Collana: I NOSTRI SOLDI, LE NOSTRE FATICHE
www.SIGNORAGGIO.com
Banca d’Italia,
Banca Centrale Europea,
Federal Reserve:
la
grande truffa
volume 2
di 3
release 0.6
Girovagando
su Internet e visitando i cosiddetti “Siti Alternativi di Informazione”, si
scoprono cose incredibili ! Provate quindi ad inserire, in un qualunque motore
di ricerca (www.yahoo.com, www.google.com, www.lycos.it, ecc…) le parole: “SIGNORAGGIO”,
“BCE”, “BANCONOTE” e scoprite su cosa camperebbero i Signori Banchieri…
Il diritto di
“signoraggio” è il potere del “signore” di emettere biglietti con un valore
nominale ampiamente superiore al valore intrinseco e quindi di ricavare un
guadagno dalla sovranità sulla moneta.
Perché debba farlo
una Banca PRIVATA è un mistero…
Coordinatore responsabile del progetto tecnico di
conversione del debito nella presidenza del Comitato Ecclesiale Italiano per la
riduzione del debito estero dei Paesi più poveri
Quando si deve parlare di un problema normalmente si inizia con le
definizioni ma, in qualche modo, le saltiamo, per entrare nel problema
attraverso una storia, perché, forse, attraverso il racconto le cose si
capiscono meglio e poi, alla fine, possiamo riprendere tutto, raccogliendo
effettivamente le definizioni del problema e provando a vedere quali sono gli
elementi che giocano oggi sul tavolo internazionale. Le saltiamo tutte tranne
una, vale a dire la definizione principale di questo problema; noi ci occupiamo
del debito estero dei Paesi poveri, è vero, ma non è vero allo stesso tempo:
noi, di fatto, ci occupiamo della povertà. La grande questione che abbiamo
davanti oggi, in questo momento, è la grande, eccessiva, provocante,
inaccettabile povertà che tocca troppe persone al giorno d’oggi nel pianeta,
soprattutto se confrontata alle condizioni di vita, al confronto
prodigiosamente agiate di cui in qualche modo godiamo noi. Tenendo conto che il
nostro obiettivo fondamentale è la lotta alla povertà, piuttosto che non quella
al debito, proviamo a ragionare su che cos’è questo debito. Qualcuno mi chiede:
“Debito cosa significa? Si dice ‘debito estero’, ‘debito pubblico’? Chi è il
debitore? Verso chi? ecc…”. Allora, anziché fare una dotta spiegazione dei vari
tipi di debito che esistono, dei vari tipi di credito che il governo italiano
ha, che le banche italiane possono avere, io credo che se spieghiamo un po’ la
storia di quello che è capitato, mettiamo dentro, forse un po’ più facilmente,
gli attori di questa vicenda e alla fine della storia abbiamo le idee chiare,
senza bisogno di fare un’analisi troppo arida e che non è tanto piacevole da
ascoltare.
La storia del debito comincia nel 1973; in realtà
comincia anche un paio d’anni prima, però qui partiamo da questa data. Cosa
capita in quell’anno? Per chi era abbastanza grande per ricordarlo, nel 1973
successe una cosa simpatica, almeno per chi aveva 13-15 anni a quell’epoca,
ovverosia che la domenica si andava in giro, in mezzo alle città, in
bicicletta, o con i pattini a rotelle. I prezzi del petrolio erano
prodigiosamente impazziti; aumentarono repentinamente di quattro volte. Perché?
Questa è una bella domanda che richiederebbe l’intera serata, ma
fondamentalmente aumentarono perché i produttori di petrolio erano pochi, erano
riuniti in un cartello, che esiste tutt’ora e che si chiama OPEC, in cui
fondamentalmente v’erano i Paesi arabi, ma non solo: v’era anche il Venezuela,
ad esempio. I Paesi arabi decisero per varie ragioni di far salire alle stelle
il prezzo del petrolio. Noi si andava in bicicletta proprio perché tutti i
Paesi del mondo erano (e sono) consumatori di petrolio, ma era così costoso e
comportava gravi conseguenze sull’economia di tutti i Paesi, che questi
cercavano di consumarne di meno. Nonostante, però, le riduzioni e i risparmi, i
Paesi produttori, gli Arabi in modo particolare, incassarono una quantità
enorme di valuta rispetto a quella che incassavano prima. Fu il cosiddetto
fenomeno dei petroldollari, perché il petrolio era valutato in dollari e la
moneta internazionale era il dollaro. I Paesi arabi si trovarono così a
incassare una quantità spropositata di denaro, la spesero per migliorare
l’aspetto delle loro capitali, per fare di tutto e di più, ma era stato così
repentino e così grande l’aumento che si trovarono comunque una liquidità tra
le mani che non erano in grado di spendere.
Quando uno avanza dei soldi, quando uno risparmia
dei soldi, non riesce o non vuole consumarli, cosa fa? Li porta in banca. I
Paesi arabi fecero esattamente questo: offrirono questo denaro alle grandi
banche internazionali. Queste ultime fecero il mestiere di una banca; ovverosia
presero il denaro da chi avanzava soldi, lo raccolsero promettendo in pagamento
un interesse applicando un tasso e lo offrirono a chi aveva bisogno di denaro,
per effettuare investimenti, per spenderlo in qualche modo (progetti e quant’altro).
Questo denaro venne offerto agli imprenditori del Nord e anche al Sud del
mondo, anzi venne offerto in modo particolare al Sud del mondo, perché nel Sud
del mondo v’era un fortissimo fabbisogno di infrastrutture. Da noi v’erano
ospedali, porti, linee elettriche e quant’altro uno desideri avere; nel Sud del
mondo queste infrastrutture erano molto più scarse. Questa grande quantità di
denaro poteva essere messa proprio a disposizione di grandi progetti di
investimento che realizzassero le infrastrutture mancanti nel Sud del mondo.
Qui lo sviluppo economico era tale per cui non v’era un pullulare di imprese e
gli interlocutori economici principali erano i governi. Non solo:
l’interlocutore che più correttamente avrebbe dovuto realizzare quelle
infrastrutture era il governo di ogni nazione. Per cui i banchieri di tutto il
mondo, con tutti questi petroldollari tra le mani, andarono dai governi del Sud
a dire: prendete questo denaro a prestito, perché con tutto questo denaro
potete finalmente finanziare i vostri progetti infrastrutturali e così i
governi del Sud presero questo denaro a prestito. Perché lo presero? Perché era
molto conveniente indebitarsi in quel periodo. Che cosa significa? Significa
che i tassi di interesse erano molto bassi. Perché? Proprio per questo fenomeno
dei petroldollari. Mi spiego: se noi vendiamo arance al mercato e abbiamo poche
arance e vi sono tanti compratori, tendenzialmente facciamo pagare abbastanza
care le arance; se, invece, di arance ne abbiamo tante ed è anche la fine della
giornata e rischiamo di tornare a casa con le nostre arance, abbassiamo i
prezzi, applichiamo un’offerta speciale e promuoviamo due cassette al prezzo di
una, pur di vendere le arance, che, altrimenti, il giorno dopo marcirebbero.
Con il denaro è un po’ la stessa cosa. Il prezzo del denaro è il tasso di
interesse, perché quando io vado in banca a chiedere del denaro, perché voglio,
ad esempio, cambiare l’automobile, o acquistare la casa, o fare qualsiasi altra
cosa, desidero, comunque disporre del denaro che la banca ha e io no, compro
quel denaro pagandolo con un tasso di interesse, ovverosia la banca me lo dà se
io le pago gli interessi. Gli interessi sono il prezzo della moneta. Quando in
un sistema economico v’è molta disponibilità di denaro, normalmente i prezzi di
questo denaro, ovverosia i tassi d’interesse, scendono; quando v’è scarsità di
liquidità i tassi d’interesse tendono a salire e questo è anche abbastanza
naturale, perché il mestiere della banca è quello di guadagnare sui prestiti
che concede. Per cui le banche, trovandosi tutto questo denaro tra le mani, che
gli veniva dato dai Paesi arabi produttori di petrolio, offrirono anche a tassi
d’interesse molto bassi il denaro pur di collocarlo comunque, pur di non
tenerlo infruttuoso, o infruttifero nelle proprie tasche. Allora, questa
immissione repentina di denaro sul mercato determinata dall’aumento del
petrolio, fece crollare i tassi di interesse.
Il crollo dei tassi di interesse rendeva
evidentemente poco costoso l’indebitamento, per cui tutti si fecero tentare e
presero a prestito grandi quantità di denaro. Non solo, un’altra cosa
abbastanza simpatica dal punto di vista numerico, in quel periodo, fu che ci si
trovò in situazioni in cui i tassi di interesse reali erano negativi. Cosa vuol
dire tasso di interesse reale negativo? Vuol dire che l’inflazione[1] è più
alta dei tassi d’interesse; questo accadde in quel periodo. L’inflazione, in
quegli anni, era determinata in modo particolare dal petrolio; il petrolio era
diventato più costoso, tutte le nostre industrie, ad esempio, avevano bisogno
di petrolio, perché o dovevano far muovere i furgoni con la benzina, che deriva
dal petrolio, e costa, o per far muovere le macchine - torni, frese, e
quant’altro negli stabilimenti - avevano bisogno di energia elettrica
(l’energia elettrica, in Italia, è fondamentalmente erogata attraverso centrali
termoelettriche, ovverosia centrali che producono energia elettrica consumando,
bruciando, attraverso caldaie, petrolio). Per cui il petrolio incide sui costi
di tutte le imprese, in modo particolare sui costi energetici. Quando
un’impresa ha i suoi costi che sono aumentati, se non vuole andare in perdita,
aumenta i prezzi. Questo meccanismo ha toccato un po’ tutti i settori. Tutti i
prezzi si sono alzati, ma alzandosi i prezzi, io che nella mia azienda devo
pagare la bolletta energetica (ENEL, benzina, ecc…), ma devo anche comperare
dei componenti, dei manufatti, dei pezzi da montare insieme, da assemblare per
fare il prodotto finale ho un aumento di costi dato anche da queste azioni,
perché, ad esempio, io, imprenditore di prodotti finiti, mi rivolgo ad altri
imprenditori–produttori di componenti per il prodotto finito, i quali a loro
volta si rivolgono ad altri imprenditori di materiali. Allora, io mi trovo ad avere
più costi per il petrolio, più costi per l’aumento dei diversi componenti nei
diversi passaggi; non posso che aumentare, e ancora di più, i miei prezzi del
prodotto finale.
È nata, allora, quella che si chiama “spirale
inflativa”: i prezzi aumentavano, in ragione dell’aumento si determinava un
aumento successivo, un aumento successivo ancora, ecc… Immaginate di essere in un’inflazione al 20%
e immaginate che i tassi d’interesse siano del 10%. In questa situazione
bisogna subito correre in banca a indebitarsi da morire, perché chi non si
indebitasse sarebbe un po’ addormentato… Se una persona va in banca il 2
gennaio e prende in prestito 100.000 lire, poi va al mercato e compra, per
esempio, un microfono da 100.000 lire, va a casa e lasciandolo imballato lo
pone sotto il letto, il 31 dicembre prende il suo microfono va al mercato e lo
vende. Al 2 gennaio aveva detto al direttore di banca: “Tu prestami 100.000
lire e io pago il 10% di interessi fra un anno”, però io so che l’inflazione è
intorno al 20%. Dopo un anno vendo il microfono; il prezzo, se l’inflazione è
del 20, è aumentato del 20%, vale a dire che adesso costerà 120.000 lire;
incasso questa somma, vado dal direttore di banca, il quale pensava che io
avrei fatto fatica a restituire i soldi; gli tiro i soldi sulla sua scrivania,
facendogli vedere che io, invece, sono capace di restituire i soldi. Dò il 10%,
ovverosia pago 10.000 lire per gli interessi, lo saluto e vado via, perché i
miei rapporti con lui sono terminati, perché il 10% sono gli interessi e mi
sono rimaste “magicamente” in tasca altre 10.000 lire, perché le ho incassate
vendendo il microfono a 120.000 lire, grazie all’inflazione. Quest’ultima
passa, quindi, sopra la testa dei singoli consumatori. Quando l’inflazione è
alta e i tassi d’interesse sono bassi è molto conveniente indebitarsi. Questa
condizione fu quella che esattamente si determinò nei primissimi anni dopo il
’73, tra il ’73 e il ’75. Per cui tutti fecero la gara a indebitarsi, ma anche
abbastanza giustamente, perché il petrolio aveva fatto salire i prezzi e la
grande quantità di petroldollari (dollari derivati dal ricavo del petrolio)
aveva fatto abbassare e crollare i tassi d’interesse. Tutti si indebitano e per
un certo periodo vivono piuttosto felici e contenti, quasi come nelle favole, e
le cose vanno avanti per circa cinque o sei anni. La seconda data che ci
interessa per la storia del debito è il biennio 1978–1979, perché nel ’79 si
determinò la seconda crisi dei prezzi del petrolio. Prima i prezzi del petrolio
erano aumentati di quattro volte in un anno; nel 1979 i prezzi del petrolio
aumentano di cinque volte in un anno. Questo significa che in totale i prezzi
sono aumentati non di nove, bensì di venti volte, perché se prima costava 100,
sono passati a 400, poi v’è un ulteriore aumento di 5 volte sui 400 (5 x 4 =
20) e si arriva a 2.000. Per cui nello spazio di 6 anni il petrolio aumenta di
20 volte il suo prezzo. Che cosa capita? In teoria potrebbe capitare quello che
è capitato nel ’73, ovverosia grande inflazione, crollo ulteriore dei tassi di
interesse, condizioni di indebitamento particolarmente vantaggiose; tutti vanno
di nuovo in banca e nelle grandi banche internazionali a farsi prestare del
denaro per effettuare nuovi progetti di investimento. Invece le cose non vanno
così e sono un po’ diverse, perché vi sono due personaggi con tratto molto
virile e volitivo che arrivano alla responsabilità di governo della Gran
Bretagna (anche se alcuni dicono dell’ Inghilterra, perché, dicono, non v’era
la prospettiva dell’attenzione anche ai bisogni sociali in Scozia, in Galles,
ecc… — ma non importa —) e degli Stati Uniti, che sono: Margaret Thatcher e
Ronald Reagan. Questi due individui, virili, avevano l’opinione che l’approccio
più efficace per combattere l’inflazione fosse quello monetarista. Loro, e
anche chi non condivideva le loro opinioni, ritenevano che l’inflazione fosse
diventata veramente troppo alta e che l’inflazione fosse un male piuttosto
perverso e pernicioso dell’economia; ed è abbastanza vero.
L’inflazione, nell’esempio che abbiamo citato
prima, può determinare dei guadagni che prescindono dai meriti degli operatori:
io ho guadagnato 10.000 lire, nell’esempio di prima, non perché ho aggiunto un
valore al microfono, ma solo perché le condizioni di mercato si sono
trasformate, mentre sarebbe corretto che io venissi premiato in ragione del
valore che so e che posso aggiungere (valore della mia fantasia, perché ho
eseguito un decoro, di un servizio che ho aggiunto, perché l’ho consegnato al
domicilio del consumatore, oppure perché l’ho migliorato, ecc…); in realtà, lì,
io non ho aggiunto alcunché. L’inflazione è una media. Quando si dice che v’è
un’inflazione del 2%, questo valore è una media di diversi settori. Questo
significa che vi sono alcuni settori in cui l’inflazione è cresciuta solo
dell’1,5%, altri in cui è cresciuta del 2,5%, ecc… Se noi abbiamo alcuni
settori in cui l’inflazione è cresciuta dell’1,5% e altri in cui è cresciuta
del 2,5%, vuol dire che a fine anno vi sarà qualcuno (quelli del 2,5%) che hanno
avuto un’opportunità di aumentare i loro ricavi dell’1% in più rispetto a
quelli del settore dell’1,5%, perché i primi prezzi potevano aumentare del
2,5%, mentre i secondi solo dell’1,5%. Se abbiamo che uno di noi guadagna l’1%
in più dell’altro, non in ragione della sua capacità, bensì in ragione
dell’inflazione che sta sopra le teste, chi se ne importa: è solo l’1%. Se
invece l’inflazione è del 20%, e noi in quegli anni l’abbiamo avuta anche
superiore, questo vuol dire che vi sono settori al 15% e altri al 25% e la
differenza tra un settore e l’altro può essere anche del 10%, che comincia a
essere abbastanza consistente.
Allora, avendo anche alcune attenzioni di
giustizia sociale, di equità, effettivamente un’inflazione molto elevata, a due
cifre, soprattutto superiore al 20%, è piuttosto imbarazzante all’interno della
propria comunità, perché può determinare degli scompensi di notevole rilevanza
tra i singoli operatori. Giustamente occorre combatterla. Reagan e la Thatcher
ritenevano che le ricette monetariste fossero le più efficaci. Cosa dicono
queste ricette? Si ispirano a quella corrente del pensiero economico che è il
monetarismo, il cui esponente più noto è tale Milton Friedman[2], e affermano
sostanzialmente che in un’economia l’inflazione dipende strettamente dalla
quantità di moneta circolante. Detto così magari non si capisce tanto. Io, di
solito, uso fare questo esempio, perché mi sembra che possa essere abbastanza
chiaro: a me la mattina piace acquistare diversi quotidiani (quando passo davanti
all’edicola ne compro dai 3 ai 5), però sono anche piuttosto sbadato e spesso
dimentico i soldi, che porto nei pantaloni e non nel portamonete, nei pantaloni
del giorno prima, per cui se non cambio i pantaloni compro i giornali, se li
cambio sono senza soldi. Comunque, mi capita di uscire con alcuni soldi in
tasca, con sole 10.000 lire, ovvero senza soldi e a seconda di quanti soldi ho
in tasca, compro 3 o 4 quotidiani, ne compro 1 solo, o non ne compro alcuno e
la mia decisione d’acquisto non dipende dal mio stipendio, dal mio reddito, da
quanto io guadagno, bensì solo da quanti soldi ho in tasca in quel momento.
Secondo i monetaristi, questo meccanismo vale per l’intera economia aggregata,
cioè a dire: tanto più denaro è presente in un’economia, che vuole dire in una
nazione, tanto più saranno finanziati acquisti, tanto più gli operatori
eserciteranno una domanda d’acquisto, di qualsiasi bene, dai giornali ai
microfoni, ecc… I monetaristi dicono, allora, che tanto più forte è la domanda,
tanto più la domanda si scaricherà sui prezzi, alzandoli. Voglio dire che se io
produttore vedo che v’è tanta gente che vuole comperare, come nell’esempio
delle arance, tendo ad alzare i prezzi; analogamente se vedo che la gente non
compra più tendo ad abbassare i prezzi per favorire gli acquisti. I monetaristi
dicono che se noi consentiamo che in un’economia vi sia in circolazione molta
moneta, noi consentiamo che la domanda di acquisti sia elevata e questo può
determinare un aumento dei prezzi. Viceversa se noi abbiamo già un’inflazione
alta, ovverosia i prezzi alti a causa del petrolio, e abbiamo come obiettivo
quello di abbassare l’inflazione e, se riusciamo, anche di abbassare in termini
assoluti i prezzi, dovremo fare il contrario: restringere la quantità di moneta
(per tornare all’esempio di partenza, togliere i soldi dalle tasche del
sottoscritto in modo tale che compri meno quotidiani). Ovverosia: togliere
denaro dal mercato in modo che la domanda di beni si abbassi. In ragione di
questa riduzione della domanda i produttori probabilmente tenderanno ad
abbassare i prezzi, per favorire un recupero della domanda e poter vendere,
collocare la loro offerta, la loro produzione e avremo, di conseguenza, una
riduzione di prezzi che compenserà l’aumento dei prezzi del petrolio e avremo
un’inflazione gestibile e che diminuisce. Questo modello dei monetaristi
dovrebbe ottenere la riduzione della domanda. In effetti loro proprio questo
desideravano; si parlava, a quel tempo, con estrema chiarezza, anche nelle
parole, di “raffreddamento della domanda”: noi dobbiamo invogliare la gente ad
acquistare di meno, perché raffreddando la domanda indurremo i produttori ad
abbassare i prezzi, che però poi significa anche a produrre di meno, perché se
vi sono meno acquisti abbasso sì i prezzi, ma a un certo punto produco anche di
meno, il che significa che mando a casa anche qualche operaio, perché non posso
tenermelo lì a pagarlo per fare niente.
Questo obiettivo venne perseguito con chiarezza e
puntuale precisione dai due governi di USA e UK e successivamente, di fatto, fu
anche imitato da tutti gli altri governi europei (penso che sia esperienza di
tutti noi la recessione degli anni ’80, che è durata per tutti gli anni ’90.
Con questa “intelligente” politica, composta con l’innovazione tecnologica che
v’è stata, che richiede meno persone per fare le stesse cose che si facevano
gli anni prima, grazie ai computer e quant’altro, noi abbiamo avuto tutti i
problemi di ristrutturazione, di ricollocazione delle persone, di
prepensionamenti, in Italia e in tutta l’Europa, ma anche negli Stati Uniti e
un po’ in tutto il mondo. Per cui la politica monetarista ha avuto come “costo
sociale” la disoccupazione, che noi tutt’ora scontiamo… Questo tipo di politica
doveva ridurre l’inflazione. Due tesi si scontravano a questo proposito e si
scontrano tutt’ora nel dibattito politico, anche se i nostri (tele)giornali ci
parlano dei “respiri” dell’una e dell’altra: vi sono coloro i quali dicono che
dobbiamo prestare attenzione a evitare surriscaldamenti inflazionistici e
dobbiamo avere politiche di strettezze creditizie, controlli stretti della
moneta e di controllo della domanda, mentre altri, invece, dicono di no e che
il prezzo di questa politica sarà sì il controllo dell’inflazione, ma, di
fatto, il prezzo del controllo dell’inflazione è la disoccupazione, la
recessione, ecc… ed è meglio adottare altra politica. Le due correnti di
pensiero sono, se pur semplificando in modo abbastanza violento, quella dei
monetaristi da una parte (che possiamo anche chiamare neo-liberisti,
neo-conservatori, ecc…) e quella dei neo o post-keynesiani[3].
I monetaristi dicevano, allora, che la politica
keynesiana che si è adottata dagli anni ’50 fino agli anni ’70 è andata bene
per un po’, ma in quel periodo si scontrava con l’inflazione del petrolio e, se
si fosse aumentata la domanda, si sarebbe prodotta solo nuova inflazione, e
dicevano che si doveva cambiare registro. Il registro fu cambiato, per diverse
ragioni, anche politiche; Reagan da una parte e la Thatcher dall’altra dissero:
noi dobbiamo avviare uno stretto controllo della moneta, per evitare
ripercussioni sull’inflazione, anzi per “addolcire” l’inflazione. Come si fa a
controllare la moneta? Vi sono tanti strumenti, ma alla fine si sintetizzano in
un risultato, che è sia strumento sia risultato di queste operazioni, che è
l’aumento dei tassi d’interesse. Se io per varie vie alzo i tassi d’interesse -
perché la Banca centrale alza il tasso di sconto, ovvero perché io, governo,
offro sul mercato i Buoni Ordinari del Tesoro (BOT) e i Certificati di Credito
del Tesoro (CCT) - prometto un tasso d’interesse molto alto: se il BOT o il CCT
ha il 10% del tasso d’interesse e io, governo, decido che questa settimana li
vendo al 20% del tasso d’interesse, cosa succederà? Tutti gli altri che offrono
titoli a un tasso d’interesse, alzeranno anche loro il tasso d’interesse
promesso, perché altrimenti tutti comprano BOT e CCT e nessuno compera gli
altri. Per cui gli altri, pur di collocare la loro offerta, visto che anche
loro hanno bisogno e lavorano di questo, evidentemente promettono interessi più
alti -; quindi, una decisione del governo determina un innalzamento di tutta la
struttura dei tassi d’interesse di mercato. I governi inglese e americano
decisero di alzare i tassi d’interesse e questi balzarono da un giorno
all’altro, veramente, verso l’alto. Perché questo serve a raffreddare la
domanda e a ridurre la quantità di moneta? Se i tassi d’interesse diventano
improvvisamente più alti, io che ho denaro, prima probabilmente lo usavo per
comperare, per esercitare “domanda”; se adesso sono così alti, almeno una parte
di quel denaro lì, io la investo finanziariamente visto che si guadagna così
bene. Io che, invece, non ho denaro e desidero farmelo prestare per spenderlo
in progetti di investimento, in consumi, ecc… me ne farò prestare di meno visto
che è diventato così costoso. Per una via e per l’altra, con una tale
decisione, il governo riduce la quantità di denaro disponibile per finanziare
acquisti, per finanziare la domanda, che si riduce. La leva è alzare
violentemente il tasso d’interesse, per ridurre la quantità di moneta, per
combattere l’inflazione. Questo venne fatto e voi capite che se questo è fatto
in Inghilterra e negli Stati Uniti, poi Italia, Francia, Germania e Spagna lo
fanno a loro volta; perché? Pensate all’Italia di quel periodo, che aveva dei
deficit di bilancio abbastanza elevati; per finanziarli poteva alzare le tasse
(ma questo strumento è sempre piuttosto fastidioso), ovvero poteva chiedere
soldi a prestito ai cittadini italiani, con i BOT e i CCT. Se, però, il titolo
del tesoro americano promette il 15% e quello italiano promette il 10%, la
gente va ad acquistare quello americano e non quello italiano, visto che là si
guadagna di più; allora il governo italiano deve alzare il tasso d’interesse
del suo BOT allo stesso livello di quello americano e, probabilmente, ancora di
più, perché se io, che vivo nel periodo ’79-’80, guadagno la stessa cifra negli
Stati Uniti d’America e in Italia, probabilmente compero il titolo
statunitense, perché in America v’è una bella stabilità di governo, l’economia
più ricca del mondo e non v’è un presidente del partito di maggioranza, il
quale viene rapito e poi ammazzato dai terroristi, un governo che dura sei mesi
e poi è sostituito… L’instabilità politica in Italia, il fenomeno
Badermeinnhoff in Germania, ecc… in quel periodo determinavano un’incertezza
per cui i governi che non erano gli Stati Uniti e che non erano l’Inghilterra,
hanno dovuto imitare o addirittura superare i tassi di interesse di questi
Paesi, per poter collocare i loro titoli, che servivano per finanziare la spesa
pubblica, in ragione di queste decisioni anglo-americane.
Per cui la decisione di due Paesi è stata
trasmessa immediatamente a tutti gli altri. Tutti i tassi d’interesse volarono
verso l’alto. Perché ci interessa tutto questo? I Paesi del Sud dei quali noi
ci occupiamo si erano indebitati moltissimo dal ’73 in avanti, pagando tassi
d’interesse intorno al 5%. Con l’affermarsi delle politiche monetariste, i
tassi d’interesse volano oltre al 20%. Per i Paesi del Sud il tasso medio era
intorno al 25%, ma molto spesso ha toccato anche il 30%. Voi immaginate che
cosa vuol dire aver fatto dei programmi per finanziare un pagamento a degli
interessi al 5% su un debito che io ho assunto e che cosa significhi dovermi
trovare a pagare il 30%; v’è una certa differenza.Di più: v’è un fenomeno
importantissimo di quel periodo del ’79 ed è la scelta degli Stati Uniti di far
apprezzare il dollaro. L’apprezzamento di una moneta è il contrario di una
svalutazione, ovverosia è l’aumento di quella moneta rispetto alle altre
valute. Gli Stati Uniti erano e sono tutt’ora un Paese fortemente importatore:
importano molto più di quanto esportano. Il ragionamento dei governanti americani,
allora, era questo: noi abbiamo già l’inflazione che ci dà parecchio fastidio,
importiamo moltissimo, il costo delle importazioni è cresciuto in ragione
dell’aumento del prezzo del petrolio perché questo fa parte delle nostre
importazioni; tutto questo ci dà fastidio, per cui combattiamo l’inflazione coi
tassi d’interesse, ma vediamo se riusciamo a far crescere il valore del
dollaro, perché se il nostro dollaro cresce noi paghiamo meno le importazioni.
Mi spiego: un’auto italiana costa, per ipotesi, 200 milioni, oggi il dollaro
vale più o meno 2.000 lire, per comperare questa automobile occorrono 100.000
dollari.
Se io, Stati Uniti, riesco a far aumentare il
valore del dollaro, forse riesco a comprare l’auto con meno dollari. Se i miei
dollari li faccio passare a valere non più 2.000 lire, ma 4.000 lire, io cambio
i dollari in lire, perché l’auto italiana la pago sempre in lire, i 100.000
dollari che prima mi procuravano 200 milioni di lire ora mi fanno procurare 400
milioni di lire, per cui con gli stessi 100.000 dollari mi compro 2 automobili,
ovvero ne compro 1 con 50.000 dollari. Voi capite che per gli Stati Uniti,
avendo un forte fabbisogno di importazioni, avere un dollaro forte era
importante, perché si potevano comperare, a parità di dollari, più beni, ovvero
si compravano le stesse quantità, pagando meno dollari. Mai, purtroppo, venne
raggiunto un obiettivo di politica economica con così tanta efficacia; perché?
In realtà è sfuggita ai governanti americani questa situazione, nel senso che
loro volevano sì l’apprezzamento, ma non così virulento. Il dollaro passa, con
le lire italiane, da circa 600 lire fino a toccare le 2.200 lire, ovverosia
quadruplica il suo valore nel giro di un anno; nello stesso periodo, cioè
all’interno del periodo che va da fine ’78 a inizi ’80, raddoppia il suo valore
rispetto alla sterlina, al marco, al franco svizzero e alle valute più forti e
lo decuplica e più ancora rispetto alle valute del Sud. Con l’Italia, che non
aveva una valuta fortissima, il rapporto è stato di 1:4, con valute più deboli
di quella italiana è stato peggio ancora. Ora, voi immaginate che cosa questo
può essere costato ai Paesi del Sud. Perché? Perché la valuta internazionale
era il dollaro. I beni che venivano venduti sul mercato internazionale facevano
riferimento ai prezzi che avevano sul proprio mercato nazionale, ma il mercato
dei soldi, ovverosia il mercato finanziario (prestiti, debiti, crediti…) non è
che avesse un mercato nazionale di riferimento, era un mercato misurato
sostanzialmente in dollari. Questo significa che questi Paesi s’erano
indebitati in dollari, promettendo di pagare un certo tasso d’interesse, ma si
sono trovati dal 5% a dover pagare il 30%, inoltre si sono trovati ad avere lo
stesso debito misurato in dollari (non era cambiato il loro debito): un debito
che, misurato in valuta locale, era diventato enorme. Qui spiego sempre con
l’esempio della coppia che mette su casa. Se una delle nostre coppie prodigiose
ha questa intenzione, immaginiamo che voglia spendere 300 milioni. La zia di
uno dei due regala loro 100 milioni, per dar loro una mano e questi si recano
in banca a chiedere un prestito di 200 milioni. Guadagnano 2 milioni al mese a
testa, che vuol dire 48 milioni in due all’anno, il che può dare una certa
tranquillità. Dicono: prendiamo 200 milioni in prestito dalla banca, paghiamo
il 5% di tasso d’interesse, che vuol dire 10 milioni ogni anno, il mio reddito
serve a vivere, ecc…, mentre il tuo serve a pagare gli interessi e per
cominciare a restituire il capitale; facciamo l’operazione della nostra vita,
ringraziamo la zia, e ci siamo fatti la casa. Le cose magari vanno bene il
primo anno e poi immaginate che capiti quello che è capitato nel ’79, ovverosia
che i tassi d’interesse improvvisamente schizzino al 30%, la qual cosa non è
tanta piacevole, perché il 30% di 200 milioni è 60 milioni. Questo vuol dire
che lo stipendio di chi dei due doveva pagare gli interessi e restituire il
debito non è più sufficiente, ma non bastano neanche i due stipendi messi
insieme (48 milioni); è un gran pasticcio! È anche piuttosto perverso se uno
pensa che in realtà, in poco più di tre anni, con interessi di questo tipo,
loro pagano alla banca la stessa cifra che avevano contratto all’inizio come
capitale di debito, perché in un arco di tempo di tre anni, a colpi di 60
milioni all’anno, restituisco 180 milioni.
