo anche dei denari, perché tu non ce la fai. Ti diamo, così, dei nuovi prestiti, tu, però, devi dimostrare di avere buona volontà e devi mettere in pratica le politiche che noi ti suggeriamo, che si chiamano politiche di aggiustamento strutturale (che sono state la calamità del Sud del mondo negli ultimi 20 anni e a proposito delle quali vi sono persone che hanno gravissime responsabilità personali, etiche, morali), cosicché se tu le metti in pratica, allora noi ti diamo dei soldi, diciamo al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e alla Banca Mondiale (BM)[4], che vi diano dei soldi. Con questi voi potete sanare la vostra situazione, potete risolvere la vostra situazione di liquidità. Cosa capitò? Capitò che questo afflusso di denaro da creditori pubblici (perché erano i governi e FMI e BM, che pubblici creditori sono) misero i Paesi del Sud nelle condizioni di sanare il loro conto con le banche. Il debito originariamente s’era creato verso creditori privati: i governi dei Paesi del Sud erano debitori verso soggetti privati (le grandi banche internazionali); con questo processo per affrontare e risolvere la crisi dell’82 - che non fu risolta – i denari dovuti alle banche private vennero pagati, perché arrivarono nuovi finanziamenti generati dai soggetti pubblici, per cui il debito dei governi del Sud, da debito verso soggetti privati è diventato debito verso soggetti pubblici, verso i governi del Nord, verso di noi (noi siamo azionisti del nostro governo, siamo cittadini di questo Paese). Oggi i Paesi a medio reddito, quelli che non hanno un debito così terribile, magari forte ma non impagabile, hanno debiti verso governi e verso FMI e BM e verso banche private; i Paesi che hanno un debito letteralmente impagabile, che hanno condizioni economiche e sociali più gravose al loro interno, hanno debiti esclusivamente verso i governi e le banche pubbliche. Esemplifichiamo con due Paesi con i quali acquisiremo un po’ di dimestichezza e che sono la Guinea e lo Zambia. Questi hanno rispettivamente il 97% e il 98% del loro debito estero verso soggetti pubblici, più o meno 50% verso FMI e BM e 50% verso governi del Nord. Per cui per i Paesi dove la situazione è più grave, oggi il debito è verso governi, o verso BM e FMI. Una piccola parentesi prima di concludere e dare spazio alle domande bisogna dedicarla alle politiche di aggiustamento strutturale, altrimenti non si capisce il motivo per cui ho usato un giudizio così severo. Prima, però, un’ulteriore parentesi: le colpe di questa esposizione. Dal racconto che ho fatto emerge in modo abbastanza trasparente che, almeno secondo la mia opinione, la responsabilità grave della situazione in cui oggi ci troviamo sta in decisioni che sono state prese al Nord e per via politica. Io non sono convinto che Reagan e la Thatcher desiderassero con ferma e fredda volontà la morte dei Paesi del Sud; io penso, più serenamente e semplicemente, che non vi pensassero nemmeno: non v’era la minima considerazione del fatto che questa decisione avrebbe potuto determinare conseguenze così gravi al Sud del mondo, però quando uno compie un’azione così importante e così grave, anche nel senso latino del termine, così pesante senza rendersi conto delle conseguenze che ha, non è che solo per questo può non essere considerato responsabile delle conseguenze che sono nate, in termini oggettivi.

 

Io penso che la responsabilità stia al Nord e in modo clamoroso, se non altro perché nessuno al Nord, nella comunità politica, anche nel nostro Paese, ha alzato il dito per dire: guardate che se facciamo questo al Sud potrebbe capitare qualcosa di piuttosto grave; nessuno l’ha detto e questo è un fatto purtroppo indubitabile, ma del quale bisogna tenere conto. Vi sono state, certo, anche altre cause che hanno aggravato il fenomeno: per esempio il cattivo uso del denaro preso in prestito dai Paesi del Sud; sappiamo tutti che alcune, non tutte, elites del Sud del mondo lo hanno usato male. Mobutu, il quale era un uomo di una certa disinvoltura, ha abbellito la Costa Azzurra di bellissime ville, meravigliose, prodigiose, costruite a suo nome, di sua proprietà, con i soldi che ha preso in prestito dalle banche del Nord firmando, però, a nome dei cittadini del suo Paese (l’ex-Zaire, l’attuale Repubblica Democratica del Congo), i quali, oggi, pagano il debito, gli interessi sul debito, soldi, che non hanno mai visto e che sono stati usati dal loro dittatore per farsi i fatti suoi, al Nord del mondo. Spesso questi soldi sono stati usati per comperare armi, ad esempio, anziché per realizzare progetti utili alla gente; di esempi così ve ne sono tanti. Io dico sempre che vi sono stati dei governi corrotti al Sud del mondo e che occorre punirli, però è altresì vero che la corruzione si compie in due: il corrotto e il corruttore. Non vi sono fabbriche di armi al Sud del mondo, nemmeno una, mentre sono, invece, al Nord del mondo.

 

Noi, allora, possiamo anche scandalizzarci che vi siano presidenti del consiglio del Sud che hanno acquistato armi con soldi, che viceversa avrebbero dovuto utilizzare a fin di bene per la propria popolazione, però v’è qualcuno che le ha vendute, siamo stati noi a vendere quelle armi a loro e visto che noi sappiamo bene che se uno ci ordina un carro armato difficilmente lo usa per fare panini o per costruire autostrade, ecc… tutto questo scandalo nei confronti del Sud del mondo va composto ed equilibrato con un po’ di perplessità nei confronti dell’atteggiamento complessivo che il Nord del mondo ha avuto, non solo per via politica delle decisioni neo-liberiste, ma anche per queste scelte di, diciamo così, “politica industriale”. Veniamo alla parentesi sull’aggiustamento strutturale, che è, sostanzialmente, un complesso di interventi, di ricette politiche, di politiche economiche, in particolare, improntate al liberismo di una certa consistenza, se non sfrenato. L’idea è che qualunque intervento che alteri i normali meccanismi, le normali dinamiche di mercato, di fatto altera l’efficienza che il mercato stesso nella sua autonomia determina. Se noi consentiamo che lo stato entri nella dinamica di mercato, noi abbiamo una distribuzione, allocazione delle risorse, un livellamento dei prezzi, un livellamento dei redditi degli operatori del mercato che non è il migliore, anzi facciamo delle cose che a lungo andare si pagano, mentre noi dobbiamo lasciare che sia il mercato a giocare nella sua completa libertà, perché solo così si determina sviluppo. Noi possiamo, forse, sostenere che abbiamo una struttura statale molto pesante e che possa tendere a non essere molto efficiente. Il dipendente pubblico, per definizione meridionale, se siamo in Italia, pigro, sta alla sua scrivania per telefonare al coniuge, agli amici, ecc… e non certo per lavorare ed è tranquillo e sicuro, perché nessuno lo licenzierà mai. È anche possibile che lavori e produca meno, a parità di stipendio o reddito, del sano popolo delle partite I.V.A. del nord, della Brianza, piuttosto che del nord-est o del basso Piemonte, che, invece, dovendo lavorare sul proprio, corre come un disperato e produce, produce, produce, dimenticandosi forse anche della moglie, ma produce e produce ancora. Non v’è dubbio che il secondo produce più del primo, anche se non è detto che sia la regola; penso che ciascuno di noi conosca diversi dipendenti pubblici italiani, che lavorano come dei matti, che sono pagati anche molto poco e che fanno un servizio prezioso, dai carabinieri ai poliziotti e ai giudici, che hanno lasciato la pelle sulle strade per tutelare la nostra sicurezza e la nostra democrazia (bisogna anche dirle queste cose a coloro i quali dicono che il “pubblico” è una cosa che fa male e che altera la vita civile), agli insegnanti, ecc…; quando, poi, dal punto di vista etico non è che il mondo dell’imprenditoria privata, viceversa, abbia prodotto sempre dei modelli. Se noi, quindi, esprimiamo la considerazione che forse noi abbiamo una struttura pubblica pesante e sarebbe bene alleggerirla, possiamo dire una cosa che in Italia è anche sostenibile e, allora, magari cerchiamo di liberalizzare un po’ di più l’impianto generale. Se noi mandiamo a casa qualche dipendente pubblico, o diamo loro qualche protezione in meno, in Italia colui il quale è mandato a casa tendenzialmente la sera e per un po’ di giorni mangia, anche da qualche parente, perché una casa la trova e poi troverà anche un lavoro, magari in nero ma lo trova. Se, viceversa, noi andiamo in Guinea e andiamo al Ministero delle Finanze a parlare con i responsabili per capire a quanto ammonta il debito, per esempio, v’è tutta una pletora di fattorini, di custodi, di bidelli, di persone che stanno nell’atrio, povero in apparenza e struttura, tecnicamente a non fare molto. Non v’è dubbio che gli stipendi pagati a queste persone, forse, potrebbero essere spesi meglio, secondo un approccio più liberista.

 

Queste persone, invero, fanno un servizio bellissimo, perché vi sono tre o quattro che ti chiedono subito cosa vuoi, ecc… dopodiché passano la giornata con te, accompagnandoti negli uffici così che tu non devi cercare e chiedere, come in Italia che chiedi dov’è l’ufficio informazioni e ti rispondono: non so, si rivolga all’ufficio informazioni. Non v’è dubbio, allora, che forse si potrebbero fare delle cose più produttive, che creerebbero a loro volta altre cose, però se noi mandiamo a casa una di quelle persone, bisogna pensare che quel ragazzo mantiene, a un livello di sussistenza, qualche volta al di sotto del reale fabbisogno alimentare, la sua famiglia, composta non da 2, 3, o 4 persone, ma da 30 persone, anche perché spesso arrivano i cugini dal villaggio, perché finalmente v’è uno stipendio, v’è qualcuno che si è “sistemato” e vivono con lui. Io non dico che questo sia un modello bellissimo, perché certo bisognerebbe migliorarlo, però se noi mandiamo a casa quella persona condanniamo ad andare immediatamente sotto la soglia di sussistenza 30 persone. Allora, mandare a casa centinaia di persone da un giorno all’altro come è stato imposto di fare ai governi del Sud ha significato in qualche Paese condannare alla soglia della fame migliaia di persone. V’è poi la politica dei dazi: se noi abbiamo un’industria nazionale che non è molto efficiente e che produce, per esempio, microfoni a 100 lire l’uno, quando l’industria straniera li produce a 70 lire l’uno, se lasciamo le cose come stanno avremo che noi nostri mercati arriveranno i microfoni stranieri e tutti li compreranno (togliete l’esempio dei microfoni e sostituitelo con il grano, o con altro bene che serva per vivere e avrete una cosa più concreta).

 

Il nostro governo, attento, dice: mettiamo un dazio, ossia una tassa sulle importazioni. Nell’esempio del microfono straniero applichiamo un dazio di 40 lire. Nel nostro mercato avremo, allora, il nostro microfono a 100 lire e quello straniero a 110 lire (70+40). Quale comprerà la gente? Un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, perché 10 lire di differenza non sono molte. Arrivano i soloni del Fondo Monetario Internazionale e dicono: devi effettuare l’aggiustamento strutturale, devi liberalizzare la tua economia, devi licenziare i dipendenti pubblici, devi togliere tutti i dazi, da un giorno all’altro. Io per primo dico che se il nostro microfono costa 100 lire, noi non riusciremo mai venderlo fuori dai confini nazionali e non è nemmeno intelligente far pagare ai nostri cittadini 100 lire, quando è possibile farli pagare solo 70 lire, visto che v’è qualcuno che è capace a produrlo a questo prezzo; dunque cerchiamo di imparare anche noi la maniera di produrre i microfoni a 70 lire. Come si fa? Forse la ragione per cui i nostri microfoni costano 100 lire è che costa trasportarli dal luogo in cui sono prodotti alla capitale, perché non abbiamo una buona strada, né un buon sistema di trasporti. Allora, io governo, eseguo un bell’impianto di trasporti, una bella strada, cosicché il trasporto costi meno e i nostri microfoni possono cominciare ad avere come prezzo finale non più 100, ma 90 lire; poi cerchiamo di studiare altre migliorie e pian piano il loro prezzo potrebbe anche scendere. Gradualmente posso togliere il dazio in modo che nel mio mercato vi sia la libera concorrenza tra i prodotti nazionali a 70 lire e quelli esteri a 70 lire. Questo va benissimo, ma occorre un attimo di gradualità. Arrivano, invece, quelli del FMI e dicono: no, la cosa deve essere fatta immediatamente, perché se non lo fai io smetto di comprare. Qual era la leva che aveva la comunità del Nord e che ha tutt’ora nei confronti dei Paesi del Sud? I Paesi del Sud hanno un disperato fabbisogno di quella poca valuta straniera, che arriva loro da quelle poche esportazioni che riescono a vendere al Nord. Questi sono di fatto diktat politici che la comunità del Nord impone a quella del Sud: ti dò un nuovo finanziamento se fai i lavori di aggiustamenti strutturali, ma allo stesso tempo continuo a comprare i tuoi beni solo se fai la politica di aggiustamento strutturale. Questi Paesi, pur di riuscire a collocare la loro esportazione dicono di sì e fanno qualunque cosa. Dicono: abrogate il dazio, allora abroghiamo il dazio da un giorno all’altro. Cosa succede? È semplice: il nostro microfono sul nostro mercato costa 100 lire, ma adesso sul nostro mercato è presente anche il microfono straniero, che costa 70 lire; voi cosa comprate quando la differenza è di 30 lire? Comperate quello da 70, è ovvio. Per un po’ di anni il microfono da 70 lire sbanca il mercato e dopo un poco la nostra azienda nazionale che produce microfoni chiude, perché non vende più alcunché e non riuscendo più a vendere chiude e manda a casa gli operai, ma a questo punto che cosa capita? Che cosa non hanno previsto quei soloni del FMI? Una cosa assolutamente naturale, ovverosia che dopo due o tre anni l’industria straniera che veniva da noi a venderci i microfoni se ne va, perché non v’è più qualcuno che compra, nemmeno i microfoni a 70, perché non vi sono più i redditi per comperare, perché, sostituite ai microfoni i prodotti di consumo, quel poco di industria nazionale che noi avevamo nel nostro Paese del Sud è morta, è stata uccisa da questi interventi drastici che dovevano renderla più efficiente (ma di fatto era troppo vulnerabile per poter avere una cura così violenta) ed essendo morta non distribuisce redditi, perché non distribuisce stipendi ai suoi ex occupati, dipendenti.

 

Allora, non vi sono redditi disponibili per acquistare alcunché e il mercato, laddove cominciava a esserci nei Paesi del Sud, è morto. È la storia di diverse aziende del Nord, anche italiane, che sono entrate per quattro, cinque, sei, dieci anni nei Paesi del Sud, in Africa in modo particolare, negli anni recenti e poi se ne sono andate, perché non v’era più alcunché da vendere. Sempre per stare nei due Paesi Guinea e Zambia, v’era una filiale della FIAT in Zambia e ora non più, l’hanno tolta quattro anni fa, perché non v’è più alcunché da vendere. Questo tipo di politica, allora, anziché migliorare le condizioni economiche le ha peggiorate. È stata imposta in modo assolutamente ideologico, cioè a dire che la verità è questa: non può che esserci successo se è presente una liberalizzazione estrema del mercato, non è questa politica che dev’essere adattata, ma siete voi che dovete adattarvi a questa politica. Chiunque abbia una qualche dimestichezza con quello che è la politica capisce che questa è una sciocchezza colossale; il problema è che veniva detto dalla BM e FMI e quindi “bisogna levarsi il cappello, inchinarsi, perché è il tempio della cultura economica”. Dal 1978 a oggi le condizioni sociali dei Paesi del Sud sono di fatto peggiorate. Se guardiamo i numeri totali, le medie nazionali, spesso vediamo dei miglioramenti, ma le medie nazionali nascondono il fatto che v’è un’élite che sta sempre meglio e una maggioranza di popolazione che sta sempre drammaticamente peggio, a causa dell’imposizione di queste politiche di aggiustamento strutturale, che hanno letteralmente ucciso ciò che di positivo stava verificandosi. Di fronte a questa situazione, noi abbiamo Paesi, come capita nella fascia sub-sahariana dell’Africa, che ogni anno pagano, per il servizio del debito, di interessi cifre, più o meno, 4 – 5 volte superiori alle cifre che riescono a destinare per la spesa sociale (scuole, ospedali).

 

Non riescono a pagare la restituzione del debito perché è troppo grande, perché anche qui è la stessa cosa delle esportazioni e delle politiche di aggiustamento strutturale: se non paghi gli interessi, io non ti dò più una mano e non ti compero più alcunché e allora questi, come orologi svizzeri, pagano almeno gli interessi. In modo particolare l’esempio clamoroso è quello della fascia sub-sahariana. Stiamo parlando di Paesi in cui il tasso di analfabetismo adulto può essere superiore al 50%, di Paesi in cui la frequenza scolastica, dai 6 ai 10 anni, può essere “tranquillamente” inferiore al 50%, stiamo parlando di Paesi in cui la mortalità infantile entro il quinto anno d’età può essere “tranquillamente” superiore al 20%, ovverosia dove un bambino su cinque non raggiunge i 5 anni. In Zambia l’età media è 40 anni, per cui noi tutti che abbiamo più di 40 anni siamo vivi, perché siamo in Italia, fossimo in Zambia no! In Paesi con condizioni sociali come quelle qui descritte, questi signori pagano a noi gli interessi, anziché fare presidi sanitari, scuole, ecc… Ora, badate bene, non è che si muoia di tumori, di morbi incurabili, bensì di infezioni che con un po’ di pellicilina si curano, si muore perché non v’è l’antibiotico, l’aspirina, perché mancano quelle cose che noi non chiediamo nemmeno più al medico di prescriverci perché andiamo in farmacia direttamente sapendo già quello di cui abbiamo bisogno. Qualcuno di voi avrà visto una bel reportage, trasmesso un mercoledì sera tarda su Rai 3, dove un giornalista era andato a verificare le condizioni in Tanzania e aveva visitato l’interno di un ospedale, in condizioni un po’ impressionanti. Vide un bambino sotto una sorta di tenda e chiese di cosa si trattasse. La risposta fu: lì v’è un bambino, il quale ha tutta la pelle del corpo ustionata, perché gli si è rovesciata la pentola d’acqua bollente addosso, per cui è tutto ustionato, gravemente, e non abbiamo le medicine per curarlo, perché non abbiamo i soldi; allora, l’unica cosa che possiamo fare è l’aver fatto con alcuni rametti di legno un piccolo telaio, dove abbiamo messo degli stracci e degli asciugamani sopra, un lenzuolo, in modo tale che almeno non vadano le mosche, attirate dalla pelle in quelle condizioni, a toccargli la pelle, la qual cosa lo farebbe stare ancora peggio di quello che è già. Il ragazzo è abbastanza forte e forse si salva, se è robusto supera la crisi, altrimenti non ce la farà. Il giornalista è stato un po’ impressionato da questo, perché evidentemente i casi umani ti toccano e quando raggiunse la capitale andò in farmacia e comprò le medicine che si era fatto prescrivere dal medico di quel presidio sanitario e verificò che costavano 28.000 lire (voi sapete quanto costa andare a mangiare una pizza), le affidò a un corriere di fortuna, che a volte, nei Paesi del Sud sono anche “simpatici” nei mezzi di trasporto che hanno e qualche tempo dopo, tornato in Europa, ha ricevuto la lettera dal medico, il quale gli scriveva che le medicine erano arrivate, per fortuna, in tempo e che il bambino s’era salvato e che stava bene. Sono Paesi nei quali una vita si salva o si perde per 28.000 lire. Io faccio sempre questo esempio: da noi, se vediamo uno per strada, un barbone, un marocchino, non importa chi, non sappiamo come si chiama e da dove arrivi, e vediamo che sta male, chiamiamo l’ambulanza e viene portato al pronto soccorso;

 

se il medico al pronto soccorso valuta che ha bisogno di una T.A.C., gliela fa, anche se in ospedale costa parecchio, intorno ai 2 – 3 milioni, ma la esegue e nessuno gli chiede come si chiama: se v’è bisogno si fa e io, personalmente, sono fiero di vivere in un Paese, dove si fa così, mentre negli Stati Uniti, viceversa, di fronte ai quali io riverisco ogni mattina per il Piano Marshall e un po’ meno per le cose che capitano adesso, se uno non ha la carta della previdenza privata che si è pagato lo lasciano lì, perché non hanno l’obbligo di raccoglierlo, a meno che non sia un ospedale pubblico, che, però, copre solo il 10% del fabbisogno della popolazione, per cui ti può capitare di rimanere per strada. Là si trattava di 28.000 lire, non una T.A.C., sono proprio poche per noi. Se vi sono, allora, dei Paesi in questa condizione, che pagano gli interessi a noi e per pagare gli interessi a noi, non hanno le 28.000 lire per salvare delle vite umane, io credo che noi non possiamo non rimanere provocati da questa situazione, non solo come cristiani, ma come uomini, come cittadini di questo Paese che ogni anno si incassa 1.000 miliardi di lire per gli interessi. Quali sono le vie? Che cosa capita? In ragione di questa situazione, è da tempo esistente una rete internazionale che fa pressione, che denuncia, che fa i calcoli del debito e quant’altro. Questa rete ha avuto una visibilità molto più consistente da quando il Papa, nel lanciare il Giubileo, ha proposto nella “Tertio millennio adveniente” il tema del debito estero dei Paesi poveri, come uno dei temi che provocano l’umanità nell’entrare nel nuovo millennio, in sintonia con quanto afferma il Levitico: dare una nuova opportunità, dare partenza nuova a queste popolazioni che una nuova opportunità non hanno, non solo cancellare i debiti. Quando uno ha un tale debito è in condizioni di schiavitù, perché nessuno può svilupparsi se non ha la cultura per costruire qualcosa, se non ha l’istruzione minima, se non ha una formazione professionale e, soprattutto, se non ha la vita, perché se muore prima…

 

La comunità internazionale sta rispondendo con grande lentezza, ma finalmente con attenzione a questo discorso. Pensate che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, nell’ultima riunione di Washington, di qualche mese fa, hanno finalmente e clamorosamente deciso di concludere l’esperienza dell’aggiustamento strutturale e di chiamare l’approccio che verrà proposto d’ora in poi ai Paesi del Sud: approccio della crescita (economica) e della riduzione della povertà. Per ora sono parole, ancora, bisogna vedere se alle parole corrisponderanno i fatti, ma in politica le parole sono fatti importanti, per cui è importantissimo questo cambiamento di linguaggio. Vi sono altri segnali da parte dei governi e anche di una certa consistenza; piano piano si sta andando avanti. Le proposte che il mondo della solidarietà internazionale propone a tale riguardo sono fondamentalmente quelle che per altro sono contenute anche nella Campagna che la Chiesa italiana ha lanciato qui da noi, ovverosia quella di chiedere senz’altro ai governi le cancellazioni, ma di chiedere anche che ad ogni azione di cancellazione si unisca un’azione di riduzione della povertà. Se noi cancelliamo il debito e poi il governo si compra tre carri armati in più, o i diamanti per la moglie del presidente del consiglio, che si tenessero pure il debito, perché la questione è di cambiare le condizioni sociali ed economiche. Quindi: usare i soldi che non si pagano più per gli interessi, per progetti di sviluppo. Si richiede in modo anche abbastanza esigente il coinvolgimento della società civile locale della popolazione dei Paesi debitori a decidere di come usare questo denaro. Il governo, se v’è la cancellazione, non deve pagare più gli interessi, quei soldi li deve usare per finanziare la lotta contro la povertà: decidiamo con la popolazione, con la società civile come utilizzare effettivamente questo denaro. Non v’è reale riduzione della povertà, se non v’è, insieme, crescita della democrazia, intendendo per democrazia la partecipazione alle decisioni delle cose che mi riguardano. Piccoli passi si stanno facendo in questa direzione. Nella proposta della C.E.I. (avrete sentito parlare dell’operazione di conversione del debito, quella di cui io sono il responsabile) v’è un modello di questo tipo: noi chiediamo al governo italiano di cancellare il debito; se non si cancella il debito gli si dice che non siamo più disponibili a vestire questa giacca di cittadini di un Paese che incassa soldi per interessi da popolazioni nelle condizioni descritte, allora, piuttosto, lo paghiamo noi, a un prezzo più basso del valore nominale e vogliamo, però, la cancellazione totale. In cambio di questo chiediamo al governo locale che metta in un fondo di contropartita, su un conto, più o meno lo stesso ammontare che noi abbiamo pagato in Italia, però lo metta nella propria valuta e creiamo un comitato che gestisce questo fondo di contropartita, costituito da alcuni di noi (per un evidente dovere di rendiconto, tanto più anche in ragione delle notizie che ogni tanto si sentono al telegiornale, vere o non vere, ma che danno immagini sempre piuttosto imbarazzanti), ma soprattutto dalle persone della società civile locale, dalla Chiesa locale, ma non solo, visto che questa non è un’operazione per far Chiesa, bensì per fare cose per la gente (strade, scuole, ospedali e quant’altro…). Il comitato, così costituito, decide come utilizzare questo denaro. In tal modo noi dovremmo riuscire a determinare un modello che ottenga le tre domande che si fanno: la cancellazione, il portare a beneficio della lotta contro la povertà le risorse che si liberano dalla cancellazione e far partecipare la società civile, controllando anche come vengono utilizzati i soldi, nel senso che è questo comitato che decide e, quindi, non è che sia destinato a non si sa chi, o a governi che potrebbero essere tentati di utilizzarli in altro modo.

 

La storia del debito è stata descritta, le categorie sono emerse, penso che adesso sia chiaro chi deve soldi a chi. I meccanismi d’uscita possono essere quelli della cancellazione, nuda e cruda, possono essere quelli della conversione, soprattutto per i Paesi che hanno qualche mezzo in più, come quello che vi ho descritto prima. Il dibattito è in corso. Penso che la scommessa davanti a noi sia non solo, o non tanto quella di restituire dignità ai nostri fratelli e amici del Sud, perché vivere nelle condizioni che ho descritto prima, forse non è tanto dignitoso, ma anche di chiedere a loro di darci una mano a che sia restituita a noi un po’ di dignità, perché vivere nei panni di cittadini che incassano tutti questi soldi, vivendo noi nelle condizioni in cui noi sappiamo e nelle condizioni in cui sappiamo vivere loro, credo francamente che sia una vita piuttosto priva di dignità. Greenspann[5] quanto incide? In questo momento poco. Dipende da quali Paesi prendiamo in considerazione; se parliamo di Paesi, e sono la maggioranza, più poveri, prendendo l’accezione “povero” nel senso tecnico economico, ovverosia con minor reddito, come sono fondamentalmente i Paesi dell’Africa, alcuni Paesi dell’America, in modo particolare di quella centrale, come Haiti, Nicaragua, Honduras, Guatemala, ecc… e alcuni Paesi del sud-est asiatico, come il Vietnam e qualche altro, la decisione di Greensmann incide relativamente poco, perché di fatto il debito di cui stiamo parlando è antico, non vi sono state grosse erogazioni recenti e viene amministrato, soprattutto oggi, per via politica, cioè con decisioni politiche: cancelliamo, non cancelliamo, per cui l’influenza è più contenuta.

 

Un certo rilievo, viceversa ha, sui Paesi, cosiddetti, a medio reddito, cioè Paesi come il Perù, l’Argentina, il Cile, il Brasile, che ha un debito molto pesante in proporzione a Paesi come la Thailandia, l’Indonesia, ecc…, che hanno un potenziale economico di molta maggiore consistenza, soprattutto un potenziale industriale, e che hanno una componente di debito anche verso le banche, verso il mondo privato, proprio per questa maggior capacità di pagamento. Allora. Qui sì che v’è uno stock di debito che risente degli andamenti internazionali. Infatti, una preoccupazione che oggi esiste è che non si avvii oggi nuovamente un percorso analogo a quello del ’79, con questo leggero ma continuo riapprezzamento, che il dollaro ha sull’euro e sulle altre valute, con questi interventi, per quanto abbastanza cauti della Federal Reserve, il cui approccio risente un po’ della cultura monetarista, ma è estremamente più cauto in ogni caso oggi rispetto a quello che fu vent’anni fa. È un problema aperto. Comunque, ripeto, sui più indebitati, sui più poveri anche oggi si ragiona soprattutto per via politica, per cui l’influenza è relativamente poco rilevante. È rilevante sui nuovi prestiti, perché non v’è dubbio alcuno che nel momento in cui noi cancelliamo questo debito, se riusciamo a cancellarlo, poi a questi Paesi bisogna elargire nuovo denaro, perché nessuno riesce a investire, a creare se non dispone di risorse finanziarie. Il mercato finanziario, anzi, è uno strumento per rendere più democratica l’economia. Se non esistesse il mercato finanziario, uno riesce ad avviare un’attività economica solo se è già ricco di famiglia, perché per comprare un trattore, se uno decide di fare il contadino domattina, se non v’è mercato finanziario lo può fare solo se ha già i soldi, invece il mercato finanziario consente, a chi i soldi non li ha e non è ricco di famiglia, di andare in banca e dire: io penso di prendere quella terra lì, di comprarmi un trattore, ecc… e di guadagnare vendendo il prodotto che ho coltivato; mi dai una mano? Tu, banca, se ti piace la mia idea scommetti con me sulla mia idea (questo è esattamente il mestiere delle banche) per cui mi dai i finanziamenti, li uso per comprare il trattore, affittare la terra, dopodiché dai proventi che ho con il mio lavoro, dalla vendita dei prodotti che produco, realizzo, coltivo, pago i costi di gestione, pago me e restituisco il debito e impiego, ovviamente, uno, tre, dieci, vent’anni per la restituzione dello stesso, però i soldi per comprare il trattore li ho bisogno subito, non posso acquistarlo a rate e in questo caso è come se avessi esattamente acceso un debito con la banca e pago il valore poco per volta. Per cui il mercato finanziario serve a questo. Anche con i Paesi del Sud: se noi riusciamo a ottenere la sanatoria della situazione attuale, soprattutto per via politica, perché si riconosca che questo debito è già stato pagato, come diremo in seguito, però, poi, se dobbiamo costruire strade, avviare iniziative, ecc… ci vogliono soldi, perché queste costano. Il problema è, tuttavia, prestare soldi, accendere dei prestiti da parte di questi Paesi sulla base di progetti credibili, dati in modo che i progetti siano sostenibili non solo perché hanno una buona idea economica alla base, ma anche perché le condizioni di prestito evitino rischi, esplosioni, e cose come quelle che si sono determinate. Vi sono delle soluzioni per gestire la parte dei tassi di interesse, ma soprattutto, oggi non succede più, normalmente, di prestare dollari; si prestano panieri di monete, ovverosia si prestano delle cifre che sono misurate attraverso medie di valute, cioè non si dice: tu prendi 100.000 dollari, ma 100.000 x, che sono il frutto della media di dollaro, yen, euro, o addirittura dollaro e valuta locale in qualche caso, in modo tale che così si evita che l’andamento perverso di una sola valuta possa pesare sul valore del debito.

 

Seattle. La partita di Seattle è molto grossa. Lì non è questione di politica di aggiustamento strutturale, che è una cosa tecnicamente distinta dalla questione delle discussioni a Seattle, dove non si desiderava imporre ai Paesi poveri certe ricette, quanto si poneva il problema della regolamentazione del mercato internazionale. Alcune posizioni in campo nel dibattito di Seattle, come l’accordo multilaterale sugli investimenti dell’anno scorso, sono figlie della stessa cultura che ha creato le politiche di aggiustamento strutturale. Esse dicono che è assolutamente necessario che il mercato non abbia regole, perché ogni regola, ogni intervento dello Stato, non solo come presenza a gestire attività ma anche proprio come regole (tant’è che le chiamano lacci e lacciuoli), altera la naturale efficiente allocazione delle risorse: qualunque regola altera questa libertà. Il mercato dev’essere libero, perché questo è anche più coerente alla libertà di cui l’uomo dispone, dunque lasciamo che il mercato sia libero. Dietro questa cultura v’è una sorta di attribuzione di un valore etico al mercato, per cui il mercato è l’unica vera forma di democrazia, perché nel mercato non v’è il proporzionale, o il maggioritario, o il recupero del 25%, o il collegio uninominale, tutte queste cretinate che la politica ci richiede, no! Il mercato, secondo questa corrente, è perfettamente libero e io, quando vado al mercato, quando io entro nel mercato, io voto i beni che preferisco, liberamente, nessuno mi impone di comprare una cosa o l’altra e nessuno mi impedisce di acquistare la quantità che voglio io, senza alcun recupero proporzionale, sottoproporzionale, no, io vado lì e compero quello che voglio nella massima libertà; esercito un voto e scelgo i prodotti che preferisco.

 

Questa eticità del mercato si traduce anche politicamente, perché in realtà chi vince nel mercato, come produttore, ha una sorta di legittimazione sociale, dunque finanche una legittimazione politica. V’è questa identificazione che da qualche tempo è proposta anche in Italia tra buona performance economica e automatica legittimazione politica, buona performance politica. Da noi è nuovo tale fenomeno, ma nella cultura anglosassone è molto più frequente. Io faccio sempre l’esempio di Jimmy Carter, che è stato uno dei presidenti americani, forse tra i meno sgangherati, dell’ultima parte del secolo e forse in ragione di una maggior sincerità è quello che ha avuto meno successo nel fare operazioni, perché si faceva fregare, perché era un po’ troppo ingenuo. Al di là di questo, era un democratico, più vicino alla nostra tradizionale e naturale sensibilità, rispetto a uomini come Reagan, Bush. Jimmy Carter non sarebbe mai diventato presidente americano se non fosse stato il più grande produttore di noccioline americane, cioè uno dei più grandi imprenditori (agricoli) degli Stati Uniti. Quello è un Paese in cui il mercato ti dà una legittimazione che può essere spesa anche politicamente: se tu vieni votato dal mercato vuol dire che vali e che, allora, ti puoi proporre anche politicamente, la qual cosa è una sgangheratezza assoluta, perché la politica è altro, è l’interpretazione sulla base della propria cultura, cioè dei propri valori, delle risposte più utili per risolvere i problemi della gente e non altro; a mio giudizio e senza che questo sia legato a singole persone che oggi sono in politica in Italia. Questo modello, però, a mio giudizio, falsa la vera funzione del mercato; i liberisti che dicono che il mercato dev’essere libero in modo assoluto, che bisogna togliere ogni laccio e consentire a ogni multinazionale di investire dove vuole, facendo lavorare chi vuole, perché se riesce ad abbassare i costi, facendo lavorare dei bambini che costano di meno, può vendere a prezzi più bassi e quindi fare un servizio al consumatore, il quale così paga meno i prodotti (perché tutto questo è costruito poi come servizio al consumatore), secondo me falsa letteralmente quella che è, proprio da un’ottica liberale, la funzione del mercato. L’economia è lo studio dell’organizzazione degli scambi; perché le persone scambiano prodotti fra di loro? Per vivere meglio, perché se io produco grano e un altro produce latte, io mangio solo grano e l’altro solo latte, dopo un po’ stiamo male, allora è meglio che lui mi dia un po’ del suo latte e io un po’ del mio grano; quindi le persone cominciano a scambiare per migliorare di fatto la propria vita, ma, forse, addirittura di più per tutelarla, per garantirla, per rispondere meglio ai bisogni fondamentali. La maniera migliore per organizzare questi scambi è probabilmente il libero mercato, ovverosia che non a qualcuno sia imposto di fare una cosa, ma che nella libertà ognuno scelga cosa produrre e cosa scambiare. Questo, per altro, è anche coerente con quella sete di libertà, che da un punto di vista culturale, artistico, noi abbiamo. Se andiamo a leggere la nostra Costituzione, che, bontà divina, nella sua prima parte non è stata ancora toccata, vi sono questi diritti riconosciuti sacri della persona con la libertà di questo, di quello e di quell’altro, ma anche di espressione. È coerente con la libertà di espressione il fatto che se uno vuole costruire, coltivare e vendere patate, lo possa fare; se, poi, vi sono troppe patate, si renderà conto da solo che oltre alle patate è meglio coltivare altre verdure, però non vedo il motivo per cui io centralmente debba decidere che cosa lui deve fare.

 

L’esperienza storica, peraltro, ha dimostrato che tutte le economie centralizzate hanno fallito clamorosamente, ma non tanto per ragioni politiche, filosofiche, o ideologiche; Gorbaciov ha fatto il passaggio che ha fatto, perché in alcune province, in alcune repubbliche dell’Unione Sovietica v’erano problemi di fame, nel Paese, nella nazione che aveva la più grande capacità di produzione agricola e alimentare del mondo, largamente superiore al proprio fabbisogno, ma la centralizzazione non è in grado di determinare un’efficiente distribuzione. Il problema è che se l’obiettivo è migliorare la vita, se la centralità del mercato è la vita delle persone, coniugata a questa libertà, il modello neo-liberista che nega ogni regolamentazione del mercato, che cosa fa? Garantisce a me, consumatore, di comprare quello che voglio, forse, se sono al Nord, ma non garantisce affatto a me, persona, di produrre quello che voglio. In una concorrenza completamente sfrenata, infatti, soprattutto quando parte da un momento in cui la linea di partenza non determina uguali capacità, nel senso che v’è qualcuno che è più forte e qualcun altro che è più debole, se non vi sono regole il più forte diventerà sempre più forte, perché io, che sono più forte, a un certo punto decido di abbassare i prezzi brutalmente, fino a che non costringo quelli piccoli a uscire dal mercato, perché non ce la fanno più e saltano; quando sono rimasto da solo posso rialzare i prezzi. La libertà di mercato è la libertà di comprare, ma anche la libertà di vendere. Oggi, ad esempio, uno di noi può mettersi lì a costruire, a produrre automobili, televisioni? Si possono fare tante altre cose, ma non queste due cose qui.

 

Sul piano mondiale, secondo voi, uno può mettersi nel settore alimentare? Il mercato alimentare è nelle mani di due o tre grandi potenze, il mercato alimentare, dei tabacchi e dei prodotti di consumo, come detersivi e cosmetica sono in mano di Philip Morris, Procter & Gamble e Nestlè e qualche altra, e basta ed è tutto in quelle mani lì. Abbiamo, quindi, se non una situazione di monopolio, una situazione di oligopolio, in cui di fatto, proprio per usare il linguaggio di questa cultura, è mortificata la libertà di produrre, la libertà di entrare nel mercato […] un mercato assolutamente senza regole. Peraltro, è proprio della cultura anglosassone, quella da cui viene la scuola neo-liberista più estrema, che ci ha insegnato e noi l’abbiamo fatto nostro nella comunità europea, avere un ministero, che a livello europeo si chiama commissario, per la concorrenza. È presente un commissario per la concorrenza, che oggi nell’Unione Europea, ma questo capita anche negli Stati Uniti, controlla che la posizione di un’azienda rispetto ad altre non sia dominante, perché se la posizione diventa troppo dominante tu puoi ostacolare tutti gli altri e arrivare a una situazione di monopolio, per cui certi accordi non si possono fare e se sono effettuati vengono fatti sciogliere (la vicenda di Bill Gates negli Stati Uniti è una cosa di cui sappiamo tutti, recentissima: gli stanno dicendo di vendere alcune sue proprietà; ma è capitato molto recentemente anche per molti accorpamenti e fusioni in Europa). Il problema è che a livello internazionale una regolamentazione di questo tipo non esiste, perché non esiste un’istituzione di questo tipo; è presente a livello nazionale, o a livello di U.E., che sta diventando sempre più un corpus nazionale dal punto di vista istituzionale, non è presente a livello internazionale. A Seattle, nei dibattiti in cui si parla su questi temi, v’è la componente neo-liberista più forte che lavora per eliminare tutti i lacci, v’è la componente, che secondo me, è più autenticamente liberale e nella quale io mi riconosco assolutamente, la quale afferma che ci vogliono delle regole per tutelare la centralità della persona, i minori affinché non siano sfruttati, per consentire a tutti di entrare nel mercato, ecc… La difficoltà è la debolezza delle istituzioni internazionali: l’ONU, ad esempio, ha difficoltà a intervenire in Albania, nei Grandi Laghi, in Sierra Leone. Come si fa ad apprezzare il dollaro? Si alzano i tassi d’interesse. Ovverosia io alzo i tassi di interesse per vincere l’inflazione, però alzo i tassi d’interesse anche per apprezzare il dollaro. Come sarebbe? Se io sono il governo americano dico: per combattere l’inflazione mi basterebbe mettere come tasso di interesse sui miei titoli pubblici il 15%, per esempio, e metto il 15%, voglio apprezzare il dollaro? Allora metto il tasso di interesse al 20%; perché? Se io fisso il 20% non solo otterrò di togliere dal mercato beni, finanze e soldi, che prima sarebbero stati spesi per domanda e che adesso vanno nel mercato finanziario, come ho descritto prima, ma avrò anche dei tedeschi, degli italiani, dei francesi… che vedendo che il titolo americano è così conveniente, nel senso che dà una remunerazione così alta, anziché investire a casa loro, verranno a investire da me, venderanno le loro lire, ad es., per acquistare dollari, con i quali acquistare il titolo americano, ecc… tutta questa domanda di dollari, evidentemente fa salire il prezzo del dollaro. Il meccanismo è stato questo. Ovviamente se il Ghana, o il Senegal, per dirne due, cercassero di apprezzare la propria valuta non succederebbe alcunché. Quand’è che si sono creati i tassi reali negativi? È molto raro che si creino. Tasso reale negativo, cioè inferiore all’inflazione, è molto raro, anche perché la banca ci perde, però la dinamica internazionale a quell’epoca fu così virulenta, perché virulento fu l’aumento del petrolio e così grande la quantità di proventi, di petroldollari, di dollari che da quell’aumento derivò, che determinò questa differenza.

 

In qualche caso magari capita quando vi sono aumenti repentini dell’inflazione, ma è comunque piuttosto raro. Come si fa a fare sviluppo dopo la cancellazione? Questa è una questione piuttosto grossa. Direi due considerazioni. Certamente il problema è anche di politica, cioè come si propone sul piano politico la questione del commercio internazionale, delle regole. Noi abbiamo imposto, nel senso che la cultura del Nord ha imposto a questi Paesi l’aggiustamento strutturale, il togliere i dazi, liberalizzare tutto e, soprattutto, esportare, esportare, esportare… pensate che nelle politiche di aggiustamento strutturale in qualche caso ai Paesi è stato detto di smettere di coltivare i cereali che coltivavano, per mettersi a coltivare prodotti che si potevano vendere al Nord e, tipicamente, la barbabietola, per fare lo zucchero, perché al Nord si consuma la barbabietola, salvo poi fare la dieta, o andare in palestra, perché si hanno due chili in più; questi Paesi hanno smesso di coltivare cereali e hanno fatto le barbabietole, dopodiché siccome tutti facevano le barbabietole, il prezzo dello zucchero da barbabietola è crollato, per cui questi hanno guadagnato meno di quello che guadagnavano prima, dal punto di vista delle esportazioni, e non avevano più grano in casa propria. Voi mangiate sempre barbabietole e poi mi dite come state; si sono creati problemi di insufficienza alimentare nella produzione interna laddove non ve n’erano mai stati. La comunità internazionale, ma quella del Nord, cosa ha fatto? Quando cominciarono ad arrivare in quantità i prodotti del Sud, quando arrivò il riso egiziano, o quello cinese, thailandese, cantonese, vietnamita, ecc… a dare un po’ di fastidio al nostro buon riso di Vercelli, della omellina, di tutte queste belle zone, che cosa abbiamo fatto noi europei? Un bel dazio! Per cui noi abbiamo imposto a loro di togliere i loro dazi, ma noi, i nostri, li abbiamo messi e li abbiamo messi anche forti per proteggere i nostri beni.