Noi, per “servire il debito”, come si dice,
abbiamo pagato i 180 milioni, ma abbiamo sempre questo debito di 200 milioni da
pagare ancora. Il servizio del debito sarebbero gli interessi più la rata di
restituzione periodica del capitale. Si dice “servire il debito” perché io per
poter mantenere in mano mia il capitale che ho ricevuto, devo fare il servizio
di pagare gli interessi e restituire una piccola quota ogni anno. Voi immaginate
se questa coppia avesse avuto la luminosa idea di prendere dollari anziché lire
(tante nostre famiglie hanno contratto un prestito in valuta diversa dalla lira
quando, prima del ’92, le nostre banche proponevano di fare i prestiti misurati
in ECU, l’attuale euro, che creò qualche imbarazzo. Perché? Immaginate che
capiti oggi quello che capitò 20 anni or sono, quando in un anno il dollaro
quadruplicò il suo valore rispetto alla lira…). Immaginate, quindi, che la
coppia sia andata in banca e abbia contratto un prestito di 200 milioni di
lire, ma con valuta in dollari, per cui sono stati dati loro 100.000 dollari.
Firmano e prendono i 100.000 dollari, li cambiano in lire, prendono 200
milioni, con i quali aggiunti a quelli della zia acquistano la casa e va tutto
bene. Arriva, poi, il 30% sui 100.000 dollari, la qual cosa è già sgradevole,
per cui la banca che prima chiedeva interessi per 5.000 dollari annui, ora
chiede il 30%, ovverosia 30.000 dollari e poiché ogni dollaro equivale a 2.000
lire, le dovevano essere corrisposti 60 milioni di lire, ovverosia 30 mila
dollari. L’anno dopo immaginate che capiti questa cosa “prodigiosa” per cui il
dollaro acquista 4 volte il valore che aveva prima e passa da 2.000 a 8.000
lire. Questo è piuttosto imbarazzante, perché non vi sono più soldi per pagare
alcunché.
Proviamo a effettuare i conti: il debito che noi
abbiamo è sempre di 100 mila dollari, però ognuno dei dollari che compongono
questo capitale va moltiplicato, ora, per 8.000 lire, quindi il prestito, ora,
corrisponde, misurato in lire, a 800 milioni. Quindi, questi hanno comprato una
casa da 300 milioni e si ritrovano con un debito di quasi 1 miliardo. Di più,
la cosa più “simpatica” di tutte è che gli interessi, che corrispondono, al
30%, sono sempre 30.000 dollari, perché sono il 30% di 100.000 dollari e la
banca non vuole un dollaro di più. Il problema è che le lire necessarie per
pagare quei 30.000 dollari adesso sono 8.000 per ognuno di quei 30.000,
ovverosia 240 milioni. Solo per pagare gli interessi, questa coppia deve pagare
una cifra più alta di tutto il capitale; deve vendere la casa per pagare gli
interessi di un anno, ma l’anno dopo hanno ancora 240 milioni da pagare. Questo
sembra un racconto di fantascienza, di fanta-politica, o di fanta-economia, ma
è esattamente quello che è successo tra il 1978 e il 1980 e dall’80 in avanti
ha continuato a succedere, perché i prezzi erano esposti in dollari. Non solo:
quando succedono questi avvenimenti nascono fenomeni di sfiducia delle valute
nazionali che si svalutano, per cui la svalutazione continua e diventa ancora
più veloce e più vigorosa; nascono fenomeni di iperinflazione all’interno del
Paese che subisce queste svalutazioni e queste creano ulteriori ingiustizie
sociali, fenomeni di mancanza di equità sul piano economico con conseguenti
grandi disastri. Per quanto ci interessa in relazione al debito, noi abbiamo
che questi governi si indebitarono con le banche internazionali, ossia con
soggetti privati, quando era conveniente indebitarsi, in teoria per effettuare
progetti interessanti per il proprio Paese: infrastrutture e altro. Dopodiché
si sono trovati con interessi aumentati violentemente, faticano, quindi, a
trovare le risorse per pagare gli interessi e, in aggiunta, si trovano con
l’esplosione del valore del debito in valuta locale, perché in termini di
dollari (valuta forte) il loro debito non è mutato, ma loro ricavano le risorse
per pagare il debito da quelle nazionali e queste non bastano più, perché,
espresso in valuta nazionale, il debito è letteralmente esploso. Per un po’ i
Paesi ce la fanno a pagare, svenandosi letteralmente, ma nell’estate del 1982
il Messico dichiara l’insolvenza. Il 1982 è la terza data importante nella
storia del debito, perché segna lo scoppio della crisi del debito internazionale.
I Paesi del Sud smettono di pagare, perché non ce la fanno più; non è
umanamente possibile pagare. Io dico sempre, un po’ scherzando, che quella
famiglia che si è indebitata e deve pagare 240 milioni di interesse non scappa
nemmeno, perché uno scappa quando prende i soldi e poi ha da guadagnare. Non
scappi perché è chiaro che nessuno di noi può pagare 240 milioni solo
d’interessi solo per essersi comprato un alloggio. Allora questi Paesi si
comportano nello stesso modo e dicono: noi non siamo più nelle condizioni di
pagare. Cosa succede a questo punto? V’è una grande preoccupazione nella
comunità internazionale, perché la grande comunità del Nord dice: se le grandi
banche internazionali si trovano in questa situazione, per noi diventa
sgradevole perché se a loro mancano gli afflussi di denaro che arrivano dai
pagamenti periodici che i debitori devono versare, vuol dire che non avranno il
denaro per pagare i pagamenti che noi chiediamo loro di fare da noi. Le grandi
banche internazionali erano quelle in cui qualunque azienda del Nord, ma anche
noi e le nostre famiglie, avevamo i nostri conti. Se noi diciamo alla nostra
banca di pagare una bolletta e la nostra banca non esegue l’ordine, a noi dà
fastidio, perché il servizio per cui paghiamo la bolletta dopo un po’ ci viene
tolto e noi ci chiediamo il motivo, visto che al pagamento avrebbe dovuto
pensarci la banca.
Se continuasse a succedere su cifre più grandi e
noi fossimo correntisti di una banca piccolina, cominceremmo a pensare che
quella banca non ha i soldi, allora ritireremmo tutti quello che abbiamo da
quella banca per andare a metterlo da un’altra parte, perché non avremmo più
fiducia nella capacità di questa banca di sostenere i pagamenti che deve
effettuare. Il timore era che si creasse un fenomeno analogo nel Nord del
mondo. Ovverosia: le banche internazionali non avevano le rimesse che avrebbero
dovuto arrivare dal Sud (gli incassi) e così si trovavano a non aver denaro per
finanziare i pagamenti che noi al Nord chiedevamo di effettuare; un’impresa
chiedeva alla banca di pagare le commesse a un’altra impresa, ecc…, ma se la
banca non pagava, l’impresa intermedia non forniva più la prima, che non poteva
più produrre fisicamente quello che produceva, non poteva venderlo, non aveva i
soldi per pagare gli operai e succede un gran pasticcio. La crisi del ’29 fu di
questo tipo, vale a dire una crisi di fiducia nel sistema bancario: la gente
cominciò a temere che le banche non fossero più in grado di onorare i pagamenti
e si formarono proprio delle file fuori dagli sportelli, lungo le strade, di
persone e di famiglie che andavano a ritirare tutti i propri risparmi per paura
di perderli, per paura che le banche non avessero più capacità di pagamento, di
solvenza. Se v’era rischio che si determinasse la crisi, essa, con questo
sistema, si determinò con certezza, perché le banche, a quel punto,
effettivamente non ebbero più una lira, perché tutti ritirarono i capitali e
scoppiò la grandissima e gravissima crisi del ’29, che determinò conseguenze in
tutto il mondo, anche di natura politica piuttosto grave, come è capitato in
Germania con l’ascesa al potere di Hitler.
Il timore fu quello che capitasse qualcosa di
simile anche con questa situazione di crisi per il debito internazionale. I
governi del Nord, allora – così vediamo che entra in scena un attore
importantissimo e fondamentale -, dissero: noi non possiamo permetterci una
situazione rischiosa di questo tipo, interveniamo; tutti insieme andiamo dai
debitori, convocandoli uno a uno, e si dice a ciascuno: tu sei un bambino un
po’ discolo perché non hai pagato, questa situazione del dollaro che si è
ipervalutato non centra niente, conta che tu non hai pagato e […] vogliamo
darti una nuova opportunità. Questa è che noi ti diamo delle nuove scadenze,
così ti diamo più tempo e ti diamo anche dei denari, perché tu non ce la fai.
Ti diamo, così, dei nuovi prestiti, tu, però, devi dimostrare di avere buona
volontà e devi mettere in pratica le politiche che noi ti suggeriamo, che si
chiamano politiche di aggiustamento strutturale (che sono state la calamità del
Sud del mondo negli ultimi 20 anni e a proposito delle quali vi sono persone
che hanno gravissime responsabilità personali, etiche, morali), cosicché se tu
le metti in pratica, allora noi ti diamo dei soldi, diciamo al Fondo Monetario
Internazionale (FMI) e alla Banca Mondiale (BM)[4], che vi diano dei soldi. Con
questi voi potete sanare la vostra situazione, potete risolvere la vostra
situazione di liquidità. Cosa capitò? Capitò che questo afflusso di denaro da
creditori pubblici (perché erano i governi e FMI e BM, che pubblici creditori
sono) misero i Paesi del Sud nelle condizioni di sanare il loro conto con le
banche. Il debito originariamente s’era creato verso creditori privati: i
governi dei Paesi del Sud erano debitori verso soggetti privati (le grandi
banche internazionali); con questo processo per affrontare e risolvere la crisi
dell’82 - che non fu risolta – i denari dovuti alle banche private vennero
pagati, perché arrivarono nuovi finanziamenti generati dai soggetti pubblici,
per cui il debito dei governi del Sud, da debito verso soggetti privati è
diventato debito verso soggetti pubblici, verso i governi del Nord, verso di
noi (noi siamo azionisti del nostro governo, siamo cittadini di questo Paese).
Oggi i Paesi a medio reddito, quelli che non hanno un debito così terribile,
magari forte ma non impagabile, hanno debiti verso governi e verso FMI e BM e
verso banche private; i Paesi che hanno un debito letteralmente impagabile, che
hanno condizioni economiche e sociali più gravose al loro interno, hanno debiti
esclusivamente verso i governi e le banche pubbliche. Esemplifichiamo con due
Paesi con i quali acquisiremo un po’ di dimestichezza e che sono la Guinea e lo
Zambia. Questi hanno rispettivamente il 97% e il 98% del loro debito estero
verso soggetti pubblici, più o meno 50% verso FMI e BM e 50% verso governi del
Nord. Per cui per i Paesi dove la situazione è più grave, oggi il debito è
verso governi, o verso BM e FMI. Una piccola parentesi prima di concludere e
dare spazio alle domande bisogna dedicarla alle politiche di aggiustamento
strutturale, altrimenti non si capisce il motivo per cui ho usato un giudizio
così severo. Prima, però, un’ulteriore parentesi: le colpe di questa
esposizione. Dal racconto che ho fatto emerge in modo abbastanza trasparente
che, almeno secondo la mia opinione, la responsabilità grave della situazione
in cui oggi ci troviamo sta in decisioni che sono state prese al Nord e per via
politica. Io non sono convinto che Reagan e la Thatcher desiderassero con ferma
e fredda volontà la morte dei Paesi del Sud; io penso, più serenamente e
semplicemente, che non vi pensassero nemmeno: non v’era la minima
considerazione del fatto che questa decisione avrebbe potuto determinare conseguenze
così gravi al Sud del mondo, però quando uno compie un’azione così importante e
così grave, anche nel senso latino del termine, così pesante senza rendersi
conto delle conseguenze che ha, non è che solo per questo può non essere
considerato responsabile delle conseguenze che sono nate, in termini oggettivi.
Io penso che la responsabilità stia al Nord e in
modo clamoroso, se non altro perché nessuno al Nord, nella comunità politica,
anche nel nostro Paese, ha alzato il dito per dire: guardate che se facciamo
questo al Sud potrebbe capitare qualcosa di piuttosto grave; nessuno l’ha detto
e questo è un fatto purtroppo indubitabile, ma del quale bisogna tenere conto.
Vi sono state, certo, anche altre cause che hanno aggravato il fenomeno: per
esempio il cattivo uso del denaro preso in prestito dai Paesi del Sud; sappiamo
tutti che alcune, non tutte, elites del Sud del mondo lo hanno usato male.
Mobutu, il quale era un uomo di una certa disinvoltura, ha abbellito la Costa
Azzurra di bellissime ville, meravigliose, prodigiose, costruite a suo nome, di
sua proprietà, con i soldi che ha preso in prestito dalle banche del Nord
firmando, però, a nome dei cittadini del suo Paese (l’ex-Zaire, l’attuale
Repubblica Democratica del Congo), i quali, oggi, pagano il debito, gli
interessi sul debito, soldi, che non hanno mai visto e che sono stati usati dal
loro dittatore per farsi i fatti suoi, al Nord del mondo. Spesso questi soldi
sono stati usati per comperare armi, ad esempio, anziché per realizzare
progetti utili alla gente; di esempi così ve ne sono tanti. Io dico sempre che
vi sono stati dei governi corrotti al Sud del mondo e che occorre punirli, però
è altresì vero che la corruzione si compie in due: il corrotto e il corruttore.
Non vi sono fabbriche di armi al Sud del mondo, nemmeno una, mentre sono,
invece, al Nord del mondo.
Noi, allora, possiamo anche scandalizzarci che vi
siano presidenti del consiglio del Sud che hanno acquistato armi con soldi, che
viceversa avrebbero dovuto utilizzare a fin di bene per la propria popolazione,
però v’è qualcuno che le ha vendute, siamo stati noi a vendere quelle armi a
loro e visto che noi sappiamo bene che se uno ci ordina un carro armato
difficilmente lo usa per fare panini o per costruire autostrade, ecc… tutto questo
scandalo nei confronti del Sud del mondo va composto ed equilibrato con un po’
di perplessità nei confronti dell’atteggiamento complessivo che il Nord del
mondo ha avuto, non solo per via politica delle decisioni neo-liberiste, ma
anche per queste scelte di, diciamo così, “politica industriale”. Veniamo alla
parentesi sull’aggiustamento strutturale, che è, sostanzialmente, un complesso
di interventi, di ricette politiche, di politiche economiche, in particolare,
improntate al liberismo di una certa consistenza, se non sfrenato. L’idea è che
qualunque intervento che alteri i normali meccanismi, le normali dinamiche di
mercato, di fatto altera l’efficienza che il mercato stesso nella sua autonomia
determina. Se noi consentiamo che lo stato entri nella dinamica di mercato, noi
abbiamo una distribuzione, allocazione delle risorse, un livellamento dei
prezzi, un livellamento dei redditi degli operatori del mercato che non è il
migliore, anzi facciamo delle cose che a lungo andare si pagano, mentre noi
dobbiamo lasciare che sia il mercato a giocare nella sua completa libertà,
perché solo così si determina sviluppo. Noi possiamo, forse, sostenere che
abbiamo una struttura statale molto pesante e che possa tendere a non essere
molto efficiente. Il dipendente pubblico, per definizione meridionale, se siamo
in Italia, pigro, sta alla sua scrivania per telefonare al coniuge, agli amici,
ecc… e non certo per lavorare ed è tranquillo e sicuro, perché nessuno lo
licenzierà mai. È anche possibile che lavori e produca meno, a parità di
stipendio o reddito, del sano popolo delle partite I.V.A. del nord, della
Brianza, piuttosto che del nord-est o del basso Piemonte, che, invece, dovendo
lavorare sul proprio, corre come un disperato e produce, produce, produce,
dimenticandosi forse anche della moglie, ma produce e produce ancora. Non v’è
dubbio che il secondo produce più del primo, anche se non è detto che sia la
regola; penso che ciascuno di noi conosca diversi dipendenti pubblici italiani,
che lavorano come dei matti, che sono pagati anche molto poco e che fanno un
servizio prezioso, dai carabinieri ai poliziotti e ai giudici, che hanno
lasciato la pelle sulle strade per tutelare la nostra sicurezza e la nostra
democrazia (bisogna anche dirle queste cose a coloro i quali dicono che il
“pubblico” è una cosa che fa male e che altera la vita civile), agli
insegnanti, ecc…; quando, poi, dal punto di vista etico non è che il mondo
dell’imprenditoria privata, viceversa, abbia prodotto sempre dei modelli. Se
noi, quindi, esprimiamo la considerazione che forse noi abbiamo una struttura
pubblica pesante e sarebbe bene alleggerirla, possiamo dire una cosa che in
Italia è anche sostenibile e, allora, magari cerchiamo di liberalizzare un po’
di più l’impianto generale. Se noi mandiamo a casa qualche dipendente pubblico,
o diamo loro qualche protezione in meno, in Italia colui il quale è mandato a
casa tendenzialmente la sera e per un po’ di giorni mangia, anche da qualche
parente, perché una casa la trova e poi troverà anche un lavoro, magari in nero
ma lo trova. Se, viceversa, noi andiamo in Guinea e andiamo al Ministero delle
Finanze a parlare con i responsabili per capire a quanto ammonta il debito, per
esempio, v’è tutta una pletora di fattorini, di custodi, di bidelli, di persone
che stanno nell’atrio, povero in apparenza e struttura, tecnicamente a non fare
molto. Non v’è dubbio che gli stipendi pagati a queste persone, forse,
potrebbero essere spesi meglio, secondo un approccio più liberista.
Queste persone, invero, fanno un servizio
bellissimo, perché vi sono tre o quattro che ti chiedono subito cosa vuoi, ecc…
dopodiché passano la giornata con te, accompagnandoti negli uffici così che tu
non devi cercare e chiedere, come in Italia che chiedi dov’è l’ufficio
informazioni e ti rispondono: non so, si rivolga all’ufficio informazioni. Non
v’è dubbio, allora, che forse si potrebbero fare delle cose più produttive, che
creerebbero a loro volta altre cose, però se noi mandiamo a casa una di quelle
persone, bisogna pensare che quel ragazzo mantiene, a un livello di
sussistenza, qualche volta al di sotto del reale fabbisogno alimentare, la sua
famiglia, composta non da 2, 3, o 4 persone, ma da 30 persone, anche perché
spesso arrivano i cugini dal villaggio, perché finalmente v’è uno stipendio,
v’è qualcuno che si è “sistemato” e vivono con lui. Io non dico che questo sia
un modello bellissimo, perché certo bisognerebbe migliorarlo, però se noi
mandiamo a casa quella persona condanniamo ad andare immediatamente sotto la
soglia di sussistenza 30 persone. Allora, mandare a casa centinaia di persone
da un giorno all’altro come è stato imposto di fare ai governi del Sud ha
significato in qualche Paese condannare alla soglia della fame migliaia di
persone. V’è poi la politica dei dazi: se noi abbiamo un’industria nazionale
che non è molto efficiente e che produce, per esempio, microfoni a 100 lire
l’uno, quando l’industria straniera li produce a 70 lire l’uno, se lasciamo le
cose come stanno avremo che noi nostri mercati arriveranno i microfoni stranieri
e tutti li compreranno (togliete l’esempio dei microfoni e sostituitelo con il
grano, o con altro bene che serva per vivere e avrete una cosa più concreta).
Il nostro governo, attento, dice: mettiamo un
dazio, ossia una tassa sulle importazioni. Nell’esempio del microfono straniero
applichiamo un dazio di 40 lire. Nel nostro mercato avremo, allora, il nostro
microfono a 100 lire e quello straniero a 110 lire (70+40). Quale comprerà la
gente? Un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, perché 10 lire di differenza non
sono molte. Arrivano i soloni del Fondo Monetario Internazionale e dicono: devi
effettuare l’aggiustamento strutturale, devi liberalizzare la tua economia,
devi licenziare i dipendenti pubblici, devi togliere tutti i dazi, da un giorno
all’altro. Io per primo dico che se il nostro microfono costa 100 lire, noi non
riusciremo mai venderlo fuori dai confini nazionali e non è nemmeno
intelligente far pagare ai nostri cittadini 100 lire, quando è possibile farli
pagare solo 70 lire, visto che v’è qualcuno che è capace a produrlo a questo
prezzo; dunque cerchiamo di imparare anche noi la maniera di produrre i
microfoni a 70 lire. Come si fa? Forse la ragione per cui i nostri microfoni
costano 100 lire è che costa trasportarli dal luogo in cui sono prodotti alla
capitale, perché non abbiamo una buona strada, né un buon sistema di trasporti.
Allora, io governo, eseguo un bell’impianto di trasporti, una bella strada,
cosicché il trasporto costi meno e i nostri microfoni possono cominciare ad
avere come prezzo finale non più 100, ma 90 lire; poi cerchiamo di studiare
altre migliorie e pian piano il loro prezzo potrebbe anche scendere.
Gradualmente posso togliere il dazio in modo che nel mio mercato vi sia la
libera concorrenza tra i prodotti nazionali a 70 lire e quelli esteri a 70
lire. Questo va benissimo, ma occorre un attimo di gradualità. Arrivano,
invece, quelli del FMI e dicono: no, la cosa deve essere fatta immediatamente,
perché se non lo fai io smetto di comprare. Qual era la leva che aveva la comunità
del Nord e che ha tutt’ora nei confronti dei Paesi del Sud? I Paesi del Sud
hanno un disperato fabbisogno di quella poca valuta straniera, che arriva loro
da quelle poche esportazioni che riescono a vendere al Nord. Questi sono di
fatto diktat politici che la comunità del Nord impone a quella del Sud: ti dò
un nuovo finanziamento se fai i lavori di aggiustamenti strutturali, ma allo
stesso tempo continuo a comprare i tuoi beni solo se fai la politica di
aggiustamento strutturale. Questi Paesi, pur di riuscire a collocare la loro
esportazione dicono di sì e fanno qualunque cosa. Dicono: abrogate il dazio,
allora abroghiamo il dazio da un giorno all’altro. Cosa succede? È semplice: il
nostro microfono sul nostro mercato costa 100 lire, ma adesso sul nostro mercato
è presente anche il microfono straniero, che costa 70 lire; voi cosa comprate
quando la differenza è di 30 lire? Comperate quello da 70, è ovvio. Per un po’
di anni il microfono da 70 lire sbanca il mercato e dopo un poco la nostra
azienda nazionale che produce microfoni chiude, perché non vende più alcunché e
non riuscendo più a vendere chiude e manda a casa gli operai, ma a questo punto
che cosa capita? Che cosa non hanno previsto quei soloni del FMI? Una cosa
assolutamente naturale, ovverosia che dopo due o tre anni l’industria straniera
che veniva da noi a venderci i microfoni se ne va, perché non v’è più qualcuno
che compra, nemmeno i microfoni a 70, perché non vi sono più i redditi per
comperare, perché, sostituite ai microfoni i prodotti di consumo, quel poco di
industria nazionale che noi avevamo nel nostro Paese del Sud è morta, è stata
uccisa da questi interventi drastici che dovevano renderla più efficiente (ma
di fatto era troppo vulnerabile per poter avere una cura così violenta) ed essendo
morta non distribuisce redditi, perché non distribuisce stipendi ai suoi ex
occupati, dipendenti.
Allora, non vi sono redditi disponibili per
acquistare alcunché e il mercato, laddove cominciava a esserci nei Paesi del
Sud, è morto. È la storia di diverse aziende del Nord, anche italiane, che sono
entrate per quattro, cinque, sei, dieci anni nei Paesi del Sud, in Africa in
modo particolare, negli anni recenti e poi se ne sono andate, perché non v’era
più alcunché da vendere. Sempre per stare nei due Paesi Guinea e Zambia, v’era
una filiale della FIAT in Zambia e ora non più, l’hanno tolta quattro anni fa,
perché non v’è più alcunché da vendere. Questo tipo di politica, allora,
anziché migliorare le condizioni economiche le ha peggiorate. È stata imposta in
modo assolutamente ideologico, cioè a dire che la verità è questa: non può che
esserci successo se è presente una liberalizzazione estrema del mercato, non è
questa politica che dev’essere adattata, ma siete voi che dovete adattarvi a
questa politica. Chiunque abbia una qualche dimestichezza con quello che è la
politica capisce che questa è una sciocchezza colossale; il problema è che
veniva detto dalla BM e FMI e quindi “bisogna levarsi il cappello, inchinarsi,
perché è il tempio della cultura economica”. Dal 1978 a oggi le condizioni
sociali dei Paesi del Sud sono di fatto peggiorate. Se guardiamo i numeri
totali, le medie nazionali, spesso vediamo dei miglioramenti, ma le medie
nazionali nascondono il fatto che v’è un’élite che sta sempre meglio e una maggioranza
di popolazione che sta sempre drammaticamente peggio, a causa dell’imposizione
di queste politiche di aggiustamento strutturale, che hanno letteralmente
ucciso ciò che di positivo stava verificandosi. Di fronte a questa situazione,
noi abbiamo Paesi, come capita nella fascia sub-sahariana dell’Africa, che ogni
anno pagano, per il servizio del debito, di interessi cifre, più o meno, 4 – 5
volte superiori alle cifre che riescono a destinare per la spesa sociale
(scuole, ospedali).
Non riescono a pagare la restituzione del debito
perché è troppo grande, perché anche qui è la stessa cosa delle esportazioni e
delle politiche di aggiustamento strutturale: se non paghi gli interessi, io
non ti dò più una mano e non ti compero più alcunché e allora questi, come
orologi svizzeri, pagano almeno gli interessi. In modo particolare l’esempio
clamoroso è quello della fascia sub-sahariana. Stiamo parlando di Paesi in cui
il tasso di analfabetismo adulto può essere superiore al 50%, di Paesi in cui
la frequenza scolastica, dai 6 ai 10 anni, può essere “tranquillamente”
inferiore al 50%, stiamo parlando di Paesi in cui la mortalità infantile entro
il quinto anno d’età può essere “tranquillamente” superiore al 20%, ovverosia
dove un bambino su cinque non raggiunge i 5 anni. In Zambia l’età media è 40
anni, per cui noi tutti che abbiamo più di 40 anni siamo vivi, perché siamo in
Italia, fossimo in Zambia no! In Paesi con condizioni sociali come quelle qui
descritte, questi signori pagano a noi gli interessi, anziché fare presidi
sanitari, scuole, ecc… Ora, badate bene, non è che si muoia di tumori, di morbi
incurabili, bensì di infezioni che con un po’ di pellicilina si curano, si
muore perché non v’è l’antibiotico, l’aspirina, perché mancano quelle cose che
noi non chiediamo nemmeno più al medico di prescriverci perché andiamo in
farmacia direttamente sapendo già quello di cui abbiamo bisogno. Qualcuno di
voi avrà visto una bel reportage, trasmesso un mercoledì sera tarda su Rai 3,
dove un giornalista era andato a verificare le condizioni in Tanzania e aveva
visitato l’interno di un ospedale, in condizioni un po’ impressionanti. Vide un
bambino sotto una sorta di tenda e chiese di cosa si trattasse. La risposta fu:
lì v’è un bambino, il quale ha tutta la pelle del corpo ustionata, perché gli
si è rovesciata la pentola d’acqua bollente addosso, per cui è tutto ustionato,
gravemente, e non abbiamo le medicine per curarlo, perché non abbiamo i soldi;
allora, l’unica cosa che possiamo fare è l’aver fatto con alcuni rametti di
legno un piccolo telaio, dove abbiamo messo degli stracci e degli asciugamani
sopra, un lenzuolo, in modo tale che almeno non vadano le mosche, attirate
dalla pelle in quelle condizioni, a toccargli la pelle, la qual cosa lo farebbe
stare ancora peggio di quello che è già. Il ragazzo è abbastanza forte e forse
si salva, se è robusto supera la crisi, altrimenti non ce la farà. Il
giornalista è stato un po’ impressionato da questo, perché evidentemente i casi
umani ti toccano e quando raggiunse la capitale andò in farmacia e comprò le
medicine che si era fatto prescrivere dal medico di quel presidio sanitario e
verificò che costavano 28.000 lire (voi sapete quanto costa andare a mangiare
una pizza), le affidò a un corriere di fortuna, che a volte, nei Paesi del Sud
sono anche “simpatici” nei mezzi di trasporto che hanno e qualche tempo dopo,
tornato in Europa, ha ricevuto la lettera dal medico, il quale gli scriveva che
le medicine erano arrivate, per fortuna, in tempo e che il bambino s’era
salvato e che stava bene. Sono Paesi nei quali una vita si salva o si perde per
28.000 lire. Io faccio sempre questo esempio: da noi, se vediamo uno per
strada, un barbone, un marocchino, non importa chi, non sappiamo come si chiama
e da dove arrivi, e vediamo che sta male, chiamiamo l’ambulanza e viene portato
al pronto soccorso;
se il medico al pronto soccorso valuta che ha
bisogno di una T.A.C., gliela fa, anche se in ospedale costa parecchio, intorno
ai 2 – 3 milioni, ma la esegue e nessuno gli chiede come si chiama: se v’è
bisogno si fa e io, personalmente, sono fiero di vivere in un Paese, dove si fa
così, mentre negli Stati Uniti, viceversa, di fronte ai quali io riverisco ogni
mattina per il Piano Marshall e un po’ meno per le cose che capitano adesso, se
uno non ha la carta della previdenza privata che si è pagato lo lasciano lì,
perché non hanno l’obbligo di raccoglierlo, a meno che non sia un ospedale
pubblico, che, però, copre solo il 10% del fabbisogno della popolazione, per
cui ti può capitare di rimanere per strada. Là si trattava di 28.000 lire, non
una T.A.C., sono proprio poche per noi. Se vi sono, allora, dei Paesi in questa
condizione, che pagano gli interessi a noi e per pagare gli interessi a noi,
non hanno le 28.000 lire per salvare delle vite umane, io credo che noi non
possiamo non rimanere provocati da questa situazione, non solo come cristiani,
ma come uomini, come cittadini di questo Paese che ogni anno si incassa 1.000
miliardi di lire per gli interessi. Quali sono le vie? Che cosa capita? In ragione
di questa situazione, è da tempo esistente una rete internazionale che fa
pressione, che denuncia, che fa i calcoli del debito e quant’altro. Questa rete
ha avuto una visibilità molto più consistente da quando il Papa, nel lanciare
il Giubileo, ha proposto nella “Tertio millennio adveniente” il tema del debito
estero dei Paesi poveri, come uno dei temi che provocano l’umanità nell’entrare
nel nuovo millennio, in sintonia con quanto afferma il Levitico: dare una nuova
opportunità, dare partenza nuova a queste popolazioni che una nuova opportunità
non hanno, non solo cancellare i debiti. Quando uno ha un tale debito è in
condizioni di schiavitù, perché nessuno può svilupparsi se non ha la cultura
per costruire qualcosa, se non ha l’istruzione minima, se non ha una formazione
professionale e, soprattutto, se non ha la vita, perché se muore prima…
La comunità internazionale sta rispondendo con
grande lentezza, ma finalmente con attenzione a questo discorso. Pensate che la
Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, nell’ultima riunione di
Washington, di qualche mese fa, hanno finalmente e clamorosamente deciso di
concludere l’esperienza dell’aggiustamento strutturale e di chiamare
l’approccio che verrà proposto d’ora in poi ai Paesi del Sud: approccio della
crescita (economica) e della riduzione della povertà. Per ora sono parole,
ancora, bisogna vedere se alle parole corrisponderanno i fatti, ma in politica
le parole sono fatti importanti, per cui è importantissimo questo cambiamento
di linguaggio. Vi sono altri segnali da parte dei governi e anche di una certa
consistenza; piano piano si sta andando avanti. Le proposte che il mondo della
solidarietà internazionale propone a tale riguardo sono fondamentalmente quelle
che per altro sono contenute anche nella Campagna che la Chiesa italiana ha
lanciato qui da noi, ovverosia quella di chiedere senz’altro ai governi le
cancellazioni, ma di chiedere anche che ad ogni azione di cancellazione si
unisca un’azione di riduzione della povertà. Se noi cancelliamo il debito e poi
il governo si compra tre carri armati in più, o i diamanti per la moglie del
presidente del consiglio, che si tenessero pure il debito, perché la questione
è di cambiare le condizioni sociali ed economiche. Quindi: usare i soldi che
non si pagano più per gli interessi, per progetti di sviluppo. Si richiede in
modo anche abbastanza esigente il coinvolgimento della società civile locale
della popolazione dei Paesi debitori a decidere di come usare questo denaro. Il
governo, se v’è la cancellazione, non deve pagare più gli interessi, quei soldi
li deve usare per finanziare la lotta contro la povertà: decidiamo con la
popolazione, con la società civile come utilizzare effettivamente questo
denaro. Non v’è reale riduzione della povertà, se non v’è, insieme, crescita
della democrazia, intendendo per democrazia la partecipazione alle decisioni
delle cose che mi riguardano. Piccoli passi si stanno facendo in questa
direzione. Nella proposta della C.E.I. (avrete sentito parlare dell’operazione
di conversione del debito, quella di cui io sono il responsabile) v’è un
modello di questo tipo: noi chiediamo al governo italiano di cancellare il
debito; se non si cancella il debito gli si dice che non siamo più disponibili
a vestire questa giacca di cittadini di un Paese che incassa soldi per
interessi da popolazioni nelle condizioni descritte, allora, piuttosto, lo
paghiamo noi, a un prezzo più basso del valore nominale e vogliamo, però, la
cancellazione totale. In cambio di questo chiediamo al governo locale che metta
in un fondo di contropartita, su un conto, più o meno lo stesso ammontare che
noi abbiamo pagato in Italia, però lo metta nella propria valuta e creiamo un
comitato che gestisce questo fondo di contropartita, costituito da alcuni di
noi (per un evidente dovere di rendiconto, tanto più anche in ragione delle
notizie che ogni tanto si sentono al telegiornale, vere o non vere, ma che
danno immagini sempre piuttosto imbarazzanti), ma soprattutto dalle persone
della società civile locale, dalla Chiesa locale, ma non solo, visto che questa
non è un’operazione per far Chiesa, bensì per fare cose per la gente (strade,
scuole, ospedali e quant’altro…). Il comitato, così costituito, decide come
utilizzare questo denaro. In tal modo noi dovremmo riuscire a determinare un
modello che ottenga le tre domande che si fanno: la cancellazione, il portare a
beneficio della lotta contro la povertà le risorse che si liberano dalla
cancellazione e far partecipare la società civile, controllando anche come
vengono utilizzati i soldi, nel senso che è questo comitato che decide e,
quindi, non è che sia destinato a non si sa chi, o a governi che potrebbero
essere tentati di utilizzarli in altro modo.
La storia del debito è stata descritta, le
categorie sono emerse, penso che adesso sia chiaro chi deve soldi a chi. I
meccanismi d’uscita possono essere quelli della cancellazione, nuda e cruda,
possono essere quelli della conversione, soprattutto per i Paesi che hanno
qualche mezzo in più, come quello che vi ho descritto prima. Il dibattito è in
corso. Penso che la scommessa davanti a noi sia non solo, o non tanto quella di
restituire dignità ai nostri fratelli e amici del Sud, perché vivere nelle
condizioni che ho descritto prima, forse non è tanto dignitoso, ma anche di chiedere
a loro di darci una mano a che sia restituita a noi un po’ di dignità, perché
vivere nei panni di cittadini che incassano tutti questi soldi, vivendo noi
nelle condizioni in cui noi sappiamo e nelle condizioni in cui sappiamo vivere
loro, credo francamente che sia una vita piuttosto priva di dignità.
Greenspann[5] quanto incide? In questo momento poco. Dipende da quali Paesi
prendiamo in considerazione; se parliamo di Paesi, e sono la maggioranza, più
poveri, prendendo l’accezione “povero” nel senso tecnico economico, ovverosia
con minor reddito, come sono fondamentalmente i Paesi dell’Africa, alcuni Paesi
dell’America, in modo particolare di quella centrale, come Haiti, Nicaragua,
Honduras, Guatemala, ecc… e alcuni Paesi del sud-est asiatico, come il Vietnam
e qualche altro, la decisione di Greensmann incide relativamente poco, perché
di fatto il debito di cui stiamo parlando è antico, non vi sono state grosse
erogazioni recenti e viene amministrato, soprattutto oggi, per via politica,
cioè con decisioni politiche: cancelliamo, non cancelliamo, per cui l’influenza
è più contenuta.
Un certo rilievo, viceversa ha, sui Paesi,
cosiddetti, a medio reddito, cioè Paesi come il Perù, l’Argentina, il Cile, il
Brasile, che ha un debito molto pesante in proporzione a Paesi come la
Thailandia, l’Indonesia, ecc…, che hanno un potenziale economico di molta
maggiore consistenza, soprattutto un potenziale industriale, e che hanno una
componente di debito anche verso le banche, verso il mondo privato, proprio per
questa maggior capacità di pagamento. Allora. Qui sì che v’è uno stock di
debito che risente degli andamenti internazionali. Infatti, una preoccupazione
che oggi esiste è che non si avvii oggi nuovamente un percorso analogo a quello
del ’79, con questo leggero ma continuo riapprezzamento, che il dollaro ha
sull’euro e sulle altre valute, con questi interventi, per quanto abbastanza
cauti della Federal Reserve, il cui approccio risente un po’ della cultura
monetarista, ma è estremamente più cauto in ogni caso oggi rispetto a quello
che fu vent’anni fa. È un problema aperto. Comunque, ripeto, sui più
indebitati, sui più poveri anche oggi si ragiona soprattutto per via politica,
per cui l’influenza è relativamente poco rilevante. È rilevante sui nuovi
prestiti, perché non v’è dubbio alcuno che nel momento in cui noi cancelliamo
questo debito, se riusciamo a cancellarlo, poi a questi Paesi bisogna elargire
nuovo denaro, perché nessuno riesce a investire, a creare se non dispone di
risorse finanziarie. Il mercato finanziario, anzi, è uno strumento per rendere
più democratica l’economia. Se non esistesse il mercato finanziario, uno riesce
ad avviare un’attività economica solo se è già ricco di famiglia, perché per
comprare un trattore, se uno decide di fare il contadino domattina, se non v’è
mercato finanziario lo può fare solo se ha già i soldi, invece il mercato
finanziario consente, a chi i soldi non li ha e non è ricco di famiglia, di
andare in banca e dire: io penso di prendere quella terra lì, di comprarmi un
trattore, ecc… e di guadagnare vendendo il prodotto che ho coltivato; mi dai
una mano? Tu, banca, se ti piace la mia idea scommetti con me sulla mia idea
(questo è esattamente il mestiere delle banche) per cui mi dai i finanziamenti,
li uso per comprare il trattore, affittare la terra, dopodiché dai proventi che
ho con il mio lavoro, dalla vendita dei prodotti che produco, realizzo,
coltivo, pago i costi di gestione, pago me e restituisco il debito e impiego,
ovviamente, uno, tre, dieci, vent’anni per la restituzione dello stesso, però i
soldi per comprare il trattore li ho bisogno subito, non posso acquistarlo a
rate e in questo caso è come se avessi esattamente acceso un debito con la
banca e pago il valore poco per volta. Per cui il mercato finanziario serve a questo.
Anche con i Paesi del Sud: se noi riusciamo a ottenere la sanatoria della
situazione attuale, soprattutto per via politica, perché si riconosca che
questo debito è già stato pagato, come diremo in seguito, però, poi, se
dobbiamo costruire strade, avviare iniziative, ecc… ci vogliono soldi, perché
queste costano. Il problema è, tuttavia, prestare soldi, accendere dei prestiti
da parte di questi Paesi sulla base di progetti credibili, dati in modo che i
progetti siano sostenibili non solo perché hanno una buona idea economica alla
base, ma anche perché le condizioni di prestito evitino rischi, esplosioni, e
cose come quelle che si sono determinate. Vi sono delle soluzioni per gestire
la parte dei tassi di interesse, ma soprattutto, oggi non succede più, normalmente,
di prestare dollari; si prestano panieri di monete, ovverosia si prestano delle
cifre che sono misurate attraverso medie di valute, cioè non si dice: tu prendi
100.000 dollari, ma 100.000 x, che sono il frutto della media di dollaro, yen,
euro, o addirittura dollaro e valuta locale in qualche caso, in modo tale che
così si evita che l’andamento perverso di una sola valuta possa pesare sul
valore del debito.
Seattle. La partita di Seattle è molto grossa. Lì
non è questione di politica di aggiustamento strutturale, che è una cosa
tecnicamente distinta dalla questione delle discussioni a Seattle, dove non si
desiderava imporre ai Paesi poveri certe ricette, quanto si poneva il problema
della regolamentazione del mercato internazionale. Alcune posizioni in campo
nel dibattito di Seattle, come l’accordo multilaterale sugli investimenti
dell’anno scorso, sono figlie della stessa cultura che ha creato le politiche
di aggiustamento strutturale. Esse dicono che è assolutamente necessario che il
mercato non abbia regole, perché ogni regola, ogni intervento dello Stato, non
solo come presenza a gestire attività ma anche proprio come regole (tant’è che
le chiamano lacci e lacciuoli), altera la naturale efficiente allocazione delle
risorse: qualunque regola altera questa libertà. Il mercato dev’essere libero,
perché questo è anche più coerente alla libertà di cui l’uomo dispone, dunque
lasciamo che il mercato sia libero. Dietro questa cultura v’è una sorta di
attribuzione di un valore etico al mercato, per cui il mercato è l’unica vera
forma di democrazia, perché nel mercato non v’è il proporzionale, o il
maggioritario, o il recupero del 25%, o il collegio uninominale, tutte queste
cretinate che la politica ci richiede, no! Il mercato, secondo questa corrente,
è perfettamente libero e io, quando vado al mercato, quando io entro nel
mercato, io voto i beni che preferisco, liberamente, nessuno mi impone di
comprare una cosa o l’altra e nessuno mi impedisce di acquistare la quantità
che voglio io, senza alcun recupero proporzionale, sottoproporzionale, no, io
vado lì e compero quello che voglio nella massima libertà; esercito un voto e
scelgo i prodotti che preferisco.
Questa eticità del mercato si traduce anche
politicamente, perché in realtà chi vince nel mercato, come produttore, ha una
sorta di legittimazione sociale, dunque finanche una legittimazione politica.
V’è questa identificazione che da qualche tempo è proposta anche in Italia tra
buona performance economica e automatica legittimazione politica, buona performance
politica. Da noi è nuovo tale fenomeno, ma nella cultura anglosassone è molto
più frequente. Io faccio sempre l’esempio di Jimmy Carter, che è stato uno dei
presidenti americani, forse tra i meno sgangherati, dell’ultima parte del
secolo e forse in ragione di una maggior sincerità è quello che ha avuto meno
successo nel fare operazioni, perché si faceva fregare, perché era un po’
troppo ingenuo. Al di là di questo, era un democratico, più vicino alla nostra
tradizionale e naturale sensibilità, rispetto a uomini come Reagan, Bush. Jimmy
Carter non sarebbe mai diventato presidente americano se non fosse stato il più
grande produttore di noccioline americane, cioè uno dei più grandi imprenditori
(agricoli) degli Stati Uniti. Quello è un Paese in cui il mercato ti dà una
legittimazione che può essere spesa anche politicamente: se tu vieni votato dal
mercato vuol dire che vali e che, allora, ti puoi proporre anche politicamente,
la qual cosa è una sgangheratezza assoluta, perché la politica è altro, è l’interpretazione
sulla base della propria cultura, cioè dei propri valori, delle risposte più
utili per risolvere i problemi della gente e non altro; a mio giudizio e senza
che questo sia legato a singole persone che oggi sono in politica in Italia.
Questo modello, però, a mio giudizio, falsa la vera funzione del mercato; i
liberisti che dicono che il mercato dev’essere libero in modo assoluto, che
bisogna togliere ogni laccio e consentire a ogni multinazionale di investire
dove vuole, facendo lavorare chi vuole, perché se riesce ad abbassare i costi,
facendo lavorare dei bambini che costano di meno, può vendere a prezzi più
bassi e quindi fare un servizio al consumatore, il quale così paga meno i
prodotti (perché tutto questo è costruito poi come servizio al consumatore),
secondo me falsa letteralmente quella che è, proprio da un’ottica liberale, la
funzione del mercato. L’economia è lo studio dell’organizzazione degli scambi;
perché le persone scambiano prodotti fra di loro? Per vivere meglio, perché se io
produco grano e un altro produce latte, io mangio solo grano e l’altro solo
latte, dopo un po’ stiamo male, allora è meglio che lui mi dia un po’ del suo
latte e io un po’ del mio grano; quindi le persone cominciano a scambiare per
migliorare di fatto la propria vita, ma, forse, addirittura di più per
tutelarla, per garantirla, per rispondere meglio ai bisogni fondamentali. La
maniera migliore per organizzare questi scambi è probabilmente il libero
mercato, ovverosia che non a qualcuno sia imposto di fare una cosa, ma che
nella libertà ognuno scelga cosa produrre e cosa scambiare. Questo, per altro,
è anche coerente con quella sete di libertà, che da un punto di vista
culturale, artistico, noi abbiamo. Se andiamo a leggere la nostra Costituzione,
che, bontà divina, nella sua prima parte non è stata ancora toccata, vi sono
questi diritti riconosciuti sacri della persona con la libertà di questo, di
quello e di quell’altro, ma anche di espressione. È coerente con la libertà di
espressione il fatto che se uno vuole costruire, coltivare e vendere patate, lo
possa fare; se, poi, vi sono troppe patate, si renderà conto da solo che oltre
alle patate è meglio coltivare altre verdure, però non vedo il motivo per cui
io centralmente debba decidere che cosa lui deve fare.
L’esperienza storica, peraltro, ha dimostrato che
tutte le economie centralizzate hanno fallito clamorosamente, ma non tanto per
ragioni politiche, filosofiche, o ideologiche; Gorbaciov ha fatto il passaggio
che ha fatto, perché in alcune province, in alcune repubbliche dell’Unione
Sovietica v’erano problemi di fame, nel Paese, nella nazione che aveva la più
grande capacità di produzione agricola e alimentare del mondo, largamente
superiore al proprio fabbisogno, ma la centralizzazione non è in grado di
determinare un’efficiente distribuzione. Il problema è che se l’obiettivo è
migliorare la vita, se la centralità del mercato è la vita delle persone,
coniugata a questa libertà, il modello neo-liberista che nega ogni
regolamentazione del mercato, che cosa fa? Garantisce a me, consumatore, di
comprare quello che voglio, forse, se sono al Nord, ma non garantisce affatto a
me, persona, di produrre quello che voglio. In una concorrenza completamente
sfrenata, infatti, soprattutto quando parte da un momento in cui la linea di
partenza non determina uguali capacità, nel senso che v’è qualcuno che è più
forte e qualcun altro che è più debole, se non vi sono regole il più forte
diventerà sempre più forte, perché io, che sono più forte, a un certo punto
decido di abbassare i prezzi brutalmente, fino a che non costringo quelli
piccoli a uscire dal mercato, perché non ce la fanno più e saltano; quando sono
rimasto da solo posso rialzare i prezzi. La libertà di mercato è la libertà di
comprare, ma anche la libertà di vendere. Oggi, ad esempio, uno di noi può
mettersi lì a costruire, a produrre automobili, televisioni? Si possono fare
tante altre cose, ma non queste due cose qui.
Sul piano mondiale, secondo voi, uno può mettersi
nel settore alimentare? Il mercato alimentare è nelle mani di due o tre grandi
potenze, il mercato alimentare, dei tabacchi e dei prodotti di consumo, come
detersivi e cosmetica sono in mano di Philip Morris, Procter & Gamble e
Nestlè e qualche altra, e basta ed è tutto in quelle mani lì. Abbiamo, quindi,
se non una situazione di monopolio, una situazione di oligopolio, in cui di
fatto, proprio per usare il linguaggio di questa cultura, è mortificata la
libertà di produrre, la libertà di entrare nel mercato […] un mercato
assolutamente senza regole. Peraltro, è proprio della cultura anglosassone,
quella da cui viene la scuola neo-liberista più estrema, che ci ha insegnato e
noi l’abbiamo fatto nostro nella comunità europea, avere un ministero, che a
livello europeo si chiama commissario, per la concorrenza. È presente un
commissario per la concorrenza, che oggi nell’Unione Europea, ma questo capita
anche negli Stati Uniti, controlla che la posizione di un’azienda rispetto ad
altre non sia dominante, perché se la posizione diventa troppo dominante tu
puoi ostacolare tutti gli altri e arrivare a una situazione di monopolio, per
cui certi accordi non si possono fare e se sono effettuati vengono fatti
sciogliere (la vicenda di Bill Gates negli Stati Uniti è una cosa di cui
sappiamo tutti, recentissima: gli stanno dicendo di vendere alcune sue
proprietà; ma è capitato molto recentemente anche per molti accorpamenti e
fusioni in Europa). Il problema è che a livello internazionale una
regolamentazione di questo tipo non esiste, perché non esiste un’istituzione di
questo tipo; è presente a livello nazionale, o a livello di U.E., che sta
diventando sempre più un corpus nazionale dal punto di vista istituzionale, non
è presente a livello internazionale. A Seattle, nei dibattiti in cui si parla
su questi temi, v’è la componente neo-liberista più forte che lavora per
eliminare tutti i lacci, v’è la componente, che secondo me, è più
autenticamente liberale e nella quale io mi riconosco assolutamente, la quale
afferma che ci vogliono delle regole per tutelare la centralità della persona,
i minori affinché non siano sfruttati, per consentire a tutti di entrare nel
mercato, ecc… La difficoltà è la debolezza delle istituzioni internazionali:
l’ONU, ad esempio, ha difficoltà a intervenire in Albania, nei Grandi Laghi, in
Sierra Leone. Come si fa ad apprezzare il dollaro? Si alzano i tassi
d’interesse. Ovverosia io alzo i tassi di interesse per vincere l’inflazione,
però alzo i tassi d’interesse anche per apprezzare il dollaro. Come sarebbe? Se
io sono il governo americano dico: per combattere l’inflazione mi basterebbe
mettere come tasso di interesse sui miei titoli pubblici il 15%, per esempio, e
metto il 15%, voglio apprezzare il dollaro? Allora metto il tasso di interesse
al 20%; perché? Se io fisso il 20% non solo otterrò di togliere dal mercato
beni, finanze e soldi, che prima sarebbero stati spesi per domanda e che adesso
vanno nel mercato finanziario, come ho descritto prima, ma avrò anche dei
tedeschi, degli italiani, dei francesi… che vedendo che il titolo americano è
così conveniente, nel senso che dà una remunerazione così alta, anziché
investire a casa loro, verranno a investire da me, venderanno le loro lire, ad
es., per acquistare dollari, con i quali acquistare il titolo americano, ecc…
tutta questa domanda di dollari, evidentemente fa salire il prezzo del dollaro.
Il meccanismo è stato questo. Ovviamente se il Ghana, o il Senegal, per dirne
due, cercassero di apprezzare la propria valuta non succederebbe alcunché.
Quand’è che si sono creati i tassi reali negativi? È molto raro che si creino.
Tasso reale negativo, cioè inferiore all’inflazione, è molto raro, anche perché
la banca ci perde, però la dinamica internazionale a quell’epoca fu così
virulenta, perché virulento fu l’aumento del petrolio e così grande la quantità
di proventi, di petroldollari, di dollari che da quell’aumento derivò, che
determinò questa differenza.
In qualche caso magari capita quando vi sono
aumenti repentini dell’inflazione, ma è comunque piuttosto raro. Come si fa a
fare sviluppo dopo la cancellazione? Questa è una questione piuttosto grossa.
Direi due considerazioni. Certamente il problema è anche di politica, cioè come
si propone sul piano politico la questione del commercio internazionale, delle
regole. Noi abbiamo imposto, nel senso che la cultura del Nord ha imposto a
questi Paesi l’aggiustamento strutturale, il togliere i dazi, liberalizzare
tutto e, soprattutto, esportare, esportare, esportare… pensate che nelle
politiche di aggiustamento strutturale in qualche caso ai Paesi è stato detto
di smettere di coltivare i cereali che coltivavano, per mettersi a coltivare
prodotti che si potevano vendere al Nord e, tipicamente, la barbabietola, per
fare lo zucchero, perché al Nord si consuma la barbabietola, salvo poi fare la
dieta, o andare in palestra, perché si hanno due chili in più; questi Paesi
hanno smesso di coltivare cereali e hanno fatto le barbabietole, dopodiché
siccome tutti facevano le barbabietole, il prezzo dello zucchero da
barbabietola è crollato, per cui questi hanno guadagnato meno di quello che
guadagnavano prima, dal punto di vista delle esportazioni, e non avevano più
grano in casa propria. Voi mangiate sempre barbabietole e poi mi dite come
state; si sono creati problemi di insufficienza alimentare nella produzione interna
laddove non ve n’erano mai stati. La comunità internazionale, ma quella del
Nord, cosa ha fatto? Quando cominciarono ad arrivare in quantità i prodotti del
Sud, quando arrivò il riso egiziano, o quello cinese, thailandese, cantonese,
vietnamita, ecc… a dare un po’ di fastidio al nostro buon riso di Vercelli,
della omellina, di tutte queste belle zone, che cosa abbiamo fatto noi europei?
Un bel dazio! Per cui noi abbiamo imposto a loro di togliere i loro dazi, ma
noi, i nostri, li abbiamo messi e li abbiamo messi anche forti per proteggere i
nostri beni.
Nella politica interna europea abbiamo fatto la
politica delle quote, che è anche intelligente, ma questa è stata fatta per
evitare che ci arrivassero arance dal Sud, beni e prodotti fuori dalla Comunità
Europea. Per cui noi abbiamo la forza politica ed economica di agire in questo
modo e di imporre al Sud i nostri bisogni, facendo qui ciò che chiediamo a loro
di non fare a casa loro. Non è che automaticamente se adesso cancelliamo tutto,
va tutto bene a rose e fiori. V’è un forte lavoro di pressione politica, di
costruzione di mentalità, anche presso i decisori, i governi, perché agiscano
con azioni e atteggiamenti che incidano sul mercato internazionale, sulla
politica commerciale internazionale. Noi abbiamo, infatti, lo strumento dei
governi e non è che possiamo rivolgerci alle multinazionali affinché facciano
qualche cosa, lo possiamo chiedere per via legislativa, ovverosia se mettiamo
delle regole. Occorre fare tutta questa azione di pressione, perché il
risultato sia un sistema di regole e di stile, che consenta effettivamente
sviluppo. Credo che questa sia una cosa da costruire. Vi sarebbe da dire di
più, ma mi limito a quanto ho detto qui. Veniamo ora a quelle tre questioni che
riguardavano più la Campagna italiana, o quello che possiamo fare noi. Che cosa
sta facendo il governo italiano? Il governo italiano ha promesso il 25 aprile
1999 che ci sarebbe stata questa cancellazione per tutti i Paesi che hanno meno
di 300 dollari di reddito pro-capite annuo; questi sono grosso modo una
quindicina, mentre sono un centinaio quelli che devono soldi all’Italia. Che
cosa è capitato? È capitato che finalmente un disegno di legge è stato scritto
e consegnato da parte del governo alla Camera il 30 dicembre. Per cui oggi
abbiamo un disegno di legge in parlamento che si occupa del tema in esame e che
dovrebbe arrivare a produrre questa cancellazione. Giudizio su questa legge? Da
una parte positivo, se non addirittura molto positivo, perché è la prima volta
che, finalmente, si agisce in tal modo, è un atto di importante discontinuità
rispetto al passato. È stato anche importante sul piano internazionale, perché
di fatto ha favorito l’analoga decisione della Gran Bretagna, che mai si sogna
di riconoscere che ha agito conseguentemente rispetto all’Italia, e un analogo
orientamento, se non ancora decisione, della Francia, che in cinque mesi ha
cambiato la sua posizione quasi di 180°. Negli Stati Uniti ha favorito anche un
po’ l’irrobustirsi della tesi della cancellazione dei debiti, tesi che
purtroppo al Congresso (sta meglio) e al senato (sta peggio) è ancora
minoritaria. Il congresso degli Stati Uniti a dicembre ha votato un ordine del
giorno in cui si chiede la cancellazione di tutto il credito che loro vantano
ed è un atto politico molto rilevante; purtroppo è solo una mozione e non una
legge e ora che diventi legge… Purtroppo penso che non vi siano i numeri, ma si
sta lavorando… L’altra parte del giudizio è ovviamente negativa, nel senso che
è insufficiente: noi non possiamo non dire, mentre ci complimentiamo con il
governo perché finalmente ha fatto un atto politico importante, che chi ha i
debiti verso l’Italia sono un centinaio di Paesi e quegli 85 che non sono
compresi in questo disegno di legge non è che stiano bene. Di conseguenza, ogni
tanto scherzando, a funzionari del Tesoro e degli Esteri che mi dicevano che li
stavo minacciando, rispondo che non è quello il punto, che non li sto
minacciando, ma fino a che sappiamo che v’è una persona nel Sud del mondo che,
a causa del debito, non può curar suo figlio, noi veniamo qui tutti i giorni a
ricordarlo continuamente, come Abramo che insiste con il Signore, perché penso
che sia assolutamente nostro diritto da una parte, ma anche nostro dovere
dall’altra.
Allora questo atto è molto bello, ma, molto
semplicemente, non basta! Non è escluso che il dibattito in parlamento possa
innalzare questo tetto. Con questo veniamo al rapporto tra noi, Chiesa
italiana, e il governo italiano. Questa conversione dei debiti, di cui ho detto
velocemente prima; la Campagna C.E.I. ha tre obiettivi. Il primo è l’azione
pastorale ed educativa, e su questo spendo qualche parola come conclusione, ma
l’obiettivo è suscitare tra la “nostra” gente la consapevolezza che su questo
pianeta non si vive alla stessa maniera e che noi viviamo in una maniera
prodigiosamente più comoda, almeno dal punto di vista dei bisogni primari
fondamentali, rispetto a quanto vivono molte più persone di noi e che questo ha
a che vedere anche con i nostri comportamenti, nel senso che noi da una parte
beneficiamo di tale condizione, dall’altra parte i nostri gesti possono
continuarla, mantenerla (questa condizione), o possono concorrere a
modificarla. Il secondo obiettivo è la pressione politica, che va un po’ in
sintonia con le cose che dicevo prima: legale cancellazione e lotta alla
povertà, coinvolgere la società civile per decidere come combattere la povertà;
poi vi sono altre cose che chiediamo al governo, ovverosia maggiore
trasparenza, una procedura di insolvenza internazionale, che oggi non c’è,
restituzioni internazionali, da parte dell’ONU, più che del Fondo Monetario, su
queste cose, perché è una questione politica prima che economica.
Terzo obiettivo è questo che noi abbiamo chiamato:
un gesto di responsabilità, cioè a dire, alla luce della consapevolezza che
vorremmo aver suscitato, che vorremmo anche metterci a disposizione, perché a
parlare è anche abbastanza facile, per riempirsi la bocca, con toni più o meno
esorbitanti, dicendo contro il Fondo Monetario, poi però si va a casa e non è
cambiato alcunché; invece fare un gesto concreto, che possa in parte realizzare
qualche cosa e in parte essere uno strumento politico che concorra a cambiare
il panorama, questo può essere effettivamente interessante e abbiamo immaginato
questa operazione di conversione di credito. Vi ho detto più o meno com’è il
meccanismo: paghiamo noi il debito di questi Paesi, non al suo valore nominale:
il valore nominale è 100, questo debito ha un valore reale, nel senso che,
poiché questi Paesi non ce la fanno, è passato tanto tempo, il valore reale è
intorno al 10%. Come se uno mi prestasse 100.000 lire, dopo tre, o quattro anni
io non gliele restituisco, questi mi dice: Riccardo, io ho capito che tu non ne
hai più, ti vergogni a farti vedere e quando mi vedi scappi, io sono stufo di
chiederteli, perché sono imbarazzato anch’io, vediamo di risolvere la
questione, quanto mi puoi dare? E ci mettiamo d’accordo, ad esempio, per 39.750
lire, perché di più non ho e lui le prende, il debito è chiuso, e basta. Quelle
39.750 lire sono il valore reale del debito. Il valore reale dei Paesi del Sud
(Africa, in particolare), oggi non è superiore al 10%. Allora, noi vogliamo
andare dal governo e dire: guarda, noi ti chiediamo di cancellarlo, ma, se tu non
lo cancelli, per due Paesi, perché per più non ce la facciamo mentre per due sì
(forse ce la facciamo anche per tre… vedremo), piuttosto paghiamo noi il debito
al suo valore reale, per cui mettiamo qua il valore reale del debito e tu
cancelli l’intero ammontare, anche nominale. Non facciamo, però, solo questo;
noi facciamo questa operazione a condizione che il governo locale metta su un
fondo di contropartita un ammontare commisurato a quello che noi abbiamo pagato
in Italia e poi lo amministriamo con il comitato che costituiamo con i
rappresentanti della società civile locale. Stiamo già facendo tutto un lavoro
di preparazione. Ogni tanto vado giù in Africa, perché là è già partito il
lavoro e vado per mettere le cose insieme, per vedere a che punto siamo e a
decidere i passi successivi, per fare l’analisi dei bisogni. I due Paesi che
abbiamo scelto sono lo Zambia e la Guinea. Noi vogliamo fare proprio una carta
dei bisogni, delle necessità che oggi vi sono e delle risposte che a questi
bisogni sono presenti oggi in Zambia e in Guinea e, alla luce di questi
bisogni, individuare delle priorità, perché con i soldi che avremo potremo fare
molto, ma non tutto, all’interno di quelle priorità, quindi, scegliere una
lista di progetti da realizzare con questo denaro. A Natale vorremmo arrivare a
fare l’accordo con questi due governi, avendo già chiara la lista di tali
progetti da realizzare, in modo tale da forzare anche il governo locale a
sottoscrivere la lista che noi gli proponiamo, perché il rischio, poi, è anche
che quando si fanno queste cose il governo locale dica: sì, sì, va bene; però,
poi, trovi mille maniere per ostacolare la scelta dei progetti. Noi vogliamo,
così, anticipare il momento della scelta rispetto al momento dell’accordo, di
modo che il governo italiano e quello locale firmino la lista dei progetti e
dopo non vi siano più discussioni. È molto importante, però, che questi
progetti non emergano da qualcuno che va lì con aria paternalistica e dice: voi
avete bisogno di un ospedale situato in quella posizione, ecc…, ma sia proprio
la gente che sceglie attraverso la partecipazione della società civile di cui
dicevamo.
V’è già un gran lavorio, soprattutto in Zambia, un
po’ meno in Guinea, dove la società civile è un po’ meno vivace (anche gli strumenti
culturali in Zambia, le persone che vanno a scuola, che sanno leggere e
scrivere sono molto più numerose delle persone della Guinea, dove è più
difficile costruire un percorso di questo tipo), ma sicuramente questa è
un’opportunità per far fare anche un cammino alla società civile locale. È già
partito il lavoro di analisi delle priorità e lo stiamo facendo crescere.
Questo denaro serve, allora, per realizzare progetti al Sud. Qualcuno obietta:
se è vero tutto quello che ci hai raccontato a proposito della storia del
debito, se è vero che se noi utilizzassimo una valuta diversa dal dollaro,
ovverosia se noi calcolassimo tutti i flussi che vi sono stati di prestiti e di
pagamenti con interessi e quant’altro, o eseguissimo un calcolo con una media
di valute, questo debito risulterebbe che molti Paesi abbiano già pagato più
volte, perché dovremmo pagarlo noi? Se usiamo i dollari emerge che il debito è
ancora da pagare, perché in dollari i Paesi non sono riusciti a restituire il
debito, ma se noi utilizzassimo un’altra valuta, tutt’altro. Pensate al debito
esemplificato prima, quello della casa: se noi lo misuriamo in dollari, questi
ragazzi non ce la fanno a pagare 240 milioni, pagano solo 30, 50, 100 milioni,
in tre anni pagano 300 milioni e non ce l’hanno fatta assolutamente a pagare.