 

Nella politica interna europea abbiamo fatto la politica delle quote, che è anche intelligente, ma questa è stata fatta per evitare che ci arrivassero arance dal Sud, beni e prodotti fuori dalla Comunità Europea. Per cui noi abbiamo la forza politica ed economica di agire in questo modo e di imporre al Sud i nostri bisogni, facendo qui ciò che chiediamo a loro di non fare a casa loro. Non è che automaticamente se adesso cancelliamo tutto, va tutto bene a rose e fiori. V’è un forte lavoro di pressione politica, di costruzione di mentalità, anche presso i decisori, i governi, perché agiscano con azioni e atteggiamenti che incidano sul mercato internazionale, sulla politica commerciale internazionale. Noi abbiamo, infatti, lo strumento dei governi e non è che possiamo rivolgerci alle multinazionali affinché facciano qualche cosa, lo possiamo chiedere per via legislativa, ovverosia se mettiamo delle regole. Occorre fare tutta questa azione di pressione, perché il risultato sia un sistema di regole e di stile, che consenta effettivamente sviluppo. Credo che questa sia una cosa da costruire. Vi sarebbe da dire di più, ma mi limito a quanto ho detto qui. Veniamo ora a quelle tre questioni che riguardavano più la Campagna italiana, o quello che possiamo fare noi. Che cosa sta facendo il governo italiano? Il governo italiano ha promesso il 25 aprile 1999 che ci sarebbe stata questa cancellazione per tutti i Paesi che hanno meno di 300 dollari di reddito pro-capite annuo; questi sono grosso modo una quindicina, mentre sono un centinaio quelli che devono soldi all’Italia. Che cosa è capitato? È capitato che finalmente un disegno di legge è stato scritto e consegnato da parte del governo alla Camera il 30 dicembre. Per cui oggi abbiamo un disegno di legge in parlamento che si occupa del tema in esame e che dovrebbe arrivare a produrre questa cancellazione. Giudizio su questa legge? Da una parte positivo, se non addirittura molto positivo, perché è la prima volta che, finalmente, si agisce in tal modo, è un atto di importante discontinuità rispetto al passato. È stato anche importante sul piano internazionale, perché di fatto ha favorito l’analoga decisione della Gran Bretagna, che mai si sogna di riconoscere che ha agito conseguentemente rispetto all’Italia, e un analogo orientamento, se non ancora decisione, della Francia, che in cinque mesi ha cambiato la sua posizione quasi di 180°. Negli Stati Uniti ha favorito anche un po’ l’irrobustirsi della tesi della cancellazione dei debiti, tesi che purtroppo al Congresso (sta meglio) e al senato (sta peggio) è ancora minoritaria. Il congresso degli Stati Uniti a dicembre ha votato un ordine del giorno in cui si chiede la cancellazione di tutto il credito che loro vantano ed è un atto politico molto rilevante; purtroppo è solo una mozione e non una legge e ora che diventi legge… Purtroppo penso che non vi siano i numeri, ma si sta lavorando… L’altra parte del giudizio è ovviamente negativa, nel senso che è insufficiente: noi non possiamo non dire, mentre ci complimentiamo con il governo perché finalmente ha fatto un atto politico importante, che chi ha i debiti verso l’Italia sono un centinaio di Paesi e quegli 85 che non sono compresi in questo disegno di legge non è che stiano bene. Di conseguenza, ogni tanto scherzando, a funzionari del Tesoro e degli Esteri che mi dicevano che li stavo minacciando, rispondo che non è quello il punto, che non li sto minacciando, ma fino a che sappiamo che v’è una persona nel Sud del mondo che, a causa del debito, non può curar suo figlio, noi veniamo qui tutti i giorni a ricordarlo continuamente, come Abramo che insiste con il Signore, perché penso che sia assolutamente nostro diritto da una parte, ma anche nostro dovere dall’altra.

 

Allora questo atto è molto bello, ma, molto semplicemente, non basta! Non è escluso che il dibattito in parlamento possa innalzare questo tetto. Con questo veniamo al rapporto tra noi, Chiesa italiana, e il governo italiano. Questa conversione dei debiti, di cui ho detto velocemente prima; la Campagna C.E.I. ha tre obiettivi. Il primo è l’azione pastorale ed educativa, e su questo spendo qualche parola come conclusione, ma l’obiettivo è suscitare tra la “nostra” gente la consapevolezza che su questo pianeta non si vive alla stessa maniera e che noi viviamo in una maniera prodigiosamente più comoda, almeno dal punto di vista dei bisogni primari fondamentali, rispetto a quanto vivono molte più persone di noi e che questo ha a che vedere anche con i nostri comportamenti, nel senso che noi da una parte beneficiamo di tale condizione, dall’altra parte i nostri gesti possono continuarla, mantenerla (questa condizione), o possono concorrere a modificarla. Il secondo obiettivo è la pressione politica, che va un po’ in sintonia con le cose che dicevo prima: legale cancellazione e lotta alla povertà, coinvolgere la società civile per decidere come combattere la povertà; poi vi sono altre cose che chiediamo al governo, ovverosia maggiore trasparenza, una procedura di insolvenza internazionale, che oggi non c’è, restituzioni internazionali, da parte dell’ONU, più che del Fondo Monetario, su queste cose, perché è una questione politica prima che economica.

 

Terzo obiettivo è questo che noi abbiamo chiamato: un gesto di responsabilità, cioè a dire, alla luce della consapevolezza che vorremmo aver suscitato, che vorremmo anche metterci a disposizione, perché a parlare è anche abbastanza facile, per riempirsi la bocca, con toni più o meno esorbitanti, dicendo contro il Fondo Monetario, poi però si va a casa e non è cambiato alcunché; invece fare un gesto concreto, che possa in parte realizzare qualche cosa e in parte essere uno strumento politico che concorra a cambiare il panorama, questo può essere effettivamente interessante e abbiamo immaginato questa operazione di conversione di credito. Vi ho detto più o meno com’è il meccanismo: paghiamo noi il debito di questi Paesi, non al suo valore nominale: il valore nominale è 100, questo debito ha un valore reale, nel senso che, poiché questi Paesi non ce la fanno, è passato tanto tempo, il valore reale è intorno al 10%. Come se uno mi prestasse 100.000 lire, dopo tre, o quattro anni io non gliele restituisco, questi mi dice: Riccardo, io ho capito che tu non ne hai più, ti vergogni a farti vedere e quando mi vedi scappi, io sono stufo di chiederteli, perché sono imbarazzato anch’io, vediamo di risolvere la questione, quanto mi puoi dare? E ci mettiamo d’accordo, ad esempio, per 39.750 lire, perché di più non ho e lui le prende, il debito è chiuso, e basta. Quelle 39.750 lire sono il valore reale del debito. Il valore reale dei Paesi del Sud (Africa, in particolare), oggi non è superiore al 10%. Allora, noi vogliamo andare dal governo e dire: guarda, noi ti chiediamo di cancellarlo, ma, se tu non lo cancelli, per due Paesi, perché per più non ce la facciamo mentre per due sì (forse ce la facciamo anche per tre… vedremo), piuttosto paghiamo noi il debito al suo valore reale, per cui mettiamo qua il valore reale del debito e tu cancelli l’intero ammontare, anche nominale. Non facciamo, però, solo questo; noi facciamo questa operazione a condizione che il governo locale metta su un fondo di contropartita un ammontare commisurato a quello che noi abbiamo pagato in Italia e poi lo amministriamo con il comitato che costituiamo con i rappresentanti della società civile locale. Stiamo già facendo tutto un lavoro di preparazione. Ogni tanto vado giù in Africa, perché là è già partito il lavoro e vado per mettere le cose insieme, per vedere a che punto siamo e a decidere i passi successivi, per fare l’analisi dei bisogni. I due Paesi che abbiamo scelto sono lo Zambia e la Guinea. Noi vogliamo fare proprio una carta dei bisogni, delle necessità che oggi vi sono e delle risposte che a questi bisogni sono presenti oggi in Zambia e in Guinea e, alla luce di questi bisogni, individuare delle priorità, perché con i soldi che avremo potremo fare molto, ma non tutto, all’interno di quelle priorità, quindi, scegliere una lista di progetti da realizzare con questo denaro. A Natale vorremmo arrivare a fare l’accordo con questi due governi, avendo già chiara la lista di tali progetti da realizzare, in modo tale da forzare anche il governo locale a sottoscrivere la lista che noi gli proponiamo, perché il rischio, poi, è anche che quando si fanno queste cose il governo locale dica: sì, sì, va bene; però, poi, trovi mille maniere per ostacolare la scelta dei progetti. Noi vogliamo, così, anticipare il momento della scelta rispetto al momento dell’accordo, di modo che il governo italiano e quello locale firmino la lista dei progetti e dopo non vi siano più discussioni. È molto importante, però, che questi progetti non emergano da qualcuno che va lì con aria paternalistica e dice: voi avete bisogno di un ospedale situato in quella posizione, ecc…, ma sia proprio la gente che sceglie attraverso la partecipazione della società civile di cui dicevamo.

 

V’è già un gran lavorio, soprattutto in Zambia, un po’ meno in Guinea, dove la società civile è un po’ meno vivace (anche gli strumenti culturali in Zambia, le persone che vanno a scuola, che sanno leggere e scrivere sono molto più numerose delle persone della Guinea, dove è più difficile costruire un percorso di questo tipo), ma sicuramente questa è un’opportunità per far fare anche un cammino alla società civile locale. È già partito il lavoro di analisi delle priorità e lo stiamo facendo crescere. Questo denaro serve, allora, per realizzare progetti al Sud. Qualcuno obietta: se è vero tutto quello che ci hai raccontato a proposito della storia del debito, se è vero che se noi utilizzassimo una valuta diversa dal dollaro, ovverosia se noi calcolassimo tutti i flussi che vi sono stati di prestiti e di pagamenti con interessi e quant’altro, o eseguissimo un calcolo con una media di valute, questo debito risulterebbe che molti Paesi abbiano già pagato più volte, perché dovremmo pagarlo noi? Se usiamo i dollari emerge che il debito è ancora da pagare, perché in dollari i Paesi non sono riusciti a restituire il debito, ma se noi utilizzassimo un’altra valuta, tutt’altro. Pensate al debito esemplificato prima, quello della casa: se noi lo misuriamo in dollari, questi ragazzi non ce la fanno a pagare 240 milioni, pagano solo 30, 50, 100 milioni, in tre anni pagano 300 milioni e non ce l’hanno fatta assolutamente a pagare. Immaginate che, invece, usiamo come unità di misura la lira, come se avessero fatto il prestito in Italia: questi avrebbero dovuto restituire 200 milioni, pagando 60 milioni di interessi, quando questi erano alti; pagando 100 milioni oggi, altrettanti domani, in qualche anno il debito è restituito eccome; però questi 100 milioni hanno continuato a pagarli anche tutti gli anni successivi, per 20 anni, per cui, fuori dall’esempio, in realtà tutti questi Paesi, se il debito fosse calcolato in lire hanno strapagato il debito, che, invece, non risulta pagato, perché è misurato in dollari.

 

Allora usiamo una media di valute, usiamo un’altra valuta che non sia nemmeno quella del Paese del Sud anche così emerge che il debito è stato pagato. Ma allora alcuni dicono: se il debito è già stato pagato, perché dobbiamo pagarlo noi? Non è che non ho voglia di pagarlo io per non tirar fuori i soldi miei, ma pagando questo, in fondo, io vado a legittimare l’uso del dollaro, vado a legittimare questo meccanismo. Io risponderei in questo modo: noi legittimeremmo il debito se dicessimo che questa è un’operazione splendida e che questa operazione onora i “sacri” testi e riti del mercato, soprattutto del mercato detenuto con le redini dal Nord. Noi stiamo dicendo a tutto il Paese, perché stiamo girando tutta l’Italia per incontri di questo tipo, lo abbiamo scritto, ne parliamo con il governo, e non v’è chi non sappia o che possa mettere dubbio sul fatto che proprio noi, come Campagna della C.E.I., riteniamo che il debito, oggi, sia frutto di una distribuzione perversa del potere nelle relazioni economiche Nord-Sud, che falsano quelli che dovrebbero essere gli autentici meccanismi di mercato e che questo debito è ingiusto. Io dico sempre che qui è da rimettere il debito non per una ragione di carità, ma per una ragione di giustizia e cito sempre l’ “Apostolica [?]”, dove, al numero 8, lo ripeto come un ritornello, dice: “… non si faccia passare per atto di carità ciò che è dovuto a titolo di giustizia”. Noi questo lo diciamo con chiarezza e penso che nessuno possa dubitare che questa posizione c’è ed è chiara, senza contare che la politica è anche l’arte del possibile. Forse si potrebbe contestare che non è la C.E.I. che dovrebbe far politica, ma che sono i laici che, nella loro autonomia, debbano compiere simili atti; è anche vero, ma questa Campagna serve anche per creare le condizioni, affinché poi i laici possano buttarsi a costruire gesti politici, anche più robusti di questo, e soprattutto più diffusi, più frequenti, più articolati, dal Giubileo in poi. Noi, Chiesa, diciamo: il debito va cancellato, detto questo, costruiamo uno strumento che è uno strumento di pressione politica, perché, di fatto, noi chiediamo al governo di cancellare il debito, ma piuttosto di rimanere in questa situazione siamo disposti a pagare noi e diamo una provocazione. Di fatto, la dichiarazione di Ciampi del 25 aprile seguiva esattamente la conferenza stampa che noi abbiamo tenuto e nella quale noi abbiamo detto che ufficialmente la Campagna era partita, con questa operazione intrinseca. A me, il pomeriggio prima della conferenza stampa quando sono andato al Ministero degli Esteri ad annunciare che avremmo fatto quello il giorno dopo, hanno detto: certo che ci create molto imbarazzo! Io ho replicato: perché vi creiamo molto imbarazzo? Loro hanno risposto: il fatto che la Chiesa, comunque i cittadini, ma la Chiesa a maggior ragione, raccolga dei soldi per pagare il governo italiano, perché il governo italiano compia un atto che forse dovrebbe fare già di propria iniziativa, è, per il governo italiano, un po’ imbarazzante. Io risposi loro che era come se avessi vinto la lotteria di capodanno, perché quello che io desidero è che si crei esattamente questo disagio, perché nasca un’iniziativa politica nel nostro governo. A me non interessa che noi facciamo bella figura rimettendo il debito; a me interessa che questo problema sia risolto, che vi siano benefici concreti per i popoli del Sud e che questi, per quanto è la nostra responsabilità, siano provocati per mezzo del governo italiano, che assuma un’iniziativa politica su questo tema. Questa Campagna, io la vedo, in modo particolare, come uno strumento di pressione politica, però vi sono altre due considerazioni.

 

Scusate se mi dilungo, ma è importante soprattutto se dobbiamo spiegarla ognuno a casa nostra, ecc…; questa Campagna è anche uno strumento di dialogo e/o pressione con i governi del Sud, perché qui non abbiamo solo da costruire un percorso politico con i governi del Nord, ma anche con quelli del Sud, perché, senza che vi sia alcun razzismo, visto che i buoni e i cattivi sono dappertutto, al Nord come al Sud, a Est e a Ovest, vi sono governi del Sud che sono splendidi, in cui vi sono persone come Nierere, che è mancato poche settimane fa, e che tutti ricordiamo, anche se in Italia non è stato detto nemmeno al telegiornale e solo due giornali hanno scritto un trafiletto su Nierere (Il Manifesto e Avvenire), come una delle persone più interessanti che il XX secolo ha fatto vedere sul pianeta; vi sono state anche delle persone più simili ad avventurieri, come il caso del dittatore dello Zaire. Allora, noi non possiamo permetterci di perdere l’occasione di costruire un percorso per responsabilizzare anche i governi del Sud, perché non v’è dubbio che alcuni di questi governi siano saltati anche sul carro di questo meccanismo quando c’era stato da indebitarsi, perché così un po’ di soldi potevano andare in tasca anche ai responsabili di governo. Allora, noi operiamo per la cancellazione e facciamo una pressione politica al Nord, O.K., però bisogna che le risorse liberate siano utilizzate bene al Sud. Io penso che questo sia uno strumento per vincolare i Governi del Sud, almeno i due scelti: Zambia e Guinea; perché noi chiediamo loro di dimostrare concretamente - tirando fuori dal loro bilancio somme di denaro, rinunciando ad amministrarle in qualche – di volere usare le risorse finanziarie, coinvolgendo la società civile, e a favore della società civile.

 

Allora, se noi vediamo questa Campagna come uno strumento politico verso il Nord, ma anche verso il Sud e cominciamo chiarendo che insieme dichiariamo l’ingiustizia che comunque sta a monte della posizione attuale, credo che riusciamo a fare una cosa che consente di dire le cose come stanno e di trovare un meccanismo che risolva anche concretamente, perché le cose vanno anche risolte. La seconda e ultima considerazione: non gliel’aveva mica ordinato il medico a Gesù di morire sulla croce, accettando di essere giudicato dalla folla, da uno che se ne lava le mani; allora potremmo dire che Nostro Signore legittima la pena capitale e legittima, soprattutto, che vi siano degli abusi giuridici, come la schifezza del processo che v’è stato. Nessuno, però, si sogna di dire questo, ma non perché non si deve criticare Nostro Signore, ma perché la logica è diversa: è che se a un certo punto vedo uno che sta male, ogni uomo è mio fratello, diceva Gesù e a quel punto sono disponibile a pagare anche di persona, non importa come, pur di cambiare questa situazione -. Io credo che sia tanto più provocatoria e rivoluzionaria questa disponibilità a pagare di persona, non importa come, anche su chi non è del nostro mondo, della nostra sensibilità e che però ha responsabilità nel prendere decisioni su queste gravi questioni internazionali. Io credo che noi dobbiamo dimostrare che realmente non siamo e non possiamo rimanere indifferenti, ma io credo che si rimanga non indifferenti non solo denunciando indignati, ma anche mettendosi a disposizione. “Non lasciamo che la politica sia fatta solo dal governo, ma facciamola anche noi” è stato detto da uno dei presenti e mi è piaciuta questa frase. È il primo obiettivo della Campagna. Per finanziare questa operazione di conversione del debito è necessaria una raccolta fondi, perché le cose si fanno anche coi soldi e bisogna che ve ne siano per farle, però non ha alcun senso la raccolta fondi se non viene insieme, e in termini logici dopo, un’azione di consapevolezza. Quello che noi dobbiamo fare, la scommessa grossa di questa Campagna, a mio parere, è quella di riuscire a suscitare questa consapevolezza nel nostro mondo, tra la nostra gente, la consapevolezza che viviamo tutti nello stesso pianeta, che viviamo in modi diversi e che il fatto che viviamo in modi diversi ci riguarda. Ci riguarda come cristiani e come cittadini, ma, forse, in modo particolare come cristiani. Mentre venivamo qua dicevamo che il cristiano è uno che si converte, è uno che incontra una Persona, la scopre, a un certo punto è provocato da questa e si converte, cambia. Quello che abbiamo davanti a noi è l’opportunità di avviare un percorso di conversione personale anche per quanto riguarda i nostri comportamenti. È tutta la partita degli stili di vita; ne parlerete più avanti, verso la fine del corso, ma è tutta la partita del consumo responsabile, critico. È vero che ognuno di noi conta poco, però io non posso permettermi di comprare i prodotti di un’azienda che va nel Sud del mondo a creare delle cose tremende nei confronti delle persone che qui vi abitano, solo perché sono più vulnerabili. La Nestlè va al Sud del mondo a proporre alle mamme di usare il latte in polvere. Lo regala loro in ospedale fino a che queste cominciano a dare il latte in polvere e poi non tornano più indietro, perché se smettono di allattare… non hanno più il latte e, di conseguenza, dopo, cominciano a comperare il latte in polvere, anche se non hanno soldi comperano il latte facendo qualsiasi cosa, si prostituiscono realmente, non è una battuta, con gli autoctoni, ma anche con i bianchi, per poter pagare il latte in polvere, che gli vendiamo noi, e darlo ai bambini.

 

Perché questo? Perché la Nestlè dice: il latte in polvere è una cosa meravigliosa, tu sei già un po’ denutrita, smettila di denutriti e di privarti di risorse, perché allattando il tuo bambino tu cedi risorse, nel senso che tu cedi alimenti, calorie e quant’altro, ma il tuo bambino ha bisogno di una mamma forte; visto che avete un’alimentazione che non è sufficiente, non privarti di risorse, mangia bene e dà il latte in polvere al tuo bambino, perché tanto ti basta solo un po’ d’acqua. Le mamme africane, ironicamente, sono notoriamente tutte laureate in biologia, per cui sanno benissimo distinguere l’acqua potabile da quella non potabile, hanno tutte un sistema fognario, di acquedotto, di acqua calda e fredda in casa, come ce l’abbiamo noi, per cui hanno tutte l’acqua potabile in casa senza alcun problema. Vi lascio immaginare cosa capiti ai bambini che vengono nutriti con il latte in polvere, allungato con acqua, a volte non assolutamente pura e pulita. Per cui vi sono bambini che muoiono per il latte in polvere, vi sono bambini che muoiono per infezioni, che avrebbero tranquillamente superato se avessero avuto gli anticorpi che si ricevono con il latte materno e che non ricevono in questo modo. Di fronte a una cosa di questo tipo, io credo che sia assolutamente e perfettamente legittimo dire: signori, io non compero più i prodotti di quell’azienda lì. Mi informo su quali siano i prodotti di quell’azienda e non li compero più e glielo dico che non li compro più, spiegando loro anche il motivo, orgoglioso e fiero di riempire il cesto del supermercato di prodotti Nestlè domani, se domani vengo a sapere, e vi sono gli strumenti per saperlo, che queste cose non si fanno più. Voi avete sentito che la Reebok, un mese e mezzo fa, ha fatto un annuncio, dicendo: abbiamo scoperto che in alcune nostre aziende lavorano bambini, abbiamo deciso di intervenire immediatamente. Perché la Reebok ha agito così? Forse perché sono stati folgorati sulla via di Damasco?

 

Più facilmente perché hanno visto i risultati che hanno prodotto i boicottaggi sulla Nike e hanno pensato di giocare d’anticipo, usando una cosa che potrebbe diventare un rischio, una minaccia si dice tecnicamente in marketing, facendola diventare un’opportunità, o addirittura un vantaggio competitivo; cioè: prima che ci becchino loro, denunciamoci noi e, però, facciamo qualcosa di concreto, così ci facciamo stimare e interveniamo e prendiamo quote di mercato, ecc… A me questo va benissimo. Se la Reebok è in grado di dimostrare, e vi sono anche meccanismi di controllo internazionale per fare questo, che non usa più bambini, io sono fiero di acquistare anche 16 paia di scarpe Reebok, perché il problema non è dare soldi all’uno, o all’altro, ma ottenere che non vi siano condizioni di sfruttamento. Questo lo porto come esempio, per dire che il comportamento di un singolo consumatore, se associato, se fatto con un minimo di coscienza, può determinare impatti anche di rilievo anche su una multinazionale come la Reebok, ed è esattamente il nostro obiettivo. I nostri singoli comportamenti, quello che facciamo tutti i giorni, anche del nostro denaro, hanno influenza. Noi paghiamo poco gli infissi in alluminio, perché paghiamo (quasi) niente la bauxite alla Guinea, che è il principale esportatore di bauxite, dalla quale deriva l’alluminio; se vi fosse il mercato della bauxite gestito in altro modo, non nelle mani del Nord, visto che, pur essendo la bauxite al Sud, è gestita da due compagnie societarie del Nord, una francese e una statunitense, probabilmente pagheremmo un po’ di più la nostra finestra e ce lo potremmo permettere, ma gli operai guineani sarebbero pagati un po’ meglio. Vi sono, quindi, tanti strumenti, tanti modi per incidere sui decisori, ma questo forse non è alla portata di tutti, ma altri nostri comportamenti quotidiani possono avere influenza. Io credo che questa partita degli stili di vita, noi come cristiani italiani, l’abbiamo affrontata molto poco, o è delegata ad alcuni innamorati della materia e sembra, poi, che la Chiesa italiana, nella sua pesantezza e nella sua prudenza istituzionale non debba dire queste cose perché sono molto clamorose, però io penso che questo cose si possano dire, sono scritte nei nostri documenti, firmati anche C.E.I., per cui si possono usare senza paura. In sostanza, io credo che l’opportunità che questa Campagna forse ci offre è quella di riflettere un po’ meglio su come noi, come persone, viviamo la nostra dimensione economica, la parte economica della nostra vita. Noi abbiamo sempre detto che bisogna servire Dio e non mammona e allora ci siamo chiusi gli occhi di fronte a mammona, facendo delle nefandezze infinite, magari per servire “meglio” Dio, ovvero, non sapendo quello che facevamo, legittimando delle nefandezze infinite. Io credo veramente che uno degli impegni, e forse anche dei doveri, che abbiamo davanti a noi è conoscere un po’ meglio mammona, visto che ci viviamo dentro (veniamo pagati col denaro e non v’è alcunché di scandaloso in questo), per vedere di riportare, come dicevamo prima, la persona al centro del mercato e riportare mammona a quello che è il suo servizio originario, ovverosia cercare di risolvere meglio, soddisfare meglio, e per tutti, i bisogni delle persone che vivono in questo mondo.

 

[1] L’inflazione è l’aumento generale dei prezzi da un anno all’altro. Quando l’inflazione scende non significa che sono scesi i prezzi. Se l’inflazione un anno è al 10% e l’anno successivo al 5%, l’inflazione è scesa, ma vuol dire che i prezzi salgono lo stesso. L’anno prima i prezzi salirono del 10% rispetto all’anno precedente; l’anno dopo, rispetto all’anno precedente, sono saliti solo del 5%, ma sempre di aumento si tratta.

 

[2] Milton Friedman, Brooklyn 31 luglio 1912. Economista statunitense. Professore di economia all’Università Chicago dal 1946 al 1976. Premio Nobel per l’economia nel 1976.

 

[3] John Maynard Keynes (Cambridge, 5 giugno 1883 - Firle, Sussex, 1946). Professore di economia all’Università di Cambridge dal 1920. è una delle persone più rilevanti del, possiamo dire seppur con un certo imbarazzo, secolo scorso. È colui che ha rivoluzionato l’economia dal punto di vista dottrinale, teorico, dopo la crisi del ’29. Riflettendo sull’andamento, sulle ragioni di questa crisi, ha scritto alcuni testi fondamentali per l’economia contemporanea. Alla luce delle sue riflessioni noi abbiamo avuto il benessere che abbiamo avuto in Italia dopo la guerra. Vale a dire le politiche della domanda che tutta l’Europa in modo particolare, ma anche gli Stati Uniti, di quell’epoca lanciarono dopo la seconda guerra mondiale, usando a questo fine anche il piano Marshall (prestiti e finanziamenti). I monetaristi dicono: dobbiamo raffreddare la domanda, perché raffreddando la domanda si abbasseranno i prezzi; i keynesiani, invece, dicono che bisogna stimolare la domanda, perché stimolando la domanda, i produttori, vedendo che v’è una più forte domanda, non alzeranno i prezzi - perché altrimenti rischiano di andare loro, singolarmente, fuori mercato (perché il concorrente non alza i prezzi) -, ma aumenteranno la produzione, perché si può vendere di più; se produrranno di più, avranno bisogno di nuovi operai, i quali avranno uno stipendio, che prima non esisteva e che sarà speso per qualsiasi bene vorranno e di cui abbisognano; ciò originerà e finanzierà nuova domanda e nascerà, quindi, un circolo virtuoso di espansione, anziché di recessione. Per cui le due scuole vedono da una parte la ricerca, in qualche modo, della recessione per evitare che tutto diventi una bolla inflazionistica, cioè di aumento dei prezzi senza aumentare le quantità che sono scambiate, dall’altra, la scuola keynesiana, la necessità di aiutare e favorire la domanda, perché favorendo la domanda si ha una crescita reale dell’economia e non solo in termini di prezzi.

 

[4] Istituzioni finanziarie (si occupano di denaro) pubbliche (costituite dagli stati) e non private.

 

[5]


Il furto della ricchezza dei popoli (09/05/2004 - da Carta.org)

 

Rete di Economia Solidale (6 aprile 2004)

E gli strumenti per la sua riappropriazione - studio sul sistema monetario internazionale -

 

Le fonti della ricchezza

Quali sono le fonti principali della ricchezza dei popoli? L’uomo ha sempre attinto alla natura, quale fonte primaria per soddisfare i suoi bisogni. All’inizio ha preso i beni della natura semplicemente come questa glieli offriva. Poi ha imparato a manipolare e trasformare le sostanze della natura per ottenere un’infinità di beni atti a soddisfare sempre più e sempre meglio bisogni vecchi e nuovi. Ha inoltre trovato metodi e mezzi sempre più efficienti e facili, per produrre i beni basilari. Riferendoci, in particolare, alle popolazioni più progredite nello sviluppo tecnico, si può dire che la ricchezza dell’uomo è aumentata sempre più. Inoltre negli ultimi secoli l’uomo ha scoperto le sostanze e le tecniche che gli forniscono energia apparentemente infinita e a basso costo per ogni possibile uso e in grado di sostituire in gran parte l’energia umana per la produzione di beni e per gli spostamenti di persone e cose. Tecniche sempre più potenti e sofisticate (elettronica, robotica, informatica, telematica, ecc.) sono in grado di compiere autentici miracoli in ogni settore dell’attività umana. Oltre a quanto gli uomini producono nel presente, un’altra grande fonte di ricchezza è anche quanto essi ricevono in dono dalle generazioni precedenti: sono case, strade, ferrovie, acquedotti, costruzioni di ogni genere, fabbriche e macchinari di ogni genere e infinite conoscenze scientifiche e tecniche avanzatissime. Se, per esempio, guardiamo nel piccolo alle singole famiglie, i genitori possono lasciare ai figli case, fabbriche, terreni, denaro e quant’altro. Chi riceve una casa non ha bisogno di “fare i sacrifici” per costruirne una nuova. E dal punto di vista produttivo sociale, non c’è bisogno di ricreare dal nulla fabbriche di beni, perché sono già presenti, né di sviluppare conoscenze già acquisite. Sembrerebbe che l’umanità debba essere enormemente ricca e vivere nel benessere pieno. E infatti molti studiosi di economia hanno previsto uno scenario in cui lo sviluppo tecnico avanzato porti addirittura alla “fine del lavoro”, poiché produrre grandi masse di beni è diventato sempre più facile e spesso si incorre nella “sovrapproduzione”. Eppure, nonostante tutta questa enorme potenzialità di benessere per tutti, le difficoltà economiche per l’umanità nel suo complesso sembra che stiano aumentando sempre più, in quest’ultimo periodo. Cosa sta succedendo? Dove va a finire l’enorme ricchezza prodotta dall’umanità e cosa impedisce di produrre quella potenzialmente producibile, adottando tecniche e tecnologie non distruttive dell’ambiente? La natura ci mostra di essere capace di farci vivere nell’abbondanza dei suoi doni. Perché non siamo capaci di accogliere in modo giusto la sua ricchezza?

 

La miseria dei popoli

E perché in molta parte del mondo ci sono miseria, fame, sofferenza e ingenti debiti da saldare? Perché l’80% della popolazione mondiale vive ancora in condizioni di sottosviluppo e al 40% della popolazione mondiale non sono garantiti i beni essenziali? Perché, anche nel cosiddetto mondo sviluppato, le difficoltà aumentano invece di diminuire? La cosa sembra avere dell’inverosimile, eppure è la realtà in cui viviamo. Dovrebbe essere possibile avere molto più tempo libero che in passato, potersi dedicare non solo al lavoro produttivo, ma anche all’arte, alla conoscenza, ai rapporti, ai viaggi, all’evoluzione della coscienza individuale e collettiva. Dovrebbe essere possibile impiegare energie di lavoro per il miglioramento dell’ambiente naturale, invece che per la sua distruzione, e migliorare anche gli ambienti di lavoro, di abitazione , di convivenza sociale (villaggi, città, ecc.). Invece nei paesi più sviluppati ci troviamo in una situazione di attivismo stressante e di tenore di vita che non solo non aumenta, come sarebbe da aspettarsi, ma va diminuendo. In molti altri paesi poi abbiamo una situazione di povertà, emarginazione e sofferenze di ogni genere. E ovunque abbiamo la distruzione dell’ambiente, invece che la sua cura, quasi dimenticando che esso è la nostra principale ricchezza, che non possiamo dissipare. Vediamo solo un esempio di dati sintetici, senza dilungarci oltre su questo aspetto, perché i documenti e le denunce di queste situazioni sono ormai molteplici: «La povertà assoluta è una condizione di vita al limite della sopravvivenza. Chi vive nella povertà assoluta non ha una casa degna di questo nome, non ha vestiti di ricambio, non ha scarpe, non ha sapone per lavarsi, non ha garanzia di un piatto di minestra tutti i giorni. Gli economisti tracciano i confini della povertà assoluta calcolando il reddito necessario per soddisfare i bisogni fondamentali. Il limite di demarcazione della povertà assoluta è stato fissato a 365 dollari all’anno. Ma la povertà assoluta è molto di più di una condizione economica. Gli orrori della povertà assoluta si estendono a tutti gli aspetti della vita personale: suscettibilità alle malattie, analfabetismo, sottomissione e totale insicurezza di fronte ai cambiamenti. In Africa il 30% della popolazione è in condizioni di povertà assoluta, in Asia il 27% e in America Latina il 22%. Se si comprendono anche coloro che sono poco al di sopra della linea di demarcazione si può affermare che il 70% della popolazione del Sud del mondo vive in condizioni di povertà estrema.» (tratto da Nord Sud – Predatoti, predati e opportunisti- del Centro Nuovo Modello di Sviluppo EMI Edizioni)

Ora per avvicinarci alla soluzione dell’ enigma della presenza di povertà al posto della ricchezza, cominciamo col leggere un brano di Marco Polo tratto dal suo famoso libro “Il milione”, in cui racconta le sue esperienze di viaggi fatti in Asia e, in particolare, la sua permanenza nel regno del Gran Kan Kublai. Siamo negli anni a cavallo del 1300 avanti Cristo.

 

Il Gran Kan fa spendere carta invece di moneta

«Sappiate che in questa città di Cambaluc è la zecca del Gran Signore: ed è organizzata in tal modo che si può dire come il Gran Kan sia davvero un perfetto alchimista. Mi spiego. Egli fa fabbricare la seguente moneta: fa prendere scorza d’albero o per meglio dire corteccia di gelso, l’albero di cui mangiano le foglie i bachi da seta; e fa togliere la pellicola sottile che è tra la corteccia e il fusto; quelle pellicole sono tutte nere: le frantumano, le pestano e poi le impastano con la colla in modo che ne risulti una specie di carta bambagina, sottile come quella dei papiri. Quando la carta è pronta la fa tagliare in parti grandi o piccole, foglietti in forma quadrata o più lunghi che larghi. Il foglietto piccolo vale la metà di un tornesello; il primo corrisponde a un mezzo grosso d’argento, il secondo a un grosso e intendo un grosso d’argento di Venezia; poi ve ne sono da due grossi, da cinque, da dieci e quelli che valgono un bisonte, o due o tre, fino a dieci. Ogni foglietto porta il sigillo del Gran Signore. E questa moneta è fatta con tanta autorità e solennità come se fosse d’oro o d’argento: in ciascuna moneta alcuni ufficiali preposti a questo lavoro scrivono il loro nome e il loro segno e, quando l’hanno fatto, il capo degli ufficiali nominato dal Signore sparge del cinabro su una bolla che gli è stata concessa e vi passa sopra la moneta, così che la forma della bolla tinta di cinabro rimane impressa sulla moneta e l’autentica. E se qualcuno osasse falsificarla sarebbe punito con la morte; e questi foglietti il Gran Kan li fa fabbricare in tale numero che potrebbe pagare con essi tutta la moneta del mondo. Fabbricata così la moneta, il Signore fa fare con essa ogni pagamento e la fa spendere per tutte le province dove egli tiene signoria: e nessuno osa rifiutare per paura di perdere la vita. Ma è vero anche che tutte le genti e le razze di uomini, sudditi del Gran Kan, prendono volentieri queste carte in pagamento perché alla loro volta le danno in pagamento per mercanzia, come perle, pietre preziose, oro e argento: Si può così comprare tutto ciò che si vuole e pagare con la moneta di carta; e pensate che una carta del valore di 10 bisonti non arriva a pesare quanto un bisonte. Più volte all’anno arrivano a Cambaluc i mercanti: arrivano a gruppi e portano perle, gemme, oro, argento e altre merci ricche come tessuti d’oro e di seta; offrono la mercanzia al Gran Signore ed egli fa chiamare dodici uomini esperti che hanno la direzione di queste cose e ordina loro di esaminare la merce e di pagare quello che ritengono giusto. I dodici esaminano con molta cura e stimano secondo coscienza, e subito fanno pagare gli acquisti con i foglietti che ho detto. I mercanti li prendono molto volentieri perché se ne serviranno poi per altri acquisti all’interno delle terre del Gran Kan; se poi devono comprare in paesi dove non si accettano i foglietti comprano altra merce e la scambiano. E vi assicuro che le cose portate a più riprese dai mercanti durante l’anno ammontano ad un valore di ben quattrocentomila bisonti: Il Gran Signore paga sempre in foglietti. Si aggiunga che durante l’anno va per la città un bando che impone a tutti quelli che hanno oro e argento e pietre preziose e perle di portarle alla zecca. I sudditi obbediscono e ricevono pagamento in carta. Portano infiniti oggetti preziosi e anche questi sono pagati in carta. In questo modo il Signore possiede tutto l’oro, l’argento e le perle che si trovano sulle sue terre. Vale la pena di raccontarvi un’altra cosa. Quando per l’eccessivo passaggio di mano i foglietti si rompono o si sciupano, si portano alla zecca e si prendono in cambio biglietti freschi e nuovi lasciandone però tre per ogni cento. E c’è anche un altro fatto importante da ricordare. Perché, se qualcuno vuole acquistare oro o argento per il suo vasellame, per le sue cinture o per altre cose, va alla zecca, porta con sé i foglietti e prende in cambio l’oro e l’argento che gli serve. Adesso vi ho raccontato il modo usato dal Gran Signore per possedere il maggior tesoro che un uomo abbia mai posseduto; e certo tutti i principi del mondo riuniti insieme non raggiungono l’immensa ricchezza che il Gran Kan ha da solo.»

 

Dunque il Gran Kan, come ben ci racconta Marco Polo era un perfetto alchimista e per mezzo di pezzetti di carta senza valore prendeva per sé tutti i beni di maggior valore del suo regno. Oltre a ciò aveva anche un sofisticato sistema di tassazione. C’è anche da osservare che, con questa enorme ricchezza, il Gran Kan era in grado di pagare e di organizzare un potente esercito in difesa del suo impero e per la sua estensione. Dunque il potere del Gran Kan si può riassumere in questi tre elementi: emissione della moneta ed appropriazione per sé dei valori su di essa stampati, imposizione delle tasse ed esercito per reprimere chi non fosse d’accordo. Certamente il Gran Kan Kublai avrà cercato di usare il potere del denaro anche per organizzare bene il suo impero e per alzare il livello di “civiltà” dei suoi popoli e di quelli sottomessi. Ma un impero finisce sempre per dover impiegare un’ enormità di energie al fine di difendere con la forza le sue conquiste e per tenere assoggettati i popoli, che hanno sempre un’inestinguibile anelito alla libertà, alla indipendenza e all’accordo basato sulla libertà di scelta.

 

Alla ricerca dei Gran Kan dell’epoca odierna

Sorge ora la domanda se ci siano anche oggi dei perfetti alchimisti che, con dei pezzetti di carta senza valore, confiscano enormi ricchezze e il frutto del lavoro altrui, sotto gli occhi di tutti, senza che quasi nessuno ci faccia caso o protesti. Questo incomincerebbe a dare una parte della spiegazione alla altrimenti inspiegabile povertà dei popoli di oggi, di cui abbiamo già detto. Ci domanderemo anche se ci siano degli altri meccanismi di concentrazione della ricchezza in mano a pochi, a fronte della miseria per molti. Cercheremo anche di scoprire quali possono essere i Gran Kan di oggi e se anche loro abbiano un potente esercito con cui difendere ed estendere i loro privilegi, reprimere chi non è d’accordo e cercare di assoggettare tutto il mondo al loro “ordine mondiale”. Infine ci domanderemo se anche oggi, come in tutti gli imperi, si voglia giustificare il dominio con il compito di portare forzatamente “la civiltà” ai popoli “incivili” e se anche oggi questo compito non costi grandi energie di repressione dei popoli ribelli al dominio.


Il potere di Signoraggio in Italia e in Europa

Poste tutte queste domande ci inoltriamo nella ricerca da profani e cerchiamo per primo di vedere se esiste oggi questo meccanismo di confisca della ricchezza dei popoli analogo a quello attuato dal Gran Kan Kublai attraverso l’emissione di carta moneta. Per prima cosa dobbiamo scoprire chi emette la moneta e chi prende il valore che viene scritto sopra di essa. Questa possibilità di emettere moneta e di prendere il valore scritto sopra di essa viene chiamato, dagli economisti moderni, “potere di signoraggio”, perché anticamente erano dei potenti signori, dotati di eserciti repressivi, che potevano imporre una loro moneta. Dunque: chi ha oggi il potere di signoraggio? Di primo acchito su questo punto sembra che ci sia poco da scoprire. Si sa che la moneta è emessa dallo Stato: non c’è forse la Zecca dello Stato? Perciò il valore scritto sopra le banconote viene preso dallo Stato ed è lo Stato che ha il potere di signoraggio. Ma qui abbiamo una sorpresa: non è lo Stato che emette moneta e ne prende il valore, ma la Banca d’Italia. Subito però ci si tranquillizza pensando che la Banca d’Italia si chiama così perché è dello Stato. E qui c’è la seconda sorpresa per i non addetti ai lavori: la Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico con quote di capitale sociale in mano a banche e istituti finanziari privati e, oltre a scopi istituzionali ha anche scopi di lucro come una normale società per azioni. E’ però vero che la maggior parte degli utili, derivanti dall’emissione della moneta, vanno allo Stato Italiano, anche se non prima di aver ricompensato lautamente i “partecipanti” (dividendo fino al 6% del capitale + eventuale integrazione del dividendo fino al 4% del capitale + una somma che può raggiungere fino al 4% dell’importo delle riserve della banca ed essendo queste riserve molto più elevate del capitale sociale questa somma potrebbe essere superiore a quella dei dividendi).

 

Inoltre la Banca d’Italia, avendo il potere di emettere moneta, non si preoccupa dei propri costi come una normale azienda sul mercato ed ha certamente “costi produttivi” molto elevati per i servizi che fornisce alla collettività. In ogni caso l’appropriazione del valore della moneta da parte di privati o dei “burocrati” della banca è solo parziale. Però oggi non c’è più la Lira ma l’euro. Come sono le cose con l’Euro? Cosa rappresenta la nascita dell’euro nel contesto del potere di signoraggio? L’emissione della moneta viene lasciata in mano alle Banche centrali degli stati partecipanti. Sarebbe interessante indagare come funziona il potere di signoraggio negli altri stati del mondo, ma sarebbe troppo impegnativo per questo tipo di ricerca. Intanto possiamo annotare che abbiamo visto una prima fonte di furto della ricchezza prodotta. Essa è quantificabile nei seguenti elementi:

1. accantonamento del 20% degli utili, che pertanto vengono sottratti alla collettività a cui spetterebbero

2. parte degli utili della stampa della moneta assegnata a banche private, cosa che non dovrebbe avvenire

3. costo eccessivo della struttura

A dire il vero, questo “furto” è ancora molto limitato per poterci far comprendere gli eventi attuali, perciò procediamo oltre.

 

La Bilancia Internazionale dei Pagamenti

La più grossa fetta del commercio ha oggi una dimensione internazionale. Questo fatto pone due problemi:

1. L’equilibrio nella bilancia internazionale dei pagamenti

2. il sistema di cambi fra le valute dei vari paesi (euro, yen, dollaro, ecc.)

Su entrambe queste problematiche è possibile imbastire grandiosi affari. E certamente non mancherà chi si dà da fare in settori così lucrosi. Per i non esperti vediamo che cos’è la bilancia internazionale dei pagamenti. Se una ditta italiana esporta pasta in Giappone e la ditta importatrice paga in Yen, la ditta italiana dovrà consegnare alla propria banca gli Yen per farseli mutare in Euro. Così il sistema bancario europeo (alla fine gli yen arrivano al sistema di conto della banca centrale europea) si troverà ad avere degli Yen e vanterà un diritto corrispondente nei confronti del sistema bancario giapponese. Quando invece un importatore italiano compra prodotti dell’elettronica giapponese , pagando in Euro, la ditta giapponese che acquisisce gli Euro li porterà nella propria banca per ricevere gli Yen e il sistema bancario giapponese vanterà un credito verso la banca centrale europea. La bilancia commerciale di un paese è in equilibrio quando il valore delle monete estere che la banca centrale ha incamerato, attraverso le vendite all’estero delle proprie imprese, è pari al valore della propria moneta presente nelle banche estere, a causa del pagamento di prodotto importati. Tutte le transazioni internazionali passano per le banche centrali dei paesi, le quali funzionano da “camere di compensazione”. Gli yen ricevuti attraverso le vendite in Giappone potranno essere restituiti dalla banca centrale europea a quella giapponese in cambio degli euro che questa ha incamerato in seguito alle vendite delle ditte giapponesi in Europa. Le banche centrali dovranno curare che ci sia sufficiente equilibrio fra importazioni ed esportazioni dei vari paesi. Attualmente, oltre ai movimenti di merci, si sono imposti i movimenti di capitali, che sono ormai divenuti di entità molto maggiore rispetto ai movimenti di merci. Se un investitore italiano vuol acquistare azioni alla borsa di Tokio, ha bisogno di yen come se comprasse merci giapponesi e viceversa per un investitore giapponese in Europa. Anche questi movimenti di capitali entrano nel conto della bilancia internazionale dei pagamenti. Però mentre l’acquisto di una merce non è reversibile, l’acquisto di azioni nelle borse estere è un’azione reversibile, nel senso che le azioni possono essere rivendute e il capitale investito all’estero ritirato. Perciò è bene non basarsi su questo per l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Altri tipi di movimenti che interessano l’equilibrio della bilancia dei pagamenti sono l’acquisto di beni in paesi esteri, l’acquisto di industrie estere, l’istallazione di aziende all’estero, la compravendita di valute estere. Non entriamo nei dettagli di queste operazioni e del loro significato.

 

L’ equilibrio della Bilancia dei Pagamenti

Quando un paese aveva più acquisti dall’estero che non esportazioni, poteva scoraggiare in vario modo le importazioni e favorire in vario modo le esportazioni. Attualmente ciò è stato molto limitato a causa delle norme di liberalizzazione degli scambi internazionali, imposte dal WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio), per favorire la penetrazione delle grandi multinazionali e delle grandi banche E per i paesi emergenti un metodo di portare verso il pareggio la bilancia dei pagamenti è proprio quello di attirare capitali stranieri e in questo senso la creazione delle borse valori che offrono un buon mercato agli investitori stranieri può aiutare l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, con il pericolo già visto della repentina fuga dei capitale e dell’apertura a operazioni speculative. Ma soprattutto il pericolo è l’arrivo delle grandi banche che monopolizzano l’emissione di credito per impadronirsi dell’emissione della moneta bancaria e di cui parliamo più avanti.

 

Il Sistema di Cambi fra valute

Poiché il commercio internazionale avviene attraverso le valute dei vari paesi e poiché le valute estere vengono cambiate fra di loro tramite le banche centrali, diventa essenziale sapere quale è il coefficiente di cambio, cioè, per esempio, quanti yen vale un euro. Se il coefficiente di cambio rimane stabile non ci sono problemi, ma se è soggetto a fluttuazioni (svalutazioni e rivalutazioni delle valute) allora possono essere realizzate imponenti speculazioni da parte di chi riesce a prevedere, o addirittura a condizionare, l’andamento del valore delle valute rispetto a quella di riferimento (il dollaro). Chi sarà a dirigere anche questo gioco e a realizzarne ingenti guadagni? Prendiamo un solo dato dal libro “Nord Sud -Predatori, predati e opportunisti-“

«Nel 1980 per acquistare una locomotiva dal Nord occorrevano 12910 sacchi di caffè del Sud. Dopo 10 anni per acquistare la stessa locomotiva occorrono 45.800 sacchi di caffè» . Cioè quasi 4 volte di più e questo si realizza poiché i prezzi dei prodotti del Sud calano rispetto al dollaro e i prezzi dei prodotti del Nord crescono, cosa che può essere vista anche come calo di valore delle monete locali del Sud.

 

Il Dominio Monetario Imperiale degli USA

Nel 1944 a Bretton Woods, negli USA, fu sanzionato il dominio finanziario e monetario della potenza che più di ogni altra usciva vincitrice dalla guerra: gli Stati Uniti d’America. Là si riunirono i delegati di 44 stati per decidere il sistema monetario internazionale da istaurare dopo la guerra. In sostanza il dollaro divenne la moneta di riferimento per gli scambi internazionali e furono creati il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM). L’accordo era basato sui seguenti 2 punti:

1. Gli Usa garantivano la convertibilità del dollaro in oro al valore fisso di 35 dollari all’oncia. Cioè con i dollari si poteva comprare oro a quel prezzo.

2. Gli altri paesi fissavano il prezzo della propria moneta in termini di dollari o oro e questo prezzo non poteva variare se non entro dei limiti ristretti (sistema di cambi valutari quasi fissi)

Il dollaro ancorato all’oro divenne la valuta di riferimento e di garanzia negli scambi internazionali e divenne la valuta di riserva delle banche centrali degli altri paesi per regolare la bilancia dei pagamenti con l’estero. Cioè i vari stati si trovarono a creare riserve di dollari nelle loro banche centrali mentre quelle degli Stati Uniti potevano emettere moneta in grandi quantità con enormi utili. Non solo ma per gli Stati Uniti si creò una situazione di particolare vantaggio negli scambi commerciali internazionali. Chi compra merci all’estero (importazioni), come abbiamo già visto, fa andare in passivo la bilancia dei pagamenti, in quanto fa andare all’estero la moneta nazionale con cui fa gli acquisti e la Banca Centrale del proprio paese deve recuperare quella moneta pagandola con quella dello stato del venditore, nella cui banca centrale è andata a finire. La Banca Centrale degli Stati Uniti invece non ha bisogno di possedere le varie valute dei paesi in cui le proprie ditte hanno fatto acquisti perché gli altri paesi gradiscono trattenere i dollari che sono la moneta di riferimento accettata in pagamento da quasi tutti gli stati e quindi può saldare il proprio deficit della bilancia dei pagamenti con dollari, al contrario degli altri stati che devono reperire la moneta degli stati in cui le proprie ditte hanno fatto acquisti, oppure deve usare il dollaro.

 

Tutto questo potenzia al massimo per gli Stati Uniti la possibilità di emettere la propria moneta, il dollaro, con il relativo potere di signoraggio per i banchieri della banca centrale e porta alla “dollarizzazione” del mondo intero, con guadagni enormi per lo stato e per l’economia americana. Si pensi che all’inizio degli anni Settanta, l’80% delle riserve valutarie di tutti gli stati del mondo erano costituite di dollari e si potrà comprendere l’enorme massa di dollari stampati e intascati alla faccia di tutti i popoli che li utilizzano. Già nel 1960 la somma dei dollari internazionali superò il valore delle riserve auree degli Stati Uniti, per cui la conversione in oro della moneta diventava impossibile e le richieste in tale senso che iniziavano a pervenire furono disattese dalla banca centrale americana. Gli Usa continuavano a usare i loro dollari, prodotti quasi gratuitamente, per crescenti investimenti in Europa, per finanziare i propri eserciti all’estero, per finanziare il proprio deficit della bilancia dei pagamenti e per finanziare la guerra in Vietnam. Così il privilegio degli Usa di stampare una moneta con valore internazionale permise sia la crescita delle loro grandi multinazionali nell’economia mondiale, che una politica estera aggressiva nel mondo. Dopo le avvisaglie del 1960 sulla inconvertibilità del dollaro in oro, gli Usa sostennero che la loro moneta andava considerata come base indispensabile del sistema monetario internazionale indipendentemente dalla sua convertibilità in oro, in quanto il suo aumento era in grado di svilupparsi in relazione all’aumento dell’economia mondiale, cosa che non si poteva realizzare con l’oro!! Così gli USA, con un incredibile faccia tosta, si arrogarono il privilegio del potere di signoraggio su tutto il mondo, andando molte oltre a quanto era riuscito a fare il Gran Kan Kublai!!! A loro appartiene, rispetto a tutti i tempi della storia il record mondiale della furbizia e del dominio arbitrario! La situazione andò avanti fino al 1970 quando L’OPEC, il cartello dei paesi arabi produttori di petrolio, aumentò il prezzo del greggio e pretese il pagamento in oro. I paesi acquirenti cercarono di cambiare dollari in oro. Ciò sarebbe stato impossibile in quanto i dollari stampati superavano di moltissime volte le riserve auree degli Stati Uniti. Questa crisi permase fino a che, il 15 Agosto 1971, il presidente Nixon dichiarò unilateralmente e senza preavviso che il dollaro non sarebbe stato più convertibile presso la Banca Centrale americana né in oro, né in valute estere, né in altri mezzi di riserva. Con una arroganza e una prepotenza assolute gli Usa vennero meno ad ogni patto stipulato a Bretton Woods e imposero il dollaro stampato dalla loro banca centrale come il cardine arbitrario del commercio internazionale a loro esclusivo vantaggio e per il loro potere economico assoluto. Tutte le banche centrali non americane si adeguarono, mantenendo presso di loro i dollari quale valore assoluto per gli scambi internazionali, come se si trattasse di oro, anche senza convertibilità, nonostante soltanto gli Stati Uniti avessero tratto vantaggio dalle enorme massa di dollari stampati!!! Supera ogni fantasia di fantapolitica e fantaeconomia, ma è pura realtà in cui ancora viviamo. E i politici dei vari stati!? Quasi silenzio o solo qualche protesta di routine. Tutti conniventi?! Solo De Gaulle nel 1960 aveva protestato energicamente contro la politica imperialista americana, ma senza ottenere risultati.

 

Probabilmente gli Stati Uniti hanno emesso così tanti dollari che, se i loro possessori potessero liberamente farne acquisti, potrebbero comprare gran parte dei beni degli Stati Uniti, tutte le sue fabbriche, tutte le sue terre. Ma gli Stati sono obbligati a mantenere le loro riserve in dollari o a convertirli in buoni del tesoro Usa, mentre gli Usa sono stati acquirenti gratuiti di prodotti, società e terre degli altri paesi, attraverso l’emissione della moneta e l’emissione del credito, e continuano a farlo e ad espandersi, seppure devono condurre sempre più guerre per andare avanti in questa strada. Gli Usa hanno acquisito così tanti beni, imprese, terre, banche, strutture in tutto il mondo, che se anche ora si arrestasse l’emissione di dollari, essi hanno comunque nelle mani un potere così enorme da potersi conservare ancora molto a lungo. Possiamo notare come tutti gli imperi, cioè i sistemi di sottomissione di altri popoli, si sono basati sulla massiccia emissione di moneta, per finanziare i propri eserciti e le proprie strutture di occupazione. Così è stato per l’impero del Gran Kan, così per l’impero romano, così è anche per quello americano. Tuttavia dobbiamo vedere anche un altro fenomeno attuale, la svalutazione del dollaro, e vogliamo fornire per questo fenomeno una particolare ipotesi di spiegazione, senza avere la certezza che le cose stiano proprio così. Finché il dollaro serviva per comprare all’estero, era importante per gli americani che avesse un alto valore, in modo da comprare all’estero a sottoprezzo, ma quando gli altri stati iniziano a fare pressione per risanare la bilancia commerciale degli Usa e pretendono di poter spendere i dollari che sono nelle loro mani, in beni degli Stati Uniti, allora da una parte essi ricercano in tutti i modi di impedirlo, dall’altra viene svalutato il dollaro, in modo che i dollari all’estero abbiano sempre meno valore. Nello stesso tempo si favoriscono le esportazioni e si limitano le importazioni, spingendo il sistema economico americano a produrre al suo interno i beni di cui abbisogna. Chi è consapevole di tutto questo nel frattempo avrà provveduto a convertire i propri dollari nella nuova moneta forte da essi stessi voluta, l’euro. Si sa che i grandi banchieri “massoni” e le strutture più alte del potere economico sulla terra, non hanno patria e possono con facilità spostare le loro risorse da un punto all’altro del globo, da una valuta all’altra, magari in qualche paradiso fiscale. Importante è che enormi masse di moneta forte rimangano nelle loro mani. Con tutto questo abbiamo comunque scoperto una seconda, molto più importante, enorme, attività di confisca della ricchezza dei popoli. a vantaggio, per lo meno in passato, di un solo popolo e soprattutto delle sue banche, delle sue imprese multinazionali, delle sue famiglie di potere “massonico” e dei suoi programmi guerrafondai da grande potenza imperialista.

 

La Moneta Bancaria

Procediamo oltre: oggi non siamo come ai tempi del Gran Kan, in cui tutto il denaro era sotto forma di moneta o, con altra espressione, tutta la moneta era in forma “liquida”. Oggi la maggior parte del denaro si trova sotto forma di cifre iscritte nei conti bancari, che si muovono da un conto all’altro da una banca all’altra, tramutandosi raramente e solo in parte in banconote. Si tratta della cosiddetta “moneta bancaria”. La moneta totale di uno Stato è data dalla somma della moneta liquida cartacea con quella bancaria, che è di molto superiore in valore. Dal libro “La moneta” di Andrea Terzi si ricava la percentuale del 90% per la moneta bancaria e 10% per la moneta liquida. Come abbiamo visto chi crea il denaro liquido e chi se ne appropria, ora dobbiamo cercare di capire come viene creato il denaro che sta dentro i conti bancari e a chi appartiene. Anche in questo caso ingenuamente si penserà che qui tutto è chiaro: le banche prendono in prestito del denaro dai cittadini e poi lo concedono in prestito alle imprese o ad altri soggetti che ne hanno bisogno. Così pensa la quasi totalità della gente. Il meccanismo bancario invece è di tutt’altra natura. Una banca privata viene costituita con il versamento del Capitale sociale da parte dei soci o degli azionisti. Poi la banca raccoglie prestiti dal pubblico. La legge consente alle banche di emettere prestiti solo se hanno depositato una somma di garanzia presso la banca centrale (Banca d’Italia, per esempio). Per ogni 100 euro depositati le banche possono concedere prestiti fino a 1000 euro e oltre, purché non vadano in crisi di liquidità! Perciò le banche private locali possono depositare alla banca centrale il loro capitale sociale sommato con i prestiti raccolti presso i risparmiatori, tenendo per sé solo quel tanto che serve come liquidità di cassa e poi possono concedere prestiti per una somma 10 volte superiore alla somma depositata.

 

Denaro contante liquido ne occorre poco perché la maggior parte delle transazioni bancarie sono movimenti da un conto bancario ad un altro, tramite bonifici bancari, assegni, ricevute bancarie all’incasso e quant’altro. Inoltre il denaro contante liquido che esce per le esigenze di liquidità dei clienti, ma viene compensato da quello che rientra tramite i versamenti delle imprese che incassano liquidità (negozianti, piccole imprese artigiane, ecc.). Con le carte di credito poi i pagamenti per contanti tendono a ridursi sempre più e diventano anch’essi transazioni da un conto bancario all’altro. Ma l’aspetto più interessante della gestione dei prestiti concessi dalle banche è che la concessione di un prestito bancario coincide con l’emissione di moneta bancaria, esattamente come se si stampasse nuova moneta, ma in maniera ancora più facile e senza spese. Si crea denaro dal nulla, con una semplice registrazione al computer. Infatti l’accredito di una somma a prestito su un conto bancario non ha come contropartita una pari somma sottratta da un altro conto, che quella somma fornisce, ma si tratta di pura creazione di denaro dal nulla, dovuto al fatto che alla banca è stato concesso il potere di emettere crediti oltre le somme che possiede (e cioè quelle versate in capitale e quelle raccolte dai risparmiatori). Così con ogni emissione di credito si ha un incremento netto di moneta bancaria emessa dalla banca. La banca deve solo fare attenzione a non entrare in crisi di liquidità perché potrebbe succedere che concedendo molti prestiti ci siano molte richieste di denaro liquido, superiori alle riserve che ha la banca. Per questo le banche fanno attenzione a concedere prestiti preferibilmente a clienti che poi eseguiranno i pagamenti tramite movimenti bancari e non tramite liquidità. In ogni caso oggi le banche sono prevalentemente delle grosse reti collegate in Gruppi bancari e la carenza di liquidità di una banca di un gruppo viene compensata dal surplus di liquidità di altre banche dello stesso gruppo. Inoltre anche la banca centrale protegge le singole banche e gruppi bancari da momentanee insufficienze di liquidità, al limite emettendo nuova moneta. Infine il denaro liquido si usa sempre meno, in percentuale sul totale. Dunque questa creazione di denaro dal nulla da parte delle banche è un fatto strabiliante, quasi impossibile da credere, eppure vero e realizzato ogni momento da migliaia e migliaia di banche in tutto il mondo. Però, si dirà, i prestiti non sono solo concessi, ma vengono anche restituiti. Cosa succede quando il prestito viene restituito? Così come si è creata moneta bancaria all’atto di emissione dei prestiti, essa viene “distrutta” nel momento di pagamento delle rate. Il segreto è che l’emissione del credito è andata aumentando sempre più, di anno in anno ed è questo che conta. Infatti la creazione netta di moneta bancaria è pari al netto fra le somme concesse e quelle restituite. L’economia dell’ultimo secolo è andata espandendosi sempre più e sviluppando sempre più attività. Così la somma netta dei prestiti concessi non poteva che crescere costantemente, perché l’economia aveva bisogno di massa sempre crescente di moneta che i banchieri con facilità creavano, attraverso l’emissione e l’incremento dei prestiti netti, che rimanevano sempre in loro potere. In questo modo i banchieri hanno nelle loro banche quasi tutto il valore aggiunto dello sviluppo mondiale!!

 

Non è mancato certamente chi ha usato questo enorme privilegio di poter emettere moneta-credito per creare una grande rete di potere. Si è creata una alleanza fra banchieri, che hanno il potere di emettere moneta guadagnandoci sopra lautamente, e le grandi imprese da essi favorite, che hanno avuto buon gioco ad ingrandirsi sempre più e a diventare transnazionali e multinazionali. Infatti è solo attraverso il credito che un’azienda può ingrandirsi, a meno che non sia finanziata interamente dalle quote di capitale sociale. Ma questo non poteva avvenire che parzialmente, perché il risparmio era limitato rispetto alle esigenze dello sviluppo produttivo che si è realizzato nel mondo. Ora, grazie allo sviluppo già realizzato e alle ingenti somme che si sono accumulate nelle mani di pochi, sarebbe più facilmente possibile di finanziare le imprese con il risparmio, ma esso è nelle mani di chi ha interesse a usare questo capitale solo a fini speculativi e di mantenimento del potere. Del resto il “risparmio” accumulato nei paesi più sviluppati, ha iniziato ad investirsi nei paesi che hanno ancora bisogno di svilupparsi e che hanno delle contropartite da pagare: materie prime di valore, manodopera a basso prezzo, proprietà statali, grandi aziende agrarie e così via. In questo modo una potente “cricca” di banchieri e industriali, che detiene la più grossa fetta del potere economico, sta comprando tutto il mondo e impone la liberalizzazione selvaggia dei mercati e l’eliminazione di ogni protezione delle economie nazionali.

 

C’è un’alleanza di ferro fra quanti hanno interesse a concedere sempre più prestiti e le imprese che hanno interesse ad averli per espandere insieme sempre più il loro potere in tutto il mondo, avvalendosi anche di fidati alleati locali. E’ questa la forma del nuovo colonialismo. Le grandi multinazionali gigantesche sono sorte e si sono sviluppate anche perché esse, legate al capitale finanziario che ne è azionista e/o sostenitore attraverso prestiti, non hanno il problema della liquidità. Possono accedere a tutta la liquidità che vogliono in quanto chi dà loro il capitale di prestito continua a rifinanziare sempre più le imprese, perché ne ha pieno interesse, per i guadagni diretti degli investimenti e, ancor più, perché in questo modo espande all’infinito il processo di creazione e controllo della moneta bancaria. Se le quote capitale non sono restituite in tempo vengono rifinanziate e se sono restituite vengono riconcesse, anche aumentate, per nuovi investimenti, in una spirale che si ingrandisce sempre più. Le multinazionali gigantesche e la globalizzazione esagerata sono un derivato quasi necessario dell’intreccio di interessi fra il capitale finanziario delle banche e quello produttivo e industriale, che si sostengono reciprocamente tramite i meccanismi del credito. Prima queste imprese si ingrandiscono nel loro settore e nel loro paese, poi conquistano i mercati degli altri paesi divenendo transnazionali, poi investono in nuovi settori, o assorbono altri settori, o collocano il capitale di maggioranza in altri settori, divenendo multisettoriali. Poi vogliono nelle loro mani anche settori che tradizionalmente sono stati amministrati dal settore pubblico (rete idrica, telefonica ed energetica, scuole, sanità, ecc.) Tutto questo avviene poiché alle banche è stato dato il potere di emettere sia la moneta cartacea (banche centrali) sia quella bancaria.

 

La Crescita costante dei Prestiti

Nel libro “Nord-Sud - Predatori, predati e opportunisti” leggiamo:

«Nel rapporto fra Nord e Sud il debito è sempre esistito. il Nord ha sempre avuto interesse a prestare soldi al Sud per avere indietro delle ordinazioni. I governi del Sud hanno sempre accettato di indebitarsi per avere del denaro da usare nei modi più disparati. Tuttavia solo dopo il 1973 il debito ha cominciato ad assumere dimensioni di rilievo. Ad esempio, mentre nel 1970 il Sud ottenne nuovi prestiti per un valore di 16 miliardi di dollari, nel 1980 ne ricevette per 64 milioni di dollari. A questo aumento contribuirono un po’ tutte le fonti finanziarie, ma le banche private, dette anche banche commerciali, ebbero un ruolo preponderante. Nel corso degli anni 70 i prestiti bancari aumentarono al ritmo del 28% all’anno, facendo passare in secondo ordine i prestiti di fonte pubblica (chi è poi la fonte pubblica?). » Dai dati forniti dal libro si deduce che i prestiti delle grandi banche sono aumentati in 10 anni di circa 18 volte (1800%)!

Questi dati sono relativi ai prestiti concessi annualmente. Da un altro libro (Castagnola / Cancellare il debito / Emi) vediamo invece i dati sul debito globale (quelli concessi a nuovo sommati a quelli precedenti residui) nei vari anni:

« Nel 1980 il debito totale dei paesi sottosviluppati era di 603 miliardi di dollari e gli interessi annuali di 91 miliardi. Solo 10 anni più tardi, però le cifre erano più che raddoppiate: il debito totale nel 1990 aveva infatti raggiunto i 1473 miliardi di dollari e gli interessi i 164 miliardi di dollari l’anno. Nel 1997 il debito totale aveva raggiunto la cifra di 2317 miliardi e gli interessi passavano a 305 miliardi all’anno. In sette anni le cifre erano quasi raddoppiate. Nel 1998 la cifra totale raggiungeva 2465 miliardi di dollari, con un incremento di 149 miliardi di dollari in un solo anno, mentre gli interessi da pagare rimanevano intorno alla stessa cifra»

 

Ma cosa succederebbe se i debitori restituissero i loro debiti senza contrarne di nuovi? La cosa purtroppo è del tutto impossibile perché il sistema bancario (e in particolare quelle grandi banche che, coscientemente e occultamente perseguono il potere e il dominio mondiali, insieme alle grandi imprese collegate) si sono appropriate e continuano ad appropriarsi di molte delle ricchezze dei popoli, avendo presso i loro conti l’iscrizione di grandi somme di crediti, e questi non hanno denaro per restituire i prestiti avuti, perché la gran massa del denaro di credito è stato indebitamente assegnato in emissione e controllo ai banchieri. La concessione di credito è un grande affare per le banche, perché su di esso guadagnano forti somme tramite gli interessi e perché possono moltiplicarlo non essendo obbligate ad avere la copertura dei prestiti che emettono, tranne che per una piccola parte. Ma il cuore del problema non è questo ma un altro: Tutto l’incremento netto della ricchezza mondiale, che ha richiesto necessariamente l’incremento del credito per potersi realizzare, si trova non presso i popoli che hanno prodotto questa ricchezza, ma presso il sistema bancario sotto forma di crediti emessi, che complessivamente sono aumentati sempre più nel corso degli anni. Si tratta di moneta emessa, esattamente come quella cartacea. In teoria le banche potrebbero intascarsela, registrando gli incrementi netti dei prestiti, come utili annuali. Non lo fanno perché una operazione di prestito viene registrata dalle banche in attivo come prestito emesso (credito della banca verso il cliente) e in passivo come deposito del cliente sul suo conto bancario. Però il fatto sostanziale è che, se anche l’emissione netta di moneta bancaria non viene intascata alle banche come utile, come invece fanno le banche centrali per l’emissione di moneta cartacea, tuttavia essa appartiene loro come mezzo di potere! E’ un enorme mezzo di potere che consente di esigere interessi e di decidere chi favorire e soprattutto consente di sottrarre l’emissione della moneta ai popoli e alle strutture che dovrebbero emetterla e controllarla al posto delle banche , assegnandola gratuitamente, come vedremo nel seguito. Il potere di stampare moneta, unito al potere di emettere il prestito molte volte al di là delle riserve di denaro liquido, cioè il potere di emettere anche la “moneta bancaria”, determina tutti gli eventi e le vicende mondiali, determina gli enormi debiti degli stati e dei popoli, determina i passivi di bilancio degli stati, anche di quelli più avanzati, determina l’enorme sviluppo e potere delle multinazionali legate al potere finanziario, determina la creazione dei paradisi fiscali, determina le guerre di aggressione ai popoli e le guerre civili, determina il terrorismo internazionale, determina la povertà e la sofferenza dei popoli, determina il pericoloso stato di degrado ambientale, determina le guerre. Cosa deve accadere di più per decidere di invertire rotta?! Una minoranza di individui senza scrupoli sa bene cosa sta facendo e come dirige il mondo secondo le proprie bramosie di potere. Tutti gli altri o sono incoscienti o si fanno corresponsabili, per partecipare alla spartizione della torta del potere e del privilegio, o si sottomettono. Triste realtà, che è tempo di scrollare via dalle spalle dell’umanità. I banchieri e gli impresari massoni degli Usa, dell’Europa e di tutto il mondo, producono moneta e credito e in cambio tutti gli altri producono per loro, accentrando nelle loro mani gran parte dei frutti del loro lavoro.

 

Il Popolo Americano

Il popolo americano è diventato, senza rendersene conto, l’esercito repressivo dei banchieri e capitalisti “massoni”, per imporre in tutto il mondo il loro sistema bancario e per impadronirsi delle ricchezze di tutti i popoli. Certamente il popolo Americano è un grande popolo che non è colpevole di questo, perché è stato manipolato. E’ tempo che anch’esso si scrolli di dosso questi parassiti dell’umanità, nella consapevolezza che in un primo tempo il tenore globale di vita dovrà diminuire, perché ora è basato anche sul furto perpetrato in tutto il mondo. Ma il vero benessere e benvivere verrà poi presto per tutti i popoli e il popolo americano saprà dare un validissimo contributo. Se invece questo popolo non farà l’opera interna e non violenta di “pulizia”, ma si lascerà coinvolgere ulteriormente nei progetti di dominio, c’è il pericolo di una catastrofe per questo popolo e per tutta l’umanità. Chiamiamo “massoni” i proprietari e dirigenti dei grossi gruppi bancari internazionali e quelli delle grandi imprese multinazionali. Poniamo il termine fra virgolette intendendo che lo usiamo in maniera impropria, in quanto non pensiamo che siano tutti necessariamente iscritti a una qualche associazione segreta o loggia massonica, come potrebbe facilmente essere per alcuni capi principali, ma soprattutto intendendo che sono individui che, come quelli di una setta occulta dedita al potere e all’inganno e all’occultamento delle informazioni, hanno tramato e tramano nell’oscurità e nella menzogna, cercando di tenere tutti disinformati sulle cose essenziali, per non far conoscere i meccanismi della finanza e dell’appropriazione indebita, con il fine di raggiungere un arricchimento sconfinato, di appropriarsi di ingenti beni e di tutti i privilegi e di esercitare il dominio e il potere su tutti, senza esitare ad usare ogni mezzo, compresi gli assassini e le guerre, per mantenere questi segreti e questo potere. Parlando di banchieri “massoni” non intendiamo solo i banchieri, ma tutta la rete del potere economico occulto, che ha il suo centro nel potere finanziario-monetario, ma che certamente non si esaurisce in questo, ma si dirama in molti settori e istituzioni.

 

A chi andrebbe la Moneta Bancaria? (Come dovrebbe essere gestito il Credito)

La moneta bancaria dovrebbe essere di proprietà dei popoli che le danno valore con le loro attività di sviluppo economico, creando beni che ne sono la contropartita. Invece se ne sono appropriate le banche, che non hanno nulla da dare in contropartita, né per la moneta legale né per quella bancaria. Le banche non solo si appropriano di denaro che non è di loro spettanza, ma su quel denaro riscuotono anche interessi, divenendo sempre più onnipotenti, fintantoché le popolazioni si sottomettono. Se un paese del sud ha bisogno di beni del Nord per finanziare il suo sviluppo, è chiaro che deve pagare i beni che compra alle ditte da cui li compra. Questo pagamento però non deve avvenire attraverso dei prestiti concessi al Sud dalle banche del Nord, ma concessi casomai da Banche del Sud e attribuendo il valore dell’incremento netto dei prestiti (incremento di moneta bancaria) agli stessi popoli del Sud, perché sono essi che producono la nuova ricchezza, sono essi i titolari della emissione della nuova moneta bancaria. Ciò significa concedere crediti gratuiti per tutte le nuove attività di sviluppo. In una nuova economia solidale ciò sarà fatto di concerto con degli opportuni organismi economici in cui siano presenti tutti gli stati. Se il Pil (prodotto interno lordo) di una nazione in un anno è di 10 e se dalle banche viene emesso un surplus di moneta (cartacea più bancaria) pari a 2, significa che le banche si sono impossessate di una parte del Pil pari a 2, corrispondente al surplus della moneta emessa. Infatti è vero che la ricchezza di una nazione non cambia con l’emissione della moneta, perché corrisponde ai beni prodotti, ma l’emissione si traduce in un furto delle banche nei confronti dei produttori di ricchezza. La ricchezza è la stessa nella nazione, ma cambia di mano, passa da quelli che la producono, al sistema bancario internazionale, sotto forma di crediti da esigere. Supponiamo che un’impresa per funzionare e svilupparsi abbia bisogno di una certa quantità di prestiti, attivi annualmente, e che questi prestiti vadano aumentando di anno in anno. Caso molto frequente, pur essendo positivo il bilancio annuale fra ricavi e costi. Questi incrementi di passività bancaria, necessari al corretto funzionamento dell’impresa, vengono erogati dalle banche come proprio valore e devono essere restituiti e l’incremento netto annuale (la moneta bancaria) rimane sempre in gestione delle banche. In realtà la concessione di prestiti di investimento delle imprese, dovrebbe essere loro concesso gratuitamente, perché sono esse che producono ricchezza con quei prestiti e non le banche che si attribuiscono, indebitamente e arbitrariamente, con la connivenza delle leggi, la moneta bancaria emessa attraverso il prestito, riscuotendoci per di più degli interessi. In un sistema economico etico l’emissione del prestito gratuito, cioè della moneta bancaria, per i vari progetti di investimento, dovrebbe essere posta sotto il controllo di un organismo economico tecnico, all’interno dei Consigli territoriali per lo sviluppo dell’economia etica e con l’ausilio dell’Associazione economica settoriale, del settore in cui viene progettato l’investimento. Di questi organismi si parla in altre parti del sito.

 

Questo organismo tecnico dovrà assegnare i prestiti di attivazione o di ampliamento a quei progetti che sono giudicati positivi e capaci di tenere in attivo la differenza fra costi e ricavi (il conto economico). Attualmente fra i costi ci sono le quote di ammortamento degli investimenti. Anche se l’impresa non paga gli investimenti, perché li finanzia con l’emissione monetaria relativa all’incremento netto di prestito, tuttavia continuerà a calcolare fra i costi annuali anche le quote di ammortamento dei beni strumentali che utilizza. Gli ammortamenti torneranno ad essere fin dall’inizio ciò che sono concettualmente, cioè accantonamenti per ripagare i beni d’investimento (attrezzature, edifici,ecc.) che devono essere ricomprati dopo il deterioramento. E’ solo l’incremento concesso di investimenti che deve essere dato gratuitamente alle imprese, ma non il riacquisto degli stessi beni. In questo modo l’incremento netto di moneta bancaria non viene assegnato alle banche, che non hanno nessun merito in proposito, ma alle imprese che producono nuovi redditi con nuove attività e investimenti. Queste a loro volta hanno l’obbligo dell’accantonamento degli ammortamenti, cioè hanno l’obbligo di mettere a costo nell’esercizio annuale le quote di ammortamento. Per le imprese il conto economico rimane quasi lo stesso. Infatti il conto economico è la differenza fra costi e ricavi. I ricavi rimangono gli stessi, mentre fra i costi ci sono in meno soltanto gli interessi riguardanti i prestiti (che ora non sono più prestiti ma donazioni di moneta bancaria emessa), mentre rimangono presenti gli ammortamenti. Quello che cambia notevolmente è il bilancio finanziario. L’impresa non è più sottoposta alle restrizioni dei prestiti per gli investimenti, perché essi sono coperti dalle somme assegnate dall’organismo apposito di cui sopra che sostituisce le banche nella valutazione dell’assegnazione dei prestiti. Queste somme non sono più concesse come prestiti, ma come capitale sociale, che è dell’intera collettività economica (non dello Stato!) locale o regionale o statale o internazionale, a seconda di che tipo di progetto si tratta e di chi concede il capitale sociale comunitario. In questo modo sarebbe grandemente attivata la creatività degli individui e dei popoli e diverrebbe facile creare nuove imprese o nuovi settori d’impresa o ampliamenti di settori d’impresa. L’organismo di pianificazione che concede il prestito deve fare in modo che non si crei trappa concorrenza in una stesso settore e nella stessa zona o che imprese che devono agire in un certo ambito territoriale non agiscano in uno più grande o uno più piccolo. Nascerebbero anche molte aziende che hanno come compito la cura e il miglioramento dell’ambiente, cosa oggi quasi impossibile.

 

Comunque per poter realizzare tutto questo è necessario che il sistema economico dell’Economia etica si sia già affermato, cosa che non è ancora all’ordine del giorno. Nel frattempo dovrebbero almeno svegliarsi i governi più progrediti dei paesi in via di sviluppo e creare autonomamente e gratuitamente la propria moneta bancaria, cioè il credito emesso per lo sviluppo del proprio sistema produttivo, invece di sottomettersi alla potenti banche “massoniche” del Nord e alle multinazionali ad esse collegate. Con ciò si darebbe un potente impulso produttivo a tutte le produzioni interne (attraverso la liberazione del credito) e anche se il sistema monetario internazionale tentasse di svalutare la moneta di questi stati, per gli acquisti verso l’estero, non ci riuscirebbe perché queste monete, se da una parete tenderebbero a svalutarsi per l’emissione gratuita di moneta bancaria, dall’altra, ancora di più, si rafforzerebbero con il rafforzarsi di tutto il sistema produttivo, che stimolerebbe anche le esportazioni. Concludendo questo paragrafo possiamo dire che abbiamo visto come il sistema bancario, per il modo in cui è concepito e per le funzioni che gli sono assegnate, opera come un ingente fonte di sottrazione di ricchezza dei popoli. Infatti la somma dei crediti attivi presso tutte le banche del mondo, corrispondente alla somma degli incrementi annuali di credito emesso per tutti gli anni di storia delle banche e corrispondente anche alla somma della moneta bancaria emessa nel corso dei secoli, si trova all’interno del sistema bancario, come debito delle imprese e degli stati, mentre in un sano sistema economico dovrebbero trovarsi dentro le imprese come capitale sociale. Dall’usurpazione del potere di emettere la moneta-credito da parte degli stati del Nord, si è creata la mostruosità dell’enorme debito bancario dei paesi in via di sviluppo. I paesi del Nord succhiano risorse gratuite dal Sud, attraverso questa forma di nuovo colonialismo, esercitato attraverso il potere del sistema bancario internazionale, che impedisce di emettere credito gratuito, per gli investimenti che creano sviluppo. Con ciò è anche data la direzione di soluzione per questi problemi!

 

Rapporto fra Proprietà e Moneta

Il diritto di proprietà su terre e case si trova iscritto nei catasti degli stati e quello sulle fabbriche e imprese si trova iscritto presso le Camere del Commercio. Quando questi diritti entrano nel giro della compra-vendita entrano sotto il potere della moneta e cioè sotto il potere di chi la emette appropriandosene. Così chi ha il potere sulla moneta può comprare tutto il mondo: fabbriche locali, terre, case, ville, parchi, beni statali messi in svendita, beni artistici e tutto quello che esiste e possono anche costruire quello che vogliono a casa altrui. E se qualcuno si ribella arrivano gli eserciti, pagati anche questi con l’emissione della moneta, cioè con il lavoro di tutti i popoli, compresi quelli che vengono sottomessi. Ironia della sorte: i popoli sono costretti a pagare gli eserciti che li dominano e schiavizzano. Come ai tempi del nostro Gran Kan di Marco Polo! Anzi, peggio che ai tempi del Gran Kan. Ecco che cosa portano coloro che dicono di portare la democrazia nel mondo. La democrazia è gran buona cosa, se fosse vera e se non nascondesse la schiavitù sotto una facciata apparente.

 

Altre fonti di espropriazione della ricchezza

I grandi meccanismi di concentrazione della ricchezza, propri del sistema economico capitalista e del sistema di neo-liberismo capitalista, amplificati enormemente dalle caratteristiche del sistema monetario, di cui abbiamo parlato, fanno in modo che le enormi ricchezze accumulate nelle mani di pochi, esercitino poi delle notevoli iniziative di speculazione finanziaria, con ingenti movimenti di capitali che, attraverso la rete telematica dei computer, vanno da una parte all’altra del pianeta a soli fini speculativi, senza creare alcuna ricchezza, ma concentrandola e sequestrandola sempre più nelle mani di pochi. Uno dei campi in cui si esercita la speculazione finanziaria è anche quello della svalutazione e rivalutazione valutaria, soprattutto a danno delle monete povere, come abbiamo già accennato. Vogliamo riportare un solo dato, di estrema gravità, sulla concentrazione della ricchezza: “ 475 miliardari posseggono più ricchezza di quanta non ne abbia la metà della popolazione mondiale” (Michael Albert / L’economia partecipativa). Un’ altra fonte di espropriazione della ricchezza deriva anche dal fatto che le forze produttive dell’umanità vengano deviate da un loro sano utilizzo. Esso imporrebbe che le forze produttive siano utilizzate in primo luogo per risolvere per sempre i grandi problemi mondiali della fame, mancanza di risorse idriche, abitazioni, cultura, salute e tutto ciò che sono i beni basilari. Un sano utilizzo delle forze produttive richiederebbe anche che si dedichino molte più energie e risorse alla cura dell’ecosistema Terra e all’abbellimento e armonizzazione degli ambienti di vita degli uomini. Tutto ciò non è possibile farlo perché la più grassa parte delle risorse finanziarie è nelle mani di quanti hanno interesse solo per sé e per il mantenimento del proprio potere e dei propri ingenti privilegi. Così il denaro accumulato serve non per il benessere e benvivere di tutti, ma per attivare guerre, ricerche militari, bombe atomiche, scudi spaziali e ingenti produzioni di lusso per pochi, che sono un vero scandalo di fronte alla insopportabile povertà di tanti. Fra le deviazioni delle forze produttive va anche annoverato che questo tipo di sistema economico, a causa dei suoi meccanismi di funzionamento, lascia nella disoccupazione una discreta percentuale dei lavoratori potenziali. Complessivamente possiamo parlare di forze produttive in parte deviate dai loro scopi più giusti e in parte inutilizzate.

 

Le ricchezze individuali del presente come derivato del passato

Ciò che oggi gli individui hanno, sia di capacità personali che di beni materiali, dipende dalla storia del passato. Per i beni interiori (intelligenza, sensibilità, sentimento, forza di volontà, ecc) si può presupporre che essi derivino dall’ereditarietà ( e quindi da quanto hanno potuto sperimentare le generazioni precedenti) o che essi derivino da quanto gli stessi individui hanno sviluppato in vite precedenti e che portano nella vita attuale (teoria della reincarnazione dell’anima individuale). In entrambi i casi derivano dalle esperienze del passato (proprie o dei propri avi). Anche i beni esteriori dipendono in larga misura dal passato, da quanto le generazioni familiari precedenti hanno lasciato in beni o in possibilità di studi, formazione, esperienze, e quant’altro. Ma se il passato è stato iniquo e ingiusto, anche quanto si ha nel presente deriva da un passato ingiusto e iniquo e quindi va risanato. Per far comprendere meglio questo aspetto riportiamo un celebre passo di un capo indio

 

 


Chi è il Debitore

 

Lettera di un capo indio ai governi europei

 

«Così sono qua, io, Guaicaipuro Cuautemoc. Sono venuto ad incontrare i partecipanti a questo incontro. Così sono qua, io, discendente di coloro che popolarono l’America quarantamila anni fa, sono venuto a trovare coloro che la trovarono cinquecento anni fa.

 

Così ci troviamo tutti: sappiamo chi siamo, ed è già abbastanza. Non abbiamo bisogno di altro. Il fratello doganiere europeo mi chiede carta scritta con visto per scoprire coloro che mi scoprirono. Il fratello usuraio europeo mi chiede di pagare un debito contratto da traditori, che non ho mai autorizzato a vendermi. Il fratello legalista europeo mi spiega che ogni debito si paga con gli interessi, anche fosse vendendo esseri umani e paesi interi senza chiedere il loro consenso.

 

Questo è quello che sto scoprendo. Anch’io posso pretendere pagamenti. Anch’io posso reclamare interessi. Fa fede l’archivio delle Indie. Foglio dopo foglio, ricevuta dopo ricevuta, firma dopo firma, risulta che solamente tra il 1503 ed il 1660 sono arrivati a San Lucar di Barrameda 185 mila chili di oro e 16 milioni di chili d’argento, provenienti dall’America. Saccheggio? Non ci penso nemmeno! Tanatzin mi guardi dall’immagine che gli Europei, come Caino, uccidano e poi neghino il sangue del fratello! Genocidio? Sarebbe dar credito a calunniatori come Bartolomeo de las Casas, che considerarono quella scoperta come la distruzione delle Indie, o ad oltraggiosi, come il dottor Arturo Pietri che sostiene che lo sviluppo del capitalismo e dell’attuale civiltà europea sia dovuto all’inondazione di metalli preziosi! No! Questi 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento devono essere considerati come il primo di vari prestiti amichevoli dell’America per lo sviluppo dell’Europa. Pensare il contrario vorrebbe dire supporre crimini di guerra, il che darebbe diritto non solo a chiedere la restituzione immediata ma anche l’indennizzo per danni e truffa.

Io, Guairaipuro Cuautemoc, preferisco credere alla meno offensiva delle ipotesi. Una così favolosa esportazione di capitali non fu altro che l’inizio del piano Marshaltezuma, teso a garantire la ricostruzione della barbara Europa, rovinata dalle sue deplorabili guerre contro i culti mussulmani, difensori dell’algebra, della poligamia, dell’igiene quotidiana e di altre superiori conquiste della civiltà. Per questo, avvicinandosi il quinto centenario del prestito, possiamo chiederci: i fratelli europei hanno fatto un uso razionale, responsabile, o perlomeno produttivo delle risorse così generosamente anticipate dal Fondo Indoamericano Internazionale?

 

Ci rincresce dover dire di no. Dal punto di vista strategico le dilapidarono nelle battaglie di Lepanto, nelle Armate invincibili, nei terzi Reich ed in altre forme di reciproco sterminio, per finire poi occupati dalle truppe yankee della Nato, come Panama (ma senza canale).

Dal punto di vista finanziario sono stati incapaci –dopo una moratoria di 500 anni- sia di restituire capitale ed interessi, che di rendersi indipendenti dalle rendite liquide, dalle materie prime e dall’energia a basso costo che gli esporta il Terzo Mondo. Questo deplorevole quadro conferma l’affermazione di Milton Friedman, secondo il quale un’economia assistita non potrà mai funzionare e ci obbliga a chiedere –per il loro stesso bene- la restituzione del capitale e degli interessi che abbiamo così generosamente aspettato a richiedere per tutti questi secoli.

 

Detto questo vorremmo precisare che non ci abbasseremo a chiedere ai fratelli europei quei vili e sanguinosi tassi di interesse, variabile dal 20 fino al 30%, che i fratelli europei chiedono ai paesi del Terzo Mondo. Ci limiteremo a esigere la restituzione dei materiali preziosi prestati, più il modico interesse del 10% annuale accumulato negli ultimi 300 anni.

 

Su questa base, applicando la formula europea dell’interesse composto, informiamo gli scopritori che ci devono, come primo pagamento del loro debito, soltanto i 185mila chili di oro e 16 mila chili di argento, ambedue elevati alla potenza di 300. Come dire, un numero per la cui espressione sarebbero necessarie più di 300 cifre e il cui peso supera ampiamente quello della terra. come è pesante questa mole di oro e di argento!

Quanto peserebbe calcolata in sangue? Addurre che l’Europa in mezzo millennio non ha saputo generare ricchezze sufficienti a cancellare questo modico interesse sarebbe come ammettere il suo assoluto disastro finanziario e/o la demenziale irrazionalità delle basi del capitalismo.

 

Tuttavia queste questioni metafisiche non affliggono noi indioamericani Però chiediamo la firma immediata di una carta d’intenti che disciplini i popoli debitori del vecchio continente e li obblighi a far fede al loro impegno tramite una immediata privatizzazione o riconversione dell’Europa, perché ci venga consegnata per intero come primo pagamento di questo debito storico. Dicono i pessimisti del Vecchio Mondo che la loro civiltà versa in una bancarotta tale che gli impedisce di tener fede ai loro impegni finanziari o morali. In tal caso ci accontenteremo che ci paghino dandoci la pallottola con cui uccisero il poeta. Ma non potranno. Perché quella pallottola è il cuore dell’Europa» .

Guaicaipuro Cuautemoc

 

Questo è solo un esempio che ci mostra che, se dovessimo tenere conto del passato, avremmo ben molto da risanare. Del resto vogliamo accettare il passato così come è stato, perché in ciò c’è una profonda saggezza e perché non vogliamo fomentare rancori, odi e guerre.

Vogliamo però raggiungere una situazione nuova di uguaglianza, giustizia, fratellanza economica, nel rispetto delle individualità e delle diversità etniche e culturali.

Questo non si può raggiungere se permangono le situazioni attuali, che provengono dalle ingiustizie del passato, come le grandi masse di capitali, perché queste situazioni tendono a rigenerare i mali da cui provengono e generano conflitti e impossibilità di risolvere i problemi.