Immaginate che, invece, usiamo come unità di misura la lira, come se avessero
fatto il prestito in Italia: questi avrebbero dovuto restituire 200 milioni,
pagando 60 milioni di interessi, quando questi erano alti; pagando 100 milioni
oggi, altrettanti domani, in qualche anno il debito è restituito eccome; però
questi 100 milioni hanno continuato a pagarli anche tutti gli anni successivi,
per 20 anni, per cui, fuori dall’esempio, in realtà tutti questi Paesi, se il
debito fosse calcolato in lire hanno strapagato il debito, che, invece, non
risulta pagato, perché è misurato in dollari.
Allora usiamo una media di valute, usiamo un’altra
valuta che non sia nemmeno quella del Paese del Sud anche così emerge che il
debito è stato pagato. Ma allora alcuni dicono: se il debito è già stato
pagato, perché dobbiamo pagarlo noi? Non è che non ho voglia di pagarlo io per
non tirar fuori i soldi miei, ma pagando questo, in fondo, io vado a
legittimare l’uso del dollaro, vado a legittimare questo meccanismo. Io
risponderei in questo modo: noi legittimeremmo il debito se dicessimo che
questa è un’operazione splendida e che questa operazione onora i “sacri” testi
e riti del mercato, soprattutto del mercato detenuto con le redini dal Nord.
Noi stiamo dicendo a tutto il Paese, perché stiamo girando tutta l’Italia per
incontri di questo tipo, lo abbiamo scritto, ne parliamo con il governo, e non
v’è chi non sappia o che possa mettere dubbio sul fatto che proprio noi, come
Campagna della C.E.I., riteniamo che il debito, oggi, sia frutto di una
distribuzione perversa del potere nelle relazioni economiche Nord-Sud, che
falsano quelli che dovrebbero essere gli autentici meccanismi di mercato e che
questo debito è ingiusto. Io dico sempre che qui è da rimettere il debito non
per una ragione di carità, ma per una ragione di giustizia e cito sempre l’
“Apostolica [?]”, dove, al numero 8, lo ripeto come un ritornello, dice: “… non
si faccia passare per atto di carità ciò che è dovuto a titolo di giustizia”. Noi
questo lo diciamo con chiarezza e penso che nessuno possa dubitare che questa
posizione c’è ed è chiara, senza contare che la politica è anche l’arte del
possibile. Forse si potrebbe contestare che non è la C.E.I. che dovrebbe far
politica, ma che sono i laici che, nella loro autonomia, debbano compiere
simili atti; è anche vero, ma questa Campagna serve anche per creare le
condizioni, affinché poi i laici possano buttarsi a costruire gesti politici,
anche più robusti di questo, e soprattutto più diffusi, più frequenti, più
articolati, dal Giubileo in poi. Noi, Chiesa, diciamo: il debito va cancellato,
detto questo, costruiamo uno strumento che è uno strumento di pressione
politica, perché, di fatto, noi chiediamo al governo di cancellare il debito,
ma piuttosto di rimanere in questa situazione siamo disposti a pagare noi e
diamo una provocazione. Di fatto, la dichiarazione di Ciampi del 25 aprile
seguiva esattamente la conferenza stampa che noi abbiamo tenuto e nella quale
noi abbiamo detto che ufficialmente la Campagna era partita, con questa
operazione intrinseca. A me, il pomeriggio prima della conferenza stampa quando
sono andato al Ministero degli Esteri ad annunciare che avremmo fatto quello il
giorno dopo, hanno detto: certo che ci create molto imbarazzo! Io ho replicato:
perché vi creiamo molto imbarazzo? Loro hanno risposto: il fatto che la Chiesa,
comunque i cittadini, ma la Chiesa a maggior ragione, raccolga dei soldi per
pagare il governo italiano, perché il governo italiano compia un atto che forse
dovrebbe fare già di propria iniziativa, è, per il governo italiano, un po’
imbarazzante. Io risposi loro che era come se avessi vinto la lotteria di
capodanno, perché quello che io desidero è che si crei esattamente questo
disagio, perché nasca un’iniziativa politica nel nostro governo. A me non
interessa che noi facciamo bella figura rimettendo il debito; a me interessa
che questo problema sia risolto, che vi siano benefici concreti per i popoli
del Sud e che questi, per quanto è la nostra responsabilità, siano provocati
per mezzo del governo italiano, che assuma un’iniziativa politica su questo
tema. Questa Campagna, io la vedo, in modo particolare, come uno strumento di
pressione politica, però vi sono altre due considerazioni.
Scusate se mi dilungo, ma è importante soprattutto
se dobbiamo spiegarla ognuno a casa nostra, ecc…; questa Campagna è anche uno
strumento di dialogo e/o pressione con i governi del Sud, perché qui non
abbiamo solo da costruire un percorso politico con i governi del Nord, ma anche
con quelli del Sud, perché, senza che vi sia alcun razzismo, visto che i buoni
e i cattivi sono dappertutto, al Nord come al Sud, a Est e a Ovest, vi sono
governi del Sud che sono splendidi, in cui vi sono persone come Nierere, che è
mancato poche settimane fa, e che tutti ricordiamo, anche se in Italia non è
stato detto nemmeno al telegiornale e solo due giornali hanno scritto un
trafiletto su Nierere (Il Manifesto e Avvenire), come una delle persone più
interessanti che il XX secolo ha fatto vedere sul pianeta; vi sono state anche
delle persone più simili ad avventurieri, come il caso del dittatore dello
Zaire. Allora, noi non possiamo permetterci di perdere l’occasione di costruire
un percorso per responsabilizzare anche i governi del Sud, perché non v’è
dubbio che alcuni di questi governi siano saltati anche sul carro di questo
meccanismo quando c’era stato da indebitarsi, perché così un po’ di soldi
potevano andare in tasca anche ai responsabili di governo. Allora, noi operiamo
per la cancellazione e facciamo una pressione politica al Nord, O.K., però
bisogna che le risorse liberate siano utilizzate bene al Sud. Io penso che
questo sia uno strumento per vincolare i Governi del Sud, almeno i due scelti:
Zambia e Guinea; perché noi chiediamo loro di dimostrare concretamente -
tirando fuori dal loro bilancio somme di denaro, rinunciando ad amministrarle
in qualche – di volere usare le risorse finanziarie, coinvolgendo la società
civile, e a favore della società civile.
Allora, se noi vediamo questa Campagna come uno
strumento politico verso il Nord, ma anche verso il Sud e cominciamo chiarendo
che insieme dichiariamo l’ingiustizia che comunque sta a monte della posizione
attuale, credo che riusciamo a fare una cosa che consente di dire le cose come
stanno e di trovare un meccanismo che risolva anche concretamente, perché le
cose vanno anche risolte. La seconda e ultima considerazione: non gliel’aveva
mica ordinato il medico a Gesù di morire sulla croce, accettando di essere
giudicato dalla folla, da uno che se ne lava le mani; allora potremmo dire che
Nostro Signore legittima la pena capitale e legittima, soprattutto, che vi
siano degli abusi giuridici, come la schifezza del processo che v’è stato.
Nessuno, però, si sogna di dire questo, ma non perché non si deve criticare
Nostro Signore, ma perché la logica è diversa: è che se a un certo punto vedo
uno che sta male, ogni uomo è mio fratello, diceva Gesù e a quel punto sono
disponibile a pagare anche di persona, non importa come, pur di cambiare questa
situazione -. Io credo che sia tanto più provocatoria e rivoluzionaria questa
disponibilità a pagare di persona, non importa come, anche su chi non è del
nostro mondo, della nostra sensibilità e che però ha responsabilità nel
prendere decisioni su queste gravi questioni internazionali. Io credo che noi
dobbiamo dimostrare che realmente non siamo e non possiamo rimanere
indifferenti, ma io credo che si rimanga non indifferenti non solo denunciando
indignati, ma anche mettendosi a disposizione. “Non lasciamo che la politica
sia fatta solo dal governo, ma facciamola anche noi” è stato detto da uno dei
presenti e mi è piaciuta questa frase. È il primo obiettivo della Campagna. Per
finanziare questa operazione di conversione del debito è necessaria una
raccolta fondi, perché le cose si fanno anche coi soldi e bisogna che ve ne
siano per farle, però non ha alcun senso la raccolta fondi se non viene
insieme, e in termini logici dopo, un’azione di consapevolezza. Quello che noi
dobbiamo fare, la scommessa grossa di questa Campagna, a mio parere, è quella
di riuscire a suscitare questa consapevolezza nel nostro mondo, tra la nostra
gente, la consapevolezza che viviamo tutti nello stesso pianeta, che viviamo in
modi diversi e che il fatto che viviamo in modi diversi ci riguarda. Ci
riguarda come cristiani e come cittadini, ma, forse, in modo particolare come
cristiani. Mentre venivamo qua dicevamo che il cristiano è uno che si converte,
è uno che incontra una Persona, la scopre, a un certo punto è provocato da
questa e si converte, cambia. Quello che abbiamo davanti a noi è l’opportunità
di avviare un percorso di conversione personale anche per quanto riguarda i
nostri comportamenti. È tutta la partita degli stili di vita; ne parlerete più
avanti, verso la fine del corso, ma è tutta la partita del consumo
responsabile, critico. È vero che ognuno di noi conta poco, però io non posso
permettermi di comprare i prodotti di un’azienda che va nel Sud del mondo a
creare delle cose tremende nei confronti delle persone che qui vi abitano, solo
perché sono più vulnerabili. La Nestlè va al Sud del mondo a proporre alle
mamme di usare il latte in polvere. Lo regala loro in ospedale fino a che
queste cominciano a dare il latte in polvere e poi non tornano più indietro,
perché se smettono di allattare… non hanno più il latte e, di conseguenza,
dopo, cominciano a comperare il latte in polvere, anche se non hanno soldi
comperano il latte facendo qualsiasi cosa, si prostituiscono realmente, non è
una battuta, con gli autoctoni, ma anche con i bianchi, per poter pagare il
latte in polvere, che gli vendiamo noi, e darlo ai bambini.
Perché questo? Perché la Nestlè dice: il latte in
polvere è una cosa meravigliosa, tu sei già un po’ denutrita, smettila di
denutriti e di privarti di risorse, perché allattando il tuo bambino tu cedi
risorse, nel senso che tu cedi alimenti, calorie e quant’altro, ma il tuo
bambino ha bisogno di una mamma forte; visto che avete un’alimentazione che non
è sufficiente, non privarti di risorse, mangia bene e dà il latte in polvere al
tuo bambino, perché tanto ti basta solo un po’ d’acqua. Le mamme africane,
ironicamente, sono notoriamente tutte laureate in biologia, per cui sanno
benissimo distinguere l’acqua potabile da quella non potabile, hanno tutte un
sistema fognario, di acquedotto, di acqua calda e fredda in casa, come ce
l’abbiamo noi, per cui hanno tutte l’acqua potabile in casa senza alcun
problema. Vi lascio immaginare cosa capiti ai bambini che vengono nutriti con
il latte in polvere, allungato con acqua, a volte non assolutamente pura e
pulita. Per cui vi sono bambini che muoiono per il latte in polvere, vi sono
bambini che muoiono per infezioni, che avrebbero tranquillamente superato se
avessero avuto gli anticorpi che si ricevono con il latte materno e che non
ricevono in questo modo. Di fronte a una cosa di questo tipo, io credo che sia
assolutamente e perfettamente legittimo dire: signori, io non compero più i
prodotti di quell’azienda lì. Mi informo su quali siano i prodotti di
quell’azienda e non li compero più e glielo dico che non li compro più,
spiegando loro anche il motivo, orgoglioso e fiero di riempire il cesto del
supermercato di prodotti Nestlè domani, se domani vengo a sapere, e vi sono gli
strumenti per saperlo, che queste cose non si fanno più. Voi avete sentito che
la Reebok, un mese e mezzo fa, ha fatto un annuncio, dicendo: abbiamo scoperto
che in alcune nostre aziende lavorano bambini, abbiamo deciso di intervenire
immediatamente. Perché la Reebok ha agito così? Forse perché sono stati folgorati
sulla via di Damasco?
Più facilmente perché hanno visto i risultati che
hanno prodotto i boicottaggi sulla Nike e hanno pensato di giocare d’anticipo,
usando una cosa che potrebbe diventare un rischio, una minaccia si dice
tecnicamente in marketing, facendola diventare un’opportunità, o addirittura un
vantaggio competitivo; cioè: prima che ci becchino loro, denunciamoci noi e,
però, facciamo qualcosa di concreto, così ci facciamo stimare e interveniamo e
prendiamo quote di mercato, ecc… A me questo va benissimo. Se la Reebok è in
grado di dimostrare, e vi sono anche meccanismi di controllo internazionale per
fare questo, che non usa più bambini, io sono fiero di acquistare anche 16 paia
di scarpe Reebok, perché il problema non è dare soldi all’uno, o all’altro, ma
ottenere che non vi siano condizioni di sfruttamento. Questo lo porto come
esempio, per dire che il comportamento di un singolo consumatore, se associato,
se fatto con un minimo di coscienza, può determinare impatti anche di rilievo
anche su una multinazionale come la Reebok, ed è esattamente il nostro
obiettivo. I nostri singoli comportamenti, quello che facciamo tutti i giorni,
anche del nostro denaro, hanno influenza. Noi paghiamo poco gli infissi in
alluminio, perché paghiamo (quasi) niente la bauxite alla Guinea, che è il
principale esportatore di bauxite, dalla quale deriva l’alluminio; se vi fosse
il mercato della bauxite gestito in altro modo, non nelle mani del Nord, visto
che, pur essendo la bauxite al Sud, è gestita da due compagnie societarie del
Nord, una francese e una statunitense, probabilmente pagheremmo un po’ di più
la nostra finestra e ce lo potremmo permettere, ma gli operai guineani
sarebbero pagati un po’ meglio. Vi sono, quindi, tanti strumenti, tanti modi
per incidere sui decisori, ma questo forse non è alla portata di tutti, ma
altri nostri comportamenti quotidiani possono avere influenza. Io credo che
questa partita degli stili di vita, noi come cristiani italiani, l’abbiamo
affrontata molto poco, o è delegata ad alcuni innamorati della materia e
sembra, poi, che la Chiesa italiana, nella sua pesantezza e nella sua prudenza
istituzionale non debba dire queste cose perché sono molto clamorose, però io
penso che questo cose si possano dire, sono scritte nei nostri documenti,
firmati anche C.E.I., per cui si possono usare senza paura. In sostanza, io
credo che l’opportunità che questa Campagna forse ci offre è quella di
riflettere un po’ meglio su come noi, come persone, viviamo la nostra
dimensione economica, la parte economica della nostra vita. Noi abbiamo sempre
detto che bisogna servire Dio e non mammona e allora ci siamo chiusi gli occhi
di fronte a mammona, facendo delle nefandezze infinite, magari per servire
“meglio” Dio, ovvero, non sapendo quello che facevamo, legittimando delle
nefandezze infinite. Io credo veramente che uno degli impegni, e forse anche
dei doveri, che abbiamo davanti a noi è conoscere un po’ meglio mammona, visto
che ci viviamo dentro (veniamo pagati col denaro e non v’è alcunché di
scandaloso in questo), per vedere di riportare, come dicevamo prima, la persona
al centro del mercato e riportare mammona a quello che è il suo servizio
originario, ovverosia cercare di risolvere meglio, soddisfare meglio, e per
tutti, i bisogni delle persone che vivono in questo mondo.
[1] L’inflazione è l’aumento generale dei prezzi
da un anno all’altro. Quando l’inflazione scende non significa che sono scesi i
prezzi. Se l’inflazione un anno è al 10% e l’anno successivo al 5%,
l’inflazione è scesa, ma vuol dire che i prezzi salgono lo stesso. L’anno prima
i prezzi salirono del 10% rispetto all’anno precedente; l’anno dopo, rispetto
all’anno precedente, sono saliti solo del 5%, ma sempre di aumento si tratta.
[2] Milton Friedman, Brooklyn 31 luglio 1912.
Economista statunitense. Professore di economia all’Università Chicago dal 1946
al 1976. Premio Nobel per l’economia nel 1976.
[3] John Maynard Keynes (Cambridge, 5 giugno 1883
- Firle, Sussex, 1946). Professore di economia all’Università di Cambridge dal
1920. è una delle persone più rilevanti del, possiamo dire seppur con un certo
imbarazzo, secolo scorso. È colui che ha rivoluzionato l’economia dal punto di
vista dottrinale, teorico, dopo la crisi del ’29. Riflettendo sull’andamento,
sulle ragioni di questa crisi, ha scritto alcuni testi fondamentali per
l’economia contemporanea. Alla luce delle sue riflessioni noi abbiamo avuto il
benessere che abbiamo avuto in Italia dopo la guerra. Vale a dire le politiche
della domanda che tutta l’Europa in modo particolare, ma anche gli Stati Uniti,
di quell’epoca lanciarono dopo la seconda guerra mondiale, usando a questo fine
anche il piano Marshall (prestiti e finanziamenti). I monetaristi dicono:
dobbiamo raffreddare la domanda, perché raffreddando la domanda si abbasseranno
i prezzi; i keynesiani, invece, dicono che bisogna stimolare la domanda, perché
stimolando la domanda, i produttori, vedendo che v’è una più forte domanda, non
alzeranno i prezzi - perché altrimenti rischiano di andare loro, singolarmente,
fuori mercato (perché il concorrente non alza i prezzi) -, ma aumenteranno la
produzione, perché si può vendere di più; se produrranno di più, avranno
bisogno di nuovi operai, i quali avranno uno stipendio, che prima non esisteva
e che sarà speso per qualsiasi bene vorranno e di cui abbisognano; ciò
originerà e finanzierà nuova domanda e nascerà, quindi, un circolo virtuoso di
espansione, anziché di recessione. Per cui le due scuole vedono da una parte la
ricerca, in qualche modo, della recessione per evitare che tutto diventi una
bolla inflazionistica, cioè di aumento dei prezzi senza aumentare le quantità
che sono scambiate, dall’altra, la scuola keynesiana, la necessità di aiutare e
favorire la domanda, perché favorendo la domanda si ha una crescita reale
dell’economia e non solo in termini di prezzi.
[4] Istituzioni finanziarie (si occupano di
denaro) pubbliche (costituite dagli stati) e non private.
[5]
Il furto
della ricchezza dei popoli (09/05/2004 - da Carta.org)
Rete di
Economia Solidale (6 aprile 2004)
E gli strumenti
per la sua riappropriazione - studio sul sistema monetario internazionale -
Le fonti della ricchezza
Quali
sono le fonti principali della ricchezza dei popoli? L’uomo ha sempre attinto
alla natura, quale fonte primaria per soddisfare i suoi bisogni. All’inizio ha
preso i beni della natura semplicemente come questa glieli offriva. Poi ha
imparato a manipolare e trasformare le sostanze della natura per ottenere
un’infinità di beni atti a soddisfare sempre più e sempre meglio bisogni vecchi
e nuovi. Ha inoltre trovato metodi e mezzi sempre più efficienti e facili, per
produrre i beni basilari. Riferendoci, in particolare, alle popolazioni più
progredite nello sviluppo tecnico, si può dire che la ricchezza dell’uomo è
aumentata sempre più. Inoltre negli ultimi secoli l’uomo ha scoperto le
sostanze e le tecniche che gli forniscono energia apparentemente infinita e a
basso costo per ogni possibile uso e in grado di sostituire in gran parte
l’energia umana per la produzione di beni e per gli spostamenti di persone e
cose. Tecniche sempre più potenti e sofisticate (elettronica, robotica,
informatica, telematica, ecc.) sono in grado di compiere autentici miracoli in
ogni settore dell’attività umana. Oltre a quanto gli uomini producono nel
presente, un’altra grande fonte di ricchezza è anche quanto essi ricevono in
dono dalle generazioni precedenti: sono case, strade, ferrovie, acquedotti,
costruzioni di ogni genere, fabbriche e macchinari di ogni genere e infinite
conoscenze scientifiche e tecniche avanzatissime. Se, per esempio, guardiamo
nel piccolo alle singole famiglie, i genitori possono lasciare ai figli case,
fabbriche, terreni, denaro e quant’altro. Chi riceve una casa non ha bisogno di
“fare i sacrifici” per costruirne una nuova. E dal punto di vista produttivo
sociale, non c’è bisogno di ricreare dal nulla fabbriche di beni, perché sono
già presenti, né di sviluppare conoscenze già acquisite. Sembrerebbe che
l’umanità debba essere enormemente ricca e vivere nel benessere pieno. E
infatti molti studiosi di economia hanno previsto uno scenario in cui lo
sviluppo tecnico avanzato porti addirittura alla “fine del lavoro”, poiché
produrre grandi masse di beni è diventato sempre più facile e spesso si incorre
nella “sovrapproduzione”. Eppure, nonostante tutta questa enorme potenzialità
di benessere per tutti, le difficoltà economiche per l’umanità nel suo
complesso sembra che stiano aumentando sempre più, in quest’ultimo periodo.
Cosa sta succedendo? Dove va a finire l’enorme ricchezza prodotta dall’umanità e
cosa impedisce di produrre quella potenzialmente producibile, adottando
tecniche e tecnologie non distruttive dell’ambiente? La natura ci mostra di
essere capace di farci vivere nell’abbondanza dei suoi doni. Perché non siamo
capaci di accogliere in modo giusto la sua ricchezza?
La miseria dei popoli
E perché
in molta parte del mondo ci sono miseria, fame, sofferenza e ingenti debiti da
saldare? Perché l’80% della popolazione mondiale vive ancora in condizioni di
sottosviluppo e al 40% della popolazione mondiale non sono garantiti i beni
essenziali? Perché, anche nel cosiddetto mondo sviluppato, le difficoltà
aumentano invece di diminuire? La cosa sembra avere dell’inverosimile, eppure è
la realtà in cui viviamo. Dovrebbe essere possibile avere molto più tempo
libero che in passato, potersi dedicare non solo al lavoro produttivo, ma anche
all’arte, alla conoscenza, ai rapporti, ai viaggi, all’evoluzione della
coscienza individuale e collettiva. Dovrebbe essere possibile impiegare energie
di lavoro per il miglioramento dell’ambiente naturale, invece che per la sua
distruzione, e migliorare anche gli ambienti di lavoro, di abitazione , di
convivenza sociale (villaggi, città, ecc.). Invece nei paesi più sviluppati ci
troviamo in una situazione di attivismo stressante e di tenore di vita che non
solo non aumenta, come sarebbe da aspettarsi, ma va diminuendo. In molti altri
paesi poi abbiamo una situazione di povertà, emarginazione e sofferenze di ogni
genere. E ovunque abbiamo la distruzione dell’ambiente, invece che la sua cura,
quasi dimenticando che esso è la nostra principale ricchezza, che non possiamo
dissipare. Vediamo solo un esempio di dati sintetici, senza dilungarci oltre su
questo aspetto, perché i documenti e le denunce di queste situazioni sono ormai
molteplici: «La povertà assoluta è una condizione di vita al limite della
sopravvivenza. Chi vive nella povertà assoluta non ha una casa degna di questo
nome, non ha vestiti di ricambio, non ha scarpe, non ha sapone per lavarsi, non
ha garanzia di un piatto di minestra tutti i giorni. Gli economisti tracciano i
confini della povertà assoluta calcolando il reddito necessario per soddisfare
i bisogni fondamentali. Il limite di demarcazione della povertà assoluta è
stato fissato a 365 dollari all’anno. Ma la povertà assoluta è molto di più di
una condizione economica. Gli orrori della povertà assoluta si estendono a
tutti gli aspetti della vita personale: suscettibilità alle malattie,
analfabetismo, sottomissione e totale insicurezza di fronte ai cambiamenti. In
Africa il 30% della popolazione è in condizioni di povertà assoluta, in Asia il
27% e in America Latina il 22%. Se si comprendono anche coloro che sono poco al
di sopra della linea di demarcazione si può affermare che il 70% della
popolazione del Sud del mondo vive in condizioni di povertà estrema.» (tratto
da Nord Sud – Predatoti, predati e opportunisti- del Centro Nuovo Modello di
Sviluppo EMI Edizioni)
Ora per
avvicinarci alla soluzione dell’ enigma della presenza di povertà al posto
della ricchezza, cominciamo col leggere un brano di Marco Polo tratto dal suo
famoso libro “Il milione”, in cui racconta le sue esperienze di viaggi fatti in
Asia e, in particolare, la sua permanenza nel regno del Gran Kan Kublai. Siamo
negli anni a cavallo del 1300 avanti Cristo.
Il Gran Kan fa spendere carta invece di moneta
«Sappiate
che in questa città di Cambaluc è la zecca del Gran Signore: ed è organizzata
in tal modo che si può dire come il Gran Kan sia davvero un perfetto
alchimista. Mi spiego. Egli fa fabbricare la seguente moneta: fa prendere
scorza d’albero o per meglio dire corteccia di gelso, l’albero di cui mangiano
le foglie i bachi da seta; e fa togliere la pellicola sottile che è tra la
corteccia e il fusto; quelle pellicole sono tutte nere: le frantumano, le
pestano e poi le impastano con la colla in modo che ne risulti una specie di
carta bambagina, sottile come quella dei papiri. Quando la carta è pronta la fa
tagliare in parti grandi o piccole, foglietti in forma quadrata o più lunghi
che larghi. Il foglietto piccolo vale la metà di un tornesello; il primo
corrisponde a un mezzo grosso d’argento, il secondo a un grosso e intendo un
grosso d’argento di Venezia; poi ve ne sono da due grossi, da cinque, da dieci
e quelli che valgono un bisonte, o due o tre, fino a dieci. Ogni foglietto
porta il sigillo del Gran Signore. E questa moneta è fatta con tanta autorità e
solennità come se fosse d’oro o d’argento: in ciascuna moneta alcuni ufficiali
preposti a questo lavoro scrivono il loro nome e il loro segno e, quando
l’hanno fatto, il capo degli ufficiali nominato dal Signore sparge del cinabro
su una bolla che gli è stata concessa e vi passa sopra la moneta, così che la
forma della bolla tinta di cinabro rimane impressa sulla moneta e l’autentica.
E se qualcuno osasse falsificarla sarebbe punito con la morte; e questi
foglietti il Gran Kan li fa fabbricare in tale numero che potrebbe pagare con
essi tutta la moneta del mondo. Fabbricata così la moneta, il Signore fa fare
con essa ogni pagamento e la fa spendere per tutte le province dove egli tiene
signoria: e nessuno osa rifiutare per paura di perdere la vita. Ma è vero anche
che tutte le genti e le razze di uomini, sudditi del Gran Kan, prendono
volentieri queste carte in pagamento perché alla loro volta le danno in
pagamento per mercanzia, come perle, pietre preziose, oro e argento: Si può
così comprare tutto ciò che si vuole e pagare con la moneta di carta; e pensate
che una carta del valore di 10 bisonti non arriva a pesare quanto un bisonte.
Più volte all’anno arrivano a Cambaluc i mercanti: arrivano a gruppi e portano
perle, gemme, oro, argento e altre merci ricche come tessuti d’oro e di seta;
offrono la mercanzia al Gran Signore ed egli fa chiamare dodici uomini esperti
che hanno la direzione di queste cose e ordina loro di esaminare la merce e di
pagare quello che ritengono giusto. I dodici esaminano con molta cura e stimano
secondo coscienza, e subito fanno pagare gli acquisti con i foglietti che ho
detto. I mercanti li prendono molto volentieri perché se ne serviranno poi per
altri acquisti all’interno delle terre del Gran Kan; se poi devono comprare in
paesi dove non si accettano i foglietti comprano altra merce e la scambiano. E
vi assicuro che le cose portate a più riprese dai mercanti durante l’anno ammontano
ad un valore di ben quattrocentomila bisonti: Il Gran Signore paga sempre in
foglietti. Si aggiunga che durante l’anno va per la città un bando che impone a
tutti quelli che hanno oro e argento e pietre preziose e perle di portarle alla
zecca. I sudditi obbediscono e ricevono pagamento in carta. Portano infiniti
oggetti preziosi e anche questi sono pagati in carta. In questo modo il Signore
possiede tutto l’oro, l’argento e le perle che si trovano sulle sue terre. Vale
la pena di raccontarvi un’altra cosa. Quando per l’eccessivo passaggio di mano
i foglietti si rompono o si sciupano, si portano alla zecca e si prendono in
cambio biglietti freschi e nuovi lasciandone però tre per ogni cento. E c’è
anche un altro fatto importante da ricordare. Perché, se qualcuno vuole
acquistare oro o argento per il suo vasellame, per le sue cinture o per altre
cose, va alla zecca, porta con sé i foglietti e prende in cambio l’oro e
l’argento che gli serve. Adesso vi ho raccontato il modo usato dal Gran Signore
per possedere il maggior tesoro che un uomo abbia mai posseduto; e certo tutti
i principi del mondo riuniti insieme non raggiungono l’immensa ricchezza che il
Gran Kan ha da solo.»
Dunque
il Gran Kan, come ben ci racconta Marco Polo era un perfetto alchimista e per
mezzo di pezzetti di carta senza valore prendeva per sé tutti i beni di maggior
valore del suo regno. Oltre a ciò aveva anche un sofisticato sistema di
tassazione. C’è anche da osservare che, con questa enorme ricchezza, il Gran
Kan era in grado di pagare e di organizzare un potente esercito in difesa del
suo impero e per la sua estensione. Dunque il potere del Gran Kan si può
riassumere in questi tre elementi: emissione della moneta ed appropriazione per
sé dei valori su di essa stampati, imposizione delle tasse ed esercito per
reprimere chi non fosse d’accordo. Certamente il Gran Kan Kublai avrà cercato
di usare il potere del denaro anche per organizzare bene il suo impero e per
alzare il livello di “civiltà” dei suoi popoli e di quelli sottomessi. Ma un
impero finisce sempre per dover impiegare un’ enormità di energie al fine di
difendere con la forza le sue conquiste e per tenere assoggettati i popoli, che
hanno sempre un’inestinguibile anelito alla libertà, alla indipendenza e
all’accordo basato sulla libertà di scelta.
Alla ricerca dei Gran Kan dell’epoca odierna
Sorge
ora la domanda se ci siano anche oggi dei perfetti alchimisti che, con dei
pezzetti di carta senza valore, confiscano enormi ricchezze e il frutto del
lavoro altrui, sotto gli occhi di tutti, senza che quasi nessuno ci faccia caso
o protesti. Questo incomincerebbe a dare una parte della spiegazione alla
altrimenti inspiegabile povertà dei popoli di oggi, di cui abbiamo già detto.
Ci domanderemo anche se ci siano degli altri meccanismi di concentrazione della
ricchezza in mano a pochi, a fronte della miseria per molti. Cercheremo anche
di scoprire quali possono essere i Gran Kan di oggi e se anche loro abbiano un
potente esercito con cui difendere ed estendere i loro privilegi, reprimere chi
non è d’accordo e cercare di assoggettare tutto il mondo al loro “ordine
mondiale”. Infine ci domanderemo se anche oggi, come in tutti gli imperi, si
voglia giustificare il dominio con il compito di portare forzatamente “la
civiltà” ai popoli “incivili” e se anche oggi questo compito non costi grandi
energie di repressione dei popoli ribelli al dominio.