 

Sintesi sul furto delle ricchezze

 

Volendo sintetizzare quanto esposto fino a qui vediamo le seguenti tre cause principali per la situazione di povertà e disagi e di mancanza di benessere e benvivere

1) Il sistema monetario internazionale, con le sue banche centrali private e il suo sistema di emissione di credito bancario, come “moneta bancaria”, sequestra e gestisce ingenti ricchezze a favore di pochi. Accogliendo la moneta-debito l’umanità ha accolto anche un enorme peso sulla propria testa, che ne schiaccia l’iniziativa sana e libera.

2) Gli Usa sono stati e sono ancora, anche se con qualche difficoltà in questo ruolo, grandi sequestratori di ricchezza internazionale. Dietro ad essi si trovano organizzazioni “occulte” di persone.


La deriva dell' informazione made in Usa (30/04/2004)

 

Censura

 

di Peter Phillips e Project censored, traduzione di Eva Milan e Giuliana Lupi, Nuovi mondi, pp.437, 18,50 euro

 

[Recensione di Marco Maroni, pubblicata sul Diario n°16/2004]

 

La libertà d'informazione è uno dei cardini della democrazia. Ma, anche in paesi che si ritengono campioni delle libertà democratiche, l'informazione oggi non se la passa bene.

 

Da 27 anni un gruppo di ricerca della Sonoma State University (California), che si avvale della collaborazione di giornalisti e professori esterni tra cui il linguista Noarn Chomskye lo storico Howard Zinn, analizza lo stato dell'informazione statunitense.

 

Il gruppo si chiama Project censored. La parte più interessante del lavoro, una raccolta delle principali notizie censurate dai media, viene pubblicata con commenti e analisi. L'edizione di quest'anno (relativa ai fatti del 2003) è particolarmente corposa. Spiega il coordinatore della ricerca, Peter Phillips: «Il 2002 e il 2003 sono stati anni particolarmente pericolosi in quanto a censura e inganni. Così, oltre alle 25 storie più censurate, quest'anno abbiamo riunito il maggior numero di interventi di scrittori mai presentati in un volume di Project censored».

 

La hit parade delle storie più scomode per il potere e censurate dai grandi media lascia il lettore in uno stato di apprensione. Non come quello indotto dagli stessi media con l'enfatizzazione dei problemi della sicurezza nazionale e dell'incolumità dei cittadini, ma un'apprensione relativa, appunto, alle sorti delle libertà democratiche.

 

Si va dal piano congegnato dallo staff del segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, per provocare azioni terroristiche che giustifichino rappresaglie, al ruolo dell'amministrazione Bush nel fallito colpo di stato in Venezuela, all'inosservanza degli accordi internazionali da parte degli Stati Uniti, all'eliminazione di pagine del rapporto Onu sull'Iraq (quello che doveva servire per valutare un intervento militare), alla deliberata distruzione da parte delle forze Usa del sistema idrico iracheno.

 

Segue una puntuale analisi del sistema informativo americano. I mezzi di comunicazione di massa che appartengono ai grandi gruppi controllano gran parte delle fonti ufficiali d'Informazione. Il consolidamento nel settore ha ridotto a meno di una manciata i protagonisti del settore e questi si affidano sempre di più a contenuti prestabiliti. Un esempio del rapporto organico tra media e potere è quello dei giornalisti al seguito delle truppe americane in Iraq.

 

Reporter praticamente «arruolati», tanto che il termine anglosassone, «embedded», è entrato nell'uso comune. Questi giornalisti devono mantenere un rapporto collaborativo con le unità di cornando nel momento in cui preparano le notizie. Quelli che non si riconoscono nel ruolo di collaboratori, non hanno accesso protetto alle zone delle operazioni, vengono esclusi dai servizi (è successo anche al famoso Peter Arnett) e vanno incontro a maggior pericoli per la loro incolumità, oltre che per il loro posto di lavoro. Il risultato è un'informazione addomesticata e distorta. Meglio anzi chiamarla semplicemente disinformazione. Qualche volta le manipolazioni vengono smascherate.

 

È il caso del salvataggio del soldato Jessica Lynch, una messinscena confezionata dai vertici militari per ridare slancio all' immaginario guerriesco e patriottico americano in un momento di insuccessi e dubbi. Il raggiro fu svelato dalla britannica Bbc che, vale la pena ricordarlo, qualche mese dopo fu messa a sotto accusa per i servizi sull'autenticità delle informazioni diffuse dal premier Tony Blair sulle armi di distruzione di massa dell'Iraq, a tutt'oggi non trovate.

 

Particolarmente istruttivi per i lettori italiani sono i capitoli sui meccanismi della censura del ventunesimo secolo. Non si tratta più di censura esplicita e brutale, da regime totalitario. Le notizie vengono annullate con un procedimento più sottile. Per lo più, vengono annegate in un mare di informazioni innocue, futili, frivole o sensazionalistiche. Vengono ad esempio dedicati attenzione e spazio sproporzionati alle vicende private di personaggi famosi e si creano polemiche e dibattiti attorno a progmmmi televisivi d'intrattenimento.

 

Oppure, le notizie vengono rigirate in modo da diventare inoffensive, o controverse. C'è poi l'«abuso di notizie». Si prendono le tragedie strazianti e di paura e le si portano avanti il più a lungo possibile, anche in assenza di fatti nuovi da raccontare. Dicono gli autori: «Per la maggior parte degli americani, che dipendono dai grandi media per le notizie quotidiane, questo sistema informativo produce anemia intellettuale, passività e paura. Il risultato è una popolazione addomesricata, la cui principale funzione nella società è quella di tacere e andare a fare acquisti».

 

Il libro è un'analisi lucida e ben documentata della deriva dell' informazione di massa made in Usa. Un sistema dei media dove comunque sono rigidamente vietati i monopoli e i conflitti d'interesse. La mente del lettore italiano corre subito al confronto con la situazione di casa. Project censored è una lettura indispensabile per i giornalisti con senso critico e per chiunque si interessi ai problemi dell'informazione.

 


Le banche centrali e il controllo privato del denaro

 

Utilizzando le tecniche di riserva frazionale bancaria, i Rothschild ed i loro alleati iniziarono, sin dagli albori del 19mo secolo, a dominare le banche centrali in Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia. Estratto dal libro del video THE MONEY MASTERS: How International Bankers Gained Control of America. Pubblicato e riveduto nel 1998 da Royalty Production Company PO Box 114, Piedmont OK 73078, USA

www.themoneymasters.com

 

L’ascesa dei Rothschild

Francoforte, Germania. Nel 1743, cinquant’anni dopo che la Banca d’Inghilterra aveva aperto i battenti, un orafo di nome Amschel Moses Bauer inaugurò un conio di monete - un ufficio di contabilità - e sull’entrata collocò un’insegna rappresentante un’aquila Romana su uno scudo rosso; il negozio divenne noto come la ditta dello Scudo Rosso o, in lingua tedesca, Rothschild. Quando il figlio Mayer Amschel Bauer ereditò l’attività decise di cambiarsi il nome, assumendo per l’appunto quello di Rothschild. Mayer Rothschild imparò ben presto che prestare denaro a governi e monarchi era assai più vantaggioso che farlo nei confronti di singoli privati; non solo i prestiti erano di maggiore entità, ma venivano anche assicurati dalle tasse delle varie nazioni. Mayer Rothschild aveva cinque figli. Egli li addestrò tutti nelle segrete tecniche di creazione e manipolazione di denaro e quindi li inviò nelle principali capitali europee per aprire filiali della banca di famiglia. Le sue volontà stabilirono che uno dei figli di ogni generazione avrebbe diretto gli affari di famiglia; le donne erano escluse. Il primogenito di Mayer, Amschel, rimase a Francoforte per occuparsi della banca della città natale; il secondogenito, Salomon, fu spedito a Vienna; il terzo figlio, Nathan, che era chiaramente il più abile, fu mandato a Londra nel 1798, all’età di 21 anni, un secolo dopo la fondazione della Banca d’Inghilterra; il quarto figlio, Karl, si recò a Napoli; il quinto figlio, Jakob (James), andò a Parigi. Nel 1785 Mayer trasferì l’intera famiglia in un’abitazione più grande, un edificio a cinque piani condiviso con la famiglia Schiff; tale edificio era conosciuto col nome di casa dello Scudo Verde. I Rothschild e gli Schiff avrebbero avuto un ruolo di primaria importanza nella storia finanziaria dell’Europa, degli Stati Uniti e del resto del mondo; il nipote di Schiff si trasferì a New York ed aiutò a finanziare il colpo di stato bolscevico del 1917 in Russia.

 

I Rothschild si misero in affari con i reali europei a Wilhelmshöhe, la reggia dell’uomo più ricco della Germania - in effetti il monarca più ricco di tutta l’Europa - il Principe Guglielmo di Hesse-Cassel. All’inizio i Rothschild consigliavano Guglielmo soltanto in merito a speculazioni relative a monete preziose. Tuttavia, quando Napoleone costrinse il Principe Guglielmo all’esilio, quest’ultimo inviò a Londra a Nathan Rothschild 550.000 sterline (che all’epoca erano una somma enorme, equivalente a svariati milioni di dollari del giorno d’oggi) perché fossero impiegate per acquistare titoli consolidati - obbligazioni o titoli statali britannici - ma Rothschild utilizzò il denaro per i propri affari; con Napoleone in giro, le opportunità di investimenti bellici altamente remunerativi erano pressoché illimitate. Guglielmo ritornò a Wilhelmshöhe qualche tempo prima della battaglia di Waterloo del 1815; egli convocò i Rothschild e pretese la restituzione del suo denaro. I Rothschild restituirono il denaro di Guglielmo, con l’otto per cento di interesse che i titoli britannici gli avrebbero fruttato se l’investimento fosse stato effettivamente fatto; i Rothschild, però, tennero per sé gli ingenti profitti di guerra che avevano conseguito utilizzando il denaro di Guglielmo - losca pratica in ogni secolo. In parte con questi metodi, Nathan Rothschild riuscì a vantarsi, in seguito, di aver aumentato, in 17 anni trascorsi in Gran Bretagna, l’originale capitale di 20.000 sterline affidatogli dal padre di 2.500 volte, vale a dire fino a 50.000.000 sterline - una somma davvero considerevole per quei tempi, comparabile al potere d’acquisto di miliardi di dollari dei nostri giorni.

 

Agli inizi del 1817, il ministro del Tesoro Prussiano, nel corso di una visita a Londra, scrisse che Nathan Rothschild aveva:

...una incredibile influenza su tutte le transazioni finanziarie qui a Londra.  Viene ampiamente affermato...che egli regola completamente il tasso di cambio nella City. Il suo potere in quanto banchiere è enorme.  Nel 1818 il segretario del principe austriaco Metternich, scrivendo dei Rothschild, affermava che:

...essi sono le persone più ricche d’Europa.

 

Le banche dei Rothschild, cooperando all’interno della famiglia e utilizzando le tecniche di riserva frazionale bancaria, divennero incredibilmente ricche. Verso la metà del 1800 essi dominavano tutto il sistema bancario europeo ed erano sicuramente la famiglia più ricca del mondo; una considerevole parte della dissoluta nobiltà europea era fortemente indebitata con loro.  In virtù della loro presenza come banchieri in cinque nazioni, i Rothschild erano in effetti autonomi, un’entità indipendente dai paesi nei quali operavano.  Se le direttive politiche di una nazione non favorivano loro o i loro interessi, essi potevano semplicemente non concedere ulteriori crediti in loco, oppure concederne a quelle nazioni o gruppi che contrastavano tali direttive. Soltanto loro erano a conoscenza dei luoghi in cui erano depositate le loro riserve d’oro e di altro genere, così da essere protetti da confische, multe, pressioni o tassazioni governative, rendendo così ogni revisione dei conti o indagine nazionale effettivamente insensata; soltanto loro erano a conoscenza dell’abbondanza (o della scarsità) delle proprie riserve frazionali, sparpagliate in cinque nazioni - il che rappresentava un enorme vantaggio rispetto a semplici banche nazionali impegnate a costituire una riserva frazionale.  Fu proprio il carattere internazionale delle banche dei Rothschild che conferì loro dei vantaggi unici sulle banche nazionali e sui governi; e questo fu esattamente ciò che i legislatori e i parlamenti nazionali avrebbero dovuto proibire, cosa che però non fecero. Tale situazione rimane inalterata per quanto riguarda le banche internazionali o multinazionali proprie dei nostri tempi e costituisce la forza trainante della globalizzazione - la spinta verso un governo mondiale. I Rothschild concessero enormi prestiti per acquisire monopoli in svariate industrie, garantendo in questo modo la capacità dei debitori di restituire i prestiti alzando i prezzi senza paura della concorrenza, incrementando al contempo il potere politico ed economico dei Rothschild. Essi finanziarono Cecil Rhodes, consentendogli di instaurare un monopolio sui terreni auriferi del Sudafrica e sui diamanti DeBeers; in America finanziarono la monopolizzazione delle ferrovie.

 

La National City Bank di Cleveland, che nel corso delle udienze congressuali è stata riconosciuta come una delle tre banche dei Rothschild negli Stati Uniti, ha fornito a John D. Rockefeller il capitale per iniziare la sua monopolizzazione nel settore della raffinazione del petrolio, cosa che ha poi portato alla fondazione della Standard Oil. Jacob Schiff, nato nella casa dello Scudo Verde dei Rothschild a Francoforte e quindi loro agente principale negli Stati Uniti, consigliò Rockefeller e architettò il famigerato accordo di rimborso che quest’ultimo richiese segretamente ai petrolieri rivali che trasportavano per ferrovia. Queste stesse ferrovie erano già state monopolizzate dal controllo dei Rothschild tramite gli agenti ed alleati J. P. Morgan e Kuhn, Loeb & Company (Schiff faceva parte del Consiglio) che, assieme, controllavano il 95% di tutta la percorrenza delle ferrovie statunitensi. Nel 1850 si stimò che il capitale di James Rothschild, erede del ramo francese della famiglia, ammontasse a 600 milioni di franchi francesi - cioè 150 milioni in più di tutti gli altri banchieri di Francia messi assieme. James era stato collocato a Parigi da Mayer Amschel nel 1812 con un capitale di 200.000 dollari; all’epoca della sua morte, nel 1868, cinquantasei anni più tardi, il suo reddito annuale ammontava a 40.000.000 di dollari. In quel periodo in America non vi era fortuna che eguagliasse nemmeno il reddito di un solo anno di James.

 

Il poeta Heinrich Heine riferendosi a James Rothschild disse:

Il denaro è il dio dei nostri tempi, e Rothschild è il suo profeta.  James costruì la sua favolosa magione, chiamata Ferrières, 19 miglia a nordest di Parigi. Guglielmo I, vedendola per la prima volta, esclamò:

I Re non possono permettersi una cosa del genere. Può appartenere solo ad un Rothschild!

Un altro commentatore francese del 19mo secolo la mette in questi termini:

C’è un unico potere in Europa, ed è quello dei Rothschild.  Non vi è alcun indizio che il ruolo predominante dei Rothschild nella finanza europea o mondiale sia mutato; al contrario, con l’aumentare della loro ricchezza, essi hanno semplicemente incrementato la loro ‘passione per l’anonimato’.  I loro vasti possedimenti raramente ne riportano il nome.

Lo scrittore Frederic Morton ha scritto che i Rothschild avevano:

...conquistato il mondo in modo più completo, più astuto e molto più durevole di quanto non abbiano fatto in precedenza tutti i Cesari...

 

La Rivoluzione Americana

Prendiamo ora in considerazione gli esiti prodotti dalla Banca d’Inghilterra sull’economia britannica e vediamo come ciò, in seguito, abbia rappresentato la causa principale della Rivoluzione Americana. Verso la metà del 1700, l’Impero Britannico si stava avvicinando all’apice del suo potere nel mondo. A partire dalla fondazione della propria banca centrale di proprietà privata, la Gran Bretagna aveva combattuto quattro guerre in Europa, il cui costo era stato elevato; per finanziare tali guerre il parlamento inglese, invece di emettere la propria valuta senza interessi, aveva contratto pesanti debiti con la banca. Alla metà del 18mo secolo il debito del governo britannico ammontava a 140.000.000 di sterline – una somma sbalorditiva per quell’epoca. Di conseguenza il governo, alfine di pagare gli interessi alla banca, intraprese un programma di prelievo fiscale dalle proprie colonie in America. In America, però, la situazione era diversa. Il flagello di una banca centrale di proprietà privata non vi era ancora arrivato, sebbene la Banca d’Inghilterra dal 1694 esercitasse la sua rovinosa influenza sulle colonie americane. Quattro anni prima, nel 1690, la colonia della Baia del Massachusetts aveva stampato la propria valuta cartacea - primo caso in America - seguita nel 1703 dalla South Carolina e quindi dalle altre colonie. In quel periodo l’America pre-rivoluzionaria era ancora relativamente povera. Vi era una grave penuria di monete metalliche preziose da utilizzare per l’acquisto di beni, così i primi coloni venivano costretti in misura sempre maggiore a sperimentare la stampa della propria valuta cartacea locale; alcuni fra questi esperimenti ebbero successo ed in alcune colonie, come valuta di scambio, venne usato il tabacco. Nel 1720, ad ogni Governatore Reale coloniale fu ordinato di limitare l’emissione di valuta coloniale, tuttavia questo provvedimento venne largamente disatteso.  Nel 1742, il British Resumption Act stabiliva che le tasse e i debiti di altro genere fossero corrisposti in oro; ciò provocò una depressione nelle colonie e i ricchi pignorarono, corrispondendo un decimo del loro valore reale, tutte le proprietà.

 

Benjamin Franklin fu un grande sostenitore della stampa della propria valuta cartacea da parte delle colonie; egli, nel 1757, fu inviato a Londra per rivendicare tale diritto e finì col rimanervi per i successivi 18 anni - quasi fino all’inizio della Rivoluzione Americana. Nell’arco di questo periodo, un numero crescente di colonie americane ignorò le prescrizioni del Parlamento e cominciò ad emettere la propria valuta, chiamata ‘buono coloniale’; il tentativo fu coronato dal successo, con notevoli eccezioni. Il buono coloniale rappresentava un affidabile mezzo di scambio e, inoltre, aiutava a suscitare un sentimento di unità fra le colonie. Ricordate che il buono coloniale era perlopiù valuta cartacea, non gravata da debiti, stampata nel pubblico interesse e non sostenuta realmente da riserve d’oro o d’argento; in altri termini, si trattava di moneta a corso forzoso.

I funzionari della Banca d’Inghilterra chiesero a Franklin in che modo potesse spiegare la ritrovata prosperità delle colonie ed egli, senza esitazioni, rispose:

La questione è semplice. Nelle colonie noi emettiamo la nostra valuta, che si chiama buono coloniale. La emettiamo in quantità appropriata rispetto alla domanda commerciale e industriale per far sì che i prodotti passino facilmente dal produttore al consumatore... In questo modo, creando per noi stessi la nostra valuta, ne controlliamo il potere d’acquisto e non dobbiamo pagare interessi a nessuno. Questo per Franklin era semplicemente buonsenso, potete tuttavia immaginare l’effetto che ebbe sulla Banca d’Inghilterra. L’America aveva scoperto il segreto del denaro e il genio doveva tornarsene nella bottiglia il prima possibile. Il risultato fu che il Parlamento approvò in fretta e furia il Currency Act del 1764, provvedimento che vietava ai funzionari delle colonie di emettere la propria valuta e ordinava loro di pagare tutte le tasse a venire con monete d’oro o d’argento; in altri termini costringeva le colonie ad adeguarsi agli standard in oro e argento. Questo diede origine alla prima intensa fase della Prima Guerra Bancaria in America - risoltasi con la sconfitta dei Cambiavalute - che iniziò con la Dichiarazione di Indipendenza e si concluse col successivo trattato di pace, il Trattato di Parigi del 1783. Per coloro che ritengono che uno standard in oro sia la soluzione degli attuali problemi monetari americani, consideriamo quello che accadde in America dopo l’approvazione del Currency Act del 1764. Franklin, nella sua autobiografia, scrisse: “Nel giro di un anno la situazione si era rovesciata al punto che l’era di prosperità era terminata lasciando il posto alla depressione, in misura tale che le strade delle Colonie traboccavano di disoccupati”.

Franklin afferma che ciò costituì anche la causa principale della Rivoluzione Americana; sempre dalla sua autobiografia:

Le Colonie avrebbero sopportato di buon grado la ridotta tassa sul tè ed altre materie, se l’Inghilterra non avesse tolto alle Colonie stesse la loro valuta, creando così disoccupazione e malcontento.

Nel 1774, il Parlamento approvò lo Stamp Act, il quale prescriveva l’apposizione, su ogni atto commerciale, di un bollo che attestasse il pagamento di una tassa in oro - cosa che ancora una volta minacciava la valuta cartacea coloniale; meno di due settimane più tardi, il Massachusetts Committee of Safety promulgò una risoluzione a favore dell’emissione di ulteriore valuta coloniale e di riconoscimento della valuta delle altre colonie. Il 10 e il 22 giugno 1775, il Congresso delle Colonie decise l’emissione di 2 milioni di dollari in valuta cartacea in base al credito e alla fiducia delle “Colonie Unite”. Tale decisione disobbediva alla Banca d’Inghilterra e al Parlamento e rappresentò un atto di sfida, il rifiuto di accettare un sistema monetario ingiusto nei confronti degli abitanti delle colonie. Così gli attestati di credito (cioè la valuta cartacea) che gli storici ignoranti o prevenuti hanno sminuito considerandoli strumenti di una politica finanziaria incosciente, erano in effetti i principi della Rivoluzione; anzi, erano più di questo: erano la Rivoluzione stessa. (Alexander Del Mar, storico)

 

Quando, il 19 aprile 1775, furono sparati i primi colpi a Concord e Lexington, Massachusetts, le colonie erano state prosciugate dell’oro e dell’argento dalla tassazione britannica; come risultato, il governo continentale per finanziare la guerra non ebbe altra scelta se non quella di stampare la propria valuta cartacea. All’inizio della Rivoluzione la fornitura di denaro coloniale americano si attestava intorno ai 12 milioni di dollari; alla fine della guerra raggiunse quasi i 500 milioni. Questo fu in parte dovuto ad una massiccia contraffazione britannica il cui esito fu di rendere la valuta virtualmente senza valore; un paio di scarpe costava 5.000 dollari. Come lamentava George Washington: “Un vagone carico di denaro riuscirà a fatica ad acquistare un vagone carico di approvvigionamenti”. In precedenza il buono coloniale aveva funzionato in quanto veniva emessa una quantità di valuta appena sufficiente a facilitare il commercio, mentre la contraffazione era irrisoria. Oggi, coloro che sostengono una valuta basata sulle riserve d’oro, indicano questo periodo della Rivoluzione per dimostrare gli svantaggi di una moneta a corso forzoso.

Ricordate, comunque, che quella stessa valuta, in precedenza, aveva funzionato così bene vent’anni prima in tempo di pace che la Banca d’Inghilterra l’aveva fatta rendere illegale dal Parlamento e che, durante la guerra, gli Inglesi cercarono deliberatamente di scalzarla contraffacendola in Inghilterra e spedendola ‘a balle’ nelle colonie.

 

La Banca del Nord Americana

Verso la fine della Rivoluzione, il Congresso continentale, riunitosi presso l’Indipendence Hall di Filadelfia, si trovò ad avere un bisogno disperato di fondi. Nel 1781 essi permisero a Robert Morris, loro Soprintendente Finanziario, di aprire una banca centrale di proprietà privata, nella speranza che la cosa potesse essere di qualche utilità. Fra parentesi Morris era un benestante il quale, commerciando in materiale bellico durante la Rivoluzione, si era ulteriormente arricchito. La nuova banca, la Bank of North America, ricalcava da vicino il modello della Banca d’Inghilterra; ad essa venne consentita (o, piuttosto, non venne proibita) la pratica della riserva frazionale bancaria, ovvero poteva prestare denaro che non aveva e quindi applicare su di esso gli interessi. Se io o voi facessimo una cosa del genere saremmo accusati di frode - cioè di un crimine. A quell’epoca ben pochi compresero tale pratica e, naturalmente, essa venne tenuta nascosta il più possibile al pubblico e ai politici; per di più alla banca fu assegnato il monopolio di emettere banconote, accettabili per il pagamento delle tasse.  Lo statuto della banca richiedeva la costituzione di un capitale iniziale di 400.000 dollari versati da investitori privati. Quando però Morris si rivelò incapace di trovare il denaro, egli utilizzò sfacciatamente la sua influenza politica per ottenere che venisse depositato dell’oro nella sua banca - oro che era stato prestato all’America dalla Francia. Egli prestò a sé stesso e ai suoi amici questo denaro per reinvestirlo nelle azioni della banca; la Seconda Guerra Bancaria Americana era iniziata. Presto i pericoli diventarono evidenti. Il valore della valuta americana continuò a precipitare e quattro anni più tardi, nel 1785, il documento di concessione della banca non venne riconfermato, mettendo fine alla minaccia dello strapotere della banca stessa; così la Seconda Guerra Bancaria Americana si risolse velocemente in una sconfitta dei Cambiavalute.  Il leader di questo efficace sforzo per affossare la banca fu un patriota di nome William Findley, della Pennsylvania, che spiegò il problema nel modo seguente:

Questa istituzione, non avendo altro principio che la cupidigia, non cambierà mai i propri obiettivi... monopolizzare tutta la ricchezza, il potere e l’influenza dello stato.

 

La plutocrazia, una volta attestatasi, avrebbe corrotto la legislatura in modo che le leggi sarebbero state formulate a suo vantaggio e l’amministrazione della giustizia avrebbe favorito i ricchi. Gli uomini dietro alla Banca del Nord America - Alexander Hamilton, Robert Morris ed il Presidente della Banca, Thomas Willing - non si diedero per vinti.  Solo sei anni più tardi Hamilton, all’epoca Ministro del Tesoro, ed il suo mentore Morris, tramite il nuovo Congresso fondarono una nuova banca centrale di proprietà privata, la Prima Banca degli Stati Uniti; Thomas Willing, ancora una volta, ne rivestì il ruolo di Presidente. I giocatori erano gli stessi, soltanto il nome della banca era cambiato.

 

L’Assemblea Costituente

Nel 1787 i leader coloniali si riunirono a Filadelfia per cambiare i nefasti Articoli della Confederazione. Come abbiamo visto in precedenza, sia Thomas Jefferson che James Madison erano fermamente contrari ad una banca centrale di proprietà privata; avevano visto i problemi causati dalla Banca d’Inghilterra e non volevano niente del genere. Come Jefferson sostenne in seguito:

“Se il popolo americano permetterà mai che banche private controllino l’emissione della sua valuta, le banche e le corporazioni che prolificano intorno ad esse, prima tramite l’inflazione e poi tramite la deflazione, priveranno il popolo di tutte le sue proprietà fino al momento in cui i figli si ritroveranno senza tetto nel continente conquistato dai padri”.

 

Nel corso del dibattito sul futuro sistema monetario, un altro dei padri fondatori, Gouvenor Morris, presiedeva il comitato che stese la bozza finale della Costituzione; Morris conosceva bene le ragioni dei banchieri.  Insieme al suo vecchio capo, Robert Morris, Gouvenor Morris e Alexander Hamilton erano quelli che avevano presentato il progetto originale della Banca del Nord America al Congresso continentale tenutosi durante l’ultimo anno della Rivoluzione. Gouvenor Morris, in una lettera scritta a James Madison in data 2 luglio 1787, rivelava ciò che stava accadendo in realtà:

“I ricchi lotteranno per affermare il proprio dominio e conquistare il resto. Lo hanno sempre fatto e sempre lo faranno... Essi avranno qui gli stessi effetti che altrove se noi, tramite il potere del governo, non li circoscriveremo ai loro ambiti specifici.”

 

Nonostante la defezione di Gouvenor Morris dai ranghi dei banchieri, Hamilton, Robert Morris, Thomas Willing e i loro sostenitori europei non avrebbero abbandonato i loro propositi; essi convinsero il grosso dei delegati dell’Assemblea Costituente di non accordare al Congresso il potere di emettere valuta cartacea.  La maggior parte dei delegati era ancora scossa dalla selvaggia inflazione della valuta cartacea verificatasi nel corso della Rivoluzione ed essi avevano dimenticato come aveva egregiamente funzionato il buono coloniale prima della guerra. La Banca d’Inghilterra invece no; i Cambiavalute non potevano permettere che l’America stampasse di nuovo la propria moneta. Molti ritenevano che il Decimo Emendamento, il quale riservava dei poteri agli stati che non erano ammessi dalla Costituzione al governo federale, rendesse incostituzionale l’emissione di valuta cartacea da parte del governo federale, in quanto il potere di emettere valuta cartacea nella Costituzione non era specificatamente affidato al governo federale stesso. La Costituzione a questo proposito non si pronuncia; essa, tuttavia, proibiva in modo specifico ai singoli Stati di “emettere certificati di credito” (valuta cartacea).  La maggior parte degli artefici intendeva il silenzio della Costituzione nel senso di impedire al nuovo governo federale di avere il potere di autorizzare la creazione di valuta cartacea; infatti, il Giornale dell’Assemblea del 16 agosto recita così:

É stato proposto ed appoggiato di cancellare le parole ‘ed emettere certificati di credito’ e la mozione...é passata con risposta affermativa.  Tuttavia Hamilton e i suoi amici banchieri videro questo silenzio come l’opportunità di tenere il governo fuori dalla creazione della valuta cartacea, che speravano di monopolizzare privatamente. Così sia i delegati a favore che quelli contrari ai banchieri, con motivazioni opposte, appoggiarono, con uno scarto di quattro a uno, la mozione per lasciare fuori dalla Costituzione qualsiasi autorità del governo federale relativa alla creazione di valuta cartacea. Questa ambiguità lasciò la porta aperta ai Cambiavalute - proprio come essi avevano pianificato.  Naturalmente la carta moneta non rappresentava di per sé il problema principale.  Il problema più rilevante era il prestito di riserva frazionale, poiché esso moltiplicava per molte volte qualsiasi inflazione causata da una eccessiva emissione di valuta cartacea; questo, tuttavia, non veniva compreso da molti, laddove le ricadute negative causate da una smodata produzione di valuta invece lo erano.

 

Gli estensori, relativamente alla loro convinzione che proibire la valuta cartacea fosse un buon fine da perseguire, furono ben consigliati. La proibizione di tutta la valuta cartacea avrebbe fortemente limitato la riserva frazionale bancaria allora praticata, poiché l’uso di assegni era minimo e si può presumere che sarebbe stato proibito anch’esso. I prestiti bancari però, creati come registri, non furono presi in considerazione e quindi non vennero proibiti. Nel momento in cui si verificò tale situazione, i governi statale e federale furono largamente intesi come non autorizzati a creare denaro, al contrario delle banche private - sostenendo che tale potere, non essendo specificamente vietato, veniva riservato ai cittadini (incluse persone giuridiche, quali banche società per azioni). Il ragionamento opposto affermava che le corporazioni bancarie erano strumenti o agenzie degli stati che le ospitavano e quindi doveva essere loro negato di “emettere attestati di credito”, così come accadeva per gli stati stessi. Tale ragionamento venne ignorato dai banchieri, i quali proseguirono a emettere banconote basate sulle riserve frazionali, e perse tutta la sua forza una volta che la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì che anche il governo federale avrebbe potuto concedere uno statuto ad una banca abilitata ad emettere valuta.  Alla fine solo agli stati venne proibito di emettere valuta, cosa che invece non fu negata né alle banche private né ai Comuni (come accadde in circa 400 città durante la Grande Depressione). Un altro errore che spesso non viene compreso riguarda l’autorità concessa al governo federale di “coniare monete” e di “regolamentarne il valore”.  Regolamentare il valore della moneta (vale a dire il suo potere d’acquisto o valore relativo ad altri parametri o beni) non ha niente a che fare con la qualità o il contenuto (cioè un tot di parti di rame o di oro etc.) bensì con la sua quantità - la riserva di denaro; è la quantità a determinarne il valore ed il Congresso non ha mai legiferato sulla quantità totale di denaro negli Stati Uniti. Una legislazione su una fornitura generale di denaro (compresi assegni, valuta e tutti i depositi bancari) in effetti regolamenterebbe il valore (potere d’acquisto) di ogni dollaro e quindi una legislazione relativa al tasso di crescita della riserva monetaria ne determinerebbe il valore futuro. Il Congresso non ha mai legiferato in nessuno di questi due ambiti, sebbene disponga chiaramente dell’autorità costituzionale per farlo; esso ha rimesso questa funzione alla Federal Reserve e alle 10.000 e più banche che creano le nostre riserve monetarie.

 

La Prima Banca degli Stati Uniti

Nel 1790, meno di tre anni dopo che la Costituzione era stata ratificata, i Cambiavalute colpirono di nuovo. Il Ministro del Tesoro appena nominato, Alexander Hamilton, propose al Congresso un progetto di legge che prevedeva la fondazione di una nuova banca centrale di proprietà privata.  Stranamente era lo stesso anno in cui Mayer Rothschild dalla sua banca ammiraglia di Francoforte fece la seguente dichiarazione:

“Lasciate che io emetta e controlli il denaro di una nazione e non mi interesserò di chi ne formula le leggi”.

 

Alexander Hamilton era uno strumento dei banchieri internazionali; egli voleva creare un’altra banca centrale privata, la Banca degli Stati Uniti, e così fece; convinse Washington a firmare il progetto di legge, nonostante le riserve dello stesso Washington e l’opposizione di Jefferson e Madison.  Per convincere Washington, Hamilton accampò la motivazione dei “poteri implicati”, da allora così spesso utilizzata per svuotare la Costituzione del suo contenuto.  Jefferson predisse correttamente le disastrose conseguenze dovute all’apertura di un tale vaso di Pandora, che avrebbe permesso ai giudici di “implicare” qualsiasi cosa andasse loro a genio.

Risulta interessante il fatto che uno dei primi lavori di Hamilton dopo il conseguimento, nel 1782, della laurea in giurisprudenza, fu quello di consigliere di Robert Morris, capo della Banca del Nord America. In effetti Hamilton, l’anno precedente, aveva scritto a Morris una lettera in cui diceva:

“Un debito nazionale, se non è eccessivo, sarà una benedizione nazionale”.

 

Una “benedizione” per chi?

Nel 1791, dopo un anno di intenso dibattito, il Congresso approvò il progetto di legge di Hamilton e gli conferì uno statuto ventennale; la nuova banca si sarebbe chiamata First Bank of the United States (Prima Banca degli Stati Uniti), o BUS; così iniziò la Terza Guerra Bancaria Americana.  La sede centrale della Prima Banca degli Stati Uniti si trovava a Filadelfia. La banca fu autorizzata a stampare denaro e a concedere prestiti sulla base delle riserve frazionali, anche se l’ottanta per cento delle sue azioni era di proprietà di azionisti privati; il restante 20% sarebbe stato acquistato dal Governo degli Stati Uniti, ma la ragione non era quella di dare al governo una parte nella faccenda: si trattava di fornire il capitale iniziale dell’ottanta per cento agli altri possessori .

Così come per la Banca del Nord America e la Banca d’Inghilterra prima di allora, gli azionisti non pagarono mai l’ammontare complessivo delle loro azioni; il Governo degli Stati Uniti corrispose i suoi iniziali 2.000.000 di dollari in contanti e poi la banca, tramite l’antica magia del prestito sulla base delle riserve frazionali, concesse prestiti ai suoi investitori statutari in modo che essi potessero disporre dei rimanenti 8.000.000 di dollari di capitale necessari per questo investimento esente da rischi. Come per la Banca d’Inghilterra, il nome della banca - la Banca degli Stati Uniti - fu scelto deliberatamente per occultare il fatto che era controllata da privati e, sempre come nel caso della Banca d’Inghilterra, i nomi degli investitori non furono mai resi noti. La banca fu presentata al Congresso come un mezzo per garantire stabilità al sistema bancario e per eliminare l’inflazione. Cosa accadde? Nel corso dei primi cinque anni di attività, il Governo degli Stati Uniti prese a prestito dalla Prima Banca degli Stati Uniti 8,2 milioni di dollari; in quel periodo i prezzi lievitarono del 72%. Jefferson, nuovo Segretario di Stato, assistette a tale evento con tristezza e frustrazione, incapace di fermarlo:

“Vorrei che fosse possibile ottenere un singolo emendamento alla nostra Costituzione, che impedisse al governo federale di prendere denaro in prestito”.

 

Il Presidente Adams denunciò l’emissione di banconote private come una frode a scapito del pubblico e, in questa ottica, era sostenuto da tutta l’opinione pubblica conservatrice del suo tempo. Perché continuare a dare in appalto a banche private, in cambio di nulla, una prerogativa del governo?  Milioni di americani oggi provano la stessa sensazione; essi osservano, frustrati, mentre il governo federale porta il contribuente americano nell’oblio - prendendo a prestito da ricchi e banche private quel denaro che il governo ha l’autorità e il dovere di emettere da sé, senza interessi.  Così, sebbene si chiamasse la Prima Banca degli Stati Uniti, non si trattava del primo tentativo di fondare una banca centrale di proprietà privata negli USA.  Così come per le altre due, la Banca d’Inghilterra e la Banca del Nord America, il governo fornì il capitale per avviare questa banca privata e quindi i banchieri si prestarono l’un l’altro il denaro per acquistare le rimanenti azioni della banca stessa. Si trattò di una truffa, pura e semplice - ed essi non sarebbero stati in grado di protrarla a lungo.

 

L’ascesa del potere in Francia

Ora dobbiamo ritornare in Europa per vedere come un singolo individuo fu in grado di manipolare l’intera economia britannica ottenendo le prime notizie della sconfitta finale di Napoleone. Nel 1800 a Parigi la Banca di Francia era organizzata secondo schemi simili a quelli della Banca d’Inghilterra. Napoleone, però, decise che la Francia doveva liberarsi dei propri debiti; egli non si fidò mai della Banca di Francia, anche quando collocò alcuni dei suoi parenti nel consiglio direttivo.  Napoleone dichiarò che quando un governo dipende dai banchieri per ottenere del denaro, i banchieri - e non i rappresentanti del governo - detengono il controllo: “La mano che dà sta sopra quella che prende. Il denaro non ha patria; i finanzieri non hanno né decenza né patriottismo: il loro unico scopo è il guadagno”.

Egli intuì chiaramente i pericoli ma non intravide le appropriate contromisure o soluzioni.

Tornando in America, l’aiuto inatteso stava per giungere. Nel 1800 Thomas Jefferson sconfisse di stretta misura John Adams nella corsa alla terza presidenza degli Stati Uniti e, nel 1803, Jefferson e Napoleone avevano stipulato un accordo, secondo il quale gli USA avrebbero pagato 3.000.000 di dollari in oro in cambio di un vasto territorio ad ovest del fiume Mississippi; l’acquisto della Louisiana. Con quei tre milioni di dollari in oro, Napoleone mise velocemente in piedi un esercito e iniziò a scorrazzare in Europa, conquistando tutto ciò che trovava sul suo cammino. Tuttavia l’Inghilterra e la Banca d’Inghilterra si apprestarono in fretta ad opporglisi e finanziarono ogni nazione sul suo cammino, raccogliendo gli enormi profitti di guerra; la Prussia, l’Austria ed infine la Russia si indebitarono pesantemente nel futile tentativo di fermare Napoleone. 

Quattro anni più tardi, mentre il grosso dell’esercito francese si trovava in Russia, il trentenne Nathan Rothschild - direttore dell’ufficio londinese della propria famiglia - si incaricò personalmente di un ardito piano per contrabbandare una spedizione assai necessaria di oro proprio attraverso la Francia, il cui scopo era finanziare un attacco dalla Spagna da parte del britannico Duca di Wellington. Nathan in seguito nel corso di una cena con amici si vantò del fatto che quello era il migliore affare che avesse mai fatto. Egli guadagnò denaro per ogni fase della spedizione; non sapeva ancora che nel prossimo futuro avrebbe fatto di meglio. Gli attacchi di Wellington da sud ed altre sconfitte alla fine costrinsero Napoleone ad abdicare; Luigi XVIII fu incoronato Re e Napoleone esiliato nell’isola d’Elba, presumibilmente per sempre.

 

La fine della Prima Banca degli Stati Uniti e la Guerra del 1812

Mentre Napoleone si trovava in esilio, temporaneamente sconfitto dall’Inghilterra con l’aiuto finanziario dei Rothschild, anche l’America stava cercando di liberarsi della propria banca centrale. Nel 1811 fu presentato al Congresso un progetto di legge per rinnovare lo statuto della Banca degli Stati Uniti; il dibattito divenne incandescente ed entrambi i corpi legislativi della Pennsylvania e della Virginia avanzarono delle mozioni che richiedevano al Congresso di porre fine alla vita della banca.  Gli uffici stampa dell’epoca attaccarono apertamente la banca, definendola “una grande truffa”, un “avvoltoio”, una “vipera” e un “cobra”; ah, se avessimo di nuovo una stampa indipendente in America! Un congressista di nome P. B. Porter attaccò la banca dal pavimento del Congresso, avvertendo profeticamente che, se lo statuto della banca fosse stato rinnovato, il Congresso “avrà allevato nel seno di questa Costituzione una vipera che un giorno o l’altro colpirà al cuore le libertà di questa nazione”.  Le prospettive per la banca non erano delle più rosee. Alcuni scrittori hanno affermato che Nathan Rothschild avvertì che se lo statuto della banca non fosse stato rinnovato, gli Stati Uniti si sarebbero trovati coinvolti in una guerra tra le più disastrose; questo però non fu sufficiente. Una volta che il fumo si era disperso, il progetto di rinnovamento fu sconfitto alla Camera da un solo voto e si arrestò al Senato. All’epoca alla Casa Bianca c’era James Madison, quarto Presidente degli Stati Uniti, il quale - ricorderete - era un convinto avversario della banca. Il suo Vice Presidente, George Clinton, ruppe un legame in Senato e consegnò la Prima Banca degli Stati Uniti - la seconda banca centrale di proprietà privata in territorio americano - all’oblio. Così la Terza Guerra Bancaria Americana, durata vent’anni, si concluse con la sconfitta dei Cambiavalute.  Nel giro di cinque mesi, così come si dice avesse predicato Rothschild, L’Inghilterra attaccò gli Stati Uniti ed iniziò la guerra del 1812 la quale, essendo gli Inglesi ancora impegnati a combattere Napoleone, terminò nel 1814 senza vincitori né vinti. Risulta interessante notare che, nel corso di questa guerra, la Tesoreria degli USA stampò una certa quantità di valuta cartacea governativa per finanziare lo sforzo bellico - evento che non si sarebbe più ripetuto fino alla Guerra Civile.  Sebbene i Cambiavalute fossero temporaneamente sconfitti, non stavano comunque con le mani in mano; sarebbero bastati loro soltanto altri due anni per presentare una quarta banca centrale privata, più grande e più forte di quella precedente.

 

1815: La battaglia di Waterloo

Torniamo ora per un momento a Napoleone. Questo episodio dimostra appropriatamente la furbizia della famiglia Rothschild nell’acquisizione del controllo del mercato azionario inglese dopo Waterloo.  Nel 1815, un anno dopo la fine della guerra del 1812, Napoleone fuggì dal proprio esilio e ritornò a Parigi. Delle truppe francesi furono inviate a catturarlo, ma il suo carisma era tale che i soldati accorsero in aiuto del loro vecchio comandante e lo acclamarono di nuovo come loro Imperatore; Napoleone tornò a Parigi come un eroe. Re Luigi scappò in esilio e Napoleone ascese nuovamente al trono di Francia – stavolta senza che venisse sparato nemmeno un colpo.

Nel marzo del 1815, Napoleone mise in piedi un esercito che l’inglese Duca di Wellington sconfisse meno di 90 giorni più tardi a Waterloo. Egli prese a prestito cinque milioni di sterline dalla banca Ouvard di Parigi per riarmare le truppe; nondimeno, da allora in avanti, non fu più inusuale che banche centrali a controllo privato in una guerra finanziassero entrambi i contendenti.  Perché una banca centrale in una guerra dovrebbe finanziare i fronti opposti?  Perché la guerra è il più grande generatore di debiti in assoluto. Una nazione per vincere prenderà a prestito qualsiasi somma. Al perdente finale viene prestato solo quel tanto sufficiente a conservare una vaga speranza di vittoria, mentre al vincitore finale viene dato quanto basta a vincere. Oltre a ciò, i prestiti di questo tipo vengono normalmente concessi con la garanzia che il vincitore onorerà i debiti dello sconfitto; solo i banchieri non possono perdere.  Il luogo della battaglia di Waterloo si trova a circa 200 miglia a nordest di Parigi, nell’attuale Belgio; lì Napoleone subì la sua ultima sconfitta, tuttavia non prima che migliaia di francesi e inglesi perdessero le proprie vite in un umido mattino del giugno del 1815. Quel giorno, il 18 giugno, 74.000 soldati francesi si scontrarono con 67.000 soldati britannici e di altre nazioni europee; l’esito era sicuramente incerto e, in effetti, se Napoleone avesse attaccato qualche ora prima, probabilmente avrebbe vinto la battaglia.