Il potere di Signoraggio in Italia e in Europa
Poste
tutte queste domande ci inoltriamo nella ricerca da profani e cerchiamo per
primo di vedere se esiste oggi questo meccanismo di confisca della ricchezza
dei popoli analogo a quello attuato dal Gran Kan Kublai attraverso l’emissione
di carta moneta. Per prima cosa dobbiamo scoprire chi emette la moneta e chi
prende il valore che viene scritto sopra di essa. Questa possibilità di
emettere moneta e di prendere il valore scritto sopra di essa viene chiamato,
dagli economisti moderni, “potere di signoraggio”, perché anticamente erano dei
potenti signori, dotati di eserciti repressivi, che potevano imporre una loro
moneta. Dunque: chi ha oggi il potere di signoraggio? Di primo acchito su
questo punto sembra che ci sia poco da scoprire. Si sa che la moneta è emessa
dallo Stato: non c’è forse la Zecca dello Stato? Perciò il valore scritto sopra
le banconote viene preso dallo Stato ed è lo Stato che ha il potere di
signoraggio. Ma qui abbiamo una sorpresa: non è lo Stato che emette moneta e ne
prende il valore, ma la Banca d’Italia. Subito però ci si tranquillizza
pensando che la Banca d’Italia si chiama così perché è dello Stato. E qui c’è
la seconda sorpresa per i non addetti ai lavori: la Banca d’Italia è un
istituto di diritto pubblico con quote di capitale sociale in mano a banche e
istituti finanziari privati e, oltre a scopi istituzionali ha anche scopi di
lucro come una normale società per azioni. E’ però vero che la maggior parte
degli utili, derivanti dall’emissione della moneta, vanno allo Stato Italiano,
anche se non prima di aver ricompensato lautamente i “partecipanti” (dividendo
fino al 6% del capitale + eventuale integrazione del dividendo fino al 4% del
capitale + una somma che può raggiungere fino al 4% dell’importo delle riserve
della banca ed essendo queste riserve molto più elevate del capitale sociale
questa somma potrebbe essere superiore a quella dei dividendi).
Inoltre
la Banca d’Italia, avendo il potere di emettere moneta, non si preoccupa dei
propri costi come una normale azienda sul mercato ed ha certamente “costi
produttivi” molto elevati per i servizi che fornisce alla collettività. In ogni
caso l’appropriazione del valore della moneta da parte di privati o dei
“burocrati” della banca è solo parziale. Però oggi non c’è più la Lira ma
l’euro. Come sono le cose con l’Euro? Cosa rappresenta la nascita dell’euro nel
contesto del potere di signoraggio? L’emissione della moneta viene lasciata in
mano alle Banche centrali degli stati partecipanti. Sarebbe interessante
indagare come funziona il potere di signoraggio negli altri stati del mondo, ma
sarebbe troppo impegnativo per questo tipo di ricerca. Intanto possiamo
annotare che abbiamo visto una prima fonte di furto della ricchezza prodotta.
Essa è quantificabile nei seguenti elementi:
1.
accantonamento del 20% degli utili, che pertanto vengono sottratti alla
collettività a cui spetterebbero
2. parte
degli utili della stampa della moneta assegnata a banche private, cosa che non
dovrebbe avvenire
3. costo
eccessivo della struttura
A dire
il vero, questo “furto” è ancora molto limitato per poterci far comprendere gli
eventi attuali, perciò procediamo oltre.
La Bilancia Internazionale dei Pagamenti
La più
grossa fetta del commercio ha oggi una dimensione internazionale. Questo fatto
pone due problemi:
1.
L’equilibrio nella bilancia internazionale dei pagamenti
2. il
sistema di cambi fra le valute dei vari paesi (euro, yen, dollaro, ecc.)
Su
entrambe queste problematiche è possibile imbastire grandiosi affari. E
certamente non mancherà chi si dà da fare in settori così lucrosi. Per i non
esperti vediamo che cos’è la bilancia internazionale dei pagamenti. Se una
ditta italiana esporta pasta in Giappone e la ditta importatrice paga in Yen,
la ditta italiana dovrà consegnare alla propria banca gli Yen per farseli
mutare in Euro. Così il sistema bancario europeo (alla fine gli yen arrivano al
sistema di conto della banca centrale europea) si troverà ad avere degli Yen e
vanterà un diritto corrispondente nei confronti del sistema bancario
giapponese. Quando invece un importatore italiano compra prodotti
dell’elettronica giapponese , pagando in Euro, la ditta giapponese che
acquisisce gli Euro li porterà nella propria banca per ricevere gli Yen e il
sistema bancario giapponese vanterà un credito verso la banca centrale europea.
La bilancia commerciale di un paese è in equilibrio quando il valore delle monete
estere che la banca centrale ha incamerato, attraverso le vendite all’estero
delle proprie imprese, è pari al valore della propria moneta presente nelle
banche estere, a causa del pagamento di prodotto importati. Tutte le
transazioni internazionali passano per le banche centrali dei paesi, le quali
funzionano da “camere di compensazione”. Gli yen ricevuti attraverso le vendite
in Giappone potranno essere restituiti dalla banca centrale europea a quella
giapponese in cambio degli euro che questa ha incamerato in seguito alle
vendite delle ditte giapponesi in Europa. Le banche centrali dovranno curare
che ci sia sufficiente equilibrio fra importazioni ed esportazioni dei vari
paesi. Attualmente, oltre ai movimenti di merci, si sono imposti i movimenti di
capitali, che sono ormai divenuti di entità molto maggiore rispetto ai
movimenti di merci. Se un investitore italiano vuol acquistare azioni alla
borsa di Tokio, ha bisogno di yen come se comprasse merci giapponesi e
viceversa per un investitore giapponese in Europa. Anche questi movimenti di
capitali entrano nel conto della bilancia internazionale dei pagamenti. Però
mentre l’acquisto di una merce non è reversibile, l’acquisto di azioni nelle
borse estere è un’azione reversibile, nel senso che le azioni possono essere
rivendute e il capitale investito all’estero ritirato. Perciò è bene non
basarsi su questo per l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Altri tipi di
movimenti che interessano l’equilibrio della bilancia dei pagamenti sono
l’acquisto di beni in paesi esteri, l’acquisto di industrie estere,
l’istallazione di aziende all’estero, la compravendita di valute estere. Non
entriamo nei dettagli di queste operazioni e del loro significato.
L’ equilibrio della Bilancia dei Pagamenti
Quando
un paese aveva più acquisti dall’estero che non esportazioni, poteva
scoraggiare in vario modo le importazioni e favorire in vario modo le
esportazioni. Attualmente ciò è stato molto limitato a causa delle norme di
liberalizzazione degli scambi internazionali, imposte dal WTO (l’Organizzazione
Mondiale del Commercio), per favorire la penetrazione delle grandi
multinazionali e delle grandi banche E per i paesi emergenti un metodo di
portare verso il pareggio la bilancia dei pagamenti è proprio quello di
attirare capitali stranieri e in questo senso la creazione delle borse valori
che offrono un buon mercato agli investitori stranieri può aiutare l’equilibrio
della bilancia dei pagamenti, con il pericolo già visto della repentina fuga
dei capitale e dell’apertura a operazioni speculative. Ma soprattutto il
pericolo è l’arrivo delle grandi banche che monopolizzano l’emissione di
credito per impadronirsi dell’emissione della moneta bancaria e di cui parliamo
più avanti.
Il Sistema di Cambi fra valute
Poiché
il commercio internazionale avviene attraverso le valute dei vari paesi e
poiché le valute estere vengono cambiate fra di loro tramite le banche
centrali, diventa essenziale sapere quale è il coefficiente di cambio, cioè,
per esempio, quanti yen vale un euro. Se il coefficiente di cambio rimane
stabile non ci sono problemi, ma se è soggetto a fluttuazioni (svalutazioni e
rivalutazioni delle valute) allora possono essere realizzate imponenti
speculazioni da parte di chi riesce a prevedere, o addirittura a condizionare,
l’andamento del valore delle valute rispetto a quella di riferimento (il
dollaro). Chi sarà a dirigere anche questo gioco e a realizzarne ingenti
guadagni? Prendiamo un solo dato dal libro “Nord Sud -Predatori, predati e
opportunisti-“
«Nel
1980 per acquistare una locomotiva dal Nord occorrevano 12910 sacchi di caffè
del Sud. Dopo 10 anni per acquistare la stessa locomotiva occorrono 45.800
sacchi di caffè» . Cioè quasi 4 volte di più e questo si realizza poiché i
prezzi dei prodotti del Sud calano rispetto al dollaro e i prezzi dei prodotti
del Nord crescono, cosa che può essere vista anche come calo di valore delle
monete locali del Sud.
Il Dominio Monetario Imperiale degli USA
Nel 1944
a Bretton Woods, negli USA, fu sanzionato il dominio finanziario e monetario
della potenza che più di ogni altra usciva vincitrice dalla guerra: gli Stati
Uniti d’America. Là si riunirono i delegati di 44 stati per decidere il sistema
monetario internazionale da istaurare dopo la guerra. In sostanza il dollaro
divenne la moneta di riferimento per gli scambi internazionali e furono creati
il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM). L’accordo era
basato sui seguenti 2 punti:
1. Gli
Usa garantivano la convertibilità del dollaro in oro al valore fisso di 35 dollari
all’oncia. Cioè con i dollari si poteva comprare oro a quel prezzo.
2. Gli
altri paesi fissavano il prezzo della propria moneta in termini di dollari o
oro e questo prezzo non poteva variare se non entro dei limiti ristretti
(sistema di cambi valutari quasi fissi)
Il
dollaro ancorato all’oro divenne la valuta di riferimento e di garanzia negli
scambi internazionali e divenne la valuta di riserva delle banche centrali
degli altri paesi per regolare la bilancia dei pagamenti con l’estero. Cioè i
vari stati si trovarono a creare riserve di dollari nelle loro banche centrali
mentre quelle degli Stati Uniti potevano emettere moneta in grandi quantità con
enormi utili. Non solo ma per gli Stati Uniti si creò una situazione di
particolare vantaggio negli scambi commerciali internazionali. Chi compra merci
all’estero (importazioni), come abbiamo già visto, fa andare in passivo la
bilancia dei pagamenti, in quanto fa andare all’estero la moneta nazionale con
cui fa gli acquisti e la Banca Centrale del proprio paese deve recuperare
quella moneta pagandola con quella dello stato del venditore, nella cui banca
centrale è andata a finire. La Banca Centrale degli Stati Uniti invece non ha
bisogno di possedere le varie valute dei paesi in cui le proprie ditte hanno fatto
acquisti perché gli altri paesi gradiscono trattenere i dollari che sono la
moneta di riferimento accettata in pagamento da quasi tutti gli stati e quindi
può saldare il proprio deficit della bilancia dei pagamenti con dollari, al
contrario degli altri stati che devono reperire la moneta degli stati in cui le
proprie ditte hanno fatto acquisti, oppure deve usare il dollaro.
Tutto
questo potenzia al massimo per gli Stati Uniti la possibilità di emettere la
propria moneta, il dollaro, con il relativo potere di signoraggio per i
banchieri della banca centrale e porta alla “dollarizzazione” del mondo intero,
con guadagni enormi per lo stato e per l’economia americana. Si pensi che
all’inizio degli anni Settanta, l’80% delle riserve valutarie di tutti gli stati
del mondo erano costituite di dollari e si potrà comprendere l’enorme massa di
dollari stampati e intascati alla faccia di tutti i popoli che li utilizzano.
Già nel 1960 la somma dei dollari internazionali superò il valore delle riserve
auree degli Stati Uniti, per cui la conversione in oro della moneta diventava
impossibile e le richieste in tale senso che iniziavano a pervenire furono
disattese dalla banca centrale americana. Gli Usa continuavano a usare i loro
dollari, prodotti quasi gratuitamente, per crescenti investimenti in Europa,
per finanziare i propri eserciti all’estero, per finanziare il proprio deficit
della bilancia dei pagamenti e per finanziare la guerra in Vietnam. Così il
privilegio degli Usa di stampare una moneta con valore internazionale permise
sia la crescita delle loro grandi multinazionali nell’economia mondiale, che
una politica estera aggressiva nel mondo. Dopo le avvisaglie del 1960 sulla
inconvertibilità del dollaro in oro, gli Usa sostennero che la loro moneta
andava considerata come base indispensabile del sistema monetario
internazionale indipendentemente dalla sua convertibilità in oro, in quanto il
suo aumento era in grado di svilupparsi in relazione all’aumento dell’economia
mondiale, cosa che non si poteva realizzare con l’oro!! Così gli USA, con un
incredibile faccia tosta, si arrogarono il privilegio del potere di signoraggio
su tutto il mondo, andando molte oltre a quanto era riuscito a fare il Gran Kan
Kublai!!! A loro appartiene, rispetto a tutti i tempi della storia il record
mondiale della furbizia e del dominio arbitrario! La situazione andò avanti
fino al 1970 quando L’OPEC, il cartello dei paesi arabi produttori di petrolio,
aumentò il prezzo del greggio e pretese il pagamento in oro. I paesi acquirenti
cercarono di cambiare dollari in oro. Ciò sarebbe stato impossibile in quanto i
dollari stampati superavano di moltissime volte le riserve auree degli Stati
Uniti. Questa crisi permase fino a che, il 15 Agosto 1971, il presidente Nixon
dichiarò unilateralmente e senza preavviso che il dollaro non sarebbe stato più
convertibile presso la Banca Centrale americana né in oro, né in valute estere,
né in altri mezzi di riserva. Con una arroganza e una prepotenza assolute gli
Usa vennero meno ad ogni patto stipulato a Bretton Woods e imposero il dollaro
stampato dalla loro banca centrale come il cardine arbitrario del commercio
internazionale a loro esclusivo vantaggio e per il loro potere economico
assoluto. Tutte le banche centrali non americane si adeguarono, mantenendo
presso di loro i dollari quale valore assoluto per gli scambi internazionali,
come se si trattasse di oro, anche senza convertibilità, nonostante soltanto
gli Stati Uniti avessero tratto vantaggio dalle enorme massa di dollari
stampati!!! Supera ogni fantasia di fantapolitica e fantaeconomia, ma è pura
realtà in cui ancora viviamo. E i politici dei vari stati!? Quasi silenzio o
solo qualche protesta di routine. Tutti conniventi?! Solo De Gaulle nel 1960
aveva protestato energicamente contro la politica imperialista americana, ma
senza ottenere risultati.
Probabilmente
gli Stati Uniti hanno emesso così tanti dollari che, se i loro possessori
potessero liberamente farne acquisti, potrebbero comprare gran parte dei beni
degli Stati Uniti, tutte le sue fabbriche, tutte le sue terre. Ma gli Stati
sono obbligati a mantenere le loro riserve in dollari o a convertirli in buoni
del tesoro Usa, mentre gli Usa sono stati acquirenti gratuiti di prodotti,
società e terre degli altri paesi, attraverso l’emissione della moneta e
l’emissione del credito, e continuano a farlo e ad espandersi, seppure devono
condurre sempre più guerre per andare avanti in questa strada. Gli Usa hanno
acquisito così tanti beni, imprese, terre, banche, strutture in tutto il mondo,
che se anche ora si arrestasse l’emissione di dollari, essi hanno comunque
nelle mani un potere così enorme da potersi conservare ancora molto a lungo.
Possiamo notare come tutti gli imperi, cioè i sistemi di sottomissione di altri
popoli, si sono basati sulla massiccia emissione di moneta, per finanziare i
propri eserciti e le proprie strutture di occupazione. Così è stato per
l’impero del Gran Kan, così per l’impero romano, così è anche per quello
americano. Tuttavia dobbiamo vedere anche un altro fenomeno attuale, la
svalutazione del dollaro, e vogliamo fornire per questo fenomeno una
particolare ipotesi di spiegazione, senza avere la certezza che le cose stiano
proprio così. Finché il dollaro serviva per comprare all’estero, era importante
per gli americani che avesse un alto valore, in modo da comprare all’estero a
sottoprezzo, ma quando gli altri stati iniziano a fare pressione per risanare
la bilancia commerciale degli Usa e pretendono di poter spendere i dollari che
sono nelle loro mani, in beni degli Stati Uniti, allora da una parte essi
ricercano in tutti i modi di impedirlo, dall’altra viene svalutato il dollaro,
in modo che i dollari all’estero abbiano sempre meno valore. Nello stesso tempo
si favoriscono le esportazioni e si limitano le importazioni, spingendo il
sistema economico americano a produrre al suo interno i beni di cui abbisogna.
Chi è consapevole di tutto questo nel frattempo avrà provveduto a convertire i
propri dollari nella nuova moneta forte da essi stessi voluta, l’euro. Si sa
che i grandi banchieri “massoni” e le strutture più alte del potere economico
sulla terra, non hanno patria e possono con facilità spostare le loro risorse
da un punto all’altro del globo, da una valuta all’altra, magari in qualche
paradiso fiscale. Importante è che enormi masse di moneta forte rimangano nelle
loro mani. Con tutto questo abbiamo comunque scoperto una seconda, molto più
importante, enorme, attività di confisca della ricchezza dei popoli. a
vantaggio, per lo meno in passato, di un solo popolo e soprattutto delle sue
banche, delle sue imprese multinazionali, delle sue famiglie di potere
“massonico” e dei suoi programmi guerrafondai da grande potenza imperialista.
La Moneta Bancaria
Procediamo
oltre: oggi non siamo come ai tempi del Gran Kan, in cui tutto il denaro era
sotto forma di moneta o, con altra espressione, tutta la moneta era in forma
“liquida”. Oggi la maggior parte del denaro si trova sotto forma di cifre
iscritte nei conti bancari, che si muovono da un conto all’altro da una banca
all’altra, tramutandosi raramente e solo in parte in banconote. Si tratta della
cosiddetta “moneta bancaria”. La moneta totale di uno Stato è data dalla somma
della moneta liquida cartacea con quella bancaria, che è di molto superiore in
valore. Dal libro “La moneta” di Andrea Terzi si ricava la percentuale del 90%
per la moneta bancaria e 10% per la moneta liquida. Come abbiamo visto chi crea
il denaro liquido e chi se ne appropria, ora dobbiamo cercare di capire come
viene creato il denaro che sta dentro i conti bancari e a chi appartiene. Anche
in questo caso ingenuamente si penserà che qui tutto è chiaro: le banche
prendono in prestito del denaro dai cittadini e poi lo concedono in prestito
alle imprese o ad altri soggetti che ne hanno bisogno. Così pensa la quasi
totalità della gente. Il meccanismo bancario invece è di tutt’altra natura. Una
banca privata viene costituita con il versamento del Capitale sociale da parte
dei soci o degli azionisti. Poi la banca raccoglie prestiti dal pubblico. La
legge consente alle banche di emettere prestiti solo se hanno depositato una
somma di garanzia presso la banca centrale (Banca d’Italia, per esempio). Per
ogni 100 euro depositati le banche possono concedere prestiti fino a 1000 euro
e oltre, purché non vadano in crisi di liquidità! Perciò le banche private
locali possono depositare alla banca centrale il loro capitale sociale sommato
con i prestiti raccolti presso i risparmiatori, tenendo per sé solo quel tanto
che serve come liquidità di cassa e poi possono concedere prestiti per una
somma 10 volte superiore alla somma depositata.
Denaro
contante liquido ne occorre poco perché la maggior parte delle transazioni
bancarie sono movimenti da un conto bancario ad un altro, tramite bonifici
bancari, assegni, ricevute bancarie all’incasso e quant’altro. Inoltre il
denaro contante liquido che esce per le esigenze di liquidità dei clienti, ma
viene compensato da quello che rientra tramite i versamenti delle imprese che
incassano liquidità (negozianti, piccole imprese artigiane, ecc.). Con le carte
di credito poi i pagamenti per contanti tendono a ridursi sempre più e
diventano anch’essi transazioni da un conto bancario all’altro. Ma l’aspetto
più interessante della gestione dei prestiti concessi dalle banche è che la
concessione di un prestito bancario coincide con l’emissione di moneta
bancaria, esattamente come se si stampasse nuova moneta, ma in maniera ancora
più facile e senza spese. Si crea denaro dal nulla, con una semplice
registrazione al computer. Infatti l’accredito di una somma a prestito su un
conto bancario non ha come contropartita una pari somma sottratta da un altro
conto, che quella somma fornisce, ma si tratta di pura creazione di denaro dal
nulla, dovuto al fatto che alla banca è stato concesso il potere di emettere
crediti oltre le somme che possiede (e cioè quelle versate in capitale e quelle
raccolte dai risparmiatori). Così con ogni emissione di credito si ha un
incremento netto di moneta bancaria emessa dalla banca. La banca deve solo fare
attenzione a non entrare in crisi di liquidità perché potrebbe succedere che
concedendo molti prestiti ci siano molte richieste di denaro liquido, superiori
alle riserve che ha la banca. Per questo le banche fanno attenzione a concedere
prestiti preferibilmente a clienti che poi eseguiranno i pagamenti tramite
movimenti bancari e non tramite liquidità. In ogni caso oggi le banche sono
prevalentemente delle grosse reti collegate in Gruppi bancari e la carenza di
liquidità di una banca di un gruppo viene compensata dal surplus di liquidità
di altre banche dello stesso gruppo. Inoltre anche la banca centrale protegge
le singole banche e gruppi bancari da momentanee insufficienze di liquidità, al
limite emettendo nuova moneta. Infine il denaro liquido si usa sempre meno, in
percentuale sul totale. Dunque questa creazione di denaro dal nulla da parte
delle banche è un fatto strabiliante, quasi impossibile da credere, eppure vero
e realizzato ogni momento da migliaia e migliaia di banche in tutto il mondo.
Però, si dirà, i prestiti non sono solo concessi, ma vengono anche restituiti.
Cosa succede quando il prestito viene restituito? Così come si è creata moneta
bancaria all’atto di emissione dei prestiti, essa viene “distrutta” nel momento
di pagamento delle rate. Il segreto è che l’emissione del credito è andata
aumentando sempre più, di anno in anno ed è questo che conta. Infatti la
creazione netta di moneta bancaria è pari al netto fra le somme concesse e
quelle restituite. L’economia dell’ultimo secolo è andata espandendosi sempre
più e sviluppando sempre più attività. Così la somma netta dei prestiti
concessi non poteva che crescere costantemente, perché l’economia aveva bisogno
di massa sempre crescente di moneta che i banchieri con facilità creavano,
attraverso l’emissione e l’incremento dei prestiti netti, che rimanevano sempre
in loro potere. In questo modo i banchieri hanno nelle loro banche quasi tutto
il valore aggiunto dello sviluppo mondiale!!
Non è
mancato certamente chi ha usato questo enorme privilegio di poter emettere
moneta-credito per creare una grande rete di potere. Si è creata una alleanza
fra banchieri, che hanno il potere di emettere moneta guadagnandoci sopra
lautamente, e le grandi imprese da essi favorite, che hanno avuto buon gioco ad
ingrandirsi sempre più e a diventare transnazionali e multinazionali. Infatti è
solo attraverso il credito che un’azienda può ingrandirsi, a meno che non sia
finanziata interamente dalle quote di capitale sociale. Ma questo non poteva
avvenire che parzialmente, perché il risparmio era limitato rispetto alle
esigenze dello sviluppo produttivo che si è realizzato nel mondo. Ora, grazie
allo sviluppo già realizzato e alle ingenti somme che si sono accumulate nelle
mani di pochi, sarebbe più facilmente possibile di finanziare le imprese con il
risparmio, ma esso è nelle mani di chi ha interesse a usare questo capitale
solo a fini speculativi e di mantenimento del potere. Del resto il “risparmio”
accumulato nei paesi più sviluppati, ha iniziato ad investirsi nei paesi che
hanno ancora bisogno di svilupparsi e che hanno delle contropartite da pagare:
materie prime di valore, manodopera a basso prezzo, proprietà statali, grandi
aziende agrarie e così via. In questo modo una potente “cricca” di banchieri e
industriali, che detiene la più grossa fetta del potere economico, sta
comprando tutto il mondo e impone la liberalizzazione selvaggia dei mercati e
l’eliminazione di ogni protezione delle economie nazionali.
C’è
un’alleanza di ferro fra quanti hanno interesse a concedere sempre più prestiti
e le imprese che hanno interesse ad averli per espandere insieme sempre più il
loro potere in tutto il mondo, avvalendosi anche di fidati alleati locali. E’
questa la forma del nuovo colonialismo. Le grandi multinazionali gigantesche
sono sorte e si sono sviluppate anche perché esse, legate al capitale
finanziario che ne è azionista e/o sostenitore attraverso prestiti, non hanno
il problema della liquidità. Possono accedere a tutta la liquidità che vogliono
in quanto chi dà loro il capitale di prestito continua a rifinanziare sempre
più le imprese, perché ne ha pieno interesse, per i guadagni diretti degli
investimenti e, ancor più, perché in questo modo espande all’infinito il
processo di creazione e controllo della moneta bancaria. Se le quote capitale
non sono restituite in tempo vengono rifinanziate e se sono restituite vengono
riconcesse, anche aumentate, per nuovi investimenti, in una spirale che si
ingrandisce sempre più. Le multinazionali gigantesche e la globalizzazione
esagerata sono un derivato quasi necessario dell’intreccio di interessi fra il
capitale finanziario delle banche e quello produttivo e industriale, che si
sostengono reciprocamente tramite i meccanismi del credito. Prima queste
imprese si ingrandiscono nel loro settore e nel loro paese, poi conquistano i
mercati degli altri paesi divenendo transnazionali, poi investono in nuovi
settori, o assorbono altri settori, o collocano il capitale di maggioranza in
altri settori, divenendo multisettoriali. Poi vogliono nelle loro mani anche
settori che tradizionalmente sono stati amministrati dal settore pubblico (rete
idrica, telefonica ed energetica, scuole, sanità, ecc.) Tutto questo avviene
poiché alle banche è stato dato il potere di emettere sia la moneta cartacea
(banche centrali) sia quella bancaria.
La Crescita costante dei Prestiti
Nel
libro “Nord-Sud - Predatori, predati e opportunisti” leggiamo:
«Nel
rapporto fra Nord e Sud il debito è sempre esistito. il Nord ha sempre avuto
interesse a prestare soldi al Sud per avere indietro delle ordinazioni. I
governi del Sud hanno sempre accettato di indebitarsi per avere del denaro da
usare nei modi più disparati. Tuttavia solo dopo il 1973 il debito ha
cominciato ad assumere dimensioni di rilievo. Ad esempio, mentre nel 1970 il
Sud ottenne nuovi prestiti per un valore di 16 miliardi di dollari, nel 1980 ne
ricevette per 64 milioni di dollari. A questo aumento contribuirono un po’
tutte le fonti finanziarie, ma le banche private, dette anche banche
commerciali, ebbero un ruolo preponderante. Nel corso degli anni 70 i prestiti
bancari aumentarono al ritmo del 28% all’anno, facendo passare in secondo
ordine i prestiti di fonte pubblica (chi è poi la fonte pubblica?). » Dai dati
forniti dal libro si deduce che i prestiti delle grandi banche sono aumentati in
10 anni di circa 18 volte (1800%)!
Questi
dati sono relativi ai prestiti concessi annualmente. Da un altro libro
(Castagnola / Cancellare il debito / Emi) vediamo invece i dati sul debito
globale (quelli concessi a nuovo sommati a quelli precedenti residui) nei vari
anni:
« Nel
1980 il debito totale dei paesi sottosviluppati era di 603 miliardi di dollari
e gli interessi annuali di 91 miliardi. Solo 10 anni più tardi, però le cifre
erano più che raddoppiate: il debito totale nel 1990 aveva infatti raggiunto i
1473 miliardi di dollari e gli interessi i 164 miliardi di dollari l’anno. Nel
1997 il debito totale aveva raggiunto la cifra di 2317 miliardi e gli interessi
passavano a 305 miliardi all’anno. In sette anni le cifre erano quasi
raddoppiate. Nel 1998 la cifra totale raggiungeva 2465 miliardi di dollari, con
un incremento di 149 miliardi di dollari in un solo anno, mentre gli interessi
da pagare rimanevano intorno alla stessa cifra»
Ma cosa
succederebbe se i debitori restituissero i loro debiti senza contrarne di
nuovi? La cosa purtroppo è del tutto impossibile perché il sistema bancario (e
in particolare quelle grandi banche che, coscientemente e occultamente
perseguono il potere e il dominio mondiali, insieme alle grandi imprese
collegate) si sono appropriate e continuano ad appropriarsi di molte delle
ricchezze dei popoli, avendo presso i loro conti l’iscrizione di grandi somme
di crediti, e questi non hanno denaro per restituire i prestiti avuti, perché
la gran massa del denaro di credito è stato indebitamente assegnato in
emissione e controllo ai banchieri. La concessione di credito è un grande
affare per le banche, perché su di esso guadagnano forti somme tramite gli
interessi e perché possono moltiplicarlo non essendo obbligate ad avere la
copertura dei prestiti che emettono, tranne che per una piccola parte. Ma il
cuore del problema non è questo ma un altro: Tutto l’incremento netto della
ricchezza mondiale, che ha richiesto necessariamente l’incremento del credito
per potersi realizzare, si trova non presso i popoli che hanno prodotto questa
ricchezza, ma presso il sistema bancario sotto forma di crediti emessi, che
complessivamente sono aumentati sempre più nel corso degli anni. Si tratta di
moneta emessa, esattamente come quella cartacea. In teoria le banche potrebbero
intascarsela, registrando gli incrementi netti dei prestiti, come utili
annuali. Non lo fanno perché una operazione di prestito viene registrata dalle
banche in attivo come prestito emesso (credito della banca verso il cliente) e in
passivo come deposito del cliente sul suo conto bancario. Però il fatto
sostanziale è che, se anche l’emissione netta di moneta bancaria non viene
intascata alle banche come utile, come invece fanno le banche centrali per
l’emissione di moneta cartacea, tuttavia essa appartiene loro come mezzo di
potere! E’ un enorme mezzo di potere che consente di esigere interessi e di
decidere chi favorire e soprattutto consente di sottrarre l’emissione della
moneta ai popoli e alle strutture che dovrebbero emetterla e controllarla al
posto delle banche , assegnandola gratuitamente, come vedremo nel seguito. Il
potere di stampare moneta, unito al potere di emettere il prestito molte volte
al di là delle riserve di denaro liquido, cioè il potere di emettere anche la
“moneta bancaria”, determina tutti gli eventi e le vicende mondiali, determina
gli enormi debiti degli stati e dei popoli, determina i passivi di bilancio
degli stati, anche di quelli più avanzati, determina l’enorme sviluppo e potere
delle multinazionali legate al potere finanziario, determina la creazione dei
paradisi fiscali, determina le guerre di aggressione ai popoli e le guerre
civili, determina il terrorismo internazionale, determina la povertà e la
sofferenza dei popoli, determina il pericoloso stato di degrado ambientale,
determina le guerre. Cosa deve accadere di più per decidere di invertire
rotta?! Una minoranza di individui senza scrupoli sa bene cosa sta facendo e
come dirige il mondo secondo le proprie bramosie di potere. Tutti gli altri o
sono incoscienti o si fanno corresponsabili, per partecipare alla spartizione
della torta del potere e del privilegio, o si sottomettono. Triste realtà, che
è tempo di scrollare via dalle spalle dell’umanità. I banchieri e gli impresari
massoni degli Usa, dell’Europa e di tutto il mondo, producono moneta e credito
e in cambio tutti gli altri producono per loro, accentrando nelle loro mani
gran parte dei frutti del loro lavoro.
Il Popolo Americano
Il
popolo americano è diventato, senza rendersene conto, l’esercito repressivo dei
banchieri e capitalisti “massoni”, per imporre in tutto il mondo il loro
sistema bancario e per impadronirsi delle ricchezze di tutti i popoli.
Certamente il popolo Americano è un grande popolo che non è colpevole di
questo, perché è stato manipolato. E’ tempo che anch’esso si scrolli di dosso
questi parassiti dell’umanità, nella consapevolezza che in un primo tempo il
tenore globale di vita dovrà diminuire, perché ora è basato anche sul furto
perpetrato in tutto il mondo. Ma il vero benessere e benvivere verrà poi presto
per tutti i popoli e il popolo americano saprà dare un validissimo contributo.
Se invece questo popolo non farà l’opera interna e non violenta di “pulizia”,
ma si lascerà coinvolgere ulteriormente nei progetti di dominio, c’è il
pericolo di una catastrofe per questo popolo e per tutta l’umanità. Chiamiamo
“massoni” i proprietari e dirigenti dei grossi gruppi bancari internazionali e
quelli delle grandi imprese multinazionali. Poniamo il termine fra virgolette
intendendo che lo usiamo in maniera impropria, in quanto non pensiamo che siano
tutti necessariamente iscritti a una qualche associazione segreta o loggia
massonica, come potrebbe facilmente essere per alcuni capi principali, ma
soprattutto intendendo che sono individui che, come quelli di una setta occulta
dedita al potere e all’inganno e all’occultamento delle informazioni, hanno
tramato e tramano nell’oscurità e nella menzogna, cercando di tenere tutti
disinformati sulle cose essenziali, per non far conoscere i meccanismi della
finanza e dell’appropriazione indebita, con il fine di raggiungere un
arricchimento sconfinato, di appropriarsi di ingenti beni e di tutti i
privilegi e di esercitare il dominio e il potere su tutti, senza esitare ad
usare ogni mezzo, compresi gli assassini e le guerre, per mantenere questi
segreti e questo potere. Parlando di banchieri “massoni” non intendiamo solo i
banchieri, ma tutta la rete del potere economico occulto, che ha il suo centro
nel potere finanziario-monetario, ma che certamente non si esaurisce in questo,
ma si dirama in molti settori e istituzioni.
A chi
andrebbe la Moneta Bancaria? (Come dovrebbe essere gestito il Credito)
La
moneta bancaria dovrebbe essere di proprietà dei popoli che le danno valore con
le loro attività di sviluppo economico, creando beni che ne sono la
contropartita. Invece se ne sono appropriate le banche, che non hanno nulla da
dare in contropartita, né per la moneta legale né per quella bancaria. Le
banche non solo si appropriano di denaro che non è di loro spettanza, ma su
quel denaro riscuotono anche interessi, divenendo sempre più onnipotenti,
fintantoché le popolazioni si sottomettono. Se un paese del sud ha bisogno di
beni del Nord per finanziare il suo sviluppo, è chiaro che deve pagare i beni
che compra alle ditte da cui li compra. Questo pagamento però non deve avvenire
attraverso dei prestiti concessi al Sud dalle banche del Nord, ma concessi
casomai da Banche del Sud e attribuendo il valore dell’incremento netto dei
prestiti (incremento di moneta bancaria) agli stessi popoli del Sud, perché
sono essi che producono la nuova ricchezza, sono essi i titolari della
emissione della nuova moneta bancaria. Ciò significa concedere crediti gratuiti
per tutte le nuove attività di sviluppo. In una nuova economia solidale ciò
sarà fatto di concerto con degli opportuni organismi economici in cui siano
presenti tutti gli stati. Se il Pil (prodotto interno lordo) di una nazione in
un anno è di 10 e se dalle banche viene emesso un surplus di moneta (cartacea
più bancaria) pari a 2, significa che le banche si sono impossessate di una
parte del Pil pari a 2, corrispondente al surplus della moneta emessa. Infatti
è vero che la ricchezza di una nazione non cambia con l’emissione della moneta,
perché corrisponde ai beni prodotti, ma l’emissione si traduce in un furto
delle banche nei confronti dei produttori di ricchezza. La ricchezza è la
stessa nella nazione, ma cambia di mano, passa da quelli che la producono, al
sistema bancario internazionale, sotto forma di crediti da esigere. Supponiamo
che un’impresa per funzionare e svilupparsi abbia bisogno di una certa quantità
di prestiti, attivi annualmente, e che questi prestiti vadano aumentando di
anno in anno. Caso molto frequente, pur essendo positivo il bilancio annuale fra
ricavi e costi. Questi incrementi di passività bancaria, necessari al corretto
funzionamento dell’impresa, vengono erogati dalle banche come proprio valore e
devono essere restituiti e l’incremento netto annuale (la moneta bancaria)
rimane sempre in gestione delle banche. In realtà la concessione di prestiti di
investimento delle imprese, dovrebbe essere loro concesso gratuitamente, perché
sono esse che producono ricchezza con quei prestiti e non le banche che si
attribuiscono, indebitamente e arbitrariamente, con la connivenza delle leggi,
la moneta bancaria emessa attraverso il prestito, riscuotendoci per di più
degli interessi. In un sistema economico etico l’emissione del prestito
gratuito, cioè della moneta bancaria, per i vari progetti di investimento,
dovrebbe essere posta sotto il controllo di un organismo economico tecnico,
all’interno dei Consigli territoriali per lo sviluppo dell’economia etica e con
l’ausilio dell’Associazione economica settoriale, del settore in cui viene
progettato l’investimento. Di questi organismi si parla in altre parti del
sito.
Questo
organismo tecnico dovrà assegnare i prestiti di attivazione o di ampliamento a
quei progetti che sono giudicati positivi e capaci di tenere in attivo la
differenza fra costi e ricavi (il conto economico). Attualmente fra i costi ci
sono le quote di ammortamento degli investimenti. Anche se l’impresa non paga
gli investimenti, perché li finanzia con l’emissione monetaria relativa
all’incremento netto di prestito, tuttavia continuerà a calcolare fra i costi
annuali anche le quote di ammortamento dei beni strumentali che utilizza. Gli
ammortamenti torneranno ad essere fin dall’inizio ciò che sono concettualmente,
cioè accantonamenti per ripagare i beni d’investimento (attrezzature,
edifici,ecc.) che devono essere ricomprati dopo il deterioramento. E’ solo
l’incremento concesso di investimenti che deve essere dato gratuitamente alle
imprese, ma non il riacquisto degli stessi beni. In questo modo l’incremento
netto di moneta bancaria non viene assegnato alle banche, che non hanno nessun
merito in proposito, ma alle imprese che producono nuovi redditi con nuove
attività e investimenti. Queste a loro volta hanno l’obbligo
dell’accantonamento degli ammortamenti, cioè hanno l’obbligo di mettere a costo
nell’esercizio annuale le quote di ammortamento. Per le imprese il conto
economico rimane quasi lo stesso. Infatti il conto economico è la differenza
fra costi e ricavi. I ricavi rimangono gli stessi, mentre fra i costi ci sono
in meno soltanto gli interessi riguardanti i prestiti (che ora non sono più
prestiti ma donazioni di moneta bancaria emessa), mentre rimangono presenti gli
ammortamenti. Quello che cambia notevolmente è il bilancio finanziario.
L’impresa non è più sottoposta alle restrizioni dei prestiti per gli
investimenti, perché essi sono coperti dalle somme assegnate dall’organismo
apposito di cui sopra che sostituisce le banche nella valutazione
dell’assegnazione dei prestiti. Queste somme non sono più concesse come
prestiti, ma come capitale sociale, che è dell’intera collettività economica
(non dello Stato!) locale o regionale o statale o internazionale, a seconda di
che tipo di progetto si tratta e di chi concede il capitale sociale
comunitario. In questo modo sarebbe grandemente attivata la creatività degli
individui e dei popoli e diverrebbe facile creare nuove imprese o nuovi settori
d’impresa o ampliamenti di settori d’impresa. L’organismo di pianificazione che
concede il prestito deve fare in modo che non si crei trappa concorrenza in una
stesso settore e nella stessa zona o che imprese che devono agire in un certo
ambito territoriale non agiscano in uno più grande o uno più piccolo.
Nascerebbero anche molte aziende che hanno come compito la cura e il
miglioramento dell’ambiente, cosa oggi quasi impossibile.
Comunque
per poter realizzare tutto questo è necessario che il sistema economico
dell’Economia etica si sia già affermato, cosa che non è ancora all’ordine del
giorno. Nel frattempo dovrebbero almeno svegliarsi i governi più progrediti dei
paesi in via di sviluppo e creare autonomamente e gratuitamente la propria
moneta bancaria, cioè il credito emesso per lo sviluppo del proprio sistema
produttivo, invece di sottomettersi alla potenti banche “massoniche” del Nord e
alle multinazionali ad esse collegate. Con ciò si darebbe un potente impulso
produttivo a tutte le produzioni interne (attraverso la liberazione del
credito) e anche se il sistema monetario internazionale tentasse di svalutare
la moneta di questi stati, per gli acquisti verso l’estero, non ci riuscirebbe
perché queste monete, se da una parete tenderebbero a svalutarsi per
l’emissione gratuita di moneta bancaria, dall’altra, ancora di più, si
rafforzerebbero con il rafforzarsi di tutto il sistema produttivo, che
stimolerebbe anche le esportazioni. Concludendo questo paragrafo possiamo dire
che abbiamo visto come il sistema bancario, per il modo in cui è concepito e
per le funzioni che gli sono assegnate, opera come un ingente fonte di
sottrazione di ricchezza dei popoli. Infatti la somma dei crediti attivi presso
tutte le banche del mondo, corrispondente alla somma degli incrementi annuali
di credito emesso per tutti gli anni di storia delle banche e corrispondente
anche alla somma della moneta bancaria emessa nel corso dei secoli, si trova
all’interno del sistema bancario, come debito delle imprese e degli stati,
mentre in un sano sistema economico dovrebbero trovarsi dentro le imprese come
capitale sociale. Dall’usurpazione del potere di emettere la moneta-credito da
parte degli stati del Nord, si è creata la mostruosità dell’enorme debito
bancario dei paesi in via di sviluppo. I paesi del Nord succhiano risorse
gratuite dal Sud, attraverso questa forma di nuovo colonialismo, esercitato
attraverso il potere del sistema bancario internazionale, che impedisce di
emettere credito gratuito, per gli investimenti che creano sviluppo. Con ciò è
anche data la direzione di soluzione per questi problemi!
Rapporto
fra Proprietà e Moneta
Il
diritto di proprietà su terre e case si trova iscritto nei catasti degli stati
e quello sulle fabbriche e imprese si trova iscritto presso le Camere del
Commercio. Quando questi diritti entrano nel giro della compra-vendita entrano
sotto il potere della moneta e cioè sotto il potere di chi la emette appropriandosene.
Così chi ha il potere sulla moneta può comprare tutto il mondo: fabbriche
locali, terre, case, ville, parchi, beni statali messi in svendita, beni
artistici e tutto quello che esiste e possono anche costruire quello che
vogliono a casa altrui. E se qualcuno si ribella arrivano gli eserciti, pagati
anche questi con l’emissione della moneta, cioè con il lavoro di tutti i
popoli, compresi quelli che vengono sottomessi. Ironia della sorte: i popoli
sono costretti a pagare gli eserciti che li dominano e schiavizzano. Come ai
tempi del nostro Gran Kan di Marco Polo! Anzi, peggio che ai tempi del Gran
Kan. Ecco che cosa portano coloro che dicono di portare la democrazia nel
mondo. La democrazia è gran buona cosa, se fosse vera e se non nascondesse la schiavitù
sotto una facciata apparente.
Altre fonti di espropriazione della ricchezza
I grandi
meccanismi di concentrazione della ricchezza, propri del sistema economico
capitalista e del sistema di neo-liberismo capitalista, amplificati enormemente
dalle caratteristiche del sistema monetario, di cui abbiamo parlato, fanno in
modo che le enormi ricchezze accumulate nelle mani di pochi, esercitino poi
delle notevoli iniziative di speculazione finanziaria, con ingenti movimenti di
capitali che, attraverso la rete telematica dei computer, vanno da una parte
all’altra del pianeta a soli fini speculativi, senza creare alcuna ricchezza,
ma concentrandola e sequestrandola sempre più nelle mani di pochi. Uno dei
campi in cui si esercita la speculazione finanziaria è anche quello della
svalutazione e rivalutazione valutaria, soprattutto a danno delle monete
povere, come abbiamo già accennato. Vogliamo riportare un solo dato, di estrema
gravità, sulla concentrazione della ricchezza: “ 475 miliardari posseggono più
ricchezza di quanta non ne abbia la metà della popolazione mondiale” (Michael
Albert / L’economia partecipativa). Un’ altra fonte di espropriazione della
ricchezza deriva anche dal fatto che le forze produttive dell’umanità vengano
deviate da un loro sano utilizzo. Esso imporrebbe che le forze produttive siano
utilizzate in primo luogo per risolvere per sempre i grandi problemi mondiali
della fame, mancanza di risorse idriche, abitazioni, cultura, salute e tutto
ciò che sono i beni basilari. Un sano utilizzo delle forze produttive
richiederebbe anche che si dedichino molte più energie e risorse alla cura
dell’ecosistema Terra e all’abbellimento e armonizzazione degli ambienti di
vita degli uomini. Tutto ciò non è possibile farlo perché la più grassa parte
delle risorse finanziarie è nelle mani di quanti hanno interesse solo per sé e
per il mantenimento del proprio potere e dei propri ingenti privilegi. Così il
denaro accumulato serve non per il benessere e benvivere di tutti, ma per
attivare guerre, ricerche militari, bombe atomiche, scudi spaziali e ingenti
produzioni di lusso per pochi, che sono un vero scandalo di fronte alla
insopportabile povertà di tanti. Fra le deviazioni delle forze produttive va
anche annoverato che questo tipo di sistema economico, a causa dei suoi
meccanismi di funzionamento, lascia nella disoccupazione una discreta
percentuale dei lavoratori potenziali. Complessivamente possiamo parlare di
forze produttive in parte deviate dai loro scopi più giusti e in parte
inutilizzate.
Le ricchezze individuali del presente come derivato del
passato
Ciò che
oggi gli individui hanno, sia di capacità personali che di beni materiali,
dipende dalla storia del passato. Per i beni interiori (intelligenza,
sensibilità, sentimento, forza di volontà, ecc) si può presupporre che essi
derivino dall’ereditarietà ( e quindi da quanto hanno potuto sperimentare le
generazioni precedenti) o che essi derivino da quanto gli stessi individui
hanno sviluppato in vite precedenti e che portano nella vita attuale (teoria della
reincarnazione dell’anima individuale). In entrambi i casi derivano dalle
esperienze del passato (proprie o dei propri avi). Anche i beni esteriori
dipendono in larga misura dal passato, da quanto le generazioni familiari
precedenti hanno lasciato in beni o in possibilità di studi, formazione,
esperienze, e quant’altro. Ma se il passato è stato iniquo e ingiusto, anche
quanto si ha nel presente deriva da un passato ingiusto e iniquo e quindi va
risanato. Per far comprendere meglio questo aspetto riportiamo un celebre passo
di un capo indio
Chi è il Debitore
Lettera di un capo indio ai governi europei
«Così
sono qua, io, Guaicaipuro Cuautemoc. Sono venuto ad incontrare i partecipanti a
questo incontro. Così sono qua, io, discendente di coloro che popolarono
l’America quarantamila anni fa, sono venuto a trovare coloro che la trovarono
cinquecento anni fa.
Così ci
troviamo tutti: sappiamo chi siamo, ed è già abbastanza. Non abbiamo bisogno di
altro. Il fratello doganiere europeo mi chiede carta scritta con visto per
scoprire coloro che mi scoprirono. Il fratello usuraio europeo mi chiede di
pagare un debito contratto da traditori, che non ho mai autorizzato a vendermi.
Il fratello legalista europeo mi spiega che ogni debito si paga con gli
interessi, anche fosse vendendo esseri umani e paesi interi senza chiedere il
loro consenso.
Questo è
quello che sto scoprendo. Anch’io posso pretendere pagamenti. Anch’io posso
reclamare interessi. Fa fede l’archivio delle Indie. Foglio dopo foglio,
ricevuta dopo ricevuta, firma dopo firma, risulta che solamente tra il 1503 ed
il 1660 sono arrivati a San Lucar di Barrameda 185 mila chili di oro e 16
milioni di chili d’argento, provenienti dall’America. Saccheggio? Non ci penso
nemmeno! Tanatzin mi guardi dall’immagine che gli Europei, come Caino, uccidano
e poi neghino il sangue del fratello! Genocidio? Sarebbe dar credito a
calunniatori come Bartolomeo de las Casas, che considerarono quella scoperta
come la distruzione delle Indie, o ad oltraggiosi, come il dottor Arturo Pietri
che sostiene che lo sviluppo del capitalismo e dell’attuale civiltà europea sia
dovuto all’inondazione di metalli preziosi! No! Questi 185mila chili di oro e
16 milioni di chili di argento devono essere considerati come il primo di vari
prestiti amichevoli dell’America per lo sviluppo dell’Europa. Pensare il
contrario vorrebbe dire supporre crimini di guerra, il che darebbe diritto non
solo a chiedere la restituzione immediata ma anche l’indennizzo per danni e
truffa.
Io,
Guairaipuro Cuautemoc, preferisco credere alla meno offensiva delle ipotesi.
Una così favolosa esportazione di capitali non fu altro che l’inizio del piano
Marshaltezuma, teso a garantire la ricostruzione della barbara Europa, rovinata
dalle sue deplorabili guerre contro i culti mussulmani, difensori dell’algebra,
della poligamia, dell’igiene quotidiana e di altre superiori conquiste della
civiltà. Per questo, avvicinandosi il quinto centenario del prestito, possiamo
chiederci: i fratelli europei hanno fatto un uso razionale, responsabile, o
perlomeno produttivo delle risorse così generosamente anticipate dal Fondo
Indoamericano Internazionale?
Ci
rincresce dover dire di no. Dal punto di vista strategico le dilapidarono nelle
battaglie di Lepanto, nelle Armate invincibili, nei terzi Reich ed in altre
forme di reciproco sterminio, per finire poi occupati dalle truppe yankee della
Nato, come Panama (ma senza canale).
Dal
punto di vista finanziario sono stati incapaci –dopo una moratoria di 500 anni-
sia di restituire capitale ed interessi, che di rendersi indipendenti dalle
rendite liquide, dalle materie prime e dall’energia a basso costo che gli
esporta il Terzo Mondo. Questo deplorevole quadro conferma l’affermazione di
Milton Friedman, secondo il quale un’economia assistita non potrà mai
funzionare e ci obbliga a chiedere –per il loro stesso bene- la restituzione
del capitale e degli interessi che abbiamo così generosamente aspettato a
richiedere per tutti questi secoli.
Detto
questo vorremmo precisare che non ci abbasseremo a chiedere ai fratelli europei
quei vili e sanguinosi tassi di interesse, variabile dal 20 fino al 30%, che i
fratelli europei chiedono ai paesi del Terzo Mondo. Ci limiteremo a esigere la
restituzione dei materiali preziosi prestati, più il modico interesse del 10%
annuale accumulato negli ultimi 300 anni.
Su
questa base, applicando la formula europea dell’interesse composto, informiamo
gli scopritori che ci devono, come primo pagamento del loro debito, soltanto i
185mila chili di oro e 16 mila chili di argento, ambedue elevati alla potenza
di 300. Come dire, un numero per la cui espressione sarebbero necessarie più di
300 cifre e il cui peso supera ampiamente quello della terra. come è pesante
questa mole di oro e di argento!
Quanto
peserebbe calcolata in sangue? Addurre che l’Europa in mezzo millennio non ha
saputo generare ricchezze sufficienti a cancellare questo modico interesse
sarebbe come ammettere il suo assoluto disastro finanziario e/o la demenziale
irrazionalità delle basi del capitalismo.
Tuttavia
queste questioni metafisiche non affliggono noi indioamericani Però chiediamo
la firma immediata di una carta d’intenti che disciplini i popoli debitori del
vecchio continente e li obblighi a far fede al loro impegno tramite una
immediata privatizzazione o riconversione dell’Europa, perché ci venga
consegnata per intero come primo pagamento di questo debito storico. Dicono i
pessimisti del Vecchio Mondo che la loro civiltà versa in una bancarotta tale
che gli impedisce di tener fede ai loro impegni finanziari o morali. In tal
caso ci accontenteremo che ci paghino dandoci la pallottola con cui uccisero il
poeta. Ma non potranno. Perché quella pallottola è il cuore dell’Europa» .
Guaicaipuro
Cuautemoc
Questo è
solo un esempio che ci mostra che, se dovessimo tenere conto del passato,
avremmo ben molto da risanare. Del resto vogliamo accettare il passato così
come è stato, perché in ciò c’è una profonda saggezza e perché non vogliamo
fomentare rancori, odi e guerre.
Vogliamo
però raggiungere una situazione nuova di uguaglianza, giustizia, fratellanza
economica, nel rispetto delle individualità e delle diversità etniche e
culturali.
Questo
non si può raggiungere se permangono le situazioni attuali, che provengono
dalle ingiustizie del passato, come le grandi masse di capitali, perché queste
situazioni tendono a rigenerare i mali da cui provengono e generano conflitti e
impossibilità di risolvere i problemi.
Sintesi sul furto delle ricchezze
Volendo
sintetizzare quanto esposto fino a qui vediamo le seguenti tre cause principali
per la situazione di povertà e disagi e di mancanza di benessere e benvivere
1) Il
sistema monetario internazionale, con le sue banche centrali private e il suo
sistema di emissione di credito bancario, come “moneta bancaria”, sequestra e
gestisce ingenti ricchezze a favore di pochi. Accogliendo la moneta-debito
l’umanità ha accolto anche un enorme peso sulla propria testa, che ne schiaccia
l’iniziativa sana e libera.
2) Gli
Usa sono stati e sono ancora, anche se con qualche difficoltà in questo ruolo,
grandi sequestratori di ricchezza internazionale. Dietro ad essi si trovano
organizzazioni “occulte” di persone.
La
deriva dell' informazione made in Usa (30/04/2004)
Censura
di Peter
Phillips e Project censored, traduzione di Eva Milan e Giuliana Lupi, Nuovi
mondi, pp.437, 18,50 euro
[Recensione
di Marco Maroni, pubblicata sul Diario n°16/2004]
La
libertà d'informazione è uno dei cardini della democrazia. Ma, anche in paesi
che si ritengono campioni delle libertà democratiche, l'informazione oggi non
se la passa bene.
Da 27
anni un gruppo di ricerca della Sonoma State University (California), che si
avvale della collaborazione di giornalisti e professori esterni tra cui il
linguista Noarn Chomskye lo storico Howard Zinn, analizza lo stato dell'informazione
statunitense.
Il
gruppo si chiama Project censored. La parte più interessante del lavoro, una
raccolta delle principali notizie censurate dai media, viene pubblicata con
commenti e analisi. L'edizione di quest'anno (relativa ai fatti del 2003) è
particolarmente corposa. Spiega il coordinatore della ricerca, Peter Phillips:
«Il 2002 e il 2003 sono stati anni particolarmente pericolosi in quanto a
censura e inganni. Così, oltre alle 25 storie più censurate, quest'anno abbiamo
riunito il maggior numero di interventi di scrittori mai presentati in un
volume di Project censored».
La hit
parade delle storie più scomode per il potere e censurate dai grandi media
lascia il lettore in uno stato di apprensione. Non come quello indotto dagli
stessi media con l'enfatizzazione dei problemi della sicurezza nazionale e
dell'incolumità dei cittadini, ma un'apprensione relativa, appunto, alle sorti
delle libertà democratiche.
Si va
dal piano congegnato dallo staff del segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld,
per provocare azioni terroristiche che giustifichino rappresaglie, al ruolo
dell'amministrazione Bush nel fallito colpo di stato in Venezuela,
all'inosservanza degli accordi internazionali da parte degli Stati Uniti,
all'eliminazione di pagine del rapporto Onu sull'Iraq (quello che doveva
servire per valutare un intervento militare), alla deliberata distruzione da
parte delle forze Usa del sistema idrico iracheno.
Segue
una puntuale analisi del sistema informativo americano. I mezzi di
comunicazione di massa che appartengono ai grandi gruppi controllano gran parte
delle fonti ufficiali d'Informazione. Il consolidamento nel settore ha ridotto
a meno di una manciata i protagonisti del settore e questi si affidano sempre
di più a contenuti prestabiliti. Un esempio del rapporto organico tra media e
potere è quello dei giornalisti al seguito delle truppe americane in Iraq.
Reporter
praticamente «arruolati», tanto che il termine anglosassone, «embedded», è
entrato nell'uso comune. Questi giornalisti devono mantenere un rapporto
collaborativo con le unità di cornando nel momento in cui preparano le notizie.
Quelli che non si riconoscono nel ruolo di collaboratori, non hanno accesso
protetto alle zone delle operazioni, vengono esclusi dai servizi (è successo anche
al famoso Peter Arnett) e vanno incontro a maggior pericoli per la loro
incolumità, oltre che per il loro posto di lavoro. Il risultato è
un'informazione addomesticata e distorta. Meglio anzi chiamarla semplicemente
disinformazione. Qualche volta le manipolazioni vengono smascherate.
È il
caso del salvataggio del soldato Jessica Lynch, una messinscena confezionata
dai vertici militari per ridare slancio all' immaginario guerriesco e
patriottico americano in un momento di insuccessi e dubbi. Il raggiro fu
svelato dalla britannica Bbc che, vale la pena ricordarlo, qualche mese dopo fu
messa a sotto accusa per i servizi sull'autenticità delle informazioni diffuse
dal premier Tony Blair sulle armi di distruzione di massa dell'Iraq, a
tutt'oggi non trovate.
Particolarmente
istruttivi per i lettori italiani sono i capitoli sui meccanismi della censura
del ventunesimo secolo. Non si tratta più di censura esplicita e brutale, da
regime totalitario. Le notizie vengono annullate con un procedimento più
sottile. Per lo più, vengono annegate in un mare di informazioni innocue,
futili, frivole o sensazionalistiche. Vengono ad esempio dedicati attenzione e
spazio sproporzionati alle vicende private di personaggi famosi e si creano
polemiche e dibattiti attorno a progmmmi televisivi d'intrattenimento.
Oppure,
le notizie vengono rigirate in modo da diventare inoffensive, o controverse.
C'è poi l'«abuso di notizie». Si prendono le tragedie strazianti e di paura e
le si portano avanti il più a lungo possibile, anche in assenza di fatti nuovi
da raccontare. Dicono gli autori: «Per la maggior parte degli americani, che
dipendono dai grandi media per le notizie quotidiane, questo sistema
informativo produce anemia intellettuale, passività e paura. Il risultato è una
popolazione addomesricata, la cui principale funzione nella società è quella di
tacere e andare a fare acquisti».
Il libro
è un'analisi lucida e ben documentata della deriva dell' informazione di massa
made in Usa. Un sistema dei media dove comunque sono rigidamente vietati i
monopoli e i conflitti d'interesse. La mente del lettore italiano corre subito
al confronto con la situazione di casa. Project censored è una lettura
indispensabile per i giornalisti con senso critico e per chiunque si interessi
ai problemi dell'informazione.
Le
banche centrali e il controllo privato del denaro
Utilizzando le tecniche di riserva
frazionale bancaria, i Rothschild ed i loro alleati iniziarono, sin dagli
albori del 19mo secolo, a dominare le banche centrali in Gran Bretagna, Stati
Uniti e Francia. Estratto dal libro del video THE MONEY MASTERS: How International
Bankers Gained Control of America. Pubblicato
e riveduto nel 1998 da Royalty Production Company PO Box 114, Piedmont OK
73078, USA
L’ascesa
dei Rothschild
Francoforte,
Germania. Nel 1743, cinquant’anni dopo che la Banca d’Inghilterra aveva aperto
i battenti, un orafo di nome Amschel Moses Bauer inaugurò un conio di monete -
un ufficio di contabilità - e sull’entrata collocò un’insegna rappresentante
un’aquila Romana su uno scudo rosso; il negozio divenne noto come la ditta
dello Scudo Rosso o, in lingua tedesca, Rothschild. Quando il figlio Mayer
Amschel Bauer ereditò l’attività decise di cambiarsi il nome, assumendo per
l’appunto quello di Rothschild. Mayer
Rothschild imparò ben presto che prestare denaro a governi e monarchi era assai
più vantaggioso che farlo nei confronti di singoli privati; non solo i prestiti
erano di maggiore entità, ma venivano anche assicurati dalle tasse delle varie
nazioni. Mayer Rothschild aveva cinque figli. Egli li addestrò tutti nelle
segrete tecniche di creazione e manipolazione di denaro e quindi li inviò nelle
principali capitali europee per aprire filiali della banca di famiglia. Le sue
volontà stabilirono che uno dei figli di ogni generazione avrebbe diretto gli
affari di famiglia; le donne erano escluse. Il primogenito di Mayer, Amschel,
rimase a Francoforte per occuparsi della banca della città natale; il secondogenito,
Salomon, fu spedito a Vienna; il terzo figlio, Nathan, che era chiaramente il
più abile, fu mandato a Londra nel 1798, all’età di 21 anni, un secolo dopo la
fondazione della Banca d’Inghilterra; il quarto figlio, Karl, si recò a Napoli;
il quinto figlio, Jakob (James), andò a Parigi. Nel 1785 Mayer trasferì
l’intera famiglia in un’abitazione più grande, un edificio a cinque piani
condiviso con la famiglia Schiff; tale edificio era conosciuto col nome di casa
dello Scudo Verde. I Rothschild e gli Schiff avrebbero avuto un ruolo di
primaria importanza nella storia finanziaria dell’Europa, degli Stati Uniti e
del resto del mondo; il nipote di Schiff si trasferì a New York ed aiutò a
finanziare il colpo di stato bolscevico del 1917 in Russia.
I Rothschild si misero in affari con i
reali europei a Wilhelmshöhe, la reggia dell’uomo più ricco della Germania - in
effetti il monarca più ricco di tutta l’Europa - il Principe Guglielmo di
Hesse-Cassel. All’inizio i Rothschild consigliavano Guglielmo soltanto in merito
a speculazioni relative a monete preziose. Tuttavia, quando Napoleone costrinse
il Principe Guglielmo all’esilio, quest’ultimo inviò a Londra a Nathan
Rothschild 550.000 sterline (che all’epoca erano una somma enorme, equivalente
a svariati milioni di dollari del giorno d’oggi) perché fossero impiegate per
acquistare titoli consolidati - obbligazioni o titoli statali britannici - ma
Rothschild utilizzò il denaro per i propri affari; con Napoleone in giro, le
opportunità di investimenti bellici altamente remunerativi erano pressoché
illimitate. Guglielmo ritornò a Wilhelmshöhe qualche tempo prima della
battaglia di Waterloo del 1815; egli convocò i Rothschild e pretese la
restituzione del suo denaro. I Rothschild restituirono il denaro di Guglielmo,
con l’otto per cento di interesse che i titoli britannici gli avrebbero
fruttato se l’investimento fosse stato effettivamente fatto; i Rothschild,
però, tennero per sé gli ingenti profitti di guerra che avevano conseguito
utilizzando il denaro di Guglielmo - losca pratica in ogni secolo. In parte con
questi metodi, Nathan Rothschild riuscì a vantarsi, in seguito, di aver
aumentato, in 17 anni trascorsi in Gran Bretagna, l’originale capitale di
20.000 sterline affidatogli dal padre di 2.500 volte, vale a dire fino a
50.000.000 sterline - una somma davvero considerevole per quei tempi,
comparabile al potere d’acquisto di miliardi di dollari dei nostri giorni.
Agli inizi del 1817, il ministro del
Tesoro Prussiano, nel corso di una visita a Londra, scrisse che Nathan
Rothschild aveva:
...una incredibile influenza su tutte le
transazioni finanziarie qui a Londra.
Viene ampiamente affermato...che egli regola completamente il tasso di
cambio nella City. Il suo potere in quanto banchiere è enorme. Nel 1818 il segretario del principe
austriaco Metternich, scrivendo dei Rothschild, affermava che:
...essi sono le persone più ricche
d’Europa.
Le banche dei Rothschild, cooperando
all’interno della famiglia e utilizzando le tecniche di riserva frazionale
bancaria, divennero incredibilmente ricche. Verso la metà del 1800 essi
dominavano tutto il sistema bancario europeo ed erano sicuramente la famiglia
più ricca del mondo; una considerevole parte della dissoluta nobiltà europea
era fortemente indebitata con loro. In
virtù della loro presenza come banchieri in cinque nazioni, i Rothschild erano
in effetti autonomi, un’entità indipendente dai paesi nei quali operavano. Se le direttive politiche di una nazione non
favorivano loro o i loro interessi, essi potevano semplicemente non concedere
ulteriori crediti in loco, oppure concederne a quelle nazioni o gruppi che
contrastavano tali direttive. Soltanto loro erano a conoscenza dei luoghi in
cui erano depositate le loro riserve d’oro e di altro genere, così da essere
protetti da confische, multe, pressioni o tassazioni governative, rendendo così
ogni revisione dei conti o indagine nazionale effettivamente insensata;
soltanto loro erano a conoscenza dell’abbondanza (o della scarsità) delle
proprie riserve frazionali, sparpagliate in cinque nazioni - il che
rappresentava un enorme vantaggio rispetto a semplici banche nazionali
impegnate a costituire una riserva frazionale.