 

Tuttavia, indipendentemente da chi fossero i vincitori e i perdenti, Nathan Rothschild di ritorno a Londra utilizzò l’opportunità di acquisire il controllo del mercato azionario britannico; i Rothschild contestano aspramente il resoconto che segue.

Rothschild piazzò sul lato nord del campo di battaglia, vicino alla Manica, un agente fidato, tale Rothworth. Una volta che l’esito della battaglia fu deciso, Rothworth si diresse verso la Manica e diede a Nathan Rothschild le notizie fresche ventiquattr’ore prima del corriere personale di Wellington.  Rothschild si recò velocemente alla Borsa e occupò il suo posto usuale di fronte a un’antica colonna; tutti gli occhi erano su di lui. I Rothschild disponevano di una leggendaria rete di comunicazione. Se Wellington era stato sconfitto e Napoleone di nuovo in giro per il continente, la situazione finanziaria britannica avrebbe preso certamente una pessima piega. Rothschild appariva affranto, se ne stava immobile, gli occhi rivolti a terra. Poi, improvvisamente, iniziò a vendere. Gli altri nervosi investitori videro che Rothschild stava vendendo; questo poteva significare solo una cosa: Napoleone doveva aver vinto e Wellington doveva essere stato sconfitto. La Borsa andò a picco. Ben presto tutti si trovarono a vendere i propri titoli consolidati - obbligazioni del governo inglese ed altre azioni - e i prezzi calarono. Poi Rothschild ed i suoi alleati finanziari iniziarono segretamente a comprare tramite i propri agenti.  Pensate che si tratti di un mito, di una leggenda? Un centinaio di anni dopo, il New York Times riportò la notizia secondo cui il nipote di Nathan Rothschild aveva tentato di procurarsi la sentenza di una corte per eliminare un libro contenente questa vicenda della Borsa; la famiglia Rothschild dichiarò che questa storia era falsa e diffamatoria, tuttavia la corte respinse la richiesta dei Rothschild ed ingiunse alla famiglia di pagare tutte le spese processuali.  Quello che risulta ancora più interessante di tutta questa faccenda, è che alcuni autori affermano che il giorno dopo la battaglia di Waterloo, nel giro di poche ore, Nathan Rothschild ed i suoi alleati finanziari acquisirono il dominio non solo del mercato azionario ma anche della Banca d’Inghilterra. (Una caratteristica interessante di alcuni titoli consolidati era che potevano essere convertiti in azioni della Banca d’Inghilterra)

 

L’apparentamento con i Montefiore, i Cohen e i Goldsmith - dinastie bancarie stabilitesi in Inghilterra un secolo prima dei Rothschild - aumentò il controllo finanziario dei Rothschild; tale controllo venne ulteriormente consolidato tramite l’approvazione del Peel’s Bank Charter Act del 1844.  Che la famiglia Rothschild e relativi alleati finanziari abbiano acquisito o meno il completo controllo della Banca d’Inghilterra (la prima e più ricca banca centrale di proprietà privata in una importante nazione europea) in questo modo, una cosa è certa: verso la metà del 1800 i Rothschild erano la famiglia più ricca del mondo, nessuno eccettuato. Essi dominavano i mercati delle nuove obbligazioni statali e aprirono filiali presso altre banche e imprese industriali in tutto il mondo; inoltre dominavano una costellazione di famiglie secondarie meno influenti, come i Warburg e gli Schiff, che accomunarono la loro vasta ricchezza a quella dei Rothschild.

Infatti la seconda metà del 19mo secolo fu nota col nome di “Era di Rothschild”.  Lo scrittore Ignatius Balla stimò che la loro ricchezza personale nel 1913 ammontasse ad oltre due miliardi di dollari. Ricordate che il potere d’acquisto del dollaro era maggiore di più del 1.000 per cento rispetto ad oggi. Nonostante questa schiacciante ricchezza, la famiglia in genere ha coltivato un’aura di invisibilità e sebbene essa controlli gli introiti di società bancarie, industriali, commerciali, minerarie e turistiche, solo una manciata di esse porta il loro nome. Alla fine del 19mo secolo un esperto stimò che la famiglia Rothschild controllasse la metà della ricchezza mondiale.  Qualunque sia l’entità della loro vasta ricchezza, è ragionevole presumere che la loro percentuale della ricchezza mondiale da allora sia aumentata spettacolarmente, poiché il potere persegue il potere ed il desiderio di esso.  Tuttavia con l’arrivo di questo secolo, i Rothschild hanno attentamente coltivato la nozione che il loro potere sia in qualche modo diminuito, anche se la loro ricchezza e quella dei loro alleati finanziari aumenta in concomitanza con il loro controllo di banche, società indebitate, media, politici e nazioni, il tutto tramite delegati, agenti, candidati e consigli di amministrazione interconnessi, che mantengono il loro ruolo nell’ombra.

 

Note sull’Autore:

Patrick S. J. Carmack, BBA, JD, si è occupato di diritto societario ed è un ex Giudice Amministrativo della Corporation Commission dello Stato dell’Oklahoma così come membro del tribunale della Corte Suprema. Egli è coautore del video in due puntate The Money Masters: How International Bankers Gained Control of America.

Nota dell’Editore

Il presente articolo è stato tratto su licenza dal libro riveduto ed aggiornato del video The Money Masters: How International Bankers Gained Control of America, prodotto da Patrick S. J. Carmack per la Royalty Production Company, Colorado, USA, © 1998.

La lista dei testi che accompagna questo articolo si può trovare presso il sito web <www.themoneymasters.com>.

Il libro e il video di Money Masters sono disponibili presso: Royalty Production Company, 5149 Picket Drive, Colorado Springs, CO 80907, USA, tel (719) 520 7264, fax (719) 599 4587, <www.themoneymasters.com>.

Fonte: Rivista NEXUS n. 23


Nuovo Ordine Mondiale: i Signori del Mondo (di Giorgio Dongiovanni)

 

Durante alcuni dei miei viaggi a Londra ho potuto conoscere un personaggio che ha lavorato per anni nel settore del Marketing. Tutto ciò che leggerete di seguito è frutto di indagini che lui ha condotto personalmente; coinvolgendo, in varie parti del mondo, figure di spicco legate alle grandi famiglie economiche. Ho deciso di pubblicare integralmente la ricerca così come lui l’ha scritta, ma penso sia giusto per etica professionale che tutto debba essere formulato sotto forma di ipotesi. A mio parere la maggior parte delle informazioni sono vere, faccio questa dichiarazione in relazione anche agli eventi che si stanno manifestando nel mondo.

 

Chi controlla il mondo oggi

La conferma alla mia ricerca è partita da un trafiletto, pubblicato il 7 giugno 1999 dal Corriere della Sera, dove si parlava di un gruppo di persone fino allora a me sconosciute i “Bilderbergers”. Così sono chiamati i membri del Gruppo Bilderberg. L’articolo si riferiva alla loro riunione ufficiale annuale del 1999, che si era appena conclusa in Portogallo in un Resort di un paese chiamato Sintra. In questa riunione si era discusso, tra i vari temi, anche sul dopo guerra in Kosovo. Il Gruppo Bilderberg, diceva l’articolo, è nato nel 1954 e riunisce i personaggi più illustri dei vari campi a livello internazionale. Tra i personaggi presenti alla riunione venivano citati: U. Agnelli, H. Kissinger, Mario Monti ed altri ancora. Leggendo queste informazioni sono rimasto insospettito dal fatto che una riunione di questa importanza (per argomento e personaggi) non avesse ricevuto maggior pubblicità dagli organi di informazione. Incuriosito, ho sentito la necessità di conoscere, e capire più a fondo la natura di questa organizzazione. Sono così venuto a conoscenza di quelle che possono essere definite le forze negative che oggi detengono il potere materiale nel mondo, dei loro pensieri e dei loro programmi. Se pensiamo alla situazione del nostro pianeta possiamo fare finta di niente ed essere felici e sereni oppure possiamo interrogarci su che mondo stiamo preparando per le prossime generazioni e soprattutto sul perché siamo in questa situazione: guerre civili e religiose in ogni continente, violenza e corruzione ovunque anche negli stati che si definiscono più evoluti, uso di droghe in aumento (persino legalizzate), la condizione di povertà in continua espansione in tutto il mondo, un senso di ingiustizia diffuso, scandali che coinvolgono tutti i personaggi che occupano posizioni di potere etc …….. Purtroppo, il trend, della nostra società è drammaticamente negativo e ai nostri giorni il degrado è il vero protagonista.

 

La domanda che vale la pena porsi è: ma c’è qualcuno che alimenta queste cose, esiste un comune denominatore dietro tutto questo, qualcuno che ne trae beneficio? Solo la verità ci può rendere veramente liberi, liberi di capire e quindi di rispondere. Allora la domanda che ci dobbiamo porre è conosciamo la verità? Conosciamo veramente cosa si nasconde dietro il maturare di tutti questi fenomeni? Certo i mass media, i politici, i sociologi ci “martellano” con le loro interpretazioni, ma ci possiamo fidare?

Come provocazione guardate la Tavola 1, questa è secondo David Icke (dal libro “And the truth shall set you free”) la “Catena dei Comandi” del nostro pianeta ai nostri giorni. Lo so è un po’ diversa da quella che siamo soliti pensare e soprattutto ci sono tanti nomi, là in cima, con i quali non siamo familiari e di cui nessuno parla. C’è anche il Gruppo Bilderberg ma non è il vertice della gerarchia, quindi prima di parlare di loro vediamo di scoprire chi sono quelli che sembrano comandarli.

 

Gli Illuminati e la Nobiltà Nera

Come dice la parola stessa gli Illuminati sono i portatori di luce, quelli che sanno, ma la loro luce è, apparentemente, Lucifero o Satana. Appartengono a tredici delle più ricche famiglie del mondo e sono i personaggi che veramente comandano il mondo da dietro le quinte. Vengono anche definiti la Nobiltà Nera, i Decision Makers, chi fa le regole da seguire per Presidenti e Governi. La loro caratteristica è quella di essere nascosti agli occhi del pubblico. Il loro albero genealogico va indietro migliaia di anni e sono molto attenti a mantenere il loro legame di sangue di generazione in generazione senza interromperla.

Il loro potere risiede nell’occulto e nell’economia, uno dei loro motti è: “il denaro crea potere”. Possiedono tutte le Banche Internazionali, il settore petrolifero e tutti i più potenti settori industriali e commerciali; ma soprattutto sono infiltrati nella politica e comandano la maggior parte dei governi e degli organi Sovranazionali primi fra tutti l’ONU ed il Fondo Monetario Internazionale. Un esempio del loro modo di operare è l’elezione del Presidente degli Stati Uniti, chi tra i candidati ha più Sponsor sotto forma di soldi, vince le elezioni perché con questi soldi ha il potere di “distruggere” l’altro candidato. E chi è che sponsorizza il candidato vincente? Ovviamente gli Illuminati attraverso le loro molte organizzazioni di facciata, fanno in modo di finanziare entrambi i candidati, per mantenere il “gioco” vivo anche se loro hanno già deciso chi sarà il vincitore e a questo assicurano più soldi. I loro piani sono sempre lungimiranti, sembra che Bill Clinton sia stato preparato alla missione di Presidente dall’entourage degli Illuminati fin da quando era giovane. Qual è l’obiettivo degli Illuminati? Creare un Unico Governo Mondiale ed un Nuovo Ordine Mondiale, con a capo loro stessi per sottomettere il mondo a una nuova schiavitù, non fisica, ma “spirituale” ed affermare il loro credo: l’ideologia Luciferica. Questo obiettivo non può essere conseguito nel periodo di una vita, le sue origini sono antiche e risalgono già al 1700 quando il complotto venne formalizzato, con l’elaborazione di veri e propri documenti programmatici.

 

Nella prima metà del 1700 l’incontro tra il Gruppo dei Savi di Sion e Mayer Amschel Rothschild, l’abile fondatore della famosa dinastia che ancora oggi controlla il Sistema Bancario Internazionale, porta alla redazione di un manifesto: “I Protocolli dei Savi di Sion”. In 24 paragrafi, viene descritto come soggiogare e dominare il mondo con l’aiuto di un sistema economico. Sempre Mayer Amschel Rothschild aiuta e finanzia l’ebreo Adam Weishaupt, un ex prete gesuita, che a Francoforte crea un Gruppo Segreto dal nome “Gli Illuminati di Baviera”. Weishaupt prendendo spunto dai “ Protocolli dei Savi di Sion” elabora all’incirca verso il 1770 “Il Nuovo Testamento di Satana” un piano che dovrà portare, non più gli Ebrei ma un gruppo ristretto di persone (gli Illuminati o Banchieri Internazionali) ad avere il controllo ultimo del mondo intero. La strategia di Weishaupt era basata su principi molto fini e spietati. Bisognava arrivare alla soppressione dei Governi Nazionali e alla concentrazione del potere in Governi ed Organi Sovranazionali ovviamente gestiti dagli Illuminati. Ecco alcuni esempi operativi sulle cose da fare:

 

Creare la divisione delle masse in campi opposti attraverso la politica, l’economia, gli aspetti sociali, la religione, l’etnia etc … Se necessario armarli e provocare incidenti in modo che si combattano e si indeboliscano.

Corrompere (con denaro e sesso) e quindi rendere ricattabili i politici o chi ha una posizione di potere all’interno di uno stato. Scegliere il futuro capo di stato tra quelli che sono servili e sottomessi incondizionatamente. Avere il controllo delle scuole (licei ed Università) per fare in modo che i giovani talenti di buona famiglia siano indirizzati ad una cultura internazionale e diventino inconsciamente agenti del complotto. Assicurare che le decisioni più importanti in uno stato siano coerenti nel lungo termine all’obiettivo di un Nuovo Ordine Mondiale. Controllare la stampa, per poter manipolare le masse attraverso l’informazione. Abituare le masse a vivere sulle apparenze e a soddisfare solo il loro piacere, perché in una società depravata gli uomini perdono la fede in Dio. Secondo Weishaupt, mettendo in pratica le sue raccomandazioni si doveva arrivare a creare un tale stato di degrado, di confusione e quindi di spossatezza, che le masse avrebbero dovuto reagire cercando un protettore o un benefattore al quale sottomettersi liberamente. Da qui il bisogno di costituire degli Organi Sovranazionali pronti a sfruttare questo stato di cose, fingendosi i salvatori della patria, per istituire un Unico Governo Mondiale.

Nel 1871 il piano di Weishaupt viene ulteriormente completato da un suo seguace Americano Albert Pike che elabora un documento per l’istituzione di un Nuovo Ordine Mondiale attraverso tre Guerre Mondiali. Il suo pensiero era che questo programma di guerre avrebbe generato nelle masse un tale bisogno di pace, che sarebbe diventato naturale arrivare alla costituzione di un Unico Governo Mondiale. Non a caso dopo la Seconda Guerra Mondiale venne fatto il primo passo in questa direzione con la formazione dell’ONU, che possiamo definire la polizia del mondo degli Illuminati. Tornando al pensiero di Pike, la Prima Guerra Mondiale doveva portare gli Illuminati, che già avevano il controllo di alcuni Stati Europei e stavano conquistando attraverso le loro trame gli Stati Uniti di America, ad avere anche la guida della Russia. Quest’ultima avrebbe poi dovuto interpretare un ruolo che doveva portare alla divisione del mondo in due blocchi. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe dovuta partire dalla Germania, manipolando le diverse opinioni tra i nazionalisti tedeschi e i sionisti politicamente impegnati. Inoltre avrebbe portato la Russia ad estendere la sua zona di influenza e reso possibile la costituzione dello Stato di Israele in Palestina. La Terza Guerra Mondiale sarà basata sulle divergenze di opinioni che gli Illuminati avranno creato tra i Sionisti e gli Arabi, programmando l’estensione del conflitto a livello mondiale.

 

Col passare degli anni il Quartiere Generale di questo complotto passa dalla Germania (Francoforte), alla Svizzera, poi all’Inghilterra (Londra) ed infine agli Stati Uniti d’America (New York). E’ quindi dal 1700 che le famiglie degli Illuminati, generazione dopo generazione, influenzano la storia per raggiungere i propri traguardi. Ecco un elenco dei fatti principali che negli ultimi 3 secoli sono stati architettati, fomentati o finanziati dagli Illuminati: la Rivoluzione Francese, le Guerre Napoleoniche, la nascita dell’ideologia Comunista, la I Guerra Mondiale, la Rivoluzione Bolscevica, la nascita dell’ideologia Nazista, la II Guerra Mondiale, la fondazione dell’ONU, la nascita dello Stato di Israele, la Guerra del Golfo, la nascita dell’Europa Unita…

Nella Tavola 3 e Tavola4 è rappresentata la rete di potere che gli Illuminati si sono costruiti in quasi 300 anni. Ovviamente non potevano pensare di conseguire i loro obiettivi da soli, avevano ed hanno bisogno di una “struttura operativa”, composta da organizzazioni o persone che esercitando del potere operino più o meno consapevolmente nella stessa direzione. Come potete constatare gli Illuminati controllano o hanno i loro uomini ovunque, possiamo tranquillamente dire che sono i signori del mondo. La loro strategia ha fatto leva su 2 capisaldi: a) la forza del denaro, hanno costituito e controllano il Sistema Bancario Internazionale; b) la disponibilità di persone fidate, ottenuta attraverso il controllo delle Società o Associazioni Segrete (logge massoniche). Queste ultime con i loro diversi gradi di iniziazione hanno garantito e garantiscono tutt’ora quell’alone di discretezza necessario al piano degli Illuminati. Gli Illuminati, e chi con loro controlla queste Società, sono Satanisti e praticano la magia nera.

 

Il loro Dio è Lucifero e attraverso pratiche e riti occulti manipolano e influenzano le masse. E pensare che la cultura dominante ci dice che la magia non esiste anzi, considera ridicolo chi ci crede. E’ anche da questa scienza di tipo occulto, che gli Illuminati hanno sviluppato la teoria sul controllo mentale delle masse. Per chiarire ecco un esempio: a quanto sembra anche Hollywood, le maggiori Case Cinematografiche e Discografiche internazionali, fanno parte della rete degli Illuminati. Molte volte i loro prodotti sono usati come strumenti di indottrinamento e agiscono in modo “invisibile” sulla psiche. Penso che nessuno possa negare che oggi esistono certi tipi di musica, privi di qualsiasi qualità, il cui unico effetto voluto è quello di provocare nei giovani apatia, robotismo, violenza ed essere uno stimolo all’uso di droghe. Dicevamo prima, che gli uomini che controllano gli Illuminati fanno parte di tredici delle famiglie più ricche del mondo. I loro nomi sono rimasti segreti negli anni e la leadership famigliare è stata passata da uomo a uomo generazione dopo generazione. Comunque nessun segreto può essere tenuto per sempre e anche in questo caso recentemente sono stati resi noti i loro nomi, grazie a qualcuno che, abbandonando l’ordine, ha deciso di cambiare vita e rivelare le informazioni più importanti. Ecco quindi le tredici famiglie che sembrano avere il compito di gestire il pianeta da dietro le quinte per condurlo al Nuovo Ordine Mondiale:

 

ASTOR, BUNDY, COLLINS, DUPONT, FREEMAN, KENNEDY, LI, ONASSIS, ROCKFELLER, ROTHSCHILD, RUSSELL, VAN DUYN, MEROVINGI (famiglie Reali Europee)

 

Sono dunque loro il vero governo del mondo o meglio il governo segreto?

 

Il Gruppo Bilderberg

Il Gruppo Bilderberg, rappresenta uno dei più potenti Gruppi di facciata degli Illuminati. Nasce informalmente nel 1952, ma prende questo nome solo nel 1954 quando il 29 maggio viene indetto il primo incontro presso l’Hotel Bilderberg di Oosterbeek in Olanda. Da allora le riunioni sono state ripetute 1 o 2 volte all’anno. All’inizio solo in Paesi Europei, ma dagli inizi degli anni ‘60 anche in Nord America. Tra i promotori del Gruppo bisogna menzionare almeno due personaggi: Sua Maestà il Principe Bernardo de Lippe di Olanda (ex Ufficiale delle SS), che ne è rimasto il presidente fino a quando nel 1976 ha dovuto dare le dimissioni per lo scandalo “Lockheed” e Joseph Retinger un “faccendiere” Polacco che si era costruito una fitta rete di relazioni tra personaggi della Politica e dell’Esercito a livello Mondiale. Retinger viene descritto come l’istigatore del gruppo, la sua visione era costruire un’ Europa unita per arrivare ad un Mondo unito in pace, dove potenti Organizzazioni Sovranazionali avrebbero garantito con l’applicazione delle loro ideologie, più stabilità dei singoli governi nazionali. Fin dalla prima riunione furono invitati banchieri, politici, universitari, funzionari internazionali degli Stati Uniti e dei paesi dell’Europa Occidentale per un totale all’incirca di un centinaio di personaggi, tra questi, sembra anche Alcide De Gasperi. Ai tempi della costituzione l’obiettivo dichiarato ufficialmente, era quello di creare l’unità Occidentale per contrastare l’espansione Sovietica. In realtà malgrado le apparenti buone intenzioni, il vero obiettivo era quello di formare un’altra organizzazione di facciata che potesse attivamente contribuire ai disegni degli Illuminati: la costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale e di un Governo Mondiale entro il 2012.

 

La Strategia

William Cooper un anziano Sotto Ufficiale dei Servizi Segreti della Marina Statunitense, include nel suo libro “Behold a pale horse” (Light Technology 1991) del materiale top secret nel quale è illustrato il pensiero e la strategia adottati dal comitato politico del Gruppo Bilderberg. Questo documento programmatico ha un titolo quanto mai significativo “Armi Silenziose per delle guerre tranquille”. Il documento riporta la data del maggio 1979, ma fu ritrovato solo nel 1986. Cooper spiega “ Ho letto dei documenti top secret che spiegano che “Armi Silenziose per delle guerre silenziose” è una dottrina adottata dal comitato politico del Gruppo Bilderberg durante il suo primo meeting nel 1954. Una copia trovata nel 1969 era in possesso dei Servizi di Informazione della Marina Statunitense”. L’assunto principale del documento è che chiunque voglia assumere una posizione di potere all’interno di una comunità è come se “simbolicamente” dichiarasse guerra alle persone che la compongono. La guerra che però deve essere intrapresa non è su un piano fisico/materiale e le armi utilizzate sono silenziose munizioni invisibili.

Il documento spiega la filosofia, le origini operative (che sembrano essere legate ai famosi documenti scritti tra il 1700 ed il 1800 e finanziati da Mayer Amschel Rothschild), i principi raffinati, le linee guida e gli strumenti di questa dottrina dalle “armi silenziose”. Un vero manuale per l’uso, per professare una scienza che attraverso il controllo dell’economia vuole soggiogare il mondo intero. Vista l’importanza e la complessità del documento sarebbe necessario dedicargli un approfondimento specifico. In questa sede è sufficiente accennare alle principali aree in cui si articola questo programma:

 

  1. Perché serve un sistema economico per controllare le masse.
  2. Come controllare l’economia mondiale attraverso l’istituzione di un modello economico che sia manipolabile e prevedibile.
  3. Come addormentare le masse che subiscono l’attacco.

 

Grazie alla segretezza con cui si muovono, ma soprattutto grazie al potere che esercitano sugli organi di informazione i Bilderbergers sono riusciti a controllare la pubblicità sulle loro riunioni e sui temi discussi. Negli anni però qualche notizia è riuscita a trapelare sui principali temi trattati durante le loro delibere segrete:

 

  1. i problemi finanziari internazionali;
  2. la libertà di emigrazione e immigrazione;
  3. la libera circolazione dei prodotti senza dogane;
  4. l’unione economica internazionale;
  5. la costituzione di una forza internazionale con la soppressione degli eserciti nazionali;
  6. la creazione di un parlamento internazionale;
  7. la limitazione della sovranità degli stati delegati all’ONU o a tutti gli altri governi sovranazionali.

 

Temi che fanno capire il potere che questo Gruppo è in grado di esercitare. Sembra che tutte le decisioni più importanti a livello politico, sociale, economico/finanziario per il mondo occidentale vengano in qualche modo ratificate dai Bilderbergers. D’altronde scorrendo i loro biglietti da visita una cosa è certa: hanno le “leve” per fare qualsiasi cosa.

Accennavamo prima alla segretezza, questo è sicuramente un aspetto centrale per la strategia del Gruppo. Le riunioni sono tenute in forma non pubblica e solo i giornalisti ufficialmente invitati possono essere ammessi. Al termine delle conferenze annuali (normalmente durano un paio di giorni) viene redatto un semplice comunicato stampa di un paio di pagine; ovviamente non viene tenuta nessuna conferenza stampa. I vari partecipanti interrogati al riguardo di queste riunioni sono sempre molto evasivi e se possono non rispondono. Gli organi di informazione di massa non danno nessuna notizia su queste conferenze o se lo fanno, lo fanno con un peso assolutamente insignificante non adeguato all’evento. Chi osserva e conosce i Bilderbergers da parecchi anni afferma che anche la preparazione delle riunioni segue un rituale “curioso” mirato a tutelare questo ambito di segretezza. L’Hotel selezionato viene occupato con qualche giorno di anticipo. Parte del normale personale viene sostituito con personale di fiducia. La domanda da porsi è perché tutto questo? Perché personaggi pubblici che discutono temi di interesse pubblico non vogliono rendere note le loro decisioni? Questa è forse la prova più grossa sulla natura e sulle vere finalità di questa organizzazione.

 

L’Organizzazione

Il Gruppo dei Bilderberg recluta Politici, Ministri, Finanzieri, Presidenti di multinazionali, magnati dell’informazione, Reali, Professori Universitari, uomini di vari campi che con le loro decisioni possono influenzare il mondo. Tutti i membri aderiscono alle idee precedenti, ma non tutti sono al corrente della profonda verità ideologica di alcuni dei membri principali, i quali sono i veri istigatori e fanno parte anche di altre organizzazioni degli Illuminati dal nome: Trilaterale (riunisce industriali e businessman dei tre blocchi continentali USA, Europa, Giappone/Asia) e Commission of Foreign Relationship (3D CFR che ormai dal 1921 riunisce tutti i personaggi che gestiscono gli USA ). Questi membri particolari sono i più potenti e fanno parte di quello che viene definito il “cerchio interiore”. Il “cerchio esteriore” è invece l’insieme degli uomini della finanza, della politica ed altro, che sono sedotti dalle idee di instaurare un governo mondiale che regolerà tutto a livello politico ed economico. Il “cerchio esteriore” è composto da quelli che vengono definiti “le marionette” che sono utilizzati dal “cerchio interiore” perché i loro membri sanno che non possono cambiare il mondo da soli ed hanno bisogno di collaboratori motivati. Quindi il “cerchio interiore” ed il “cerchio esteriore” agiscono di concerto ma non con le stesse motivazioni. “Le marionette” dei vari “cerchi esteriori” sono spinte dal desiderio di arricchirsi, di avere potere o/e sono convinti che un governo unico mondiale sia la soluzione di tutti i problemi e che apporterà più pace e coesione di una moltitudine di piccoli paesi. Dal canto loro le persone del “cerchio interiore” sono già ricche e potenti, la loro consapevolezza è ad un gradino superiore, le loro motivazioni sono solo ideologiche, per intenderci dovrebbero essere quelle espresse nel piano degli Illuminati.

Il primo cerchio esteriore è composto da chi solo partecipa alle conferenze annuali senza essere affiliato al Gruppo. Possono essere personaggi di cui si vuole valutare il reclutamento oppure invitati per discutere specifici argomenti. Gli affiliati del gruppo possono anche non essere presenti alle conferenze annuali, i contatti vengono tenuti attraverso altri canali. Il primo Cerchio interiore è composto solo da Bilderbergers, membri del Gruppo e rappresenta il Comitato di Direzione (Steering Committee). Vi risiedono europei ed americani (tutti parte del CFR). Alcuni di questi membri fanno parte di un secondo cerchio interiore ancora più chiuso e formano il Comitato Consultativo (Advisory Committee) del Gruppo. L”Advisory Committee” dovrebbe essere composto da 9 persone tra i quali spiccano i nomi di Giovanni Agnelli e David Rockfeller. Nello Steering Committee, composto da circa una trentina di persone, sono citati come rappresentati nazionali per l’Italia: Mario Monti (attualmente ex Commissario della Comunità Europea) e Renato Ruggiero (ex Direttore Generale del WTO World Trade Organization, attualmente Presidente dell’ENI).

 

Gli Italiani del gruppo

L’Italia sembra giocare il suo ruolo nell’organizzazione, se non altro perché Giovanni Agnelli è uno dei membri dell’Advisory Committee e perché come Francia, Germania ed Inghilterra ha 2 nomi nello Steering Committee. In Italia sono state tenute 3 delle conferenze fatte nel periodo 1954-1999: nel 1957 a Fiuggi, nel 1965 e nel 1987 a Villa d’Este. Ecco i nomi degli Italiani che sembrano aver partecipato alle ultime riunioni annuali:

1995 Giovanni ed Umberto Agnelli, Mario Draghi, Renato Ruggiero

1996 Giovanni Agnelli, Franco Bernabè, Mario Monti, Renato Ruggiero, Walter Veltroni

1997 Giovanni ed Umberto Agnelli, Carlo Rossella, Stefano Silvestri

1998 Giovanni Agnelli, Franco Bernabè, Emma Bonino, Luigi Cavalchini, Rainer Masera, Tommaso Padoa-Schioppa, Domenico Siniscalco

1999 Umberto Agnelli, Franco Bernabè, Paolo Fresco, Francesco Giavazzi, Mario Monti, Tommaso Padoa-Schioppa, Alessandro Profumo.

La presenza della Bonino alla riunione del 1998, serve a spiegare il perché dei suoi exploit del 1999, oppure è solo una coincidenza? Ha forse trovato qualche gruppo di potere pronto a finanziarla? In cambio di che cosa? Non lo sapremo mai, però il dubbio rimane.

 

L’ultimo incontro

L’ultimo incontro del Gruppo si è tenuto in Portogallo dal 3 al 6 giugno. Un settimanale Portoghese dal nome “The News” (tutti gli articoli scritti al riguardo sono ancora disponibili sul sito HYPERLINK http://www.the-news.net) è stato il primo ad annunciare la notizia della riunione annuale con l’edizione del primo maggio e da allora ha seguito l’escalation della preparazione dell’incontro fino ad arrivare a pubblicare la lista dei partecipanti. Sembra che il Governo portoghese abbia ricevuto migliaia di dollari dai Bilderbergers per organizzare un servizio militare compreso di elicotteri che si occupasse di garantire la loro privacy e sicurezza. Nella tavola 2 trovate i nomi di chi ha partecipato all’incontro. Le informazioni che sono trapelate, hanno permesso la stesura di una possibile agenda dei temi trattati:

1) Governo Globale: stato di avanzamento della formazione di un blocco Asiatico sotto la leadership del Giappone. Libero mercato, moneta unica e unione politica sono gli obiettivi da raggiungere nella regione. Il modello Europeo è anche il punto di riferimento per la costituzione dell’Unione Americana tra USA e Canada.

2) Guerra in Kosovo: formazione di un Grande Stato d’Albania a seguito della dichiarazione d’indipendenza del Kosovo. Ridisegno dei confini della regione con il continuo smembramento della Yugoslavia attraverso il ritorno all’Ungheria della provincia del nord composta da 350.000 persone di etnia ungherese. Proseguimento dello stato di instabilità e di conflitto della regione. Pianificazione della ricostruzione delle infrastrutture della regione a spesa dei contribuenti occidentali.

3) Esercito dell’Europa Unita: attuare al più presto la sostituzione delle Forze Armate della NATO con l’istituzione di Forze Militari dell’Europa Unita. L’immagine negativa che la NATO si è costruita durante il conflitto mette a rischio le sue operazioni. L’idea è che nella fase di avviamento l’Esercito Statunitense sia da supporto a quello Europeo.

4) Anno 00: i Bilderbergers sono preoccupati dall’impatto del Millenium Bug, secondo le loro previsioni sarà molto peggiore di quanto ci si possa aspettare. Un possibile progetto da intraprendere potrebbe essere quello di nominare un personaggio di fama internazionale per aiutare l’opera di sensibilizzazione necessaria.

5) Medio Oriente: preparazione di un accordo di pace nella regione, con la dichiarazione dello Stato di Palestina. Apparentemente le condizioni di pace non saranno così gradite da Israele e quindi potrebbero rappresentare il pretesto per futuri conflitti e tensione nella regione.

6) Tassazione Globale a supporto dell’ONU: l’obiettivo è finanziare il centro operativo del Governo Mondiale, con l’introduzione di una tassa sul commercio via Internet. Questa tassa sarà sostituita in futuro da una tassa diretta individuale che sarà raccolta in nome dell’ONU, direttamente da ogni singolo stato.

I fatti degli ultimi tre mesi, sembrano dimostrare che la maggior parte dei punti di questa agenda sono in fase di attuazione.

 

Conclusioni

Le informazioni presentate sono il risultato di una vasta ricerca. Anche se ciò può sembrare molto strano o lontano dalle nostre certezze, il tutto è partito da una realtà concreta dei nostri giorni, di cui è apparso un articolo sul Corriere della Sera: i Bilderbergers. Per riuscire a “digerire” e a sintetizzare tutto quello che ho scoperto, ho dovuto mantenere il mio spirito aperto e soprattutto, in molte occasioni, sono dovuto andare oltre il mio normale modo di pensare. Il mio obiettivo non vuole essere quello di affermare una verità ma quello di offrire uno spunto per la riflessione e per una propria ricerca. Solo con un forte spirito critico possiamo conoscere la verità, essere liberi, diventare cittadini emancipati e quindi contribuire a un mondo migliore.

 

http://www.nonsiamosoli.org

Tratto dal sito www.nwo.it


La storia segreta e il Nuovo Ordine Mondiale

 

"Il mondo si divide in tre categorie di persone: un piccolissimo numero che fanno produrre gli avvenimenti; un gruppo un po’ più importante che veglia alla loro esecuzione e assiste al loro compimento, e infine una vasta maggioranza che giammai saprà ciò che in realtà è accaduto". Così si espresse Nicholas Murray Butler. Giova ricordare chi era questo personaggio. Il Dr. Nicholas Murray Butler è stato presidente dell’Università di Columbia, presidente della Carnegie Endwment for International Peace, membro fondatore, presidente della Pilgrims Society e membro del Council on Foreign Relations (CFR) e capo del British Israel. Taluni autori denunciano, sempre con maggiore insistenza, che è in atto una cospirazione superpolitica, "religiosa" o satanica che coinvolge l’alta finanza, le massonerie e l’integralismo islamico. I fili della storia, asseriscono questi studiosi, si tirano proprio nelle logge massoniche e nei consigli di amministrazione delle multinazionali e delle grandi banche. La Rivoluzione francese fu una congiura massonica, preparata da "società di pensiero" – uguali a quelle studiate da Augustin Cochin (1876-1916) – e da altri gruppi di pressione. La Rivoluzione bolscevica fu una congiura giudaico-massonica. Diversi storici sono convinti di questo.

 

Lo stesso "Times" (10 marzo 1920) confermò il complotto: "Si può considerare ormai come accettato che la rivoluzione bolscevica del 1917 è stata finanziata e sostenuta principalmente dall’alta finanza ebraica attraverso la Svezia: ciò non è che un aspetto della messa in atto del complotto del 1773". Estrema importanza assume, sempre al riguardo della rivoluzione russa del febbraio del 1917, il fatto che, non affatto casualmente, il governo fosse costituito principalmente da massoni, tra questi risaltava Kerensky. E’ anche rivelatore il libro "Rossija nakanune revoljucii" di Grigorij Aronson, che fu pubblicato nel 1962 a New York e che riporta delle missive di E. D. Kuskova, moglie del massone Prokopovic, legato da grande amicizia al confratello Kerensky. In una di queste lettere, datata 15 novembre 1955, si legge: "Avevamo la ‘nostra’ gente dappertutto. (...). Fino a questo momento il segreto di questa organizzazione non è stato mai divulgato, eppure l’organizzazione era enorme. Al tempo della rivoluzione di febbraio tutta la Russia era coperta da una rete di logge". L’iniziato Jean Marques-Rivière scrisse: "L’esoterismo, con la sua forza sul piano ideologico, guida il mondo". Non bisogna stupirsene. E’ innegabile il diffondersi, nelle maglie della nostra società, di una subdola propagazione di idee, combattute con inflessibilità dalla Chiesa, ma non estirpate del tutto, che ora godono di un pericoloso risveglio e diffusione. E’ una letteratura imponente quella dei cosiddetti cospirazionisti, disprezzata dagli storici ufficiali, che, invece, non obiettano quando la stessa metodologia viene adottata dalla sinistra e dall’estrema sinistra, vedi "golpe De Lorenzo", "strategia della tensione", ecc. che non sono altro che capitoli di una teoria della cospirazione, che nega di esserlo.

 

Il lato occulto della storia contemporanea è complesso e, oltremodo, variegato. Insospettabili VIP. del mondo che conta sono affiliati ad oscuri ordini esoterici. L’ex presidente americano George Bush è un 33° grado della Massoneria di Rito Scozzese, lo ha rivelato Giuliano Di Bernardo, Gran Maestro della Massoneria italiana, al quotidiano "La Stampa" (23 marzo 1990). Bush sarebbe stato iniziato, nel 1943, alla setta "Skull and Bones" (Teschio e Ossa) dell’Università di Yale, fondata nel 1832. George Bush ha diretto anche la Cia. La Skull and Bones assieme a società come il Rhodes Trust, secondo l’autorevole rivista inglese "Economist" (25 dicembre 1992), sono la moderna risorgenza degli "Illuminati di Baviera" di Jean Adam Weisshaupt (1748-1830). Anche suo padre Prescott sarebbe stato membro della setta "Skull and Bones". Di essa farebbero parte le più potenti famiglie degli Stati Uniti (1). Tra queste vale la pena di menzionare "la famiglia Harriman, della Morgan Guaranty Trust, è Skull and Bones da generazioni. Petrolio: ci sono i Rockefeller, fra gli iniziati. Studi legali di grido. Poltrone alte della Cia. Vicepresidenza degli Stati Uniti". E’ anche molto interessante venire a sapere che, secondo quanto scrive lo storico Antony C. Sutton in "America’s Secret Establishment" (liberty House Press. Bilings 1986, pagg. 207 e segg.), la "Skull and Bones" è collegata al movimento New Age e ad essa, asserisce ancora Sutton, non sono estranei aspetti satanisti. Marylin Ferguson nel suo libro "The Aquarian Conspiracy", una vera e propria Bibbia del movimento New Age, mette assieme Huxley con Teilhard de Chardin, Carl Gustav Jung, Maslow, Carl Rogers, Roberto Assagioli, Krishnamurti, ecc. tra i personaggi, che sono da considerare come padri spirituali del New Age. Aldous Huxley e suo fratello Julian, quest’ultimo fu il primo dirigente dell’U.N.E.S.C.O., erano anche membri di importanti affiliazioni mondialiste, tra queste ricordo l’anglosassone Fabian Society. Sui vertici del mondialismo, René Guenon, che era un 33° grado del Rito Scozzese Antico Accettato e un 90° del Rito Egiziano di Memphis-Misraim, ebbe ad affermare: "…ma dietro tutti questi movimenti non potrebbe esserci qualcosa di altrimenti temibile, che forse neanche i loro stessi capi conoscono, e di cui essi a loro volta quindi, non sono che dei semplici strumenti? Noi ci accontenteremo di porre questa domanda senza cercare di risolverla qui" (cit. da "Il Teosofismo", edizioni Arktos, 1987, vol. II, pag. 297). Ritornando alla "Skull and Bones" la sua importanza può essere ben compresa se si riflette che, nel 1917, essa diresse, tra l’altro, quel centro finanziario denominato "120 Brodway", finanziatore del bolscevismo in Russia e del nazismo in Germania che, tra l’altro, portò al potere.

 

Non ci si meravigli se, a questi livelli, parole come "destra e sinistra" non hanno più significato, più esattamente, non si bada a razze, religioni o ideologie: questi sono solo mezzi da utilizzare per raggiungere il fine ultimo, su scala mondiale, con l’antica strategia del "divide et impera". E, a questo punto, non meraviglia venire a conoscenza delle trattative segrete intercorse tra George Bush ed alte personalità del governo dell’Iran, che poi hanno portato allo scandalo dell’Irangate. Gli accordi furono resi possibili da Khomeini e dal suo entourage, comprendente buona parte dei suoi ministri, il capo della polizia, il comandante dell’esercito, il procuratore generale del tribunale islamico, il capo della polizia segreta, ecc., sono, o sono stati, affiliati alla Grande Loggia dell’Iran, che è sottoposta alla dipendenza della Gran Loggia d’Inghilterra. E’ poi noto che l’ex presidente George Bush è esponente di rilievo della sinarchia internazionale, figura di spicco del C.F.R, della Trilaterale, della potente Pilgrims Society oltre che della Skull and Bones. E’ anche interessante accennare ad un articolo, firmato M. Dornbierer, apparso, il 29 gennaio 1991, sul giornale messicano "Excelsior" che spiegava lo "smisurato sionismo" di Bush documentando la sua origine ebraica secondo quanto indicato nell’Enciclopedia ebraica castigliana. Bush è inoltre un W.A.S.P. (White Anglo-Saxon Protestant), ovvero un americano convinto che la sua origine razziale e le sue convinzioni religiose lo pongano al di sopra degli altri uomini. Scrive Blondet che "secondo Sutton, lo storico della Skull and Bones, la stessa locuzione ‘Nuovo Ordine Mondiale’ descrive il fine ultimo che gli affiliati alla società segreta di Yale s’impegnano a perseguire...

 

A questo i membri dell’Ordine s’impegnerebbero a giungere attraverso la gestione di conflitti artificialmente generati, come quello tra nazismo e comunismo.... Per Sutton, questa filosofia segreta dell’Ordine rivelerebbe la sua origine tedesca (che Sutton ritiene di poter provare): gli iniziati sarebbero dei tardi seguaci di Hegel, votati a far progredire il mondo attraverso opposizioni, tesi e antitesi, per poi comporle in una sintesi superiore. L’ipotesi, affascinante, può essere superflua. A noi sembra sufficiente evocare uno dei motti, delle insegne della Massoneria, che suona: Ordo ab Chao, l’Ordine (nasce) dal Caos". L’idea del "Nuovo Ordine del Mondo" è perseguita con accanimento. Del presidente Bill Clinton, scrive Epiphanius (Op. cit. pag. 497): "la sua educazione l’ha ricevuta nella britannica Oxford, dove venne ammesso nel super elitario ‘Rhodes Group’, una società superiore dell’area del POTERE affine alla ‘Skull and Bones", come scrisse l’’Economist’ inglese nel suo numero del 25 dicembre 1992. L’’Economist’ elencava una decina delle maggiori ‘società d’influenza’ del mondo occidentale rivelando la loro comune derivazione dall’Ordine degli Illuminati di Weisshaupt fondato nel 1776. Clinton appartiene anche al C.F.R., alla Commissione Trilaterale e al Bilderberg…". Clinton ha portato con sé Les Aspin (CFR) che, tra l’altro, ha firmato la "Dichiarazione di Interdipendenza", che è, in sostanza, - una mozione del Congresso che nel 1962, proponeva di cancellare dalla Costituzione ogni dichiarazione di sovranità nazionale, in quanto ostacolo all’instaurazione di un ‘Nuovo Ordine Mondiale’". "Il Rhodes Group – ci fa sapere ancora Epiphanius, alla nota 145, pag. 497, del suo "Massoneria e sette segrete" (cit.) – nacque nel 1891 per iniziativa di Lord Cecil Rhodes, ricchissimo personaggio legato ai Rothschild, assieme a Lord Milner, Lord Isher, Lord Balfour e un Rothschild, intorno all’idea-guida di organizzare una federazione mondiale di cui U.S.A. e Impero britannico sarebbero stati il centro propulsore. Il mezzo per attuarla consisteva in una selezione elitaria dei quadri protagonisti degli ambienti universitari, politici, finanziari. Attorno a questo nucleo iniziale permeato delle idee mondialiste e socialiste della Fabian Society, sorsero i gruppi della Round Table che a loro volta, nel 1919, diedero vita ai due odierni pilastri del potere mondialista, cioè gli Istituti Affari Internazionali britannico (R.I.I.A.) e americano (C.F.R.). Il Rhodes Group, al pari della Skull and Bones, controlla il C.F.R., (che a sua volta controlla la Trilaterale), il governo-ombra americano il cui comitato direttivo annovera personaggi in grado di gestire bilanci superiori a quello annuale lordo americano".

 

Ritornando al progetto del Nuovo Ordine Mondiale, già il 17 febbraio del 1950 il banchiere James Warburg, alla Commissione Esteri del Senato, era stato fin troppo chiaro quando aveva affermato: "Che vi piaccia o no, avremo un governo mondiale, o col consenso o con la forza". Anche con le stragi. Il Palazzo Federale "Alfred P. Murrah" ad Oklahoma, U.S.A., viene fatto saltare in aria da una tremenda esplosione, il 19 aprile del 1995. Le vittime furono 168. Furono sospettate dell’attentato e arrestate tre persone: Timothy McVeigh, Terry Nichols e James Nichols. L’FBI ha iniziato "col dichiarare che il meccanismo esplosivo era un’auto-bomba imbottita di 1.000 libbre di esplosivo. Poi era un’auto con 1.400 libbre. In seguito si trattava di un camion con 4.000 libbre. Adesso è un furgone per traslochi con 5.000 libbre di esplosivo". Ted Gunderson, ex dirigente dell’FBI, al contrario di quanto vuol far credere il Dipartimento di Giustizia Americano e cioè che si è trattato di "una singola semplice bomba fertilizzante", ha affermato che: "la bomba era un congegno elettroidrodinamico a combustibile gassoso (bomba barometrica), che non è possibile sia stata costruita da McVeigh... la bomba utilizzata era un sofisticato congegno A-neutronico, usato dall’esercito americano...". Sam Cohen, padre della bomba neutronica, il 28 giugno dello stesso anno, al telegiornale della KFOR-TV ha dichiarato: "Non mi interessa quanto fertilizzante e gasolio hanno usato, non sarebbe mai stato sufficiente. Cariche di demolizione, piazzate sulle colonne chiave, hanno fatto lo sporco lavoro". Antefatto: non è stato molto pubblicizzato che, "il 28 marzo 1994, l’Assemblea Legislativa dello Stato dell’Oklahoma passò una risoluzione che colpiva quello che veniva percepito come un programma di governo mondiale. Fu il primo e forse il solo Stato ad approvare tale legislazione". Di seguito riporto alcuni estratti relativi alla decisione dell’Assemblea Legislativa dell’Oklahoma:

 

"Risoluzione N. 1047:

Una risoluzione in relazione alle forze militari degli Stati Uniti e alle Nazioni Unite; si presenta una petizione al Congresso affinché cessi determinate attività concernenti le Nazioni Unite...

Considerato che non c’è appoggio popolare per l’instaurazione di un "nuovo ordine mondiale" o di una sovranità mondiale di qualsiasi tipo, sia sotto le Nazioni Unite o sotto qualsivoglia organismo mondiale in qualsiasi forma di governo globale;

Considerato che un governo globale significherebbe la distruzione della nostra Costituzione e la corruzione dello spirito della Dichiarazione di Indipendenza della nostra libertà e del nostro sistema di vita.

...sia deliberato dalla Camera dei Rappresentanti della seconda Sessione della 44ma legislatura dell’Oklaoma:

 

Che al Congresso degli Stati Uniti sia con la presente rammentato di:

(...). Cessare ogni supporto per l’instaurazione di un "nuovo ordine mondiale" o qualsiasi altra forma di governo globale.

Che al Congresso degli Stati Uniti è con la presente rammentato di astenersi dal prendere qualsiasi ulteriore iniziativa verso la fusione economica o politica degli Stati Uniti in un organismo mondiale o qualsiasi altra forma di governo mondiale. (Fonte: Newsgroup alt. conspiracy, via Pegasus computer networks, Australia)".

 

Cosa dire di questi fatti? Quale oligarchia misteriosa dirige, in segreto, i vari governi delle nazioni? Lascio al lettore il compito di arrivare a delle conclusioni. Alla luce di certi accadimenti i governi, la politica e gli stessi politici assumono contorni sbiaditi, sfumati. Misteri che travasano nella storia altri misteri frammisti a bugie. Pochissimi, forse, sanno che "Il fascismo non è nato in Italia e in Germania. Ebbe la sua prima manifestazione in Russia, col movimento dei ‘Cento Neri’, completo già all’inizio del ‘900 nelle sue azioni e nei suoi simboli: la violenza politica, l’antisemitismo feroce, i neri stendardi col teschio".

 

Chi tira i fili della storia?

Ricercare certe dinamiche è cosa ardua specie quando riguarda la sfera politica e ciò che sembra del tutto casuale, in molti casi, è stato attentamente preparato. Franklin Delano Roosvelt, presidente americano e 33° del Rito Scozzese, nonché appartenente alla Pilgrim Society e al C.F.R., il governo-ombra americano, affermò: "In politica nulla accade a caso. Ogni qualvolta sopravviene un avvenimento si può star certi che esso era stato previsto per svolgersi in quel modo". Quindi una oscura oligarchia, tira le fila di fantocci, solo apparentemente, alla ribalta della scena politica. Aveva ragione Benjiamin Disraeli, statista inglese del secolo scorso, quando disse: "Il mondo è governato da personaggi ben diversi da quelli creduti da coloro i quali non sanno guardare dietro le quinte". Neppure i partiti contano poi molto. Essi stessi sono a loro volta manovrati, usati, in relazione a degli scopi precisi. René Guenon ci informa, nel suo articolo "Réflexions à popos du pouvoir occulte" pubblicato, con lo pseudonimo di Le Sphinx, sul numero dell’11 giugno 1914, pag. 277, della rivista cattolica "France Antimaconnique", che "Un potere occulto di ordine politico e finanziario non dovrà essere confuso con un potere occulto di ordine puramente iniziatico… Un altro punto da tenere presente è che i Superiori Incogniti, di qualunque ordine siano e qualunque sia il campo in cui vogliono agire, non cercano mai di creare dei ‘movimenti’ (…). Essi creano solo degli stati d’animo (état d’esprit), ciò che è molto più efficace, ma, forse, un poco meno alla portata di chiunque. E’ incontestabile che la mentalità degli individui e delle collettività può essere modificata da un insieme sistematico di suggestioni appropriate; in fondo, l’educazione stessa non è altro che questo, e non c’è qui nessun ‘occultismo’ (…). Uno stato d’animo determinato richiede, per stabilirsi, condizioni favorevoli, e occorre o approfittare di queste condizioni se esistono, o provocarne la realizzazione".  Al riguardo dei movimenti rivoluzionari sempre il Guénon, nel suo libro "L’Esoterismo di Dante" (Ediz, Atanòr, Roma 1971), spiega: "...tali movimenti sono talvolta suscitati o guidati, invisibilmente, da potenti organizzazioni iniziatiche, possiamo dire che queste li dominano senza mescolarvisi, in modo da esercitare la loro influenza, egualmente, su ciascuno dei partiti contrari". Sul fenomeno del terrorismo delle Brigate Rosse e su quello di estrema destra, il giudice Pietro Calogero, uno dei magistrati che più ha studiato il problema, ammetteva l’esistenza di: "una rete di collegamenti che si raccoglie intorno a un centro di interesse unitario, che permette ai due terrorismi di procedere insieme nell’assalto dello Stato".

 

Quali misteriosi personaggi si celano dietro le quinte dei vari governi?

Serge Hutin racconta, a tal proposito, quanto accadde ad uno scrittore inglese che sotto lo pseudonimo di Robert Payne pubblicò a Londra, nel 1951, un’opera intitolata "Zero. The story of terrorism". Payne cercò di dimostrare che la strategia del terrore ha abili registi dietro le quinte dei governi apparenti. All’uscita della pubblicazione si verificarono tutta una serie di "coincidenze" molto strane. Tutte la copie del libro furono acquistate da misteriosi personaggi prima ancora che venisse messo in vendita. I giornali ignorarono l’opera nonostante il carattere sensazionale delle rivelazioni in essa contenute. La casa editrice Wingate, una delle più importanti di Londra fallì improvvisamente. Robert Payne morì qualche mese dopo in circostanze a dir poco misteriose. Hutin osserva "La sola spiegazione possibile era che l’autore avesse scoperto l’esistenza, a livello mondiale, di governanti occulti...".

 

La domanda che ora si pone è: come si procederà alla frantumazione degli Stati per la realizzazione del Governo Mondiale?

Scrive Blondet: "Michel Albert è un grand commis della politica sovrannazionale... oggi presidente delle Assurances Générales de France, una delle grandi entità finanziarie che hanno promosso il Mercato Unico Europeo. Nel 1989, Albert ha pubblicato un saggio, subito tradotto in Italia dall’editrice il Mulino con il titolo: Crisi, Disastro, Miracolo. Il libro contiene una prognosi sulla fine degli Stati nazionali che rivela un’analisi sicuramente elaborata negli uffici-studi della Trilaterale, e un progetto di ingegneria sociale. …"L’Europa ‘92 lancia il Mercato Unico all’assalto degli Stati nazionali. Li smantellerà". Come? Con "l’anarchia che risulterà" da "un mercato libero e senza frontiere in una società plurinazionale che non riesce a prendere decisioni comuni". A questo "disastro" pianificato, l’oligarchia spera seguirà il "miracolo": gli Stati nazionali devastati invocheranno "una moneta comune, una Banca centrale europea e un bilancio comunitario". Il programma, tuttavia, era già chiaro nel lontano 1957: "Creare un mercato monetario e finanziario europeo, con una Banca europea (...) il libero flusso dei capitali tra i paesi membri e, infine, una politica finanziaria centralizzata". L’attuazione del programma per insediare un "Nuovo Ordine Mondiale" collegato al movimento "New Age" (di cui parlo più diffusamente nel mio saggio "Il serpente e l’arcobaleno", Ediz. "Segno" di Udine), o chiamata anche "Nuova Era", "Età dell’Aquario" o Era del "Condor", come dicono gli studiosi delle civiltà pre-colombiane, si articola in più strategie per realizzare questa grande utopia della parodia del Romanum Imperium. Fantapolitica e tendenza al complottismo? Tutt’altro. Ecco due esempi italiani. Leggete cosa la rivista americana "Eir" scriveva: "Il 2 aprile 1993... il capogruppo Dc alla Camera, Gerardo Bianco, e il suo collega al Senato, Gabriele De Rosa, presentano un esposto alla procura di Roma, chiedendo di appurare se c’è una cospirazione politica per distruggere l’ordine costituzionale italiano (...) Gli scandali rappresentano un tentativo da parte delle forze Anglo-Americane, segnatamente la Fra Massoneria, di orchestrare una generale destabilizzazione della nazione italiana per distruggere il sistema politico esistente e insediare un nuovo ordine, a loro più gradito". Ai cronisti, che chiedevano a Mancino cosa c’è dietro le stragi italiane, lui rispose: "Non escludo un ruolo della finanza internazionale". Strategie occulte della secret fraternity bancaria internazionale. David Rockefeller "credendo di parlare a orecchie fidate, nel ‘91... ha ammesso: 1) che una cospirazione esiste ‘da quaranta anni’; 2) che essa ha lo scopo di instaurare nel segreto ‘un governo mondiale’ e ‘la sovranità nazionale’ dei banchieri; 3) che il nemico dei cospiratori è ‘l’autodeterminazione nazionale’".

 

Nel frattempo, si verificano nel mondo barbarie, solo apparentemente, prive di sottile regia, occulta naturalmente. Ed è interessante apprendere quanto il misterioso personaggio "esperto di un genere assai speciale", che fa da sfondo al tema trattato da Blondet ne "Gli "Adelphi" della dissoluzione, in una lettera indirizzata allo scrittore suggerisce:

"Può anche darsi che il Nuovo Ordine Mondiale non possa avviarsi a un’epocale clash of civilizations, come alcuni insiders già auspicano in America, ma si limiti a sgranare stermini e genocidi locali, killing fields per poveri straccioni, danze di Shiva e di Kali su carnai confinati a luoghi dove l’uomo è abbondante e ‘sprecabile’. (…). Un’accusa è sempre pronta, a squalificare e ridicolizzare chi esprime ad alta voce le idee che io sommessamente descrivo: quella di ‘complottista’, di allucinato immaginatore di complotti universali. A queste lapidazioni moderne si prestano volontari precisi ambienti giornalistici; espressione di una categoria umana tra le più artificiali, la più ridicolmente sicura di ‘vivere’ in proprio, mentre è la più totalmente ‘vissuta’ e agitata dalle idee correnti, dagli états d’esprit dominanti, dai climi culturali egemoni che ‘Altri’ hanno pur diffuso nell’aria".


Sulla finanza d'assalto... notorio

 

Il 22/12/2003, in piena esplosione dei crac Cirio e Parmalat, il pool di banche DS (1) si mette d'accordo per uno strano pagamento di un debito, come se si trattasse della sua metà, del tipo: "Mi devi 100? Dammene 50, e non se ne parla più".

Roba da stockisti per fondi di magazzino? Più o meno è così, ma si tratta di un'operazione "a saldo e stralcio" che prevede la cancellazione del 50% del debito complessivo che il partito di Fassino e D'Alema ha con tali banche e che ammonta a 235 milioni circa di euro(2)!

Ora, la metà di 235 è 117,5 e non si tratta di 117,5 ciccioli andati a male, ma di 117,5 milioni di euro, vale a dire:

117.500.000 X 1936,27 = 227.511.725.000

duecentoventisette miliardi e mezzo di lire

 

Che senso abbia un simile trattamento di favore a un partito politico da parte di banche, proprio quando risparmiatori ad esse collegati stanno pagando sulla loro pelle la "finanza creativa" dei Tanzi e la disattenzione nel collocamento di "junk bonds" (obbligazioni fasulle, chincaglieria) da parte di sportellisti poco svegli, mi è difficile dirlo.

Una simile discrepanza di trattamento tra DS e "normali" risparmiatori mi sembra poco promettente per il futuro dell'economia italiana.

È infatti iniziato il secondo decennio della pazzia, da me annunciato nella pagina di auguri 2004 di buon anno pubblicata un mese prima (il 27/11/2003) (http://digilander.libero.it/afimo/2004_decennale_della_pazzia.htm), non tanto perché i webmasters di ABBACO FILOSOFICO DELLA MONETA siano dei veggenti, ma semplicemente perché basta essere normali esseri umani pensanti per accorgersi di ciò.

 

Infatti, dopo i cinque anni (1996-2001) di centro-sinistra con i tre governi "Prodi", "D'Alema" e "Amato" ad alta spremitura fiscale per:

  1. portare l'Italia in Europa;
  2. offrire massima garanzia ai rapinatori della finanza (vedi privatizzazioni di Seat Pagine Gialle e Telecom);
  3. garantire il "controllo di legalità" sulle aziende del Cavaliere Nero,

 

ciò era - almeno per me - assolutamente prevedibile.

Chi osserva il passato di ieri in rapporto all'oggi, può ben aspettarsi cosa succederà domani, anche e soprattutto se l'oggetto di osservazione è il subumanesimo imperante, vale a dire un "umanesimo" basato sulla "specie", anziché sull'individuale. Certamente è difficile che l'uomo della specie comprenda l'Abbaco filosofico della moneta, Pound o Steiner(3). Faccio prima a dirgli: io, come uomo della specie ho una normale defecazione giornaliera, quindi prevedo che anche domani l'avrò. Non per questo sono un preveggente. Mi scuso con gli umani per questo "passaggio", ma sono ancora alterato al solo ricordo di quei 5 anni di pacatezza e di tolleranza rossastre... e non solo di quelli...

E dunque: perché l'inizio del 2004 non fa che riproporre l'inizio del decennio passato? Cosa accadde dieci anni fa, a cavallo tra il '92 e la fine del '93?

"Niente!" Prese solo il via la svendita delle grandi aziende pubbliche italiane ai gruppi stranieri. Fu un'operazione inaugurata da San Giorgio (poiché di costui molti parlano ancora come di un santo, chiamerò "S. Giorgio" lo speculatore internazionale George Soros, protagonista fra l'altro di un'indimenticabile cena newyorkese in compagnia di Massimo D'Alema, diventato anch'egli - sul finire degli anni '90 - se non un santo, il "massimo statista"). A quel tempo, San Giorgio - oggi riciclatosi come nemico implacabile di Bush e come guru dei no global - giocò dunque molto pesantemente contro la lira, la nostra lira. Fu così che iniziò, nella primavera del 1992, l'operazione di spoliazione dell'Italia. Tutto avvenne con una serie di avvenimenti-chiave:

  1. crisi della Prima Repubblica;
  2. successivo ciclone di Tangentopoli;
  3. privatizzazioni;
  4. attacco alla lira, appunto da parte di San Giorgio, che grazie a quella incursione speculativa guadagnò il 560%.

 

Al quinto mese di quell'anno, 23/05/1992, la mafia uccise il giudice Falcone, che stava indagando non solo sui rapporti tra mafia e business politici, ma soprattutto su somme ingenti di denaro sporco del Pcus. Falcone avrebbe dovuto infatti incontrarsi di lì a pochi giorni col procuratore moscovita Stepankov, in merito a tale questione di denaro sporco, come venne dichiarato poi dallo stesso Stepankov nel 1999, durante una presentazione del libro "L'oro di Mosca" di Valerio Riva. Le competenze di Falcone sui flussi di denaro sporco passavano così al collega Borsellino, che - regolarmente - saltò per aria due mesi dopo.  Sempre nella primavera di quello straordinario 1992, Luigi Ramponi, capo dei servizi segreti militari (Sismi), si lasciò scappare la frase "O la Dc e il Psi si rinnovano, oppure sono destinati a morire". Il resto è storia. Il 17/03/92, Vincenzo Scotti allora ministro degli Interni, lanciò l'allarme - allertando tutti i prefetti - contro il rischio di possibili attacchi finalizzati a destabilizzare la politica italiana.

 

Sarà poi lo stesso Scotti, nel 1999, a raccontare la verità a Paolo Cirino Pomicino:

"Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti dei leaders dei partiti di governo".

Successe tutto in pochi mesi, fra marzo e luglio 1992:

  1. cavalcata del pool di Mani Pulite,
  2. eliminazione di Falcone,
  3. eliminazione di Borsellino.

 

A settembre, i capi di Polizia e dei Carabinieri, durante una cena, affermarono poi che Scotti aveva fatto bene a lanciare quell'allarme. E infatti, cinque mesi prima, egli veniva oltretutto "informato dal Sisde che a notte fonda due camion stracarichi di documenti erano partiti da Botteghe Oscure"(4), come risulta dal libro "Strettamente riservato", senza che ad oggi siano pervenute querele o smentite all'autore, il "Geronimo" Pomicino(5). Nel primo decennio della pazzia si incominciava dunque a "svendere" l'Italia e immediatamente - settembre '92 -, quasi in contemporanea con la nomina di Giuliano Amato a premier, l'agenzia di rating Moody's si incazzò molto contro l'Italia, quasi per dire: "Ci sono modi e Moody's per (s)vendere!". Senza un motivo apparente, non appena giunse a Palazzo Chigi la bella faccia da onesto di Giuliano Amato, noto frequentatore di ambienti finanziari americani, Moody's fece retrocedere i Bot italiani alla serie C della credibilità. E perché? Certamente non ci voleva un grande genio per affermare il dissesto dei conti pubblici italiani... È sempre stato così... E così era anche due anni prima, nel '90, quando l'agenzia di rating metteva invece i Bot italiani ancora in serie A. E Moody's, pertanto, si affrettò a motivare la sua valutazione negativa in quanto non vi sarebbero state sufficienti garanzie italiane in fatto di privatizzazioni dei beni pubblici. Purtroppo però, l'andare a finire sulla sua lista nera, significa che gli speculatori internazionali si precipitano per disfarsi dei Buoni del Tesoro del "paese unwilling" ("paese non volenteroso")... E così accadde, e per contrastare il crollo, l'Italia si comportò sciaguratamente di conseguenza: offrì tassi di interesse più alti sui suoi Bot al fine di ingolosire gli speculatori. Si sa, un rischio maggiore lo si affronta più volentieri a fronte di una prospettiva di maggior guadagno. Carlo Azeglio Ciampi, all'epoca capo di Bankitalia, non perse tempo: ad ogni brutto voto di Moody's aumentò i tassi dei Bot, ottenendo lo strepitoso risultato che ad ogni 1% di aumento corrispondeva un esborso aggiuntivo di diciassette mila miliardi di vecchie lire per i contribuenti italiani. Per "salvare la lira", Ciampi spese invano quaranta mila miliardi e nonostante questo sforzo la svalutazione della nostra moneta si attestò sul 30% del valore. L'Italia finì fuori dallo Sme. E, in onore dell'italica capacità di saper riconoscere i talenti, Ciampi fu chiamato a sostituire Giuliano Amato a Palazzo Chigi. Così iniziava il primo decennio della pazzia...

E i pazzi della "Banda d'Italia", tutti agitati nella fregola della privatizzazione, fecero tutto in quattro e quattr'otto. Bisognava privatizzare, di corsa, tutto. Lo chiedeva Moody's, non si poteva scherzare! Prima del capitombolo della lira, Giuliano Amato non perse tempo e cominciò dalle basi: cercò consulenti e partners per far partire la "rivoluzione liberale". E come consulenti il governo italiano scelse le tre maggiori banche d'affari di Wall Street: Goldman Sachs, Merrill Lynch, e Salomon Brothers, perfetto "trio lescano" delle meraviglie, che divenne consulente del governo italiano per le privatizzazioni. Peccato che sotto questa veste molti speculatori internazionali vennero a conoscenza di informazioni riservate in merito alle imprese da privatizzare.

Molti erano quelli che sapevano, e molti erano ingolositi da questi "bocconi". C'era però un problema: come fare tombola?... come accaparrarsi le aziende senza pagarle per quello che era il loro reale valore? Semplice! Occorreva una bella svalutazione della lira rispetto al dollaro! Soprattutto per chi disponeva di tanti dollari per acquistare le aziende, essa sarebbe stata la benvenuta! E, quando si dice il caso: accadde proprio così! Si cominciò con Moody's e si finì al largo di Civitavecchia, dove, il 2 giugno 1992 a bordo del panfilo Britannia, partito dal porto laziale, e in navigazione lungo le coste della Sicilia, si svolse la famosa riunione del gruppo Bilderberg. Tra i navigatori a bordo del Britannia c'erano - oltre ai Reali britannici - i rappresentanti della Barclays Bank, della Warburg, della Merril Lynch, della Salomon Brothers, e della Goldman Sachs.

Per la cronaca, la Barclays Bank, per esempio, controllava la Bank Leumi(6), il più grosso istituto finanziario israeliano, già proprietario della Union Bank of Israel; la famiglia dei Warburg, assieme ai Rothschild, agli Oppenheimer, agli Schroeder e ad altri aristocratici sionisti, "divennero i principali sostenitori finanziari di Adolf Hitler"(7), tutti nomi ampiamente documentati nel libro "Droga S.p.A., la guerra dell'oppio", in cui è dimostrato come queste famiglie sono a loro volta controllate dall'oligarchia britannnica: "L'élite britannica funziona come le Famiglie della mafia. A partire dalla prima Guerra dell'Oppio, incontriamo sempre gli stessi nomi alla testa delle più importanti banche britanniche [...] I rampolli di queste stesse famiglie controllano non solo ogni banca importante, ogni grossa compagnia mineraria e di trasporti di Londra, ma anche la HongShang, la Jardine Matheson, la Barclays Bank, l'Anglo-American Corporation, la N.M. Rothschfld e la Lazard Frères. Come dimostreremo, le famiglie che appartengono a questa mafia sono le stesse che dirigono la politica ed i servizi segreti della Gran Bretagna, così come facevano i loro nonni durante le Guerre dell'Oppio e i loro trisavoli contro le colonie che si ribellavano all'impero britannico. Ad un esame più attento però, l'immagine popolare della mafia si rivela come una sorta di negativo fotografico: gli italiani, gli ebrei, i cinesi Ciao Ciu e le altre minoranze etniche coinvolte nel traffico degli stupefacenti sono semplicemente gli alleati dell'oligarchia britannica, in quanto le loro solide reti familiari assomigliano e sono parallele a quelle dell'oligarchia. Ma l'oligarchia britannica è qualcosa di più profondo e di più sinistro. Essa è così potente in Gran Bretagna che mentre uno dei nipoti della Famiglia sdogana una spedizione di oppio a Hong Kong, lo zio regola i pagamepti tramite una grossa banca londinese, il cugino spedisce oro dal mercato di Hong Kong e un altro parente nei servizi segreti britannici tiene a bada la polizia antinarcotici americana"(8).

Ma proseguiamo. Fra gli italiani, erano presenti: Mario Draghi, direttore delegato del ministero del Tesoro; Riccardo Galli, dell'Iri; Giovanni Bazoli, dell'Ambroveneto; Antonio Pedone, del Crediop; Beniamino Andreatta; dirigenti dell'Eni, Agip, Mediobanca, Comit, Generali e Società autostrade. Il giorno dopo, al Tg1, il giornalista Maurizio Losa annunciava che a Milano "ora, nell'inchiesta sulle tangenti, c'è anche il nome di Bettino Craxi". Uno dei pochi a dire "no" all'operazione Britannia fu il direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, lo stesso che nel 1999 si trovò ad opporsi a Massimo D'Alema al momento della scalata di Colaninno a Telecom, quando il Tesoro fu espressamente invitato dal capo del governo a disertare il Cda di salvataggio anti-opa e a spianare così la strada all'incredibile speculazione che si concluse con l'acquisizione di Telecom. Spesse volte la stampa manettara e moralista è indifferente alla dignità umana. Perciò nessuno parlò del comportamento di Draghi, quando scese dal Britannia per evitare di partecipare a quella che sembrava diventare e che effettivamente fu "una svendita delle grandi aziende pubbliche italiane alle multinazionali americane e britanniche"... In seguito fu lo stesso Draghi ad ammettere il suo imbarazzo durante un intervento in aula alla Camera per rispondere alle interrogazioni di tre parlamentari sul caso. Guarda caso, dopo quella "merenda" sul Britannia del 2 giugno 1992, nel solo settore tradizionalmente più importante per la nostra economia, quello agroalimentare, numerose furono le ditte svendute agli stranieri: la Locatelli, l'Invernizzi, la Buitoni, la Galbani, la Negroni, la Ferrarelle, la Peroni, la Moretti, la Fini, la Perugina, e la Mira Lanza. L 'operazione Britannia garantì alle multinazionali anglo-americane di mettere le mani su quasi il 50% (precisamente il 48%: 34 agli americani e 14 ai britannici) delle aziende italiane finite in mano straniera. Sul finire degli anni '90 sarebbe invece stata la volta dei francesi a fare il mega shopping nei settori strategici della grande distribuzione, della gestione delle acque, e dell'alta moda, mentre la stampa libera, democratica e antifascista... dormiva. Ma sarebbe meglio dire che prestava bellamente il fianco al nemico. Infatti, in quel periodo di colonizzazione mascherato dall'incipiente cosiddetta "rivoluzione" di Mani Pulite, il trombonismo mediatico giocò un ruolo fondamentale.

Nel luglio '92, appena la Goldman Sachs annunciò che la lira era pericolosamente sopravvalutata, ad agitare il "rischio Italia" cominciò subito - guarda caso - il Financial Times, proprietà di Samuel Brittan, e continuò l'Economist, proprietà di Evelyn De Rotschild, ed il Washington Post (della Salomon Brothers e dei Lazard) diede man forte. In Italia, l'allarme mediatico del "trio lescano", pardon, anglo-americano, fu amplificato a dismisura dai giornali di Agnelli, di De Benedetti e della Confindustria. Nell'agosto del 1993, Nicola Mancino, ministro degli Interni, a seguito dell'ondata di attacchi terroristici che colpirono il paese, dichiarò: "Non escludo un ruolo della finanza internazionale".  Tre mesi dopo, il 5 novembre, fu il "venerdì nero" della lira anche a seguito di voci londinesi su un possibile avviso di garanzia nei confronti del presidente Oscar Luigi Scalfaro, oggi noto girotondino. Il 6 novembre, è la volta di Ciampi. Allora, da bravo presidente del Consiglio, scrisse una lettera a Vittorio Mele, procuratore capo della Repubblica di Roma, affinché "avviasse le procedure relative al delitto previsto all'art. 501 del codice penale, considerato nell'ipotesi delle aggravanti in esso contenute". Ciò che è incredibile è che proprio lui, questo grande lavoratore nella manipolazione di capitali, chiedeva di indagare su un possibile reato di aggiotaggio da parte di chi aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa. Nel dicembre 1993 l'Italia era divenuto un paese a completa sovranità limitata, e gli esperti del FMI (Fondo Monetario Internazionale) vennero dunque a Roma per correggere il bilancio stilato dal governo Ciampi, e dissero: "Benino, ma bisogna fare di più". Per il FMI, ridurre il deficit pubblico non bastava. Occorreva ottenere un avanzo primario del 4-5% entro il 1994-'95.

E come fare? Semplce! Attraverso "ulteriori azioni fiscali"!

E chi poteva fare ciò? Chi poteva accollarsi il peso politico di una simile responsabilità in un momento in cui le sedute della Camera si tenevano a Palazzo di Giustizia? Dopo le elezioni amministrative del novembre 1993, la Dc scomparve. E ciò favorì la grande affermazione della coalizione di sinistra, guidata dall'allora Pds, mentre la Borsa festeggiava la vittoria degli "ex" compagni! Ma come! Fino a pochi anni prima, la vittoria elettorale di un partito di sinistra avrebbe significato il crollo delle Borse! Invece allora, subito dopo la vittoria della Quercia, la Borsa di Milano guadagnò 2,5 punti. E per di più, i primi entusiasti acquirenti furono investitori stranieri. Come mai? Stranamente tra il primo e il secondo turno delle amministrative, Financial Times e Le Monde, i due giornali dell'establishment che non hanno mai digerito la discesa in politica di Berlusconi, si precipitarono a Roma per intervistare, deferenti, Achille Occhetto. In entrambe le interviste Occhetto si disse fermamente intenzionato - ovviamente - a proseguire sulla linea politica di Carlo Azeglio Ciampi. E oplà: la rivoluzione di cui la finanza internazionale aveva bisogno era nel '93 già delineata: la sinistra avrebbe lasciato che capitali e aziende fuggissero all'estero come chiedevano le leggi del libero mercato, nuovo dogma dei post-comunisti. In compenso i nuovi leader dell'Italia dalle "mani pulite" avrebbero avuto mano libera per esercitare in patria tutto l'antifascismo che volevano. Questo, secondo me, fu il vero motivo che fece decidere nel 1994 Silvio Berlusconi a scendere in campo, cosa che causò poi un ulteriore crollo della lira il 25 maggio 1994, quando la Borsa perse il 2,6% in poche ore, a seguito di voci - sempre londinesi, guarda caso - su un presunto avviso di garanzia contro il nuovo presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. E, ovviamente, l'avviso arrivò "puntualmente" qualche settimana dopo, recapitato a mezzo stampa dal quotidiano della Fiat. Oggi, nel secondo decennio della pazzia, dopo che i camerieri dei banchieri hanno ramazzato tutto e sono stati smascherati, i banchieri sono rimasti allo scoperto. Siamo perciò ora all'osso dell'oramai putrefatto organismo sociale. E adesso - dopo i fatti di FIAT, Cirio, e Parmalat - si incomincia ad avvertire da lontano un pallido clima dialettico sulla riforma della magistratura. Il presidente dell'ANM (Associazione Nazionale Magistrati) Edmondo Bruti Liberati propone oggi la rimozione dei magistrati arraffoni. Ovviamente, nella sua relazione introduttiva al Congresso ANM di Venezia del 5-8/02/04 intitolata "Giustizia più efficiente e Indipendenza della magistratura a garanzia dei cittadini", egli non si esprime in questi termini, e si riferisce a quei magistrati inadatti a superare i controlli sulla loro professionalità e sulla "qualità" e quantità del lavoro svolto. Parla soprattutto di "qualità": di "impegno per la qualità del servizio giustizia", di leggi che hanno inciso solo negativamente "sulla qualità e sulla funzionalità del servizio giustizia", di lesioni gravi dei diritti dei cittadini che ricadono pesantemente "sul sistema economico e di impresa e sulla stessa tenuta della civile convivenza. Insomma è un problema centrale per la qualità della nostra democrazia", di impegno sempre maggiore "in qualità e quantità di decisioni di giustizia" per contribuire al "miglioramento della qualità del servizio, attraverso gli strumenti della formazione e della verifica della professionalità dei magistrati", dell'attuale impossibilità di "rendere un servizio giustizia di qualità in tempi accettabili", ecc.

 

Devo dire che tutto questo lungo discorso dell'Edmondo palesa una certa ingenuità, e come studioso del linguaggio mi sembra che la parola "qualità", collocata nel contesto di un regno della quantità di moneta ramazzata faccia rabbrividire. Infatti oggi, al fine di disfarsi dei magistrati inidonei, bisognerebbe rimuoverli tutti. E mi spiego. La questione è alquanto problematica. Secondo la cultura del diritto ci sarebbe infatti un solo caso in cui emerge chiaramente la necessità di rimozione del magistrato. Questo caso è quando il reato consiste in un fatto notorio. Ciò però comporta il seguente problema: se il fatto notorio nessuno lo nota, è ugualmente un fatto notorio? Se la risposta è affermativa, allora bisognerebbe stabilire per quale motivo tutti i magistrati sono ciechi volontari oppure perché fanno tutti gli gnorri. Si arriverebbe allora a scoprire che abbiamo dei magistrati completamente subumani, insomma molto più vicini all'annimale che all'umano. E probabilmente è così. I magistrati sono dei delinquenti esattamente come i politici. Occorre allora spiegare il contenuto del concetto di "notorio": si intende per "notorio" tutto ciò che per avere rilevanza giuridica non necessità di prova alcuna, né di accertamento giudiziale. A questo punto, ecco un esempio clamoroso di fatto notorio: è notorio che la banca centrale emette moneta prestandola. A conferma e salvaguardia di questo prestito, essa vanta sulla moneta il diritto inestinguibile di signoraggio, che è analogo al vincolo ipotecario sugli immobili. È altresì notorio - in quanto fatto storico - che la banca centrale poteva affermare di essere proprietaria della moneta quando la moteta era concepita come titolo di credito rappresentativo della sua relativa riserva aurea, per cui era convertibile in oro a richiesta del portatore. Poi - altro fatto notorio - venne però abolita la convertibilità (1912). E - di nuovo un altro fatto notorio - venne abolita - con la fine degli accordi di Bretton Woods (1971) addirittura anche la riserva stessa. La moneta diventò perciò simile ad un francobollo di antiquariato, avente valore per convenzione, senza bisogno di riserva aurea e, come ogni bene mobile, è proprietà del possessore in buonafede. In base a tutti questi fatti notori, risulta che il valore della moneta viene creato non solo dal cittadino che la stampa, ma parimenti dal cittadino che l'accetta. Infatti il valore sorge - e sempre sorgerà - attraverso il rapporto fra una cosa e l'altra o fra una persona e l'altra. Ne consegue - se fosse notato ma evidentemente non lo è perché il pensare umano è carente - che all'atto dell'emissione la moneta dovrebbe essere accreditata, non prestata. Altra cosa che dovrebbe essere notoria ma che non lo è, consiste nel fatto che le banche centrali, pur avendo cessato di essere proprietarie, per i fatti sopra citati, continuano a comportarsi come tali, vale a dire: continuano ad emettere moneta prestandola, ma così facendo prestano ciò che non appartiene loro, prestano il dovuto, e conservano il diritto di signoraggio, che in tal modo diventa diventa ipoteca non sul debito del debitore, ma sul credito del creditore, una vera e propria pazzia. Per questo motivo ho chiamato il 2004, il decennio della pazzia, il secondo decennio della pazzia, in attesa che il fatto diventi notorio... e che l'umanità guarisca dalla sua malattia: la rimozione del proprio giudizio critico, per cui ciò che è notorio non viene notato...

E se nessuna norma stabilisce chi è il proprietario della moneta all'atto dell'emissione, non si potrà mai sapere chi - nella fase della circolazione monetaria - è creditore, e chi è debitore, perché manca la certezza del diritto. Considerando che i fatti notori qui evidenziati costituiscono fattispecie criminose di truffa, associazione a delinquere, falso in bilancio, usura, e di istigazione al suicidio da insolvenza, i magistrati non malati dovrebbero essere tenuti a promuovere immediatamente i relativi procedimenti penali come adempimento di atto dovuto.

Pertanto, per salvaguardare la "buona qualità" dei provvedimenti giudiziari, i magistrati sani, a tutela delle vittime dei suddetti reati - auspicata da Edmondo Bruti Liberati - dovranno:

  1. concedere la moratoria dei debiti;
  2. concedere la sospensione di tutti i procedimenti fallimentari, di esproprio, ed esecutivi;
  3. consentire l'emissione di una moneta alternativa di proprietà del portatore, senza riserva aurea (come già è), e libera dal debito non dovuto del signoraggio;
  4. confiscare e distribuire al popolo gli oltre 4 milioni di miliardi di vecchie lire del capitale monetario di Bankitalia, essendo illegittime le sue emissioni monetarie a debito - e poiché tali miliardi non esistono come liquidità:
  5. espropriare tutte le proprietà delle Società per Azioni (S.p.A. private con scopo di lucro) socie di Bankitalia, fino alla concorrenza del credito pubblico.

Una volta constatato che la banca centrale, prestando il dovuto, carica il costo del denaro del 200% oltre gli interessi, rendendo impossibile la puntualità dei pagamenti, e causando il suicidio da insolvenza (malattia sociale che non ha precedenti nella storia), la relativa responsabilità dovrebbe dunque ricadere - proprio grazie ad un'ANM capace di osservare i propri provvedimenti sulla "qualità" della giustizia - non solo sui banchieri, ma anche sull'ordine dei magistrati per aver ignorato il "notorio". Se dunque queste premesse - a mio parere incontestabili per un essere umano sano - non saranno notate dai magistrati, si avrà come conseguenza che, per legge, esse non potranno rientrare nei fatti "notori", e che la proposta dell'Edmondo di "rimozione" dei magistrati inidonei - non potendo riferirsi anche a coloro che la propongono, vale a dire alla totalità della Magistratura - avrà un solo modo per essere attuata: "rimuovere" gli altri, cioè le persone che per il loro pensiero non conforme a quello democraticamente dominante saranno considerate alienate. Come è stato per Pound, che fu rinchiuso in manicomio per il suo pensiero anti usurocratico, così continuerà ad avvenire per ogni cittadino "colpevole" di pensare in modo diverso rispetto alla maggioranza democratica? Io non credo. Sono venuto su questo pianeta per dire pane al pane e vino al vino. Forse mi potranno anche mettere in manicomio in nome della democrazia, ma proprio per questo motivo, la democrazia risulterà essere, per dirla alla Ugo, una "cagata pazzesca". Se le banche vorranno garantire realmente l'esistenza di un "sistema Italia" nazionale senza truffare ulteriormente il popolo, dovranno "mettersi a posto", cioè rinsavire, incominciando a prendere atto del loro essere contro il popolo, situazione esattamente identica a quella della Federal Reserve Bank. A seguito delle note vicende Cirio e Parmalat, e a seguito di tutti gli altri fatti notori che non si vogliono notare, la sfiducia dei cittadini verso gli istituti finanziari e verso il risparmio è destinata a crescere sempre più, e ciò porterà al tracollo di questo falso sistema creditizio italiano e mondiale: falso in quanto è un sistema di debito sociale, mentre dovrebbe essere un reale sistema di credito sociale. In tempi di moneta unica e di Europa a 25 nazioni, il sistema bancario, anziché essere ciò che avrebbe dovuto, e cioè il massimo ganglo vitale per la sovranità nazionale e per il popolo sovrano, è stato trasformato in sistema usurocratico mondiale in cui la sfida tra finanza e risparmio esprime la massima alienazione in cui il genere umano è caduto, col rischio di una terza guerra mondiale. La sfida tra una ripresa di fiducia legata all'economia reale e quindi a un sistema creditizio, funzionale all'imprenditoria, e il perpetuarsi di un sistema di economia finanziarizzata dove le imprese sono concentrate più che sui profitti da produzione, sui tavoli da gioco del grande casinò finanziario mondiale, deve cessare, in quanto è la sfida stessa al sano pensare umano imposta dal subumano e da tutti coloro che non ne vogliono sapere (rimozione) di giudicare criticamente (giudizio critico) ciò che è iniquo.

 

(1) Cfr. l'Editoriale 2004 di "Tempi duri"; cfr. altresì: si tratta del "pool di banche creditrici del partito dei Democratici di Sinistra capeggiate da Carisbo - gruppo San Paolo-Imi - con un credito di circa 30 milioni di euro, e costituite inoltre da Banca Intesa e Capitalia - creditrici ognuna per 21 milioni di euro - e da Monte dei Paschi di Siena con un credito di circa 3,5 milioni di euro" (vedi anche: http://www.perlulivo.it/pipermail/gargonza/msg15784.html).

(2) Ibid.

(3) "L'individuale in me - spiega Steiner nella sua Filosofia della libertà - non è il mio organismo coi suoi impulsi e i suoi sentimenti, ma il mondo unitario delle idee, che risplende in questo organismo. I miei impulsi, i miei istinti, le mie passioni fanno soltanto che io appartenga alla specie generale uomo, la circostanza che in questi impulsi in queste passioni e sentimenti, si estrinseca un ideale in un modo particolare, crea la mia individualità. Per i miei istinti e impulsi io sono un uomo come se ne trovano dodici per dozzina; per la particolare forma dell'idea per cui nella dozzina mi designo come io, sono un individuo. Per le differenze della mia natura animale, solo un essere a me estraneo potrebbe distinguermi dagli altri. Per il mio pensare, cioè per l'attivo riconoscimento dell'elemento ideale che vive nel mio organismo, mi distinguo io stesso dagli altri. Dell'azione del delinquente, non si può quindi dire che derivi dall'idea. Anzi, è proprio la caratteristica delle azioni delittuose di derivare dagli elementi extraideali dell'uomo".

(4) Cfr. nota 1.

(5) Ibid.

(6) Kalimtgis-Goldman-Steinberg, "Droga S.p.A., la guerra dell'oppio", Ed. Logos, Roma, 1980.

(7) Ibid.

(8) Ibid.

George Soros si fa beffe della magistratura italiana

 

Il 5 ottobre il mega speculatore George Soros, perdendo la flemma da affarista della City, ha deriso l’attività della magistratura italiana all’incontro organizzato all’hotel Omni Shoreham di Washington, alla presenza di centinaia di banchieri, economisti, politici e giornalisti internazionali nel contesto dell’incontro annuale del Fondo Monetario Internazionale. Dopo che Soros aveva elaborato la sua analisi sulla crisi finanziaria mondiale, evitando accuratamente di menzionare il suo ruolo personale negli attacchi speculativi degli hedge funds contro le monete di molte nazioni, un giornalista dell’Executive Intelligence Review, lo ha sfidato pubblicamente:

Jeff Steinberg: "Perché non ha detto ai presenti che lei è sotto indagine giudiziaria da parte delle autorità italiane, così come da parte dei governi di Taiwan e di altri paesi asiatici e dell’Europa Centrale per le sue manipolazioni monetarie?"

George Soros: "So di essere sotto indagine da parte delle autorità italiane, ma agli italiani piace fare queste indagini e io non le considero serie!".

Gli uffici delle Procure di Napoli e di Roma stanno conducendo un’inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co. che colpirono la lira nel settembre del 1992 e in varie altre occasioni nei mesi seguenti. La procedura è stata sollecitata da un esposto alla magistratura presentato nell’ottobre del 1995 da Paolo Raimondi, presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, organizzazione italiana associata con il movimento dell’economista e politico americano Lyndon LaRouche, l’autore della vera proposta per una nuova Bretton Woods contro il crollo finanziario in corso. A seguito dell’attacco speculativo di Soros, l’incompentenza e la complicità di personaggi italiani quali Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi, allora rispettivamente governatore della Banca d’Italia e direttore generale del Tesoro, hanno regalato a Soros e agli speculatori 15.000 miliardi di lire, una perdita secca provocata da un utilizzo più complice che maldestro di riserve per 48 miliardi di dollari che non ha impedito una svalutazione della lira del 30%. La magistratura italiana e le altre autorità responsabili per la difesa degli interessi economici nazionali sono state recentemente chiamate nuovamente a indagare su simili attività speculative soprattutto dopo la bancarotta dell’hedge fund LTCM, al quale George Soros è tutt’altro che estraneo. Come ha riportato anche la stampa nei giorni passati, l’Ufficio Italiano Cambi (UIC) ha partecipato nel LTCM con almeno 250 milioni di dollari di riserve della Banca d’Italia, soldi che hanno poi fornito la base per gigantesche operazioni di finanza derivata nella speculazione anche contro la lira. A Washington George Soros ha poi perso le staffe quando l’EIR ha pubblicamente denunciato i suoi finaziamenti internazionali a organizzazioni e operazioni che promuovono la ‘droga libera’.

Steinberg:" Come giustifica la sua idea di una società aperta con il fatto di essere il più grande finanziatore di organizzazioni che promuovono la liberizzazione della droga?".

Soros: "È una bugia!"

Steinberg: "Ho partecipato a cinque conferenze organizzate dalla Drug Policy Foundation (DPF) che lei finanzia; e ho sentito con le mie orecchie quello che questi personaggi dicono dopo che le telecamere vengono spente. Promuovono la legalizzazione del crack e di ogni altra droga illegale."

Soros: "Io non l’ho mai incontrata in questi meeting".

Steinberg: "Devo ricordarle le date e i posti? Lei conosce [il presidente della DPF] Eric Sterling?"