Fu proprio il carattere internazionale delle banche dei Rothschild che
conferì loro dei vantaggi unici sulle banche nazionali e sui governi; e questo
fu esattamente ciò che i legislatori e i parlamenti nazionali avrebbero dovuto
proibire, cosa che però non fecero. Tale situazione rimane inalterata per
quanto riguarda le banche internazionali o multinazionali proprie dei nostri
tempi e costituisce la forza trainante della globalizzazione - la spinta verso
un governo mondiale. I Rothschild concessero enormi prestiti per acquisire
monopoli in svariate industrie, garantendo in questo modo la capacità dei
debitori di restituire i prestiti alzando i prezzi senza paura della
concorrenza, incrementando al contempo il potere politico ed economico dei
Rothschild. Essi finanziarono Cecil Rhodes, consentendogli di instaurare un
monopolio sui terreni auriferi del Sudafrica e sui diamanti DeBeers; in America
finanziarono la monopolizzazione delle ferrovie.
La National City Bank di Cleveland, che
nel corso delle udienze congressuali è stata riconosciuta come una delle tre
banche dei Rothschild negli Stati Uniti, ha fornito a John D. Rockefeller il
capitale per iniziare la sua monopolizzazione nel settore della raffinazione
del petrolio, cosa che ha poi portato alla fondazione della Standard Oil. Jacob
Schiff, nato nella casa dello Scudo Verde dei Rothschild a Francoforte e quindi
loro agente principale negli Stati Uniti, consigliò Rockefeller e architettò il
famigerato accordo di rimborso che quest’ultimo richiese segretamente ai
petrolieri rivali che trasportavano per ferrovia. Queste stesse ferrovie erano
già state monopolizzate dal controllo dei Rothschild tramite gli agenti ed
alleati J. P. Morgan e Kuhn, Loeb & Company (Schiff faceva parte del
Consiglio) che, assieme, controllavano il 95% di tutta la percorrenza delle
ferrovie statunitensi. Nel 1850 si stimò che il capitale di James Rothschild,
erede del ramo francese della famiglia, ammontasse a 600 milioni di franchi
francesi - cioè 150 milioni in più di tutti gli altri banchieri di Francia
messi assieme. James era stato collocato a Parigi da Mayer Amschel nel 1812 con
un capitale di 200.000 dollari; all’epoca della sua morte, nel 1868,
cinquantasei anni più tardi, il suo reddito annuale ammontava a 40.000.000 di
dollari. In quel periodo in America non vi era fortuna che eguagliasse nemmeno
il reddito di un solo anno di James.
Il poeta Heinrich Heine riferendosi a
James Rothschild disse:
Il denaro è il dio dei nostri tempi, e
Rothschild è il suo profeta. James
costruì la sua favolosa magione, chiamata Ferrières, 19 miglia a nordest di
Parigi. Guglielmo I, vedendola per la prima volta, esclamò:
I Re non possono permettersi una cosa del
genere. Può appartenere solo ad un Rothschild!
Un altro commentatore francese del 19mo
secolo la mette in questi termini:
C’è un unico potere in Europa, ed è quello
dei Rothschild. Non vi è alcun indizio
che il ruolo predominante dei Rothschild nella finanza europea o mondiale sia
mutato; al contrario, con l’aumentare della loro ricchezza, essi hanno
semplicemente incrementato la loro ‘passione per l’anonimato’. I loro vasti possedimenti raramente ne
riportano il nome.
Lo scrittore Frederic Morton ha scritto
che i Rothschild avevano:
...conquistato il mondo in modo più
completo, più astuto e molto più durevole di quanto non abbiano fatto in
precedenza tutti i Cesari...
La Rivoluzione Americana
Prendiamo ora in considerazione gli esiti
prodotti dalla Banca d’Inghilterra sull’economia britannica e vediamo come ciò,
in seguito, abbia rappresentato la causa principale della Rivoluzione
Americana. Verso la metà del 1700, l’Impero Britannico si stava avvicinando
all’apice del suo potere nel mondo. A partire dalla fondazione della propria
banca centrale di proprietà privata, la Gran Bretagna aveva combattuto quattro
guerre in Europa, il cui costo era stato elevato; per finanziare tali guerre il
parlamento inglese, invece di emettere la propria valuta senza interessi, aveva
contratto pesanti debiti con la banca. Alla metà del 18mo secolo il debito del
governo britannico ammontava a 140.000.000 di sterline – una somma sbalorditiva
per quell’epoca. Di conseguenza il governo, alfine di pagare gli interessi alla
banca, intraprese un programma di prelievo fiscale dalle proprie colonie in
America. In America, però, la situazione era diversa. Il flagello di una banca
centrale di proprietà privata non vi era ancora arrivato, sebbene la Banca
d’Inghilterra dal 1694 esercitasse la sua rovinosa influenza sulle colonie
americane. Quattro anni prima, nel 1690, la colonia della Baia del
Massachusetts aveva stampato la propria valuta cartacea - primo caso in America
- seguita nel 1703 dalla South Carolina e quindi dalle altre colonie. In quel
periodo l’America pre-rivoluzionaria era ancora relativamente povera. Vi era
una grave penuria di monete metalliche preziose da utilizzare per l’acquisto di
beni, così i primi coloni venivano costretti in misura sempre maggiore a
sperimentare la stampa della propria valuta cartacea locale; alcuni fra questi
esperimenti ebbero successo ed in alcune colonie, come valuta di scambio, venne
usato il tabacco. Nel 1720, ad ogni Governatore Reale coloniale fu ordinato di
limitare l’emissione di valuta coloniale, tuttavia questo provvedimento venne
largamente disatteso. Nel 1742, il
British Resumption Act stabiliva che le tasse e i debiti di altro genere fossero
corrisposti in oro; ciò provocò una depressione nelle colonie e i ricchi
pignorarono, corrispondendo un decimo del loro valore reale, tutte le
proprietà.
Benjamin Franklin fu un grande sostenitore
della stampa della propria valuta cartacea da parte delle colonie; egli, nel
1757, fu inviato a Londra per rivendicare tale diritto e finì col rimanervi per
i successivi 18 anni - quasi fino all’inizio della Rivoluzione Americana.
Nell’arco di questo periodo, un numero crescente di colonie americane ignorò le
prescrizioni del Parlamento e cominciò ad emettere la propria valuta, chiamata
‘buono coloniale’; il tentativo fu coronato dal successo, con notevoli
eccezioni. Il buono coloniale rappresentava un affidabile mezzo di scambio e,
inoltre, aiutava a suscitare un sentimento di unità fra le colonie. Ricordate
che il buono coloniale era perlopiù valuta cartacea, non gravata da debiti,
stampata nel pubblico interesse e non sostenuta realmente da riserve d’oro o
d’argento; in altri termini, si trattava di moneta a corso forzoso.
I funzionari della Banca d’Inghilterra
chiesero a Franklin in che modo potesse spiegare la ritrovata prosperità delle
colonie ed egli, senza esitazioni, rispose:
La questione è semplice. Nelle colonie noi
emettiamo la nostra valuta, che si chiama buono coloniale. La emettiamo in quantità
appropriata rispetto alla domanda commerciale e industriale per far sì che i
prodotti passino facilmente dal produttore al consumatore... In questo modo,
creando per noi stessi la nostra valuta, ne controlliamo il potere d’acquisto e
non dobbiamo pagare interessi a nessuno. Questo per Franklin era semplicemente
buonsenso, potete tuttavia immaginare l’effetto che ebbe sulla Banca
d’Inghilterra. L’America aveva scoperto il segreto del denaro e il genio doveva
tornarsene nella bottiglia il prima possibile. Il risultato fu che il
Parlamento approvò in fretta e furia il Currency Act del 1764, provvedimento
che vietava ai funzionari delle colonie di emettere la propria valuta e
ordinava loro di pagare tutte le tasse a venire con monete d’oro o d’argento; in
altri termini costringeva le colonie ad adeguarsi agli standard in oro e
argento. Questo diede origine alla prima intensa fase della Prima Guerra
Bancaria in America - risoltasi con la sconfitta dei Cambiavalute - che iniziò
con la Dichiarazione di Indipendenza e si concluse col successivo trattato di
pace, il Trattato di Parigi del 1783. Per coloro che ritengono che uno standard
in oro sia la soluzione degli attuali problemi monetari americani, consideriamo
quello che accadde in America dopo l’approvazione del Currency Act del 1764.
Franklin, nella sua autobiografia, scrisse: “Nel giro di un anno la situazione
si era rovesciata al punto che l’era di prosperità era terminata lasciando il
posto alla depressione, in misura tale che le strade delle Colonie traboccavano
di disoccupati”.
Franklin afferma che ciò costituì anche la
causa principale della Rivoluzione Americana; sempre dalla sua autobiografia:
Le Colonie avrebbero sopportato di buon
grado la ridotta tassa sul tè ed altre materie, se l’Inghilterra non avesse
tolto alle Colonie stesse la loro valuta, creando così disoccupazione e
malcontento.
Nel 1774, il Parlamento approvò lo Stamp
Act, il quale prescriveva l’apposizione, su ogni atto commerciale, di un bollo
che attestasse il pagamento di una tassa in oro - cosa che ancora una volta
minacciava la valuta cartacea coloniale; meno di due settimane più tardi, il
Massachusetts Committee of Safety promulgò una risoluzione a favore
dell’emissione di ulteriore valuta coloniale e di riconoscimento della valuta
delle altre colonie. Il 10 e il 22 giugno 1775, il Congresso delle Colonie
decise l’emissione di 2 milioni di dollari in valuta cartacea in base al
credito e alla fiducia delle “Colonie Unite”. Tale decisione disobbediva alla
Banca d’Inghilterra e al Parlamento e rappresentò un atto di sfida, il rifiuto
di accettare un sistema monetario ingiusto nei confronti degli abitanti delle
colonie. Così gli attestati di credito (cioè la valuta cartacea) che gli
storici ignoranti o prevenuti hanno sminuito considerandoli strumenti di una
politica finanziaria incosciente, erano in effetti i principi della
Rivoluzione; anzi, erano più di questo: erano la Rivoluzione stessa. (Alexander
Del Mar, storico)
Quando, il 19 aprile 1775, furono sparati
i primi colpi a Concord e Lexington, Massachusetts, le colonie erano state
prosciugate dell’oro e dell’argento dalla tassazione britannica; come
risultato, il governo continentale per finanziare la guerra non ebbe altra
scelta se non quella di stampare la propria valuta cartacea. All’inizio della
Rivoluzione la fornitura di denaro coloniale americano si attestava intorno ai
12 milioni di dollari; alla fine della guerra raggiunse quasi i 500 milioni.
Questo fu in parte dovuto ad una massiccia contraffazione britannica il cui
esito fu di rendere la valuta virtualmente senza valore; un paio di scarpe
costava 5.000 dollari. Come lamentava George Washington: “Un vagone carico di
denaro riuscirà a fatica ad acquistare un vagone carico di approvvigionamenti”.
In precedenza il buono coloniale aveva funzionato in quanto veniva emessa una
quantità di valuta appena sufficiente a facilitare il commercio, mentre la
contraffazione era irrisoria. Oggi, coloro che sostengono una valuta basata
sulle riserve d’oro, indicano questo periodo della Rivoluzione per dimostrare
gli svantaggi di una moneta a corso forzoso.
Ricordate, comunque, che quella stessa
valuta, in precedenza, aveva funzionato così bene vent’anni prima in tempo di
pace che la Banca d’Inghilterra l’aveva fatta rendere illegale dal Parlamento e
che, durante la guerra, gli Inglesi cercarono deliberatamente di scalzarla
contraffacendola in Inghilterra e spedendola ‘a balle’ nelle colonie.
La Banca
del Nord Americana
Verso la fine della Rivoluzione, il
Congresso continentale, riunitosi presso l’Indipendence Hall di Filadelfia, si
trovò ad avere un bisogno disperato di fondi. Nel 1781 essi permisero a Robert
Morris, loro Soprintendente Finanziario, di aprire una banca centrale di
proprietà privata, nella speranza che la cosa potesse essere di qualche
utilità. Fra parentesi Morris era un benestante il quale, commerciando in
materiale bellico durante la Rivoluzione, si era ulteriormente arricchito. La
nuova banca, la Bank of North America, ricalcava da vicino il modello della
Banca d’Inghilterra; ad essa venne consentita (o, piuttosto, non venne
proibita) la pratica della riserva frazionale bancaria, ovvero poteva prestare
denaro che non aveva e quindi applicare su di esso gli interessi. Se io o voi
facessimo una cosa del genere saremmo accusati di frode - cioè di un crimine. A
quell’epoca ben pochi compresero tale pratica e, naturalmente, essa venne
tenuta nascosta il più possibile al pubblico e ai politici; per di più alla
banca fu assegnato il monopolio di emettere banconote, accettabili per il
pagamento delle tasse. Lo statuto della
banca richiedeva la costituzione di un capitale iniziale di 400.000 dollari
versati da investitori privati. Quando però Morris si rivelò incapace di
trovare il denaro, egli utilizzò sfacciatamente la sua influenza politica per
ottenere che venisse depositato dell’oro nella sua banca - oro che era stato
prestato all’America dalla Francia. Egli prestò a sé stesso e ai suoi amici
questo denaro per reinvestirlo nelle azioni della banca; la Seconda Guerra
Bancaria Americana era iniziata. Presto i pericoli diventarono evidenti. Il
valore della valuta americana continuò a precipitare e quattro anni più tardi,
nel 1785, il documento di concessione della banca non venne riconfermato,
mettendo fine alla minaccia dello strapotere della banca stessa; così la
Seconda Guerra Bancaria Americana si risolse velocemente in una sconfitta dei
Cambiavalute. Il leader di questo
efficace sforzo per affossare la banca fu un patriota di nome William Findley,
della Pennsylvania, che spiegò il problema nel modo seguente:
Questa istituzione, non avendo altro
principio che la cupidigia, non cambierà mai i propri obiettivi...
monopolizzare tutta la ricchezza, il potere e l’influenza dello stato.
La plutocrazia, una volta attestatasi,
avrebbe corrotto la legislatura in modo che le leggi sarebbero state formulate
a suo vantaggio e l’amministrazione della giustizia avrebbe favorito i ricchi.
Gli uomini dietro alla Banca del Nord America - Alexander Hamilton, Robert
Morris ed il Presidente della Banca, Thomas Willing - non si diedero per
vinti. Solo sei anni più tardi
Hamilton, all’epoca Ministro del Tesoro, ed il suo mentore Morris, tramite il
nuovo Congresso fondarono una nuova banca centrale di proprietà privata, la
Prima Banca degli Stati Uniti; Thomas Willing, ancora una volta, ne rivestì il
ruolo di Presidente. I giocatori erano gli stessi, soltanto il nome della banca
era cambiato.
L’Assemblea
Costituente
Nel 1787 i leader coloniali si riunirono a
Filadelfia per cambiare i nefasti Articoli della Confederazione. Come abbiamo
visto in precedenza, sia Thomas Jefferson che James Madison erano fermamente
contrari ad una banca centrale di proprietà privata; avevano visto i problemi
causati dalla Banca d’Inghilterra e non volevano niente del genere. Come
Jefferson sostenne in seguito:
“Se il popolo americano permetterà mai che
banche private controllino l’emissione della sua valuta, le banche e le
corporazioni che prolificano intorno ad esse, prima tramite l’inflazione e poi
tramite la deflazione, priveranno il popolo di tutte le sue proprietà fino al
momento in cui i figli si ritroveranno senza tetto nel continente conquistato
dai padri”.
Nel corso del dibattito sul futuro sistema
monetario, un altro dei padri fondatori, Gouvenor Morris, presiedeva il
comitato che stese la bozza finale della Costituzione; Morris conosceva bene le
ragioni dei banchieri. Insieme al suo
vecchio capo, Robert Morris, Gouvenor Morris e Alexander Hamilton erano quelli
che avevano presentato il progetto originale della Banca del Nord America al
Congresso continentale tenutosi durante l’ultimo anno della Rivoluzione.
Gouvenor Morris, in una lettera scritta a James Madison in data 2 luglio 1787,
rivelava ciò che stava accadendo in realtà:
“I ricchi lotteranno per affermare il proprio
dominio e conquistare il resto. Lo hanno sempre fatto e sempre lo faranno...
Essi avranno qui gli stessi effetti che altrove se noi, tramite il potere del
governo, non li circoscriveremo ai loro ambiti specifici.”
Nonostante la defezione di Gouvenor Morris
dai ranghi dei banchieri, Hamilton, Robert Morris, Thomas Willing e i loro
sostenitori europei non avrebbero abbandonato i loro propositi; essi convinsero
il grosso dei delegati dell’Assemblea Costituente di non accordare al Congresso
il potere di emettere valuta cartacea.
La maggior parte dei delegati era ancora scossa dalla selvaggia
inflazione della valuta cartacea verificatasi nel corso della Rivoluzione ed
essi avevano dimenticato come aveva egregiamente funzionato il buono coloniale
prima della guerra. La Banca d’Inghilterra invece no; i Cambiavalute non
potevano permettere che l’America stampasse di nuovo la propria moneta. Molti
ritenevano che il Decimo Emendamento, il quale riservava dei poteri agli stati
che non erano ammessi dalla Costituzione al governo federale, rendesse
incostituzionale l’emissione di valuta cartacea da parte del governo federale,
in quanto il potere di emettere valuta cartacea nella Costituzione non era
specificatamente affidato al governo federale stesso. La Costituzione a questo
proposito non si pronuncia; essa, tuttavia, proibiva in modo specifico ai
singoli Stati di “emettere certificati di credito” (valuta cartacea). La maggior parte degli artefici intendeva il
silenzio della Costituzione nel senso di impedire al nuovo governo federale di
avere il potere di autorizzare la creazione di valuta cartacea; infatti, il
Giornale dell’Assemblea del 16 agosto recita così:
É stato proposto ed appoggiato di
cancellare le parole ‘ed emettere certificati di credito’ e la mozione...é
passata con risposta affermativa.
Tuttavia Hamilton e i suoi amici banchieri videro questo silenzio come
l’opportunità di tenere il governo fuori dalla creazione della valuta cartacea,
che speravano di monopolizzare privatamente. Così sia i delegati a favore che
quelli contrari ai banchieri, con motivazioni opposte, appoggiarono, con uno
scarto di quattro a uno, la mozione per lasciare fuori dalla Costituzione
qualsiasi autorità del governo federale relativa alla creazione di valuta
cartacea. Questa ambiguità lasciò la porta aperta ai Cambiavalute - proprio
come essi avevano pianificato.
Naturalmente la carta moneta non rappresentava di per sé il problema
principale. Il problema più rilevante
era il prestito di riserva frazionale, poiché esso moltiplicava per molte volte
qualsiasi inflazione causata da una eccessiva emissione di valuta cartacea;
questo, tuttavia, non veniva compreso da molti, laddove le ricadute negative
causate da una smodata produzione di valuta invece lo erano.
Gli estensori, relativamente alla loro
convinzione che proibire la valuta cartacea fosse un buon fine da perseguire,
furono ben consigliati. La proibizione di tutta la valuta cartacea avrebbe
fortemente limitato la riserva frazionale bancaria allora praticata, poiché
l’uso di assegni era minimo e si può presumere che sarebbe stato proibito
anch’esso. I prestiti bancari però, creati come registri, non furono presi in
considerazione e quindi non vennero proibiti. Nel momento in cui si verificò
tale situazione, i governi statale e federale furono largamente intesi come non
autorizzati a creare denaro, al contrario delle banche private - sostenendo che
tale potere, non essendo specificamente vietato, veniva riservato ai cittadini
(incluse persone giuridiche, quali banche società per azioni). Il ragionamento
opposto affermava che le corporazioni bancarie erano strumenti o agenzie degli
stati che le ospitavano e quindi doveva essere loro negato di “emettere
attestati di credito”, così come accadeva per gli stati stessi. Tale ragionamento
venne ignorato dai banchieri, i quali proseguirono a emettere banconote basate
sulle riserve frazionali, e perse tutta la sua forza una volta che la Corte
Suprema degli Stati Uniti stabilì che anche il governo federale avrebbe potuto
concedere uno statuto ad una banca abilitata ad emettere valuta. Alla fine solo agli stati venne proibito di
emettere valuta, cosa che invece non fu negata né alle banche private né ai
Comuni (come accadde in circa 400 città durante la Grande Depressione). Un
altro errore che spesso non viene compreso riguarda l’autorità concessa al
governo federale di “coniare monete” e di “regolamentarne il valore”. Regolamentare il valore della moneta (vale a
dire il suo potere d’acquisto o valore relativo ad altri parametri o beni) non
ha niente a che fare con la qualità o il contenuto (cioè un tot di parti di
rame o di oro etc.) bensì con la sua quantità - la riserva di denaro; è la
quantità a determinarne il valore ed il Congresso non ha mai legiferato sulla
quantità totale di denaro negli Stati Uniti. Una legislazione su una fornitura
generale di denaro (compresi assegni, valuta e tutti i depositi bancari) in
effetti regolamenterebbe il valore (potere d’acquisto) di ogni dollaro e quindi
una legislazione relativa al tasso di crescita della riserva monetaria ne
determinerebbe il valore futuro. Il Congresso non ha mai legiferato in nessuno
di questi due ambiti, sebbene disponga chiaramente dell’autorità costituzionale
per farlo; esso ha rimesso questa funzione alla Federal Reserve e alle 10.000 e
più banche che creano le nostre riserve monetarie.
La Prima
Banca degli Stati Uniti
Nel 1790, meno di tre anni dopo che la
Costituzione era stata ratificata, i Cambiavalute colpirono di nuovo. Il
Ministro del Tesoro appena nominato, Alexander Hamilton, propose al Congresso
un progetto di legge che prevedeva la fondazione di una nuova banca centrale di
proprietà privata. Stranamente era lo
stesso anno in cui Mayer Rothschild dalla sua banca ammiraglia di Francoforte
fece la seguente dichiarazione:
“Lasciate che io emetta e controlli il
denaro di una nazione e non mi interesserò di chi ne formula le leggi”.
Alexander Hamilton era uno strumento dei
banchieri internazionali; egli voleva creare un’altra banca centrale privata,
la Banca degli Stati Uniti, e così fece; convinse Washington a firmare il
progetto di legge, nonostante le riserve dello stesso Washington e
l’opposizione di Jefferson e Madison.
Per convincere Washington, Hamilton accampò la motivazione dei “poteri
implicati”, da allora così spesso utilizzata per svuotare la Costituzione del
suo contenuto. Jefferson predisse
correttamente le disastrose conseguenze dovute all’apertura di un tale vaso di
Pandora, che avrebbe permesso ai giudici di “implicare” qualsiasi cosa andasse
loro a genio.
Risulta interessante il fatto che uno dei
primi lavori di Hamilton dopo il conseguimento, nel 1782, della laurea in
giurisprudenza, fu quello di consigliere di Robert Morris, capo della Banca del
Nord America. In effetti Hamilton, l’anno precedente, aveva scritto a Morris
una lettera in cui diceva:
“Un debito nazionale, se non è eccessivo,
sarà una benedizione nazionale”.
Una “benedizione” per chi?
Nel 1791, dopo un anno di intenso
dibattito, il Congresso approvò il progetto di legge di Hamilton e gli conferì
uno statuto ventennale; la nuova banca si sarebbe chiamata First Bank of the
United States (Prima Banca degli Stati Uniti), o BUS; così iniziò la Terza
Guerra Bancaria Americana. La sede
centrale della Prima Banca degli Stati Uniti si trovava a Filadelfia. La banca
fu autorizzata a stampare denaro e a concedere prestiti sulla base delle
riserve frazionali, anche se l’ottanta per cento delle sue azioni era di
proprietà di azionisti privati; il restante 20% sarebbe stato acquistato dal
Governo degli Stati Uniti, ma la ragione non era quella di dare al governo una
parte nella faccenda: si trattava di fornire il capitale iniziale dell’ottanta
per cento agli altri possessori .
Così come per la Banca del Nord America e
la Banca d’Inghilterra prima di allora, gli azionisti non pagarono mai
l’ammontare complessivo delle loro azioni; il Governo degli Stati Uniti
corrispose i suoi iniziali 2.000.000 di dollari in contanti e poi la banca,
tramite l’antica magia del prestito sulla base delle riserve frazionali, concesse
prestiti ai suoi investitori statutari in modo che essi potessero disporre dei
rimanenti 8.000.000 di dollari di capitale necessari per questo investimento
esente da rischi. Come per la Banca d’Inghilterra, il nome della banca - la
Banca degli Stati Uniti - fu scelto deliberatamente per occultare il fatto che
era controllata da privati e, sempre come nel caso della Banca d’Inghilterra, i
nomi degli investitori non furono mai resi noti. La banca fu presentata al
Congresso come un mezzo per garantire stabilità al sistema bancario e per
eliminare l’inflazione. Cosa accadde? Nel corso dei primi cinque anni di
attività, il Governo degli Stati Uniti prese a prestito dalla Prima Banca degli
Stati Uniti 8,2 milioni di dollari; in quel periodo i prezzi lievitarono del
72%. Jefferson, nuovo Segretario di Stato, assistette a tale evento con
tristezza e frustrazione, incapace di fermarlo:
“Vorrei che fosse possibile ottenere un
singolo emendamento alla nostra Costituzione, che impedisse al governo federale
di prendere denaro in prestito”.
Il Presidente Adams denunciò l’emissione
di banconote private come una frode a scapito del pubblico e, in questa ottica,
era sostenuto da tutta l’opinione pubblica conservatrice del suo tempo. Perché
continuare a dare in appalto a banche private, in cambio di nulla, una
prerogativa del governo? Milioni di
americani oggi provano la stessa sensazione; essi osservano, frustrati, mentre
il governo federale porta il contribuente americano nell’oblio - prendendo a
prestito da ricchi e banche private quel denaro che il governo ha l’autorità e
il dovere di emettere da sé, senza interessi.
Così, sebbene si chiamasse la Prima Banca degli Stati Uniti, non si
trattava del primo tentativo di fondare una banca centrale di proprietà privata
negli USA. Così come per le altre due,
la Banca d’Inghilterra e la Banca del Nord America, il governo fornì il
capitale per avviare questa banca privata e quindi i banchieri si prestarono
l’un l’altro il denaro per acquistare le rimanenti azioni della banca stessa.
Si trattò di una truffa, pura e semplice - ed essi non sarebbero stati in grado
di protrarla a lungo.
L’ascesa
del potere in Francia
Ora dobbiamo ritornare in Europa per
vedere come un singolo individuo fu in grado di manipolare l’intera economia
britannica ottenendo le prime notizie della sconfitta finale di Napoleone. Nel
1800 a Parigi la Banca di Francia era organizzata secondo schemi simili a
quelli della Banca d’Inghilterra. Napoleone, però, decise che la Francia doveva
liberarsi dei propri debiti; egli non si fidò mai della Banca di Francia, anche
quando collocò alcuni dei suoi parenti nel consiglio direttivo. Napoleone dichiarò che quando un governo
dipende dai banchieri per ottenere del denaro, i banchieri - e non i
rappresentanti del governo - detengono il controllo: “La mano che dà sta sopra
quella che prende. Il denaro non ha patria; i finanzieri non hanno né decenza
né patriottismo: il loro unico scopo è il guadagno”.
Egli intuì chiaramente i pericoli ma non
intravide le appropriate contromisure o soluzioni.
Tornando in America, l’aiuto inatteso
stava per giungere. Nel 1800 Thomas Jefferson sconfisse di stretta misura John
Adams nella corsa alla terza presidenza degli Stati Uniti e, nel 1803,
Jefferson e Napoleone avevano stipulato un accordo, secondo il quale gli USA
avrebbero pagato 3.000.000 di dollari in oro in cambio di un vasto territorio
ad ovest del fiume Mississippi; l’acquisto della Louisiana. Con quei tre
milioni di dollari in oro, Napoleone mise velocemente in piedi un esercito e
iniziò a scorrazzare in Europa, conquistando tutto ciò che trovava sul suo
cammino. Tuttavia l’Inghilterra e la Banca d’Inghilterra si apprestarono in
fretta ad opporglisi e finanziarono ogni nazione sul suo cammino, raccogliendo
gli enormi profitti di guerra; la Prussia, l’Austria ed infine la Russia si
indebitarono pesantemente nel futile tentativo di fermare Napoleone.
Quattro anni più tardi, mentre il grosso
dell’esercito francese si trovava in Russia, il trentenne Nathan Rothschild -
direttore dell’ufficio londinese della propria famiglia - si incaricò
personalmente di un ardito piano per contrabbandare una spedizione assai
necessaria di oro proprio attraverso la Francia, il cui scopo era finanziare un
attacco dalla Spagna da parte del britannico Duca di Wellington. Nathan in
seguito nel corso di una cena con amici si vantò del fatto che quello era il
migliore affare che avesse mai fatto. Egli guadagnò denaro per ogni fase della
spedizione; non sapeva ancora che nel prossimo futuro avrebbe fatto di meglio.
Gli attacchi di Wellington da sud ed altre sconfitte alla fine costrinsero
Napoleone ad abdicare; Luigi XVIII fu incoronato Re e Napoleone esiliato
nell’isola d’Elba, presumibilmente per sempre.
La fine
della Prima Banca degli Stati Uniti e la Guerra del 1812
Mentre Napoleone si trovava in esilio,
temporaneamente sconfitto dall’Inghilterra con l’aiuto finanziario dei
Rothschild, anche l’America stava cercando di liberarsi della propria banca
centrale. Nel 1811 fu presentato al Congresso un progetto di legge per
rinnovare lo statuto della Banca degli Stati Uniti; il dibattito divenne
incandescente ed entrambi i corpi legislativi della Pennsylvania e della
Virginia avanzarono delle mozioni che richiedevano al Congresso di porre fine
alla vita della banca. Gli uffici
stampa dell’epoca attaccarono apertamente la banca, definendola “una grande
truffa”, un “avvoltoio”, una “vipera” e un “cobra”; ah, se avessimo di nuovo
una stampa indipendente in America! Un congressista di nome P. B. Porter
attaccò la banca dal pavimento del Congresso, avvertendo profeticamente che, se
lo statuto della banca fosse stato rinnovato, il Congresso “avrà allevato nel
seno di questa Costituzione una vipera che un giorno o l’altro colpirà al cuore
le libertà di questa nazione”. Le
prospettive per la banca non erano delle più rosee. Alcuni scrittori hanno
affermato che Nathan Rothschild avvertì che se lo statuto della banca non fosse
stato rinnovato, gli Stati Uniti si sarebbero trovati coinvolti in una guerra
tra le più disastrose; questo però non fu sufficiente. Una volta che il fumo si
era disperso, il progetto di rinnovamento fu sconfitto alla Camera da un solo
voto e si arrestò al Senato. All’epoca alla Casa Bianca c’era James Madison,
quarto Presidente degli Stati Uniti, il quale - ricorderete - era un convinto
avversario della banca. Il suo Vice Presidente, George Clinton, ruppe un legame
in Senato e consegnò la Prima Banca degli Stati Uniti - la seconda banca
centrale di proprietà privata in territorio americano - all’oblio. Così la
Terza Guerra Bancaria Americana, durata vent’anni, si concluse con la sconfitta
dei Cambiavalute. Nel giro di cinque
mesi, così come si dice avesse predicato Rothschild, L’Inghilterra attaccò gli
Stati Uniti ed iniziò la guerra del 1812 la quale, essendo gli Inglesi ancora
impegnati a combattere Napoleone, terminò nel 1814 senza vincitori né vinti.
Risulta interessante notare che, nel corso di questa guerra, la Tesoreria degli
USA stampò una certa quantità di valuta cartacea governativa per finanziare lo
sforzo bellico - evento che non si sarebbe più ripetuto fino alla Guerra
Civile. Sebbene i Cambiavalute fossero
temporaneamente sconfitti, non stavano comunque con le mani in mano; sarebbero
bastati loro soltanto altri due anni per presentare una quarta banca centrale
privata, più grande e più forte di quella precedente.