Soros:"Vedo che lei è certamente un grand’uomo, ma questo è troppo. Me ne vado!"

 

Due procure indagano su Soros

I procuratori Guerriero e Martellino hanno accolto le indicazioni dell'esposto del Movimento Solidarietà.Un segnale di resistenza al liberismo. Due indagini sono state aperte sul conto del finanziere internazionale George Soros, una dalla Procura della Repubblica di Roma e l'altra dalla Procura della Repubblica di Napoli, per accertare il suo ruolo nell'attacco speculativo contro la lira e contro altre monete europee avvenuto nel settembre del 1992. La notizia è stata diffusa dal quotidiano romano Il Tempo che il 3 febbraio ha scritto con molto risalto in prima pagina "Soros, l'ammazzalira, nel mirino dei giudici." La notizia è stata ripresa tra gli altri anche da Il Giornale. Il sostituto procuratore di Roma Cesare Martellino ha annunciato di aver ordinato una serie di accertamenti alla Guardia di Finanza. Il pubblico ministero di Napoli Antonio Guerriero ha iniziato le indagini sulle attività della Banca d'Italia nella crisi della lira del 1992. I due dirigenti della banca centrale, Carlo Azeglio Ciampi, che era Governatore, e Lamberto Dini, che era direttore generale, sono poi diventati Presidenti del Consiglio dei due governi di "tecnici" responsabili della politica di privatizzazione su tutto il fronte e di tagli alla spesa pubblica per soddisfare la logica del Trattato di Maastricht. L'attacco speculativo del settembre 1992 portò ad una svalutazione della lira del 30% ed al prosciugamento delle riserve della Banca d'Italia, che fu costretta a bruciare 48 miliardi di dollari nel vano tentativo di arginare l'attacco speculativo. La crisi portò anche allo scioglimento del Sistema Monetario Europeo. Le indagini ora aperte sono state sollecitate da un esposto di Paolo Raimondi e Claudio Ciccanti, rispettivamente presidente e segretario generale del "Movimento Internazionale per i Diritti Civili - Solidarietà", inoltrato alla fine dell'ottobre 1995 alle Procure di Milano, Roma, Napoli e Firenze. Il noto avvocato romano Giuseppe de Gori rappresenta il Movimento Solidarietà nella procedura legale. Il movimento si rifà alle idee politiche ed economiche di Lyndon LaRouche, l'economista americano e candidato alla presidenza nel partito democratico. L'esposto (pubblicato sul numero 5 di Solidarietà, ottobre 1995) documenta le dirette responsabilità di Soros nell'attacco alla lira e stabilisce inoltre un collegamento tra questa manovra e l'incontro segreto tenuto a bordo del panfilo reale "Britannia" della regina Elisabetta II d'Inghilterra, avvenuto il 2 giugno 1992, nel corso del quale esponenti del mondo bancario e finanziario anglo-olandese incontrarono delle personalità italiane per complottare la completa privatizzazione delle partecipazioni statali a prezzi stracciati.

 

Tra i partecipanti di quell'incontro c'erano i rappresentanti delle banche Barings e S.G. Warburg, Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e Beniamino Andreatta. L'esposto chiede alle autorità giudiziarie di stabilire se le attività di Soros costituiscano una violazione dell'articolo 501 del codice penale, secondo il quale è prevista una pena carceraria fino a quattro anni per chi provoca la svalutazione della moneta nazionale e dei titoli di stato con mezzi illeciti. Queste azioni riflettono il tentativo di retroguardia di alcune forze politiche ed economiche che stanno cercando di fermare, o almeno rallentare il processo di disintegrazione delle istituzioni dello stato. Esse si agganciano anche a quelle forze e interessi americani, sopratutto intorno al Presidente Clinton, che stanno cercando di arginare le folli politiche di tagli proposte da Gingrich, che è nel contempo uno dei più accesi sostenitori della "libera" speculazione della finanza derivata. Infatti, le attività di George Soros sono oggetto di indagini da parte di organi ufficiali americani, soprattutto a partire dal giugno 1993 quando l'allora presidente della commissione bancaria del Congresso, il democratico Henry Gonzalez sollevò la questione della grande speculazione e di Soros in una storica seduta. La crisi in Italia ha già raggiunto l'orlo dell'abisso e minaccia adesso di gettare la nazione in un caos totale aprendo le porte ad una cannibalizzazione dell'economia italiana da parte delle forze finanzarie ispirate dalla City di Londra.

Dini e Fazio

In questo contesto è interessante notare il fatto che il 26 gennaio il Primo ministro uscente Lamberto Dini ha presentato al Parlamento il rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, in cui si diceva che i servizi segreti italiani erano stati chiamati a svolgere delle indagini sulle continue operazioni di destabilizzazione economica e finanziaria dell'Italia. Nel documento si leggeva che "i mercati valutari e le Borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta originate, specie in passaggi delicati della vita politico-instituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardante la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo." L'azione dei servizi è quindi stata indirizzata "alla verifica di eventuali strategie di aggressione sistematica alla nostra sicurezza economica, in un momento in cui è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente." Il rapporto presentato da Dini, ma certamente da lui non preparato, evitava di identificare il noto caso di George Soros. Lo stesso giorno, il prof. De Gori, per conto del Movimento Solidarietà, ha mandato una nota al Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, chiedendogli di sollecitare un intervento del Consiglio Superiore della Magistratura. Il giorno dopo, 27 di gennaio, parlando a Roma in occasione del Cinquantesimo Anniversario dell'Ufficio Italiano Cambi (UIC), il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, denunciava che i mercati finanziari sono troppo forti e le banche centrali non sono più in grado di resistere alle operazione speculative sui mercati dei cambi. "Oggi, diceva Fazio, se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco".

 

Per l'Italia, il cambiamento del clima c'è stato nel 1990 e il vento ha cominciato a soffiare nel 1992: nell'arco di quei dodici mesi l'UIC ha utilizzato tutte le sue riserve di 8 miliardi di DM per cercare inutilmente di smorzare la furia dei venti speculativi. Sul mercato italiano dei cambi si registra una esplosione delle transazioni internazionali che toccano i 50 mila miliardi giornalieri. Fazio concludeva ammettendo che le banche centrali del mondo non possono far altro che assecondare i "venti" finanziari e monetari. La dichiarazione di Fazio, tardiva, conferma la giustezza dell'analisi e degli interventi del movimento di LaRouche a livello internazionale e del Movimento Solidarietà in Italia. Ad esempio, il 28 giugno 1993 il Movimento Solidarietà tenne una conferenza a Milano dove vennero denunciate le operazioni speculative del Britannia e della finanza derivata contro gli interessi nazionali. (Vedi Solidarietà dell'ottobre 1993 anno 1, numero 1). Siamo adesso in campagna elettorale. Il governo Dini e il tentativo di Antonio Maccanico, due civil servant della grande finanza internazionale, sono colati a picco su due scogli: il primo si chiama Maastricht, e la sua sostanza è la logica infernale di tagli al bilancio, che, contrariamente alle paranoie monetariste, non pareggiano i bilanci ma fanno detonare le mine sotto i resti dell'economia reale; il secondo è costituito da una resistenza, seppur tardiva e disorganizzata, alla speculazione e alle privatizzazioni selvagge complottate sul Britannia. Inoltre, anche se molti non se ne sono ancora accorti, la campagna elettorale americana insegna che le forze sociali e produttive hanno già sconfitto i candidati e le politiche dei neo conservatori di Gingrich e vogliono invece dibattere i temi strategici del rilancio dell'economia produttiva, dell'occupazione, della tecnologia. Una campagna elettorale può essere momento di lavaggio del cervello di massa se si impone agli elettori un dibattito su argomenti virtuali, oppure un momento di educazione e di responsabilizzazione se si introducono le grandi sfide di oggi, contro il neo malthusianesimo, il post industriale, la geopolitica destabilizzante e la cultura della morte.

 

Esposto della Magistratura contro Gorge Soros

Il seguente documento è stato presentato dal Movimento Solidarietà al Procuratore della Repubblica di Milano il 27 ottobre 1995

Paolo Raimondi , in qualità di Presidente del "Movimento Internazionale per i Diritti Civili - Solidarietà" e Claudio Ciccanti, in qualità di segretario generale dello stesso Movimento, portano all'attenzione del signor Procuratore della Repubblica di Milano alcuni fatti e considerazioni relative alle attività speculative contro la lira, intraprese dal cittadino americano George Soros a partire dal 1992. Il 30 ottobre 1995 il signor George Soros, controllore del fondo di investimento "Quantum Fund", dovrebbe ricevere una laurea `honoris causa' in economia all'Università di Bologna e, secondo i bollettini stampa, uno dei coordinatori di tale manifestazione sarebbe il prof. Romano Prodi. Si chiede l'apertura di un procedimento giudiziario nei confronti del sig. George Soros e per motivare tale richiesta si espongono i seguenti fatti:

I. Il sig. George Soros, per sua stessa ammissione in molte interviste alla stampa e alla televisione, è stato uno dei principali promotori, organizzatori e beneficiari del gigantesco attacco speculativo contro la lira, la sterlina britannica, il franco francese e altre monete europee nel settembre 1992, che ha costretto alla libera fluttuazione al di fuori del Sistema Monetario Europeo (SME) ponnedo una seria ipoteca sul futuro dello stesso SME.

Secondo resoconti della stampa economica, George Soros avrebbe incassato in pochi giorni almeno 400 miliardi di lire (28 milioni di dollari) nella speculazione contro la lira e ben 1.200 miliardi di lire operando contro la lira sterlina.

Soros e il suo fondo di investimento"Quantum Fund" sono tra i più abili operatori sui mercati speculativi dei derivati, strumenti finanziari contrattati globalmente per una media di 1.000 miliardi di dollari al giorno. La tecnica utilizzata dagli speculatori in derivati permette loro di operare su cifre enormi disponendo in realtà solo una minima parte dell'ammontare nominale. La stessa tecnica sarebbe stata utilizzata da Soros anche nella speculazione contro la lira, per la quale ha potuto mobilitare un miliardo di dollari impegnando di suo solo 50 milioni di dollari e raccogliendo il resto in crediti, utilizzando i 50 milioni come garanzie collaterali.

La nostra moneta, da 760 lire per un marco tedesco, ha perso subito il 30% del suo valore ed è continuata a scivolare fino alle 1200 lire per un marco con conseguenze drammatiche per le risorse dello stato, con perdite in ricchezza reale e in occupazione (la lira si è ovviamente anche indebolita nei confronti delle altre monete a partire dal dollaro). Tutte le importazioni di energia, materie prime e tecnologia sono in dollari o in marchi.

La Bundesbank, la banca centrale tedesca, ha speso inutilmente 60 miliardi di marchi per la difesa del franco francese, della lira e delle altre monete dello SME. La Banca d'Italia avrebbe utilizzato tra il giugno e il settembre 1992, 48 miliardi di dollari di riserve per difendere, senza successo, il valore della lira.

II. La precisione dell'attacco, spiegato dai media come frutto di qualità quasi "magiche" del sig. Soros, dovrebbe invece sollevare dubbi su possibili azioni illegali e criminali di aggiotaggio e di "insider trading", di possesso di informazioni riservate che, se utilizzate, danno allo speculatore un margine di vantaggio e di sicurezza per poter anticipare movimenti su titoli, valori e cambi delle monete.

 

È stato infatti annotata nel 1992 l'esistenza, per esempio, di un contatto molto stretto e particolare del sig. Soros con Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell'apparato della Banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria "Goldman Sachs & co." come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldaman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia.

In Italia inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima collaborazione del sig. Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della "Albertini e co. SIM" di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del "Quantum Fund" di Soros.

III. L'attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht "Britannia" della regina Elisabetta II d'Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come la S.G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell'industria di stato italiana. A seguito dell'attacco speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell'economia nazionale e dell'occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all'incontro del Britannia avevano già ottenuto l'autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L'agenzia stampa EIR (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l'intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione.

IV. Il "Quantum Fund", il fondo di investimento controllato da Soros, registrato nelle Antille Olandesi, annovera i seguenti personaggi nel suo consiglio di amministrazione:

Alberto Foglia ( Banca del Ceresio di Lugano);

Isidoro Albertini (Albertini e co. SIM Agenti di Cambio, di Milano);

Richard Katz ( direttore della Rothschild Italia Spa);

L. Amedée de Moustier ( IFA Banque di Parigi);

Boat Notz di Ginevra;

Edgar de Picciotto (Union Bancaire Privée (UBP) di Ginevra);

Claudio Segré di Ginevra;

Nils O. Taube(socio d'affari di lord Rothschild nella finanziaria "St. James's Place Capital plc");

Un esempio dell''ambiente' del "Quantum Fund": Edgar de Picciotto.

De Picciotto presiede la UBP , la terza banca svizzera, nata dalla fusione della Compagnie de Banque et d'Investissements, la banca privata della famiglia Picciotto, e della Trade Development Bank (TDB) appartenente ad Edmund Safra. Safra fu coinvolto in un'inchiesta aperta nel 1989, assieme alla Shakarchi Trading Company, accusata dalla DEA, l'agenzia anti droga americana, di essere legata al cartello colombiano della cocaina. L'inchiesta su Safra fu poi archiviata. Il 27 novembre 1994 la polizia americana ha arrestato in Florida Jacques Handali, funzionario della Union Bancaire Privée sotto l'accusa di riciclaggio di soldi della droga tra gli USA e la Svizzera. Su richiesta americana, la procura di Ginevra aveva aperto un'inchiesta parallela e il giorno dopo furono perquisiti gli uffici della UBP di Ginevra. Contemporaneamente a New York venivano arrestati diversi individui accusati di aver svolto le mansioni di corrieri, trasportando valigette di narcodollari dagli USA alle casse della UBP in Svizzera. Mentre i vertici della UBP si dichiarano innocenti accusando Handali di aver agito per proprio conto, gli inquirenti americani sostengono il contrario, grazie alle prove ottenute attraverso un cliente di Handali che in realtà era un informatore della polizia. Ad uno degli incontri tra Handali e il cliente-informatore, questi viene invitato a Ginevra dove incontra nella sede dell'UBP una persona di più alto livello nell'operazione. Il cliente-informatore viene incoraggiato a investire in uno dei principali fondi di investimento europei.

V. Come è stato menzionato già all'inizio, è lo stesso George Soros ad ammettere pubblicamente di essere uno dei principali speculatori internazionali. Ad esempio, in un'intervista rilasciata al quotidiano inglese The Guardian il 19 dicembre 1992, riportata anche nel documento "Lo sviluppo moderno dell'attività finanziaria alla luce dell'etica cristiana", preparato dalla Commissione Pontificia "Justitia et Pax", Soros testualmente dice: "Sono certo che le attività speculative hanno avuto delle conseguenze negative. Ma questo fatto non entra nel mio pensiero. Non può. Se io mi astenessi da determinate azioni a causa di dubbi morali, allora cesserei di essere un efficace speculatore. Non ho neanche l'ombra di un rimorso perchè faccio un profitto dalla speculazione sulla lira sterlina. Io non ho speculato contro la sterlina per aiutare l'Inghilterra, né l'ho fatto per danneggiarla. L'ho fatto semplicemente per far soldi." Questa dichiarazione vale anche per la lira italiana. In un altro articolo scritto per il Times di Londra il 12 settembre 1995, Soros dice a riguardo del suo operato speculativo: "Mi sono mosso nell'ambito di regole decise da altri. Se le regole falliscono, non è colpa mia in quanto partecipante, ma di coloro che le hanno decise... quando gli speculatori fanno profitti, in qualche modo le autorità hanno fallito."

VI. Per queste sue attività speculative, il signor Soros è stato in più occasioni oggetto di indagini dirette o di richieste di indagini.

Il caso più importante risale al 18 giugno 1993, quando in un discorso pronunciato al Congresso americano, il parlamentare democratico texano Henry Gonzalez, Presidente della Commissione Bancaria e Finanze del Congresso USA, ha richiesto un'inchiesta sulle attività finanziarie internazionali dello speculatore George Soros. Nello stesso discorso, l'on. Gonzalez aveva anche detto: "Quello che fanno le grandi banche non è un'attività normale ma è speculazione. In effetti giocano d'azzardo... Siamo ormai ad oltre mille miliardi di dollari che circolano nel sistema, ma le nostre autorità, che per la vigilanza del sistema bancario internazionale dovrebbero essere quelle del Federal Reserve Board, non si rendono conto di quanto accade.. Anche per questo la nostra Commissione ha aperto un'inchiesta sui proventi della droga. Si stima che ammontino a circa 300 miliardi di dollari le attività di riciclaggio dei soldi della droga."

In Italia il 6 agosto 1993, il deputato democristiano Raffaele Tiscar ha presentato un'interrogazione al ministro del Tesoro per chiedere l'apertura di un'inchiesta su George Soros e sulle sue attività speculative contro la lira nel contesto della politica di privatizzazioni discussa sul "Britannia". Altri parlamentari di vari partiti e orientamenti politici, tra cui l'On. Antonio Parlato, hanno in varie occasioni presentato interpellanze parlamentari per far luce sulle attività di George Soros in Italia.

VII. In varie occasioni, anche le più alte autorità dello stato italiano hanno sollevato pubblicamernte dubbi sull'operato di interessi finanziari internazionali, con eventuali agganci italiani, nelle operazioni speculative e di destabilizzazione contro l'Italia.

Marzo 1993. A seguito di una repentina e sorprendente declassificazione di titoli di stato e di altri titoli italiani da parte della agenzia privata di rating "Moody's", che aveva portato a un crollo della lira e della Borsa, il Presidente Luigi Scalfaro chiese pubblicamente se dietro una tale decisione ci fosse qualche ragione destabilizzante. Allo stesso tempo da Londra arrivarono voci di un avviso di garanzia contro il Presidente del Consiglio Giuliano Amato, cosa che aiutò l'attacco speculativo.

Agosto 1993. Il ministro degli interni Nicola Mancino, a seguito dell'ondata di attacchi terroristici, dichiarò: "Non escludo un ruolo della finanza internazionale".

5 novembre 1993. Fu il "venerdì nero" della lira anche a seguito di voci provenienti da Londra su un possibile avviso di garanzia nei confronti del Presidente Luigi Scalfaro. Il giorno dopo, l'allora Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi scrisse una lettera al Procuratore Capo della Republlica di Roma, Vittorio Mele, perchè "avviasse le procedure relative al delitto previsto all'art. 501 del codice penale, considerato nell'ipotesi delle aggravanti in esso contenute." Cioè si chiedeva di indagare su un possibile reato di aggiotaggio da parte di chi aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa.

25 maggio 1994. Ancora una volta la lira crollò e la Borsa perdette il 2,6% in poche ore a seguito di voci provenienti da Londra su un presunto avviso di garanzia contro il nuovo Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

IN BASE AI FATTI ESPOSTI, si chiede l'apertura di un procedimento giudiziario nei confronti del signor George Soros, per verificare se la sua ammessa attività speculativa sia stata svolta in VIOLAZIONE dell'articolo 501 del codice penale ("Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio"). Si fa notare che l'articolo 501 specificamente prevede un raddoppio delle pene "se dal fatto deriva un deprezzamento della valuta nazionale o dei titoli dello stato".

 (L'articolo 7 del codice penale prevede che il cittadino italiano o straniero anche se commette in territorio estero il predetto reato deve essere punito secondo la legge italiana.)

in VIOLAZIONE dell'articolo 2628 del codice civile ("Manovre fraudolente sui titoli delle società").

in VIOLAZIONE dell'articolo 2595 del codice civile ("Limiti legali della concorrenza") che dice: "La concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell'economia nazionale..."

in VIOLAZIONE dell'articolo 2598, paragrafo 3 del codice civile ("Atti di concorrenza sleale").

in VIOLAZIONE dell'articolo 2041 del codice civile ("Dell'arricchimento senza causa") .

È opportuno anche verificare se tale attività speculativa sia in violazione dell'articolo 41 della Costituzione della Repubblica Italiana secondo cui "l'attività economica non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana".

È opportuno anche ricordare che l'articolo 3 della stessa Costituzione prevede che "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."

[Solidarietà, anno V n. 1, febbraio 1997]

 

Come i Rothschild controllano il Quantum Fund

Il Presidente del Movimento Solidarietà Paolo Raimondi, dopo aver presentato nei mesi passati un esposto alle Procure della Repubblica di Napoli, Roma, Firenze e Milano contro George Soros per l'attacco speculativo contro la lira del settembre 1992, ha distribuito, a partire dallo scorso 25 novembre, la seguente dichiarazione ai magistrati, parlamentari e giornalisti che si sono interessati al caso, per puntualizzare in maniera ancora più definitiva le denunce di cui si è fatto promotore.

Sono venuto a conoscenza del fatto che le reti della banca Rothschild stanno cercando di ostacolare coloro che in qualche forma si oppongono alla politica di assalto piratesco della grande finanza internazionale, che prende la forma di una privatizzazione e che nella sostanza esige la svendita dell'impresa a partecipazione statale. All'inizio di ottobre avevo emesso un comunicato di denuncia del ruolo della Rothschild Italia come advisor nella privatizzazione del Banco di Napoli (La Rothschild ha svolto lo stesso ruolo nella svendita dell'ENI) identificando il nefasto ruolo di Richard Katz , già direttore della Rothschild Italia e al contempo membro del comitato esecutivo e direttore del Quantum Fund di George Soros, l'affondatore della lira nel settembre 1992. La Rothschild vorrebbe ora vantare una nuova verginità che si sarebbe rifatta semplicemente sostituendo Richard Katz al vertice della banca. Per questo ritengo opportuno aggiungere qualche altro elemento su alcune operazioni poco chiare dell'intero gruppo Rothschild, con particolare riferimento alle compenetrazioni operative tra il gruppo internazionale dei Rothschild e il Quantum Fund di Soros. Sia chiaro: è il gruppo Rothschild nel suo complesso a operare insieme al Quantum Fund. Richard Katz è semplicemente uno strumento, un predicato, di questo intreccio finanziario.

Di seguito si riportano alcuni fatti salienti che non intendono essere il resoconto finale della ricerca. L'urgenza di ostacolare le privatizzazioni impone di intervenire adesso senza attendere il quadro completo. (Per evitare il gioco delle scatole cinesi secondo cui "vi sono differenti banche per differenti rami della famiglia Rothschild", si fa notare che, mentre i legami e le copartecipazioni sono sempre esistite, il 27 ottobre i vari rami bancari-finanziari si sono ufficialmente riuniti per ridefinire una strategia ed un vertice comuni).

I legami dei Rothschild con il Quantum Fund di George Soros risalgono a prima della creazione del Quantum Fund N.V. la cui sede centrale è a Curaçao, nelle Antille Olandesi. Negli anni settanta George Soros insieme al socio Jim Rogers ha lavorato per la Arnold & S. Bleichroeder ,Inc. e per il Bleichroeder Fund, finanziaria che operava in sintonia con i Rothschild. Nel 1969 Soros lasciò in raporti amichevoli la Bleichroeder portandosi con sé un gruppo di investitori della stessa, muovendosi già allora nella direzione che avrebbe condotto alla creazione del Quantum Fund. Si fa notare che la Bleichroeder di New York è attualmente, insieme alla Citibank N.A. di New York, la principale fiduciaria del Quantum Fund.

 

Ecco i principali personaggi dell'intreccio Soros-Rothschild:

Georges C. Karlweis . Secondo quanto riportato da un ex partner di George Soros, Karlweis è stato uno dei primi partecipanti al lancio del Quantum Fund N.V.. Lo troviamo dal luglio 1985 direttore della banca N.M. Rothschild & Sons LTD di Londra, presieduta da Evelyn de Rothschild. Con Karlweis, nel comitato direttivo della banca troviamo anche Richard Katz, Edmund de Rothschild, E.L. de Rothschild, Lord Jacob de Rothschild (capi dei vari rami della famiglia), Henry Ergas, che conduce l'uffico di Roma, e il noto Alfred Hartmann. Nel 1988 Karlweis figura come direttore della Banque Privée di Ginevra di Edmund de Rothschild. Nel 1991-92 è nel consiglio di amministrazione della Rothschild Bank AG di Zurigo del Barone Elie de Rothschild, presidente della banca di cui Alfred Hartmann ne è il vice presidente. Karlweis è stato anche coinvolto nelle operazioni sporche del mafioso e trafficante di droga Robert Vesco, come la grande truffa dell'International Overseas Service (IOS) creato da Bernie Cornfeld e con sede in Svizzera. Con l'IOS lavorò anche il nostro Beniamino Andreatta, collaboratore di Prodi e attivo partecipante nell'incontro sul Britannia del 2 giungo 1992. Attualmente Karlweis è direttore della NM Rothschild & Sons, vice presidente della Banque Privée di Ginevra e presidente della Banque de Gestion Edmond de Rothschild del Principato di Monaco. Richard Katz. Direttore del Quantum Fund. In un resoconto pubblico del Quantum Fund del 1993 figura anche come membro del comitato esecutivo. Il suo rapporto con i Rothschild è di lunga data. Lo troviamo nel 1988 ad esempio nella lista dei direttori della N.M. Rothschild & Sons LTD di Londra, guidata da Evelyn de Rothschild. Sulla stessa lista si trovano Georges Karlweis, Alfred Hartmann, Herny Ergas (direttore della filiale Rothschild a Roma) e Lord Jacob de Rothschild, presidente della St. James Place Capital, banca d'affari di Londra. Lo stesso anno Katz figura come direttore capo degli investimenti della Rothschild (NM) Asset Management, responsabile del portafoglio esteri della Rothschild (NM) Fund Management LTD. Almeno fino al 1993 è direttore della Rothschild Italia insieme a Sir Derek Thomas. Sir Thomas è stato ambasciatore britannico a Roma per il periodo 1987-89; nel 1990 diviene direttore della Rothschild Italia e della Rothschild Europa, consigliere europeo per la N.M. Rothschild & Sons, di cui è direttore dal 1991 ad oggi. Sir Thomas dal 1991-92 è uno dei massimi dirigenti del British Invisibles, gli organizzatori del meeting sul Britannia il 2 giugno 1992. (Del British Invisibles parleremo oltre).

 

Nils O. Taube. Direttore del Quantum Fund. Nel resoconto pubblico del Quantum Fund del 1993 figura come membro del Comitato esecutivo. Taube è socio di Lord Jacob de Rothschild, presidente della banca St. James Place Capital di Londra. Secondo il rapporto annuale della banca del 1993 egli figura tra i direttori insieme a Nathaniel de Rothschild, punto di riferimento della famiglia Rothschild negli USA e a Parigi. Nel rapporto della stessa banca del 1996, egli figura come Principal Investment Advisor (principale consigliere per gli investimenti) della banca. Nel 1988 era il direttore degli investimenti della Rothschild (J) Investment Management LTD di Londra. È doveroso sottolineare il seguente punto: nel resoconto del Quantum Fund del 1993 appaiono 8 direttori di cui 4 sono membri del comitato esecutivo. Due di questi quattro, Richard Katz e Nils O. Taube, lavorano per i Rothschild. Una coincidenza? Questi sono gli uomini che hanno agito nel 1992 per far crollare la lira sotto l'ondata della speculazione.

Vediamo ora brevemente il personaggio di Alfred Hartmann . Lo abbiamo già trovato nel 1988 con Richard Katz tra i direttori del NM Rothschild & Sons di Evelyn de Rothschild Londra. Nelle stesso anno è manager generale della Rothschild Bank AG di Zurigo, presieduta dal Barone Elie de Rothschild. Nel 1991-92 ne diventa vice presidente. Nella dirigenza della stessa banca troviamo Georges C. Karlweis e il Dr. Jürg Heer, famoso anche in Italia. Nel 1992 Jürg Heer dichiarò di aver pagato 5 milioni di dollari ai killer mafiosi di Roberto Calvi. Nella Relazione di Minoranza della Commissione d'inchiesta sulla P2 del sen. Pisanò (p.121) si legge che il 22 aprile 1981 la banca Rothschild di Zurigo fondò a Monrovia (Liberia) una società di nome Zirka per conto di Umberto Ortolani e Bruno Tassan Din. Otto giorni dopo il Banco Ambrosiano Overseas di Nassau (ex. Cisalpine) erogò a favore della Zirka 95 milioni di dollari che vennero subito trasferiti a Zurigo presso la Rothschild Bank. E 45 dei 95 sembra siano scomparsi durante il periodo della detenzione di Calvi nella primavera-estate del 1981 (Carlo Palermo, Il quarto livello", pag. 245). Nei resoconti bancari svizzeri del 1987-88 Alfred Hartmann figura un po' dappertutto. È direttore della banca The Royal Bank of Scotland AG di Zurigo, direttore della Lavoro Bank di Zurigo (controllata dalla Banca Nazionale del Lavoro), della banca del Gottardo di Ginevra, della finanziaria Creafin di Zurigo, e presidente della Banque de Commerce e de Placements SA (BCP) di Ginevra. La BCP era posseduta dalla Bank of Credit and Commerce International (BCCI), la banca internazionale del riciclaggio, delle operazioni del traffico di armi e di droga utilizzata dai servizi britannici e dalle reti di Bush-North dell'Iran-Contras per operazioni sporche. La BCCI, che controllava anche la Italfinance International Spa di Roma, fu chiusa a seguito di un'indagine condotta dalle autorità americane. Le verità più scottanti di quella vicenda non vennero mai alla luce perché George Bush decretò tutta una serie di insabbiamenti. Queste coperture favorirono anche Hartmann che si dovette dimettere dalla Lavoro Bank, ma lo troviamo allegramente vice presidente della Rothschild AG di Zurigo nel 1991.

Rothschild Italia. È da questi interessi che la Rothschild Italia Spa di Milano, filiale della MN Rothschild & Sons di Londra viene creata nel 1989. Richard Katz ne è stato direttore, in particolare durante le operazioni speculative contro la lira del Quantum Fund del 1992 (di cui è direttore e membro del comitato esecutivo). Nel 1990 era direttore della Rothschild Italia anche sir Derek Thomas , ex ambasciatore britannico a Roma nel periodo 1987-89 e dal 1990 ad oggi figura chiave del British Invisibles, oltre ad essere direttore dal 1991 della NM Rothschild & Sons LTD di Londra. Thomas condivide attualmente questa posizione nella banca di Londra con personaggi eccellenti quali Lord Wakeham, già presidente della Camera dei Lords e membro del governo in più occasioni, Norman Lamont, che i Rothschild "prestarono" alla politica nel 1972 passando attraverso parecchi ministeri economici fino a diventare ministro del Tesoro nel 1990 per fare poi ritorno alla "casa madre" nel 1993. Secondo i resoconti del 1996, boss della banca Rothschild Italia è Eric de Rothschild, che figura tra i direttori della NM Rothschild & Sons di Londra, mentre il direttore è Stefano Marsaglia, che proviene dalla Cir di De Benedetti.

British Invisibles (BI) . Sono gli organizzatori del meeting dei banchieri della City tenutosi sul Britannia, alla presenza della regina Elisabetta II, il 2 giugno 1992 per complottare la privatizzazione dell'industria di stato italiana che doveva far seguito alla svalutazione della lira provocata da Soros e co. Citando dal discorso tenuto sul Britannia nelle acque del porto di Dublino, Irlanda, nel 1995, da Neil Jaggers, membro dell'esecutivo del BI e direttore per gli affari dell'Europa orientale, "il British Invisibles è un ente privato che ha per scopo la promozione della City di Londra". Gli "invisibles" sono i "servizi" dell'alta finanza della City. BI funziona come punto di unione tra la finanza privata e il governo britannico. BI conta attualmente 114 membri, tutta l'élite finanziaria di Londra, parecchi rappresentanti del governo e della Bank of England, la banca centrale.

Naturalmente la Rothschild ha un ruolo di primo piano negli Invisibles. Ad esempio, secondo il rapporto del 1996 della BI, Sir Derek Thomas , direttore della NM Rothschild & Sons, già ambasciatore britannico a Roma nel periodo 1987-89, membro del BI dal 1992, è stato fino al 10 settembre 1996 presidente del comitato LOTIS (Liberalization of Trade in Services Committee, Comitato per la liberalizzazione del commercio in servizi). Rory Allan, della NM Rothschild & Sons, è membro del comitato del BI per l'Unione degli Stati Indipendenti ( l'ex URSS). William Lamarque, della NM Rothschild & Sons, è membro del "gruppo Cina" del BI. British Invisibles organizza seminari in tutti i punti strategici del globo appetibili alla City, soprattutto elaborando piani di privatizzazioni, apertura dei mercati alla finanza derivata, eliminazione di ogni barriera alla penetrazione del liberismo selvaggio della City. In molti casi, dice Jagger, BI ha il privilegio di usare lo yacht reale "Britannia", spesso in combinazione con le visite della regina Elisabetta II o del duca di Kent, gran maestro della massoneria di rito scozzese. Il British Invisibles nel passato ha organizzato ogni anno una decina di simili incontri; per il 1997 BI ha già prenotato il Britannia, con o senza la regina, per 20 incontri d'affari.

Sulla base di quanto sopra intendo ribadire la necessità di ritirare il mandato dato dal Tesoro alla Rothschild di operare come advisor nelle privatizzazioni del Banco di Napoli, dell'ENI e di eventuali altre imprese di stato; la necessità di fermare il processo di privatizzazione in quanto basato su premesse che danneggiano l'interesse nazionale, cioè sulla combinazione Britannia-Soros, speculazione/svalutazione/privatizzazione; la necessità di continuare nelle indagini sull'"affaire Britannia-Soros" sia a livello di Procure della Repubblica che a livello di commissioni parlamentari.

Regine, innominabili e mafiosi filantropicamente nel Quantum Fund. Stralci del dossier pubblicato dall'EIR del 1 novembre 1996 che mettono in risalto alcuni dei collegamenti più sporchi e blasonati di Soros. La rivista americana Time lo caratterizza come un "moderno Robin Hood", che ruba ai ricchi per donare ai poveri: a fare le spese delle speculazioni di George Soros sarebbero le grandi banche centrali mentre egli investirebbe i suoi guadagni nelle economie emergenti dell'est Europeo, dove promuove la sua utopia della "Società aperta", qualcosa che si spaccia come "cultura di sinistra". La realtà è che ruba a tutti per conto di un'élite ristrettissima di ricchi, e che dietro lo zuccherino delle sue imprese "filantropiche" nell'Europa orientale c'è la medicina mortale della "terapia shock" somministrata alle economie dell'est da quelli della sua cordata, dal professorino di Harward Jeffrey Sachs allo svedese Anders Åslun, con i quali ha ampiamente collaborato Romano Prodi. L'idea di fondo della "società aperta" è creare le precondizioni necessarie per l'acquisto a prezzi stracciati delle immense proprietà minerarie e d'altra natura che costituiscono l'ultima ricchezza tangibile di tutto i paesi ex comunisti. Per questo le sue 19 fondazioni diffuse nei paesi dell'Est fanno proficua opera di conversione degli ex marxisti in liberisti dell'ultima ora. Basta pagare. Soros salì alla ribalta mondiale nell'autunno 1992, quando orchestrò un'ondata speculativa contro la lira e la sterlina per frantumare il Sistema Monetario Europeo. Disse di essersi messo in tasca, solo speculando sulla sterlina, oltre un miliardo di dollari. Con la lira fatta a pezzi, i suoi amici in Italia si scatenarono per vendere le partecipazioni statali agli acquirenti stranieri che, anche nella molto improbabile prospettiva di un prezzo equo in lire, avrebbero sborsato il 20-30 per cento in meno del dovuto. Come abbiamo documentato più volte, non fu un'occasione fortuita, ma fu una trappola ordita a bordo del panfilo della corona inglese Britannia, al largo di Civitavecchia il 2 giugno del 1992, quando Mario Draghi e Beniamino Andreatta guidarono un incontro dei grand commì nostrani con i rappresentanti delle grandi banche inglesi tra cui la Warburg e la Barclays. Gli onori di casa al centinaio di ospiti convenuti per discutere la svendita dell'Italia furono fatti dalla regina Elisabetta II.

 

Da allora Soros si pavoneggia nel suo alone di "re Mida". Come dice lui stesso, quello che tocca diventa oro. Lo scopo è quello di egemonizzare il mondo della speculazione, far correre i polli dove lui getta il becchime. Nel 1993 lanciò un'operazione di acquisto dell'oro (diceva che la Cina aveva deciso di rimpinguare notevolmente le riserve), tutti dietro a comprare e si arrivò al rialzo del 20% del prezzo; poi, insieme al suo compare Jimmy Goldsmith, si disfece segretamente dei suoi acquisti realizzando profitti notevoli. Operazioni analoghe le ha condotte da allora in diverse piazze del mondo, specializzandosi sulle speculazioni contro le monete: ha condotto attacchi contro il marco tedesco e contro le monete della Tailandia, Malesia, Indonesia e Messico.

 

Dietro il Quantum Fund

Naturalmente il personaggio è artificiale, o meglio, è un personaggio costruito per gestire dei fondi altamente speculativi per investitori che non sono disposti ad esporsi. Il suo fondo d'investimento Quantum Fund gestirebbe somme tra gli 11 ed i 14 miliardi di dollari di depositi e, come dice lui stesso, tra gli investitori più importanti conta la stessa regina Elisabetta. Insieme alla regina non è difficile intravedere il grosso dell'oligarchia britannica ed europea. Il Quantum Fund è registrato nelle Antille olandesi con tutti i trucchi necessari per non dovere presentare alcuna trasparenza ad autorità di sorta, né sulle entità delle operazioni né sull'identità dei depositanti. Evidentemente si tratta di una "graziosa concessione" della monarchia olandese. Secondo la commissione dell'OCSE sul riciclaggio del denaro, le Antille Olandesi sono il principale centro di riclaggio del denaro della droga, soprattutto della cocaina dell'America Latina. Di americano Soros ha solo il passaporto, mentre il suo quartier generale è a Curaçao. Per evitare possibili interferenze delle autorità americane Soros non figura nemmeno tra i manager del suo fondo, e a mala pena figura sulla carta come "consulente d'investimento" attraverso la sua ditta di New York, la Soros Fund Management. Soros ha riempito la direzione del suo Quantum Fund di inglesi, svizzeri e italiani, evitando accuratamente cittadini americani. Mentre il grosso degli investimenti proviene dall'impero dei Rothschild, come è ampiamente documento nlle pagine precedenti, anche gli altri elementi del Quantum Fund costituiscono un quadro inquietante. Il più noto è Edgar De Picciotto, "uno dei banchieri più furbi di Ginevra" che figura nel Consiglio d'Amministrazione del Quantum Fund e presiede la CBI-TDB Union Banque Privée, una banca privata di Ginevra che gestisce grandi capitali sul mercato dell'oro e degli "Hedge Funds", i fondi d'investimento off-shore, soldi che quasi per definizione non possono essere più distinti dai proventi della droga.

 

De Picciotto è praticamente da sempre socio del banchiere Edmond Safra, proprietario della Republic Bank of New York. Secondo alcune indagini questa banca è la principale esportatrice in Russia di banconote americane, per miliardi di dollari. Il fabbisogno di dollari in Russia cresce in maniera direttamente proporzionale alla criminalità che opera quasi esclusivamente con i "contanti verdi". Safra è indagato dalle autorità americane e svizzere per il riciclaggio dei proventi della droga di turchi e colombiani. La Trade Development Bank (TDB) di Safra si fuse nel 1990 con la CBI di De Picciotto, dando vita alla TDB-CBI Union Banque Privée. Anche se i termini della fusione sono mantenuti segreti, di fatto De Picciotto entrò nel consiglio di amministrazione della American Express svizzera, mentre due direttori della American Express di New York sono entrati nel consiglio d'Amministrazione della Banque Privée. Safra aveva venduto la Trade Development Bank alla American Express Inc. negli anni Ottanta. La American Express, nel cui consiglio figura anche Henry Kissinger, è stata colpita da diversi scandali per il riciclaggio del denaro della droga. De Picciotto iniziò la sua carriera sotto Nicholas Baring della omonima banca londinese che per secoli è stata la banca della famiglia reale inglese. Dopo il crac del marzo 1995 la Baring è stata rilevata dal gruppo olandese ING, anch'esso molto esposto nel riciclaggio. Si tenga presente che Peter Baring partecipò al vertice del Britannia del 1992 a Civitavecchia. De Picciotto è inoltre socio di lunga data di Carlo De Benedetti. I due figurano nel C.d'A della Societé Financière de Genève. Il motivo principale dell'uscita di De Benedetti dalla Olivetti è che ha usato i patrimoni industriali come fiches sul tavolo verde dei derivati, evidentemente perdendo. All'inizio degli anni Ottanta De Benedetti ebbe un ruolo di primo piano nella bancarotta del Banco Ambrosiano, tragicamente conclusasi con l'omicidio, secondo un macabro rituale massonico, di Roberto Calvi a Londra. Le responsabilità dell'impiccagione di Calvi sotto il ponte dei Blackfriars sono state rivendicate da ambienti Rothschild (vedi pag. 20, sotto Alfred Hartmann). Tra i numerosi scandali per riciclaggio di denaro in cui sono stati implicati De Picciotto e la sua Union Banque Privée spicca l'arresto, avvenuto nel novembre 1994, di Jean-Jacques Handali e di altri dirigenti della UBP. Secondo la Procura di Miami, Handali e la UBP costituivano la "swiss connection" in una rete internazionale di trafficanti turchi e colombiani. Tra i personaggi più legati a De Picciotto spicca Helmut Raiser, un misterioso mercante di armi che farebbe affari in società con Grigori Luciansky, il personaggio della mafia russa che controlla la holding russo-svizzera Nordex Group. Il contingente italiano nel vertice del Quantum Fund di Soros è costituito da Isidoro Albertini, titolare di una delle società d'intermediazione mobiliare più prestigiose di Milano e da Alberto Foglia che dirige a Lugano la Banca del Ceresio.

Rich, Reichmann & Co.

Esperti che hanno condotto inchieste su Soros per conto del Dipartimento di Stato USA affermano che almeno 10 miliardi di dollari del Quantum Fund provengono da investitori "silenziosi", che preferiscono cioè l'anonimato, e che hanno chiesto a Soros di mandare in frantumi la stabilità monetaria europea. Questo spiega perché Soros, che si vanta di avere tra i suoi investitori la regina e le principali case bancarie inglesi, abbia colpito così duramente la sterlina nell'autunno del 1992. La contraddizione apparente svanisce tenendo conto del fatto che era il modo più sicuro di mettere in pratica la decisione strategica inglese di frantumare lo SME, che è la strategia thatcheriana per eccellenza.

Tra gli investitori "silenziosi" vengono segnalati Marc Rich, un mercante di petrolio e di metalli ricercato dalla giustizia americana, e Shaul Eisenberg, ex pezzo grosso dei servizi segreti israeliani che fa il mercante di armi nel Medio Oriente ed in Asia. Il governo dell'Uzbekistan gli ha interdetto gli affari nel paese dopo aver scoperto una serie di truffe e corruzioni colossali. Un altro socio di Soros è Rafi Eytan che in passato teneva a Londra i collegamenti tra il Mossad e lo spionaggio inglese. Gli affari più grandi, trattando soprattutto alluminio e petrolio, Marc Rich li ha fatti in Unione Sovietica, poi Russia, tra il 1989 ed il 1993. In quello stesso periodo il Nordex Group di Grigori Luciansky raggiunse un fatturato di miliardi di dollari vendendo soprattutto alluminio e petrolio russi. Secondo il Wall Street Journal del 13 maggio 1993 le imprese di Rich in Russia sono finite sotto inchiesta per truffa. La lista potrebbe continuare all'infinito, ma i contorni del protettore di Romano Prodi e della sua scuola "liberista" dovrebbero essere ormai chiari.

 [Solidarietà, anno IV n. 1, febbraio 1996]

 

L’inchiesta su Soros stana la "Banda dei cinque"

L'indagine proposta dal Movimento Solidarietà è entrata nella fase calda. Ciampi &Co. dovevano sapereche nel 1992 la lira non avrebbe retto l'assalto speculativo di George Soros e sperperarono 15 mila miliardi in una difesa a dir poco sospetta. "Se, come sembra, l'inchiesta su George Soros andrà avanti, Mani Pulite diventerà una barzelletta", ha dichiarato Paolo Raimondi, presidente del Movimento Solidarietà, a commento dell'incoraggiante notizia che la Procura di Roma ha avviato una nuova fase dell'inchiesta sullo speculatore internazionale. Raimondi era a Roma per una serie di consultazioni alla fine di gennaio, nei giorni in cui alcuni quotidiani davano grande risalto al contenuto dell'esposto con cui il Movimento Solidarietà aveva fatto avviare l'inchiesta. "Noi non crediamo alle battaglie politiche per vie giudiziarie", ha aggiunto Raimondi, che ha proseguito: "La nostra iniziativa è stata concepita per organizzare e stimolare la riscossa di tutte le forze che si oppongono alla politica di distruzione dell'economia nazionale imposta dal FMI, da Maastricht e dai mercati finanziari guidati da Londra". Come Solidarietà ha riferito più volte, l'esposto presentato da Raimondi e Claudio Ciccanti (segretario del Movimento Solidarietà) chiede di verificare se l'attacco alla Lira del settembre 1992, che fece uscire la nostra moneta dal Sistema Monetario Europeo svalutandola del 30%, facesse parte della stessa strategia discussa sulla riunione del "Britannia" il 2 giugno dello stesso anno. Sul Britannia erano infatti riuniti i principali banchieri della City per conto dei quali George Soros condusse la speculazione contro la Lira. Alcuni di loro poi parteciparono alla grande svendita chiamata privatizzazione, chi direttamente chi in consorzio con altri alleati della City. Nell'esposto si chiede di appurare se Soros, nel suo attacco alla Lira, abbia goduto di notizie riservate di fonte italiana. Rimane infatti un mistero il comportamento delle nostre autorità monetarie che, sapendo già dal maggio precedente di non poter reggere all'attacco speculativo, riversarono nell'inutile difesa della Lira 48 miliardi di dollari per poi capitolare. Invece, quel comportamento fece guadagnare a Soros 280 milioni di dollari in una settimana e forse molto di più. La perdita secca per le casse della banca centrale, che ha dovuto riacquistare le riserve di valuta a Lira deprezzata, è stata calcolata in circa 15 mila miliardi di Lire, una mini-finanziaria. L'accusa di complicità sembra concretizzarsi già nella prima fase dell'inchiesta (che procede a Napoli e Roma, mentre Firenze e Milano si sono fatti da parte per motivi diversi), almeno nei confronti di uno dei timonieri della Lira nel settembre 1992, Piero Barucci, allora ministro del Tesoro e membro della "Banda dei cinque" che controllava la politica monetaria (gli altri erano l'allora capo del governo Giuliano Amato, l'allora e attuale Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi, l'allora governatore di Bankitalia e attuale superministro dell'Economia Carlo Azeglio Ciampi e l'allora Direttore di Bankitalia e attuale ministro degli Esteri Lamberto Dini). Infatti, come ha rivelato il Corriere della Sera in un ampio servizio del 27 gennaio, dedicato all'inchiesta sollecitata dal Movimento Solidarietà, Barucci è oggi presidente della AFV, una società di intermediazione finanziaria (sim). Il guaio dell'AFV non è solo che essa svolge attività speculativa, ma che la lettera "F" sta per Alberto Foglia, fondatore della AFV e nientepopodimenoche presidente del consiglio di amministrazione del Quantum Fund di George Soros! Lo stesso quotidiano di via Solferino sottolinea la precaria posizione di Barucci quando, nel riferire il testo dell'esposto (vedi riquadro), elenca i nomi di consiglieri del fondo di Soros e nota che Alberto Foglia è "partner nella Sim ora presieduta da Barucci". Naturalmente, dato che le indagini, proprio per la loro serietà, sono coperte dal massimo riserbo, non è dato sapere di più. Ma non è difficile immaginare lo stato di disagio in cui si trovano attualmente il Barucci e il resto della Banda dei Cinque, indicato dal modo in cui si è verificata una prima, agitata reazione alle "cattive" notizie giudiziarie.

 

Ciampi scende in campo

In una evidente contromossa, i protagonisti del Settembre Nero della Lira hanno anticipato la "loro" versione dei fatti. Come se avesse letto in anticipo il servizio che doveva uscire l'indomani, domenica 26 gennaio, Ciampi si è sentito in dovere di spiegare il comportamento della Banca d'Italia in quella crisi. Si badi bene: finora, dopo quattro anni e mezzo, Ciampi non aveva speso una parola sull'argomento. Parlando ad una riunione degli operatori di cambio (quindi tra galantuomini), l'attuale vero capo del governo Prodi ha dapprima scaricato ogni responsabilità: egli non fece che obbedire agli ordini del governo. "Le decisioni sulle parità delle monete sono sempre e da sempre di competenza dell'esecutivo." Poi Ciampi è passato all'offensiva. La crisi della Lira, a suo avviso, è stata positiva perché "l'atmosfera di dramma" che l'accompagnò permise "l'adozione di quelle rilevanti misure di correzione di bilancio che il governo aveva invano cercato di varare prima". In altre parole, la battaglia persa contro la speculazione fu lo shock necessario a fare accettare agli italiani quattro anni di stangate che non sono altro che trasferimenti netti di risorse a favore della rendita finanziaria. Ma Ciampi si spinge oltre: il 31 luglio, quando la Lira era già sottoposta a una pressione speculativa (e la Banda dei Cinque sapeva che non avrebbe retto), Amato era riuscito a strappare ai sindacati il famoso accordo salariale giustificandolo tra l'altro con la necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo e quindi di combattere l'inflazione. "Amato racconta Ciampi riuscì nell'intento perché voleva tenere il cambio: Se avesse detto `io domani svaluto', l'intesa non la faceva". Avete capito bene: Ciampi si fa bello per non aver concesso gli aumenti salariali e per aver invece regalato 15 mila miliardi a Soros attraverso la manovra speculativa! Perché poi, sembra proprio che quelle decisioni siano state prese più a Via Nazionale che a Palazzo Chigi. Perlomeno a quanto afferma un testimone dell'epoca, l'allora segretario del PSI Bettino Craxi. Le parole di Craxi vanno prese cum grano salis, tenendo presente la situazione particolare dell'esule di Hammamet; ciononostante, le circostanze riferite sembrano veritiere. Craxi ha scritto una lettera al Corriere, pubblicata con risalto in pagina economica, per dire la sua sui fatti del `92 riferiti nel servizio del 27 gennaio. Amato lo chiamò all'inizio della pressione speculativa, scrive Craxi, per chiedere consiglio su quale linea di condotta tenere. È credibile che Amato, nominato Presidente del Consiglio su indicazione del PSI, si consultasse con il segretario del partito. Craxi avrebbe suggerito di non sprecare risorse e svalutare. Amato evidentemente non tenne conto del consiglio, anche se ritelefonò ad Hammamet per avvisare Craxi dell'imminente svalutazione. Le circostanze riferite da Craxi descrivono un Presidente del Consiglio in cerca di suggerimenti in una crisi più grande di lui. Amato non emerge certamente come la figura del comandante che dà ordini, tantomeno alla Banca d'Italia, come sostiene Ciampi. È più probabile il contrario: che nel panico di quei giorni, il governo abbia seguito le indicazioni di "chi ne sapeva di più", e cioè dei grandi sacerdoti della moneta di Via Nazionale. Un'impressione confermata dalla lettura del libro L'Isola del Tesoro, del summenzionato Piero Barucci. Evidentemente presagendo di essere il primo capro espiatorio quando fosse scoppiata la tempesta, Barucci ha scritto il libro come una difesa in anticipo. Secondo il libro (e anche qui la descrizione sembra credibile), Barucci piomba dall'esterno in una compagine governativa dove comandano altri e lui assiste impotente ad avvenimenti che gli passano sopra la testa. In ogni caso, il cerchio dei sospetti si stringe sempre più attorno a Ciampi e ai suoi uomini.

 

I sorosiani si scoprono

A giudicare dallo zelo con cui gli stessi media che hanno amplificato le tardive spiegazioni di Ciampi si sono profusi in sospette apologie di George Soros, si deve presumere che, se ricevevano ordini, i ciampisti li ricevevano dal mega speculatore americano o dai suoi padroni inglesi. L'oscar spetta a La Repubblica (proprietario Carlo De Benedetti, che fece incontrare Soros e Di Pietro) che, in un sol giorno, il 31 gennaio, ha pubblicato tre articoli, in tre pagine diverse, in difesa della Banda dei Cinque e di George Soros. Prima, un grosso servizio intitolato "Craxi-Ciampi, è polemica sulla svalutazione del `92", in cui ampio spazio viene concesso alle argomentazioni di Ciampi sopra riferite. Nella sezione culturale, un'intera pagina viene dedicata a George Soros, dipinto come un genio che dispensa saggezza filosofica sui mali del... libero mercato. L'autore è il noto scrittore latinamericano Vargas Losa, che come Soros è a favore della legalizzazione della droga. Dimostrando una illimitata fiducia nella imbecillità dei suoi lettori, dipinge Soros come un interprete della dottrina sociale della Chiesa. In pagina editoriale, l'apologia del genio economico di Soros viene affidata a Giorgio Ruffolo, veterano esponente della sinistra tecnocratica italiana. Ruffolo tratta Soros come un "pentito" della speculazione a cui occorre prestare ascolto perché sa quel che dice. Fa finta di trattare Soros oggettivamente, ma una settimana dopo Ruffolo ha partecipato a Bruxelles ad una conferenza organizzata, finanziata e presieduta proprio da Soros, che ha riunito un gruppo di intellettuali europei. Scopo della conferenza, lanciare la campagna per una "società aperta" nell'Europa occidentale, sulla scorta delle esperienze svolte da Soros nell'Est Europa, con l'obiettivo di varare nel 1988 un'assemblea costituente europea. Non ci interessa sapere se i partecipanti all'iniziativa abbiano ricevuto il solito "rimborso spese" della serie Nomisma, ma piuttosto far capire al lettore l'esistenza di collegamenti e disegni politici che a definire "complotto" si pecca di modestia. Nell'articolo di Repubblica Ruffolo prende per buona la versione sorosiana dei fatti del `92, con la quale esordisce: "Ebbi il primo segnale - dice Soros nella sua autobiografia - di una crisi imminente della sterlina da un discorso del presidente della Bundesbank, Schlesinger." Dopodiché Soros avvicinò Schlesinger e "capii immediatamente che cosa voleva dirmi. Era un incoraggiamento a vendere la lira italiana". Più in là, Soros rincara la dose: "Abbiamo eseguito gli ordini del nostro maestro, la Bundesbank". La sua teoria è confutata come minimo dal fatto che la Bundesbank ha speso almeno 60 miliardi di marchi per difendere le monete dello SME, principalmente il franco francese.

 

Le provocazioni del Financial Times

Come afferma Raimondi nell'intervista citata all'inizio, l'Italia è vittima di una politica economica distruttiva di cui Soros e la Banda dei Cinque sono rappresentanti. Questa politica oggi prende il nome di "Maastricht", anche se non si tratta altro che della vecchia politica del Fondo Monetario Internazionale. La beffa è che, benché la politica di Maastricht sia stata congegnata per distruggere gli stati nazionali, con la Germania come obiettivo principale, il fatto che i primi della classe nell'adottare la politica di bilancio per raggiungere i famigerati parametri siano i tedeschi si presta a manipolare i meno fortunati, come l'Italia, contro la Germania. Abbiamo visto con quale disinvoltura Soros e i suoi cortigiani italiani addirittura accusano la Bundesbank della speculazione contro la lira, senza tema di essere ridicolizzati. Così, alla fine di gennaio, il Financial Times, il principale organo dei padroni di Soros nella City di Londra, è riuscito quasi ad innescare una crisi tra Roma e Bonn inventandosi l'esistenza di un piano segreto tedesco per tenere fuori l'Italia dalla moneta unica. L'articolo del Financial Times è stato il segnale per una rinnovata campagna internazionale contro la Germania che viene dipinta come il Quarto Reich. Questa è la stessa identica campagna lanciata nel 1989 dalla premier inglese Margaret Thatcher, con cui fu estorta alla Germania la tacita promessa di farsi promotrice della politica di Maastricht in cambio del "nulla osta" per la riunificazione tedesca. Il ricatto ha effetto sui due versanti: contro la Germania, costretta a fare la prima della classe, e contro gli altri che ne sono gelosi. La provocazione è stata poi rilanciata domenica 9 gennaio da Beniamino Andreatta, in un'intervista al Corriere, dove l'attuale ministro della Difesa accusa la Bundesbank di avere condotto nel passato operazioni di aggiotaggio contro la lira. Da quale pulpito: proprio Andreatta era a bordo del Britannia il 2 giugno 1992, quando si complottò la privatizzazione delle aziende a partecipazione statale assieme ai protagonisti del successivo assalto contro la lira. In una dichiarazione pubblicata sullo Strategic Alert dell'EIR, Paolo Raimondi ricorda che nel 1992, il gioco politico della City e dei suoi alleati fu quello di utilizzare speculatori di grido come Soros per far saltare il Sistema Monetario Europeo e soprattutto di minare un possibile orientamento unitario dell'Europa continentale verso la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali conosciuti come il Triangolo Produttivo e anche come "Piano Delors". Con la vittoria geopolitica britannica, dichiara Raimondi, "abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell'economia produttiva e l'esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l'Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico, la Nuova Via della Seta, che dalla Cina, attraversando l'intera Asia, unisce le nazioni e i popoli fino all'Atlantico, in un grandioso programma di sviluppo e crescita tecnologica e industriale." [Solidarietà, anno IV n. 1, febbraio 1996]

 

Il Corriere della Sera : "Il sostituto procuratore vuole verificare..."

Il 27 gennaio 1996, il Corriere della Sera ha pubblicato un servizio in cui si dava ampio risalto all'iniziativa del Movimento Solidarietà che ha portato ad aprire l'inchiesta su George Soros. Eccone alcuni stralci. "Le due inchieste partono dalle Procure di Roma e di Napoli. Ma al centro hanno lo stesso attacco alla lira del settembre del `92, che portò banche e speculatori internazionali, tipo il famoso George Soros, a soffiare riserve in valuta per 48 miliardi di dollari alla Banca d'Italia. Questa istituzione dello Stato in quei giorni comprò lire ad oltranza per sostenere inutilmente il cambio della moneta nazionale, come voleva il governo di Giuliano Amato. Il sostituto procuratore di Roma Cesare Martellino (...) vuole verificare se influenti italiani hanno operato illegalmente dietro banche e speculatori, quando questi investirono capitali colossali contro la lira, provocandone l'uscita dal Sistema Monetario Europeo (Sme) e una svalutazione di circa il 30 per cento. Martellino per ora ha iscritto nel registro degli indagati solo Soros (...). Punto di partenza è un esposto presentato da Paolo Raimondi e Claudio Ciccanti del gruppo "Solidarietà", emanazione italiana di un movimento politico Usa, impegnato in una campagna contro la grande speculazione finanziaria e vicino al partito democratico.(...) Le inchieste in corso a Roma e Napoli sembrano interessate soprattutto a verificare se ci fu una diffusione di notizie riservate: un'illegalità sospettata con frequenza negli ambienti finanziari italiani, non solo dal caso Eni-San Paolo del "venerdì nero" della lira nell'85. Per esempio Piero Barucci, come ministro del Tesoro del governo Amato, dovette fare i conti anche con una misteriosa talpa" che avrebbe anticipato informazioni sulla prevista privatizzazione del Credito Italiano. (...)

"Soros è indagato perché si vuol capire come mai rischiò migliaia di miliardi contro la lira con tanta sicurezza. Non è che all'epoca banche e speculatori sapevano che la Banca d'Italia avrebbe difeso a oltranza la moneta italiana, comprando lire in cambio di valuta anche quando poteva sembrare inutile a tanti analisti finanziari? Nell'esposto presentato dal movimento Solidarietà" viene segnalato un rapporto di Soros con Romano Prodi, allora consulente della banca Goldman Sachs, impegnatissima sui mercati finanziari. (...) Sono elencati anche i nomi di consiglieri del fondo di Soros, tra cui l'agente di cambio italiano Isidoro Albertini e i finanzieri svizzeri Alberto Foglia (partner nella Sim ora presieduta da Barucci) ed Edgard de Picciotto. Viene pure ricordata la vicenda del Britannia", il panfilo reale dove, secondo alcune interrogazioni parlamentari, esponenti di banche d'affari straniere avrebbero organizzato l'attacco alla lira, per ridurre il costo delle aziende pubbliche italiane da privatizzare."

 

Barucci e l'isola del teSoros

Il ministro del Tesoro all'epoca della crisi della Lira del '92, oggi presidente di una finanziaria di cui è proprietario un socio di Soros, confessa nel libro L'isola italiana del Tesoro, pubblicato nel 1995, che il movimento di LaRouche diede del filo da torcere ai "Piratizzatori", denunciando per primo il famoso meeting sul Britannia e catalizzando l'opposizione alla "banda dei cinque". Barucci rivela che lui era stato invitato sul Britannia e difende i partecipanti, tra cui il Direttore del Tesoro Mario Draghi, dalle accuse allora pubblicate dall'EIR, in un documento intitolato: "La strategia anglo-americana dietro la privatizzazione in Italia: il saccheggio di un'economia nazionale", diffuso nel dicembre 1992. "Non riesco a comprendere scrive Barucci come mai un episodio come tanti (uno di mille convegni che si tengono in Italia) sia assurto a così grande fama". Il socio di Soros non dice che l'incontro "come tanti" si svolse su territorio britannico, appunto, sul panfilo della Regina Elisabetta, fuori delle acque territoriali italiane. "Ero anche io fra gli invitati a quell'incontro. Non partecipai solo per pigrizia. Potei poi appurare che Draghi vi era andato soltanto per dovere di ufficio e spero che non sia più disturbato per una questione inesistente. Il fatto è che sono dovuto andare come ministro un paio di volte nelle Commissioni parlamentari ad assicurare che quel giorno il Britannia non si era trasformato in un covo di complottardi, decisi a consegnare l'economia italiana a gruppi stranieri facilmente identificabili". Più avanti, raccontando gli scontri sulle privatizzazioni, Barucci spiega: "Il punto di partenza restava sempre l'incontro sul Britannia; i fantasmi che tormentavano la mente e lo spirito di alcuni commentatori avevano le solite fisionomie. La parola d'ordine era evidente: creare, in tutti i modi possibili, un gran polverone attorno alle privatizzazioni in modo da fermarle. "Era stato messo in circolazione 'mirata' un appunto [quello dell'EIR] dal titolo La strategia anglo-americana dietro la privatizzazione in Italia: il saccheggio di un'economia nazionale. L'avevo letto, nel tardo autunno del 1992, sia pure senza un grande impegno, perché vi avevo scorto stilemi culturali ben noti. La cosa si fece però improvvisamente seria quando il capo dello Stato, avendone ricevuta copia due o tre mesi dopo, mi chiese un motivato parere. Cosa che feci puntualmente, facendogli avere, anche in questo caso, una risposta che nessuno al ministero ha mai visto (...).

"Si partiva, in questo appunto, dalla certezza che nel mondo è all'opera un gruppo di potere, dai più non conosciuto, fatto di interessati e spregiudicati finanzieri, di volontà di potere, di legami di razza, di relazioni intercorrenti tra società che operano attraverso organizzazioni, non dirò occulte, ma che almeno amano vivere nell'ombra. (...) E poi ci si inoltrava in una lunga disquisizione per dimostrare che la svalutazione della lira era stata oggetto di veri e propri speculatori della finanza internazionale, con Moody's che aveva funzionato da catalizzatore, pronti, a conseguire vantaggi finanziari secondo la loro natura di veri e propri avventurieri"."

Il lettore noti come il banchiere Barucci si mostri scandalizzato all'idea che la lira fu oggetto di un attacco speculativo. Ma se non erano gli speculatori che vendevano lire, allora chi era? "Filantropi" come Soros? Barucci prosegue: "Scrissi a Scalfaro, dopo pochi giorni, che ravvisavo nel documento la vecchia tesi, che è alla radice di ogni nazionalismo e che ha turbato spesso la vita democratica della Nazione, per cui la colpa per i nostri problemi è sempre da attribuire ad altri che, per definizione, sono fuori da noi. Di qui, il passo a credere al complotto organizzato contro di noi è molto breve. Autoassolversi per poter continuare a peccare: ecco ripresentarsi il vizio dei peccatori incalliti e impenitenti". In altre parole, affiancando l'accusa di "nazionalismo" ai "legami di razza" dei banchieri denunciati nel documento, Barucci vuole bollarlo di fascismo. In realtà "i legami di razza" sono inventati da Barucci di sana pianta per far quadrare i suoi "stilemi culturali". Nella calunnia, però, il socio degli speculatori ci va cauto, perché investirebbe anche il capo dello Stato. Proprio in quel periodo, il Presidente Scalfaro aveva infatti levato la voce contro Moody's, rea di un'altra retrocessione dei titoli italiani, accusandola di "destabilizzare" il paese. [Solidarietà, anno IV n. 2, maggio 1996]

 

Soros, re della droga libera

Un dossier dell'EIR illustra la strategia dei liberisti per i quali una delle fonti di profitto sicuro è il mercato degli stupefacenti.La guerra di Clinton al riciclaggio dei narcodollari ha messo in seria difficoltà le banche inglesi LA CAMPAGNA del Movimento Solidarietà contro lo speculatore George Soros ha raggiunto una nuova dimensione a metà marzo, quando il procuratore di Milano Francesco Greco ha aperto un'inchiesta che si aggiunge a quelle già aperte dai colleghi di Napoli e Roma, tutte sulla base dell'esposto presentato dal Presidente del Movimento Solidarietà Paolo Raimondi (cfr. Solidarietà dell'ottobre 1995 e del febbraio 1996). Vari organi di stampa nazionali, tra cui l'Espresso ed il Foglio, notavano allora che il mega speculatore è impegnato ad acquistare le imprese "privatizzate" dal governo Dini. Ovvero, dopo che la lira è stata svalutata di oltre il 30% a seguito dell'assalto speculativo di Soros del 1992, ed a seguito di un ben orchestrato fallimento nel piazzare i titoli di imprese privatizzate sul mercato nazionale, Soros ci fa la carità, ci offre benigno una miseria per i gioielli di famiglia, dalla Dalmine all'ENI alla STET, mentre è pronto a monopolizzare le informazioni facendo la parte del leone nel progetto Hermes.

 

La lobby della liberizzazione

L'aspetto nuovo più importante sulle malefatte di Soros è stata segnalato dalla rivista americana EIR, che ha dedicato il numero del 22 marzo a dimostrare che Soros, oltre ad essere uno speculatore, è anche il re della droga libera: è impegnato nella più grande campagna internazionale per la legalizzazione che è partita dall'inizio dell'anno per contrastare un imponente programma di guerra alla droga varato da Clinton. L'EIR spiega che Soros cominciò la carriera sotto gli auspici dei Rothschild, che ancora oggi sono tra i finanziatori noti delle sue attività disponendo di due consiglieri nell'amministrazione del Quantum Fund NV, la finanziaria di Soros registrata nelle Antille Olandesi.

Il capitale iniziale fu dato a Soros da George Karlweis, il quale, sempre coi soldi dei Rothschild, finanziò, alla fine degli anni Sessanta, il famoso truffatore internazionale Robert Vesco. Vesco ottenne altri soldi dagli ambienti della Anti Defamation League, soprattutto da Michael Milken, e lanciò la famosa truffa internazionale dell'Investors Overseas Services (IOS), un fondo comune d'investimento con il quale riciclò i soldi della droga anche il grande capo della mafia Meyer Lansky. La truffa fruttò 260 milioni di dollari. Entrato nella clandestinità, Vesco divenne braccio destro di Carlos Lehder Rivas del Cartello di Medellín in Colombia e poi tuttofare di Fidel Castro per le faccende sporche: dal narco-terrorismo allo spionaggio industriale. In Italia l'IOS di Vesco realizzò le sue truffe attraverso il fondo di diritto lussemburghese Fonditalia di cui era consigliere Beniamino Andreatta. Nel giugno 1992 Andreatta partecipò al vertice segreto sul panfilo "Britannia" in cui fu ordito il crollo della lira dell'ottobre 1992 nell'interesse di Soros. Allievo di Andreatta è Romano Prodi che ha lavorato direttamente per Soros, insieme a Jeffrey Sachs (vedi oltre), e poi si è interessato perché il suo "ex" datore di lavoro ricevesse la laurea ad honorem a Bologna. In questo contesto ricordiamo che l'ex ministro Antonio Martino, insieme all'esponente della famiglia guelfa Max von Thurn und Taxis, è sin dall'inizio degli anni Ottanta uno dei massimi esperti dell'arci-liberista Società Mont Pelerin in materia di "economia sommersa", un'eufemismo per l'economia della droga. Le principali attività di Soros sul fronte della droga negli ultimi anni possono essere così schematizzate:

Ha elargito più di 10 milioni di dollari alla Drug Policy Foundation (DPF), la principale lobby americana per la legalizzazione. Ha aperto un proprio centro allo stesso scopo, il Lindesmith Center, affidandolo al dirigente del DPF Ethan Nadelman. Ha elargito altri milioni di dollari a fondazioni che si battono per la legalizzazione. Tra queste la più importante è la Drug Strategies, diretta da Malthea Falco, fondatrice della NORML (altra importante lobby per la legalizzazione della marijuana) e sposata ad un dirigente della Council on Foreign Relations. Ha promosso conferenze. Nell'ottobre 1995, mentre a Bologna davano la laurea a Soros, in America il suo centro Lindesmith ha iniziato la vendita delle videoregistrazioni della conferenza "Approcci nuovi alla politica per la droga, legalizzazione e regolamentazione", sponsorizzata dall'associazione degli avvocati di New York tra il 10 ed il 12 ottobre. La stragrande maggioranza dei relatori proveniva dai pensatoi di Soros: il Lindesmith, il DPF, il Drug Strategies e Partnership for Responsible Drug Information.

 

Un'altra conferenza si è tenuta in autunno allo Hoover Institute di Palo Alto in California (una succursale di fatto della Società Mont Pelerin) a cui hanno partecipato 38 esperti di polizia e magistratura. A tessere le lodi della legalizzazione è intervenuto l'ex segretario di Stato George Shultz, che da tempo si è dedicato alla causa della DPF, e Kurt Schmoke, un direttore del DPF e sindaco di Baltimora. Quest'ultimo ricevette tempo fa un assegno di 100 mila dollari dal DPF per le sue attività a favore delle legalizzazione.

Ha promosso la carriera dell'"economista" Jeffrey Sachs che dalla fine degli anni Ottanta ha propagandato la "terapia d'urto" nei paesi dell'ex Patto di Varsavia. Attualmente Sachs è un dipendente di Soros, il quale gli mise gli occhi addosso quando il professorino di Harward si andava vantando di essere l'architetto del "miracolo finanziario boliviano", che nei fatti fu la vendita di un intero paese, la Bolivia, a una mafia di trafficanti di cocaina. Sachs propone apertamente e esplicitamente la "liberizzazione finanziaria dei dollari della droga". Attraverso le sue fondazioni Open Society, Soros investe annualmente circa 500 milioni di dollari esentasse in cosiddetti progetti culturali. Si tratta di operazioni che si estendono a 24 paesi, tra cui soprattutto quelli dell'Est europeo, il Sud Africa ed Haiti. Al centro di questa rete "caritativa" c'è l'Open Society Institute (OSI) di New York presieduto da Aryeh Neier. Costui vanta dodici anni di esperienza alla testa del Human Rights Watch, un ente, sempre finanziato da Soros, che agisce negli ambienti britannici e dell'ONU nel mondo, soprattutto dove Soros ha deciso di investire. Da quando Neier dirige l'OSI, dai conti dell'ente risulta che la principale attività "caritativa" di cui si occupa è la legalizzazione della droga. L'8 luglio 1994 Soros annunciò che nel corso di tre anni l'OSI avrebbe donato 10,5 milioni di dollari alla DPF. Nel maggio 1994 la Banca Mondiale convocò Nadelman, del centro Lindesmith, per tenere un resoconto sulla situazione mondiale della droga. Quando l'amministrazione Clinton mostrò di non gradire che il resoconto fosse fatto da un aperto fautore della liberizzazione, la Banca Mondiale preferì annullare l'intera seduta piuttosto che rinunciare al portavoce di Soros.

[Solidarietà, anno IV n.3, luglio 1996]

 

George Soros finanzia la liberizzazione degli stupefacenti in Europa orientale

Droga, eutanasia e cultura liberista-decostruzionista sono le strategie globali del noto speculatore indagato da tre procure italiane per il crac della lira del 1992. Alcuni effetti della sua politica in Polonia Nel numero precedente, Solidarietà ha pubblicato, riprendendolo dalla rivista EIR, un dossier sulla strategia del megaspeculatore George Soros per la droga libera, ed ha tracciato un primo organigramma dei principali individui e istituzioni impegnati in questo sordido progetto. In questo numero vediamo come l'"Open Society Institute" (OSI) di New York, il principale canale con cui Soros finanzia la campagna per la liberizzazione, sta allargando le iniziative agli ex paesi comunisti, cercando di coinvolgere i governi di quella parte del mondo nel tentativo di ostacolare la guerra alla droga dell'amministrazione Clinton. L'ultimo numero della rivista trimestrale Open Society News dell'OSI, contiene un articolo intitolato "Alternative di Politica sulla Droga", il cui occhiello recita: "L'OSI incoraggia esperti dell'Europa orientale a trovare alternative all'approccio da guerra alla droga" per contrastare il consumo di stupefacenti nella regione." L'articolo è firmato da Jean-Paul Grund, direttore del "Programma Internazionale di Riduzione dei Danni" dell'OSI. Grund sostiene che la "riduzione dei danni" sia oggi la politica preferita, nel momento in cui il consumo di stupefacenti aumenta sensibilmente in tutto il settore comunista. Il vantaggio, egli afferma, è che esso "limita il danno alla società e ai tossicodipendenti" invece di "cercare di eliminarlo". Grund sostiene che la nozione di "riduzione dei danni... sta entrando a far parte del dibattito pubblico nei paesi dell'Europa centrale e orientale... ora è il momento di applicare programmi come la distribuzione di metadone, l'istruzione e l'uso di siringhe pulite... Anche se il pensiero dominante è più tradizionale che progressista, le linee di battaglia non sono ancora state tracciate. Nella maggior parte dei paesi, ci sono interessi occulti che sostengono l'approccio proibizionistico e della guerra alla droga". La maggior parte della gente è aperta a idee ragionevoli (sic)".

 

Grund va poi al nocciolo della questione: "Benché convinti del bisogno di politiche di riduzione dei danni, molti simpatizzanti vedono grandi ostacoli alla sua realizzazione. I sostenitori devono manovrare con attenzione, spiegando costantemente i loro piani e programmi ai politici e alle forze dell'ordine, la cui cooperazione è essenziale per il successo di progetti nuovi e vulnerabili. Il compito di educare il pubblico e la stampa è enorme. L'opinione pubblica influenza le posizioni che i politici sono disposti a difendere, ed è più facile fare i duri sulla droga, piuttosto che spiegare la logica sottile ma evidente della riduzione dei danni. I sostenitori si trovano a spendere un sacco di tempo a educare i potenziali e gli attuali critici. In aggiunta, essi devono contrastare gli sforzi del governo USA e delle Nazioni Unite che reclutano gli ex paesi comunisti alla guerra mondiale contro la droga ". L'OSI ha finora finanziato programmi nella Repubblica Ceca, in Bulgaria, Croazia, Lettonia, Macedonia e Polonia. Di fronte a questi investimenti colossali assume una luce molto sinistra la dichiarazione fatta da Soros a Bologna, che, rispondendo alle accuse dell'EIR di essere uno speculatore, affermò che lui agisce nell'ambito della legalità. Dalla sua strategia degli investimenti traspare un corollario di tale affermazione: i soldi sono prima diretti a costringere i governi a legalizzare attività illecite e poi nelle attività così "legalizzate".

La macchina culturale

Per la sua manovra liberizzatrice, Soros conta su una vasta infrastruttura "intellettuale" che sta costruendo nei paesi dell'Est sin dal 1991. Principalmente si tratta della CEU, la Central European University, che ha centri dirigenziali a Budapest, Praga e Varsavia. Dal materiale propagandistico della CEU per l'anno 1996-1997 risulta alquanto evidente che l'università condivide scopi e soldi con gli altri satelliti del sistema Soros: l'OSI, l'Open Media Research Institute e altri. Per iscriversi alla CEU lo studente deve fare domanda presso gli uffici della Fondazione Soros nel proprio paese. Per ora l'Università ha uno riconoscimento "provvisorio" e dentro l'anno prossimo conta di ottenere il pieno riconoscimento dai "reggenti" dell'Università dello stato di New York. Il Consiglio dei garanti è presieduto da Soros in persona a cui fanno da contorno Colin Campbell della Rockefeller Broth. Fund; lord Dahrendorf del St. Antony's College di Oxford; Bornislaw Geremek dell'Accademia delle Scienze polacca e William Newton-Smith, uno dei rettori dell'Università di Oxford. Il personale accademico proviene da Oxford e da altre istituzioni britanniche come la London School of Economics, dove lo stesso Soros si laureò sotto sir Karl Popper. Gli scritti inediti di questo "luminare aristotelico" vengono oggi pubblicati dalla CEU. La CEU ripropone nell'era "post-comunista" tutta l'eredità positivista e decostruzionista, che fu prodotta dall'impero austro ungarico nella sua fase crepuscolare e che fu allora utilizzata dagli inglesi per creare la Scuola di Francoforte, come base culturale per sostenere l'ideologia comunista. A tale scopo vengono invitati a tenere lezioni alla CEU di Praga professori come Jacques Derrida, il teorico del decostruzionismo, "delfino" di sinistra dell'ideologo nazista Heidegger (Cfr. Solidarietà, anno III n. 2, maggio 1995 pag. 22). Lo scopo della CEU è ripiantare nelle élite intellettuali dell'Europa centrale, sotto l'occhiuta supervisione britannica, quegli stessi semi che all'inizio del secolo produssero comunismo e nazismo. In quest'ottica di Heidegger, Adorno e Hanna Arendt, il nemico numero uno è sempre lo stato nazionale. Nel 1993 la CEU patrocinò diverse conferenze sul tema "L'individuo contro lo stato", e ancora corsi di studio in cui si insegna che le "tradizioni caratteristiche dell'Occidente" sarebbero quelle "hegeliane, positiviste, fenomenologiche e durkheimiane". Un altro corso è intitolato "Filosofia politica moderna: Hobbes, Locke, Rousseau, Kant ed Hegel". A Varsavia si danno corsi che si ispirano alle dottrine dell'Istituto Tavistock di Londra, come quello sul tema "Dalle tribù alle nazioni e ritorno" oppure, "Avventure post-moderne del corpo" ecc.

 

Conseguenze in Polonia

Il risultato di questo lavaggio del cervello è che non solo i giovani più promettenti di intere nazioni non saranno in grado di ribellarsi alla nuova schiavitù, ma contribuiranno per primi ad imporla al loro paese. La nuova schiavitù è più che evidente dallo sfascio economico subito dalla Polonia sottoposta ai programmi degli economisti di Soros: primi fra tutti il massone Geremek e l'ex ministro delle Finanze Balcerowitz. Per la prima volta dopo la guerra, in Polonia il numero dei decessi ha superato quello delle nascite, con una diminuzione dei matrimoni di oltre un terzo nell'ultimo decennio. Il 60% delle coppie di giovani sposati non può permettersi un proprio tetto e deve convivere con i genitori. I settori dell'industria più gravemente colpiti sono quelli che tiravano di più: cantieristica navale, acciaio, carbone, macchine utensili (che erano esportate persino negli USA). Sulla rivista del Partito dei Contadini, Ludwik Staszynski ha denunciato un piano cosciente volto a destabilizzare il paese imponendo "esperimenti" e "riforme", e ne ha attribuito le responsabilità al fautore della terapia shock, Leszek Balcerowicz.

 

Cavalli diversi per la stessa strategia

Oggi, sebbene la cordata dei "neo-liberali" sia stata bocciata alle elezioni, la politica che essi hanno applicato per conto di Soros viene fedelmente continuata dai loro successori "comunisti". Negli ambienti politici polacchi è evidente che la situazione ha superato da tempo il livello di guardia della tollerabilità. Il problema principale riguarda però la definizione di un'alternativa: non c'è nessuno che si faccia avanti con un programma di sviluppo. E forse questo ci dà la misura più esatta delle operazioni "culturali" di Soros. Un esponente dell'opposizione fa giustamente osservare: "Come reagirebbe il governo americano se la Polonia sfidasse le condizioni del Fondo Monetario Internazionale?". Domanda alquanto retorica, almeno per il momento, visto che l'Ambasciata USA a Varsavia finanzia la Fondazione Stefan Batory, uno degli istituti di George Soros. È uno scandalo grave, anche se i 13 mila dollari non sono una cifra colossale, perché dice tutto su chi controlla i rapporti tra i due paesi. La fondazione Batory raccoglie la maggior parte degli artefici della "Terapia d'urto" che ha devastato il paese, e adesso si occupa di acquistare personalità politiche di tutte le colorature e varietà con cui gestire le successive fasi della "decostruzione" del paese.

 

Eutanasia

Il numero di maggio della rivista statunitense The Chronicle of Philantropy ha dedicato un ampio servizio sulle fondazioni impegnate a promuovere gli ospizi per la morte come alternativa alle cure ospedaliere. Si tratta insomma dell'eutanasia nazista in formula nuova, non più imposta dai decreti di Adolf Hitler, ma "richiesta come diritto" che, stando ai miliardi investiti nella propaganda, risulterebbe di gran lunga più importante del diritto alla vita. Alla testa dell'iniziativa figura il &laqno;Project on Death in America" che ha sin ora sborsato 25 milioni di dollari a vari organismi predicatori di morte. L'ente fu costituito due anni fa da George Soros, il quale ha detto al Chronicle che "da troppo tempo la gente cerca di negare la morte" e "questo è un aspetto sfortunato della civiltà perché produce molta sofferenza che si potrebbe evitare". Gli "ospices" americani, che erano 500 nel 1985, sono diventati 2500 lo scorso anno. Non si tratta delle case di riposo per anziani, ma di cliniche in cui si assiste e affretta la morte, senza cure e terapie oltre al semplice alleviamento del dolore. "Una volta erano considerati un elemento trascurabile dall'establishment medico per via del rifiuto delle cure ospedaliere, gli ospices stanno diventando la scelta preferita di numerosi pazienti", soprattutto i numerosi malati di AIDS, dicono orgogliosi quelli del Chronicle. Inutile aggiungere che è soprattutto la scelta preferita delle compagnie di assicurazione che vedono enormi profitti in questa "scelta" degli assicurati. Sul loro condizionamento, affinché finiscano col firmare "liberamente e nel pieno delle proprie facoltà" la propria condanna a morte, si potrebbero scrivere libri. Le assicurazioni finanziano la Robert Wood Johnson Foundation che ha speso 28 milioni di dollari per studiare la "qualità della morte" tra i degenti in ospedale e giungere alla conclusione che "più di un terzo dei malati terminali muoiono nel dolore, trascorrendo le ultime ore isolati dai propri familiari, con i medici che ignorano le loro richieste di staccare la spina". La fondazione ha stanziato un primo assegno di 1,2 milioni di dollari per diffondere il nuovo verbo su come morire senza soffrire e, soprattutto, senza far soffrire il cartello assicurativo. [Solidarietà, anno VI n. 4, settembre 1998]

 

Il "future" a più alto rendimento di George Soros è la droga libera

Referendum truffa negli USA e bande di narcoterroristi secessionisti in America Latina. È la puntata più rischiosa del "filantropo" speculatore. Le autorità elettorali di Washington hanno annunciato il 5 agosto che il referendum sulla legalizzazione della marijuana "a scopo terapeutico", come dicono i referendari che lo hanno promosso, non avrà luogo perché i promotori non sono riusciti a raccogliere le firme necessarie a sostegno dell'iniziativa. Il gen. Barry McCaffrey, direttore dell' ufficio speciale anti-droga della Casa Bianca, si è congratulato con i cittadini che non si sono lasciati abbindolare con un comunicato diffuso il 13 agosto in cui afferma che l'iniziativa permissionista, è "un altro tentativo ben orchestrato di minare un'attenta politica di controllo della droga per proteggere i nostri giovani. Iniziative del genere sono lesive nei confronti di un sistema medico sano ed efficiente d'impostazione scientifica (...) Non è il momento di ricorrere a trucchi elettorali per rendere la droga più facile. È invece il momento di prendere nella dovuta considerazione le informazioni scientifiche, che sono da tempo disponibili, sulle conseguenze del consumo di marijuana. I cittadini hanno fatto una scelta saggia nel respingere una politica pericolosa e la confusione retorica di quest'iniziativa referendaria".

Come è stato riferito da Solidarietà in passato, dal 1994 George Soros investe decine di milioni di dollari nella campagna referendaria per la droga libera. Dopo aver ottenuto i primi successi in California e Arizona nel 1996 Soros ha promosso un ambizioso programma referendario in altri venticinque stati americani. I finanziamenti ufficiali di Soros passano attraverso la Drug Policy Foundation, la principale lobby per la liberizzazione, e attraverso il suo centro studi/propaganda, il Lindesmith Center, diretto da Ethan Nadelmann, che dirige anche la Drug Policy Foundation e vanta notevoli appoggi presso la Banca Mondiale. Nel sistema permissivistico sorosiano negli USA figurano inoltre la Drug Strategies, la NORML, la Partnership for Responsible Drug Information. Oltre ai finanziamenti diretti ci sono poi i grossi sostegni indiretti e quelli "culturali" provenienti dalla rete "filantropica" della Open Society Institute di Soros e dai principali santuari del liberismo: il Council on Foreign Relations e la Mont Pelerin Society.

 

La strategia andina

Gran parte di questa struttura di legalizzatori della droga sulla busta paga di Soros si è data convegno l'11 giugno scorso alla George Washington University, sotto gli auspici del Dipartimento di Antropologia (progetto Ande), per incontrare le delegazioni di coltivatori di coca provenienti da Perù, Bolivia e Colombia. Il titolo dell'incontro è stato: "Guerra alla droga: dipendenza dal fallimento". I cerimonieri provenivano dal Washington Office on Latin America (WOLA), ente finanziato ufficialmente da Soros, dall'Institute for Policy Studies (IPS) e dalla succursale di questo ad Amsterdam, il Transnational Institute. Quest'ultimo ospita nei suoi uffici "Coca 90s" organismo che fa capo all'antropologo britannico Anthony Hennan, fondatore della Lega anti-proibizionista internazionale di Soros, consulente dell'Organizzazione mondiale della Sanità e del Parlamento Europeo. Ovviamente è legatissimo a Ethan Nadelmann. I progetti di Coca 90, sono stati promossi dal European NGOCouncil on Drugs and Development (ENCOD)per studiare le scuse terapeutico-culturali da opporre alla eradicazione delle colture di coca portate avanti dai governi di Bolivia e Perù. In 5 anni il governo Fujimori ha eliminato il 40% delle piantagioni. Il boliviano Hugo Banzer, presidente dal 1997, conta di eliminare la coltura della coca entro il suo mandato quinquennale. Ospiti d'onore all'incontro di Washington sono gli stati sei esponenti dell'associazione andina dei coltivatori di coca (CAPHC). Il boliviano Evo Morales, che dirige i cocaleros del CAPHC non ha potuto partecipare perché non ha ottenuto il visto. Dalle discussioni si è capito che qualcosa di grosso sta per colpire la regione andina, probabilmente una riedizione su scala globale dell'insurrezione dei produttori che si verificò nella Colombia meridionale tra il luglio e l'agosto del 1996. In tale occasione l'organizzazione narco-terrorista FARC indusse, armi alla mano, interi villaggi a ribellarsi contro le forze armate.

 

Héctor Orozco Orozco, il sindaco di Forencia, uno dei villaggi colpiti da quell'insurrezione, disse allora all'EIR: "Le marce avvenivano sotto il controllo dei guerriglieri e dei coltivatori di coca (...) erano state organizzate sei mesi prima. Per sei mesi sono andati casa per casa, nella regione di Caquetá, minacciando le persone, raccogliendo soldi, viveri, tutto". E quando cominciò l'insurrezione "le donne volevano andar via, piangevano, ma non le lasciarono andare; i contadini avevano marciato per 8, 10, 15 giorni (...) non erano marce, fu un rapimento collettivo di 25 mila persone". La linea sostenuta dai sei del CAPHC è che bisogna combattere per impedire e contrastare ogni forma di distruzione delle colture che non sia "negoziata" con loro, ovviamente in nome del "controllo locale" e della "democrazia". Nessuno ha chiesto sussidi ed investimenti per sostituire le piantagioni di coca, incentivi allo sviluppo economico andino. Hanno chiesto soltanto di riconoscere al CAPHC il "potere" sulle aree che controlla, cioè che i cocaleros si sostituiscano allo stato.

Coletta Youngers, portavoce del WOLA di Soros, ha criticato la sessione speciale dell'ONU sulla droga che si concludeva quei giorni come "il raduno più esagitato del mondo per la guerra alla droga". Per l'8 giugno, giorno di apertura dei lavori dell'ONU, il centro Lindesmith di Soros ha pubblicato una pagina piena di firme dei fautori della droga libera sul New York Times.

 

Originariamente l'incontro era stato indetto per rendere pubblico, alla vigilia dei lavori dell'ONU, un rapporto in cui si screditasse "Interdizione dei ponti aerei andini", il programma congiunto USA-Perù che sta riuscendo egregiamente ad impedire che tra i paesi andini la mafia della droga possa impunemente trasferire i carichi di droga. Il successo dimostra che è possibile arginare il dilagare dei traffici illeciti e pertanto viene a crollare il dogma secondo cui "la guerra fallisce sempre" che è l'assioma su cui si regge tutta l'impalcatura ideologica della liberalizzazione delle droga. Dato questo successo, e l'incapacità di trovare in sei mesi una linea di critica o di diffamazione credibile, l'incontro è stato ridefinito in chiave insurrezionale.