1815: La battaglia di Waterloo
Torniamo
ora per un momento a Napoleone. Questo episodio dimostra appropriatamente la
furbizia della famiglia Rothschild nell’acquisizione del controllo del mercato
azionario inglese dopo Waterloo. Nel
1815, un anno dopo la fine della guerra del 1812, Napoleone fuggì dal proprio
esilio e ritornò a Parigi. Delle truppe francesi furono inviate a catturarlo,
ma il suo carisma era tale che i soldati accorsero in aiuto del loro vecchio
comandante e lo acclamarono di nuovo come loro Imperatore; Napoleone tornò a
Parigi come un eroe. Re Luigi scappò in esilio e Napoleone ascese nuovamente al
trono di Francia – stavolta senza che venisse sparato nemmeno un colpo.
Nel marzo del 1815, Napoleone mise in
piedi un esercito che l’inglese Duca di Wellington sconfisse meno di 90 giorni
più tardi a Waterloo. Egli prese a prestito cinque milioni di sterline dalla
banca Ouvard di Parigi per riarmare le truppe; nondimeno, da allora in avanti,
non fu più inusuale che banche centrali a controllo privato in una guerra
finanziassero entrambi i contendenti.
Perché una banca centrale in una guerra dovrebbe finanziare i fronti
opposti? Perché la guerra è il più
grande generatore di debiti in assoluto. Una nazione per vincere prenderà a
prestito qualsiasi somma. Al perdente finale viene prestato solo quel tanto
sufficiente a conservare una vaga speranza di vittoria, mentre al vincitore
finale viene dato quanto basta a vincere. Oltre a ciò, i prestiti di questo
tipo vengono normalmente concessi con la garanzia che il vincitore onorerà i
debiti dello sconfitto; solo i banchieri non possono perdere. Il luogo della battaglia di Waterloo si trova
a circa 200 miglia a nordest di Parigi, nell’attuale Belgio; lì Napoleone subì
la sua ultima sconfitta, tuttavia non prima che migliaia di francesi e inglesi
perdessero le proprie vite in un umido mattino del giugno del 1815. Quel
giorno, il 18 giugno, 74.000 soldati francesi si scontrarono con 67.000 soldati
britannici e di altre nazioni europee; l’esito era sicuramente incerto e, in
effetti, se Napoleone avesse attaccato qualche ora prima, probabilmente avrebbe
vinto la battaglia.
Tuttavia, indipendentemente da chi fossero
i vincitori e i perdenti, Nathan Rothschild di ritorno a Londra utilizzò
l’opportunità di acquisire il controllo del mercato azionario britannico; i
Rothschild contestano aspramente il resoconto che segue.
Rothschild piazzò sul lato nord del campo
di battaglia, vicino alla Manica, un agente fidato, tale Rothworth. Una volta
che l’esito della battaglia fu deciso, Rothworth si diresse verso la Manica e
diede a Nathan Rothschild le notizie fresche ventiquattr’ore prima del corriere
personale di Wellington. Rothschild si
recò velocemente alla Borsa e occupò il suo posto usuale di fronte a un’antica
colonna; tutti gli occhi erano su di lui. I Rothschild disponevano di una
leggendaria rete di comunicazione. Se Wellington era stato sconfitto e
Napoleone di nuovo in giro per il continente, la situazione finanziaria
britannica avrebbe preso certamente una pessima piega. Rothschild appariva
affranto, se ne stava immobile, gli occhi rivolti a terra. Poi,
improvvisamente, iniziò a vendere. Gli altri nervosi investitori videro che Rothschild
stava vendendo; questo poteva significare solo una cosa: Napoleone doveva aver
vinto e Wellington doveva essere stato sconfitto. La Borsa andò a picco. Ben
presto tutti si trovarono a vendere i propri titoli consolidati - obbligazioni
del governo inglese ed altre azioni - e i prezzi calarono. Poi Rothschild ed i
suoi alleati finanziari iniziarono segretamente a comprare tramite i propri
agenti. Pensate che si tratti di un
mito, di una leggenda? Un centinaio di anni dopo, il New York Times riportò la notizia
secondo cui il nipote di Nathan Rothschild aveva tentato di procurarsi la
sentenza di una corte per eliminare un libro contenente questa vicenda della
Borsa; la famiglia Rothschild dichiarò che questa storia era falsa e
diffamatoria, tuttavia la corte respinse la richiesta dei Rothschild ed
ingiunse alla famiglia di pagare tutte le spese processuali. Quello che risulta ancora più interessante
di tutta questa faccenda, è che alcuni autori affermano che il giorno dopo la
battaglia di Waterloo, nel giro di poche ore, Nathan Rothschild ed i suoi
alleati finanziari acquisirono il dominio non solo del mercato azionario ma
anche della Banca d’Inghilterra. (Una caratteristica interessante di alcuni
titoli consolidati era che potevano essere convertiti in azioni della Banca
d’Inghilterra)
L’apparentamento con i Montefiore, i Cohen
e i Goldsmith - dinastie bancarie stabilitesi in Inghilterra un secolo prima
dei Rothschild - aumentò il controllo finanziario dei Rothschild; tale
controllo venne ulteriormente consolidato tramite l’approvazione del Peel’s
Bank Charter Act del 1844. Che la
famiglia Rothschild e relativi alleati finanziari abbiano acquisito o meno il
completo controllo della Banca d’Inghilterra (la prima e più ricca banca
centrale di proprietà privata in una importante nazione europea) in questo
modo, una cosa è certa: verso la metà del 1800 i Rothschild erano la famiglia
più ricca del mondo, nessuno eccettuato. Essi dominavano i mercati delle nuove
obbligazioni statali e aprirono filiali presso altre banche e imprese
industriali in tutto il mondo; inoltre dominavano una costellazione di famiglie
secondarie meno influenti, come i Warburg e gli Schiff, che accomunarono la
loro vasta ricchezza a quella dei Rothschild.
Infatti la seconda metà del 19mo secolo fu
nota col nome di “Era di Rothschild”.
Lo scrittore Ignatius Balla stimò che la loro ricchezza personale nel
1913 ammontasse ad oltre due miliardi di dollari. Ricordate che il potere
d’acquisto del dollaro era maggiore di più del 1.000 per cento rispetto ad
oggi. Nonostante questa schiacciante ricchezza, la famiglia in genere ha
coltivato un’aura di invisibilità e sebbene essa controlli gli introiti di
società bancarie, industriali, commerciali, minerarie e turistiche, solo una
manciata di esse porta il loro nome. Alla fine del 19mo secolo un esperto stimò
che la famiglia Rothschild controllasse la metà della ricchezza mondiale. Qualunque sia l’entità della loro vasta
ricchezza, è ragionevole presumere che la loro percentuale della ricchezza
mondiale da allora sia aumentata spettacolarmente, poiché il potere persegue il
potere ed il desiderio di esso.
Tuttavia con l’arrivo di questo secolo, i Rothschild hanno attentamente
coltivato la nozione che il loro potere sia in qualche modo diminuito, anche se
la loro ricchezza e quella dei loro alleati finanziari aumenta in concomitanza
con il loro controllo di banche, società indebitate, media, politici e nazioni,
il tutto tramite delegati, agenti, candidati e consigli di amministrazione
interconnessi, che mantengono il loro ruolo nell’ombra.
Note sull’Autore:
Patrick S. J. Carmack, BBA, JD, si è
occupato di diritto societario ed è un ex Giudice Amministrativo della
Corporation Commission dello Stato dell’Oklahoma così come membro del tribunale
della Corte Suprema. Egli è coautore del video in due puntate The Money
Masters: How International Bankers Gained Control of America.
Nota dell’Editore
Il presente articolo è stato tratto su
licenza dal libro riveduto ed aggiornato del video The Money Masters: How International
Bankers Gained Control of America, prodotto da Patrick S. J. Carmack per la
Royalty Production Company, Colorado, USA, © 1998.
La lista dei testi che accompagna questo
articolo si può trovare presso il sito web <www.themoneymasters.com>.
Il libro e il video di Money Masters sono
disponibili presso: Royalty Production Company, 5149 Picket Drive, Colorado
Springs, CO 80907, USA, tel (719) 520 7264, fax (719) 599 4587, <www.themoneymasters.com>.
Fonte:
Rivista NEXUS n. 23
Nuovo
Ordine Mondiale: i Signori del Mondo (di Giorgio Dongiovanni)
Durante
alcuni dei miei viaggi a Londra ho potuto conoscere un personaggio che ha
lavorato per anni nel settore del Marketing. Tutto ciò che leggerete di seguito
è frutto di indagini che lui ha condotto personalmente; coinvolgendo, in varie
parti del mondo, figure di spicco legate alle grandi famiglie economiche. Ho
deciso di pubblicare integralmente la ricerca così come lui l’ha scritta, ma
penso sia giusto per etica professionale che tutto debba essere formulato sotto
forma di ipotesi. A mio parere la maggior parte delle informazioni sono vere,
faccio questa dichiarazione in relazione anche agli eventi che si stanno manifestando
nel mondo.
Chi
controlla il mondo oggi
La
conferma alla mia ricerca è partita da un trafiletto, pubblicato il 7 giugno
1999 dal Corriere della Sera, dove si parlava di un gruppo di persone fino
allora a me sconosciute i “Bilderbergers”. Così sono chiamati i membri del
Gruppo Bilderberg. L’articolo si riferiva alla loro riunione ufficiale annuale
del 1999, che si era appena conclusa in Portogallo in un Resort di un paese
chiamato Sintra. In questa riunione si era discusso, tra i vari temi, anche sul
dopo guerra in Kosovo. Il Gruppo Bilderberg, diceva l’articolo, è nato nel 1954
e riunisce i personaggi più illustri dei vari campi a livello internazionale.
Tra i personaggi presenti alla riunione venivano citati: U. Agnelli, H.
Kissinger, Mario Monti ed altri ancora. Leggendo queste informazioni sono
rimasto insospettito dal fatto che una riunione di questa importanza (per
argomento e personaggi) non avesse ricevuto maggior pubblicità dagli organi di
informazione. Incuriosito, ho sentito la necessità di conoscere, e capire più a
fondo la natura di questa organizzazione. Sono così venuto a conoscenza di
quelle che possono essere definite le forze negative che oggi detengono il
potere materiale nel mondo, dei loro pensieri e dei loro programmi. Se pensiamo
alla situazione del nostro pianeta possiamo fare finta di niente ed essere
felici e sereni oppure possiamo interrogarci su che mondo stiamo preparando per
le prossime generazioni e soprattutto sul perché siamo in questa situazione:
guerre civili e religiose in ogni continente, violenza e corruzione ovunque
anche negli stati che si definiscono più evoluti, uso di droghe in aumento
(persino legalizzate), la condizione di povertà in continua espansione in tutto
il mondo, un senso di ingiustizia diffuso, scandali che coinvolgono tutti i
personaggi che occupano posizioni di potere etc …….. Purtroppo, il trend, della
nostra società è drammaticamente negativo e ai nostri giorni il degrado è il
vero protagonista.
La
domanda che vale la pena porsi è: ma c’è qualcuno che alimenta queste cose,
esiste un comune denominatore dietro tutto questo, qualcuno che ne trae
beneficio? Solo la verità ci può rendere veramente liberi, liberi di capire e
quindi di rispondere. Allora la domanda che ci dobbiamo porre è conosciamo la
verità? Conosciamo veramente cosa si nasconde dietro il maturare di tutti
questi fenomeni? Certo i mass media, i politici, i sociologi ci “martellano”
con le loro interpretazioni, ma ci possiamo fidare?
Come
provocazione guardate la Tavola 1, questa è secondo David Icke (dal libro “And
the truth shall set you free”) la “Catena dei Comandi” del nostro pianeta ai
nostri giorni. Lo so è un po’ diversa da quella che siamo soliti pensare e
soprattutto ci sono tanti nomi, là in cima, con i quali non siamo familiari e
di cui nessuno parla. C’è anche il Gruppo Bilderberg ma non è il vertice della
gerarchia, quindi prima di parlare di loro vediamo di scoprire chi sono quelli
che sembrano comandarli.
Gli
Illuminati e la Nobiltà Nera
Come
dice la parola stessa gli Illuminati sono i portatori di luce, quelli che
sanno, ma la loro luce è, apparentemente, Lucifero o Satana. Appartengono a
tredici delle più ricche famiglie del mondo e sono i personaggi che veramente
comandano il mondo da dietro le quinte. Vengono anche definiti la Nobiltà Nera,
i Decision Makers, chi fa le regole da seguire per Presidenti e Governi. La
loro caratteristica è quella di essere nascosti agli occhi del pubblico. Il
loro albero genealogico va indietro migliaia di anni e sono molto attenti a mantenere
il loro legame di sangue di generazione in generazione senza interromperla.
Il loro
potere risiede nell’occulto e nell’economia, uno dei loro motti è: “il denaro
crea potere”. Possiedono tutte le Banche Internazionali, il settore petrolifero
e tutti i più potenti settori industriali e commerciali; ma soprattutto sono
infiltrati nella politica e comandano la maggior parte dei governi e degli
organi Sovranazionali primi fra tutti l’ONU ed il Fondo Monetario
Internazionale. Un esempio del loro modo di operare è l’elezione del Presidente
degli Stati Uniti, chi tra i candidati ha più Sponsor sotto forma di soldi,
vince le elezioni perché con questi soldi ha il potere di “distruggere” l’altro
candidato. E chi è che sponsorizza il candidato vincente? Ovviamente gli
Illuminati attraverso le loro molte organizzazioni di facciata, fanno in modo
di finanziare entrambi i candidati, per mantenere il “gioco” vivo anche se loro
hanno già deciso chi sarà il vincitore e a questo assicurano più soldi. I loro
piani sono sempre lungimiranti, sembra che Bill Clinton sia stato preparato
alla missione di Presidente dall’entourage degli Illuminati fin da quando era
giovane. Qual è l’obiettivo degli Illuminati? Creare un Unico Governo Mondiale
ed un Nuovo Ordine Mondiale, con a capo loro stessi per sottomettere il mondo a
una nuova schiavitù, non fisica, ma “spirituale” ed affermare il loro credo:
l’ideologia Luciferica. Questo obiettivo non può essere conseguito nel periodo
di una vita, le sue origini sono antiche e risalgono già al 1700 quando il
complotto venne formalizzato, con l’elaborazione di veri e propri documenti
programmatici.
Nella
prima metà del 1700 l’incontro tra il Gruppo dei Savi di Sion e Mayer Amschel
Rothschild, l’abile fondatore della famosa dinastia che ancora oggi controlla
il Sistema Bancario Internazionale, porta alla redazione di un manifesto: “I
Protocolli dei Savi di Sion”. In 24 paragrafi, viene descritto come soggiogare
e dominare il mondo con l’aiuto di un sistema economico. Sempre Mayer Amschel Rothschild
aiuta e finanzia l’ebreo Adam Weishaupt, un ex prete gesuita, che a Francoforte
crea un Gruppo Segreto dal nome “Gli Illuminati di Baviera”. Weishaupt
prendendo spunto dai “ Protocolli dei Savi di Sion” elabora all’incirca verso
il 1770 “Il Nuovo Testamento di Satana” un piano che dovrà portare, non più gli
Ebrei ma un gruppo ristretto di persone (gli Illuminati o Banchieri
Internazionali) ad avere il controllo ultimo del mondo intero. La strategia di
Weishaupt era basata su principi molto fini e spietati. Bisognava arrivare alla
soppressione dei Governi Nazionali e alla concentrazione del potere in Governi
ed Organi Sovranazionali ovviamente gestiti dagli Illuminati. Ecco alcuni
esempi operativi sulle cose da fare:
Creare
la divisione delle masse in campi opposti attraverso la politica, l’economia,
gli aspetti sociali, la religione, l’etnia etc … Se necessario armarli e
provocare incidenti in modo che si combattano e si indeboliscano.
Corrompere
(con denaro e sesso) e quindi rendere ricattabili i politici o chi ha una
posizione di potere all’interno di uno stato. Scegliere il futuro capo di stato
tra quelli che sono servili e sottomessi incondizionatamente. Avere il
controllo delle scuole (licei ed Università) per fare in modo che i giovani
talenti di buona famiglia siano indirizzati ad una cultura internazionale e
diventino inconsciamente agenti del complotto. Assicurare che le decisioni più
importanti in uno stato siano coerenti nel lungo termine all’obiettivo di un
Nuovo Ordine Mondiale. Controllare la stampa, per poter manipolare le masse
attraverso l’informazione. Abituare le masse a vivere sulle apparenze e a
soddisfare solo il loro piacere, perché in una società depravata gli uomini
perdono la fede in Dio. Secondo Weishaupt, mettendo in pratica le sue
raccomandazioni si doveva arrivare a creare un tale stato di degrado, di
confusione e quindi di spossatezza, che le masse avrebbero dovuto reagire
cercando un protettore o un benefattore al quale sottomettersi liberamente. Da
qui il bisogno di costituire degli Organi Sovranazionali pronti a sfruttare
questo stato di cose, fingendosi i salvatori della patria, per istituire un
Unico Governo Mondiale.
Nel 1871
il piano di Weishaupt viene ulteriormente completato da un suo seguace
Americano Albert Pike che elabora un documento per l’istituzione di un Nuovo
Ordine Mondiale attraverso tre Guerre Mondiali. Il suo pensiero era che questo
programma di guerre avrebbe generato nelle masse un tale bisogno di pace, che
sarebbe diventato naturale arrivare alla costituzione di un Unico Governo
Mondiale. Non a caso dopo la Seconda Guerra Mondiale venne fatto il primo passo
in questa direzione con la formazione dell’ONU, che possiamo definire la
polizia del mondo degli Illuminati. Tornando al pensiero di Pike, la Prima
Guerra Mondiale doveva portare gli Illuminati, che già avevano il controllo di
alcuni Stati Europei e stavano conquistando attraverso le loro trame gli Stati
Uniti di America, ad avere anche la guida della Russia. Quest’ultima avrebbe
poi dovuto interpretare un ruolo che doveva portare alla divisione del mondo in
due blocchi. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe dovuta partire dalla Germania,
manipolando le diverse opinioni tra i nazionalisti tedeschi e i sionisti
politicamente impegnati. Inoltre avrebbe portato la Russia ad estendere la sua
zona di influenza e reso possibile la costituzione dello Stato di Israele in
Palestina. La Terza Guerra Mondiale sarà basata sulle divergenze di opinioni
che gli Illuminati avranno creato tra i Sionisti e gli Arabi, programmando
l’estensione del conflitto a livello mondiale.
Col passare degli anni il
Quartiere Generale di questo complotto passa dalla Germania (Francoforte), alla
Svizzera, poi all’Inghilterra (Londra) ed infine agli Stati Uniti d’America
(New York). E’ quindi dal 1700 che le famiglie degli Illuminati, generazione
dopo generazione, influenzano la storia per raggiungere i propri traguardi.
Ecco un elenco dei fatti principali che negli ultimi 3 secoli sono stati
architettati, fomentati o finanziati dagli Illuminati: la Rivoluzione Francese,
le Guerre Napoleoniche, la nascita dell’ideologia Comunista, la I Guerra
Mondiale, la Rivoluzione Bolscevica, la nascita dell’ideologia Nazista, la II
Guerra Mondiale, la fondazione dell’ONU, la nascita dello Stato di Israele, la
Guerra del Golfo, la nascita dell’Europa Unita…
Nella
Tavola 3 e Tavola4 è rappresentata la rete di potere che gli Illuminati si sono
costruiti in quasi 300 anni. Ovviamente non potevano pensare di conseguire i
loro obiettivi da soli, avevano ed hanno bisogno di una “struttura operativa”,
composta da organizzazioni o persone che esercitando del potere operino più o
meno consapevolmente nella stessa direzione. Come potete constatare gli
Illuminati controllano o hanno i loro uomini ovunque, possiamo tranquillamente
dire che sono i signori del mondo. La loro strategia ha fatto leva su 2
capisaldi: a) la forza del denaro, hanno costituito e controllano il Sistema
Bancario Internazionale; b) la disponibilità di persone fidate, ottenuta
attraverso il controllo delle Società o Associazioni Segrete (logge
massoniche). Queste ultime con i loro diversi gradi di iniziazione hanno
garantito e garantiscono tutt’ora quell’alone di discretezza necessario al
piano degli Illuminati. Gli Illuminati, e chi con loro controlla queste
Società, sono Satanisti e praticano la magia nera.
Il loro
Dio è Lucifero e attraverso pratiche e riti occulti manipolano e influenzano le
masse. E pensare che la cultura dominante ci dice che la magia non esiste anzi,
considera ridicolo chi ci crede. E’ anche da questa scienza di tipo occulto,
che gli Illuminati hanno sviluppato la teoria sul controllo mentale delle
masse. Per chiarire ecco un esempio: a quanto sembra anche Hollywood, le
maggiori Case Cinematografiche e Discografiche internazionali, fanno parte
della rete degli Illuminati. Molte volte i loro prodotti sono usati come
strumenti di indottrinamento e agiscono in modo “invisibile” sulla psiche.
Penso che nessuno possa negare che oggi esistono certi tipi di musica, privi di
qualsiasi qualità, il cui unico effetto voluto è quello di provocare nei
giovani apatia, robotismo, violenza ed essere uno stimolo all’uso di droghe.
Dicevamo prima, che gli uomini che controllano gli Illuminati fanno parte di
tredici delle famiglie più ricche del mondo. I loro nomi sono rimasti segreti
negli anni e la leadership famigliare è stata passata da uomo a uomo
generazione dopo generazione. Comunque nessun segreto può essere tenuto per
sempre e anche in questo caso recentemente sono stati resi noti i loro nomi,
grazie a qualcuno che, abbandonando l’ordine, ha deciso di cambiare vita e
rivelare le informazioni più importanti. Ecco quindi le tredici famiglie che
sembrano avere il compito di gestire il pianeta da dietro le quinte per
condurlo al Nuovo Ordine Mondiale:
ASTOR,
BUNDY, COLLINS, DUPONT, FREEMAN, KENNEDY, LI, ONASSIS, ROCKFELLER, ROTHSCHILD,
RUSSELL, VAN DUYN, MEROVINGI (famiglie Reali Europee)
Sono
dunque loro il vero governo del mondo o meglio il governo segreto?
Il
Gruppo Bilderberg
Il
Gruppo Bilderberg, rappresenta uno dei più potenti Gruppi di facciata degli
Illuminati. Nasce informalmente nel 1952, ma prende questo nome solo nel 1954
quando il 29 maggio viene indetto il primo incontro presso l’Hotel Bilderberg
di Oosterbeek in Olanda. Da allora le riunioni sono state ripetute 1 o 2 volte
all’anno. All’inizio solo in Paesi Europei, ma dagli inizi degli anni ‘60 anche
in Nord America. Tra i promotori del Gruppo bisogna menzionare almeno due
personaggi: Sua Maestà il Principe Bernardo de Lippe di Olanda (ex Ufficiale
delle SS), che ne è rimasto il presidente fino a quando nel 1976 ha dovuto dare
le dimissioni per lo scandalo “Lockheed” e Joseph Retinger un “faccendiere”
Polacco che si era costruito una fitta rete di relazioni tra personaggi della
Politica e dell’Esercito a livello Mondiale. Retinger viene descritto come
l’istigatore del gruppo, la sua visione era costruire un’ Europa unita per
arrivare ad un Mondo unito in pace, dove potenti Organizzazioni Sovranazionali
avrebbero garantito con l’applicazione delle loro ideologie, più stabilità dei
singoli governi nazionali. Fin dalla prima riunione furono invitati banchieri,
politici, universitari, funzionari internazionali degli Stati Uniti e dei paesi
dell’Europa Occidentale per un totale all’incirca di un centinaio di
personaggi, tra questi, sembra anche Alcide De Gasperi. Ai tempi della
costituzione l’obiettivo dichiarato ufficialmente, era quello di creare l’unità
Occidentale per contrastare l’espansione Sovietica. In realtà malgrado le apparenti
buone intenzioni, il vero obiettivo era quello di formare un’altra
organizzazione di facciata che potesse attivamente contribuire ai disegni degli
Illuminati: la costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale e di un Governo
Mondiale entro il 2012.
La Strategia
William
Cooper un anziano Sotto Ufficiale dei Servizi Segreti della Marina
Statunitense, include nel suo libro “Behold a pale horse” (Light Technology
1991) del materiale top secret nel quale è illustrato il pensiero e la
strategia adottati dal comitato politico del Gruppo Bilderberg. Questo
documento programmatico ha un titolo quanto mai significativo “Armi Silenziose
per delle guerre tranquille”. Il documento riporta la data del maggio 1979, ma
fu ritrovato solo nel 1986. Cooper spiega “ Ho letto dei documenti top secret
che spiegano che “Armi Silenziose per delle guerre silenziose” è una dottrina
adottata dal comitato politico del Gruppo Bilderberg durante il suo primo
meeting nel 1954. Una copia trovata nel 1969 era in possesso dei Servizi di Informazione
della Marina Statunitense”. L’assunto principale del documento è che chiunque
voglia assumere una posizione di potere all’interno di una comunità è come se
“simbolicamente” dichiarasse guerra alle persone che la compongono. La guerra
che però deve essere intrapresa non è su un piano fisico/materiale e le armi
utilizzate sono silenziose munizioni invisibili.
Il
documento spiega la filosofia, le origini operative (che sembrano essere legate
ai famosi documenti scritti tra il 1700 ed il 1800 e finanziati da Mayer
Amschel Rothschild), i principi raffinati, le linee guida e gli strumenti di
questa dottrina dalle “armi silenziose”. Un vero manuale per l’uso, per
professare una scienza che attraverso il controllo dell’economia vuole
soggiogare il mondo intero. Vista l’importanza e la complessità del documento
sarebbe necessario dedicargli un approfondimento specifico. In questa sede è
sufficiente accennare alle principali aree in cui si articola questo programma:
Grazie
alla segretezza con cui si muovono, ma soprattutto grazie al potere che
esercitano sugli organi di informazione i Bilderbergers sono riusciti a
controllare la pubblicità sulle loro riunioni e sui temi discussi. Negli anni
però qualche notizia è riuscita a trapelare sui principali temi trattati
durante le loro delibere segrete:
Temi che
fanno capire il potere che questo Gruppo è in grado di esercitare. Sembra che
tutte le decisioni più importanti a livello politico, sociale,
economico/finanziario per il mondo occidentale vengano in qualche modo
ratificate dai Bilderbergers. D’altronde scorrendo i loro biglietti da visita
una cosa è certa: hanno le “leve” per fare qualsiasi cosa.
Accennavamo
prima alla segretezza, questo è sicuramente un aspetto centrale per la
strategia del Gruppo. Le riunioni sono tenute in forma non pubblica e solo i
giornalisti ufficialmente invitati possono essere ammessi. Al termine delle
conferenze annuali (normalmente durano un paio di giorni) viene redatto un
semplice comunicato stampa di un paio di pagine; ovviamente non viene tenuta
nessuna conferenza stampa. I vari partecipanti interrogati al riguardo di
queste riunioni sono sempre molto evasivi e se possono non rispondono. Gli
organi di informazione di massa non danno nessuna notizia su queste conferenze
o se lo fanno, lo fanno con un peso assolutamente insignificante non adeguato
all’evento. Chi osserva e conosce i Bilderbergers da parecchi anni afferma che
anche la preparazione delle riunioni segue un rituale “curioso” mirato a
tutelare questo ambito di segretezza. L’Hotel selezionato viene occupato con
qualche giorno di anticipo. Parte del normale personale viene sostituito con
personale di fiducia. La domanda da porsi è perché tutto questo? Perché
personaggi pubblici che discutono temi di interesse pubblico non vogliono
rendere note le loro decisioni? Questa è forse la prova più grossa sulla natura
e sulle vere finalità di questa organizzazione.
L’Organizzazione
Il
Gruppo dei Bilderberg recluta Politici, Ministri, Finanzieri, Presidenti di
multinazionali, magnati dell’informazione, Reali, Professori Universitari,
uomini di vari campi che con le loro decisioni possono influenzare il mondo. Tutti
i membri aderiscono alle idee precedenti, ma non tutti sono al corrente della
profonda verità ideologica di alcuni dei membri principali, i quali sono i veri
istigatori e fanno parte anche di altre organizzazioni degli Illuminati dal
nome: Trilaterale (riunisce industriali e businessman dei tre blocchi
continentali USA, Europa, Giappone/Asia) e Commission of Foreign Relationship
(3D CFR che ormai dal 1921 riunisce tutti i personaggi che gestiscono gli USA
). Questi membri particolari sono i più potenti e fanno parte di quello che
viene definito il “cerchio interiore”. Il “cerchio esteriore” è invece
l’insieme degli uomini della finanza, della politica ed altro, che sono sedotti
dalle idee di instaurare un governo mondiale che regolerà tutto a livello politico
ed economico. Il “cerchio esteriore” è composto da quelli che vengono definiti
“le marionette” che sono utilizzati dal “cerchio interiore” perché i loro
membri sanno che non possono cambiare il mondo da soli ed hanno bisogno di
collaboratori motivati. Quindi il “cerchio interiore” ed il “cerchio esteriore”
agiscono di concerto ma non con le stesse motivazioni. “Le marionette” dei vari
“cerchi esteriori” sono spinte dal desiderio di arricchirsi, di avere potere
o/e sono convinti che un governo unico mondiale sia la soluzione di tutti i
problemi e che apporterà più pace e coesione di una moltitudine di piccoli
paesi. Dal canto loro le persone del “cerchio interiore” sono già ricche e
potenti, la loro consapevolezza è ad un gradino superiore, le loro motivazioni
sono solo ideologiche, per intenderci dovrebbero essere quelle espresse nel
piano degli Illuminati.
Il primo
cerchio esteriore è composto da chi solo partecipa alle conferenze annuali
senza essere affiliato al Gruppo. Possono essere personaggi di cui si vuole
valutare il reclutamento oppure invitati per discutere specifici argomenti. Gli
affiliati del gruppo possono anche non essere presenti alle conferenze annuali,
i contatti vengono tenuti attraverso altri canali. Il primo Cerchio interiore è
composto solo da Bilderbergers, membri del Gruppo e rappresenta il Comitato di
Direzione (Steering Committee). Vi risiedono europei ed americani (tutti parte
del CFR). Alcuni di questi membri fanno parte di un secondo cerchio interiore
ancora più chiuso e formano il Comitato Consultativo (Advisory Committee) del
Gruppo. L”Advisory Committee” dovrebbe essere composto da 9 persone tra i quali
spiccano i nomi di Giovanni Agnelli e David Rockfeller. Nello Steering
Committee, composto da circa una trentina di persone, sono citati come
rappresentati nazionali per l’Italia: Mario Monti (attualmente ex Commissario
della Comunità Europea) e Renato Ruggiero (ex Direttore Generale del WTO World
Trade Organization, attualmente Presidente dell’ENI).
Gli
Italiani del gruppo
L’Italia
sembra giocare il suo ruolo nell’organizzazione, se non altro perché Giovanni
Agnelli è uno dei membri dell’Advisory Committee e perché come Francia,
Germania ed Inghilterra ha 2 nomi nello Steering Committee. In Italia sono
state tenute 3 delle conferenze fatte nel periodo 1954-1999: nel 1957 a Fiuggi,
nel 1965 e nel 1987 a Villa d’Este. Ecco i nomi degli Italiani che sembrano
aver partecipato alle ultime riunioni annuali:
1995
Giovanni ed Umberto Agnelli, Mario Draghi, Renato Ruggiero
1996
Giovanni Agnelli, Franco Bernabè, Mario Monti, Renato Ruggiero, Walter Veltroni
1997
Giovanni ed Umberto Agnelli, Carlo Rossella, Stefano Silvestri
1998
Giovanni Agnelli, Franco Bernabè, Emma Bonino, Luigi Cavalchini, Rainer Masera,
Tommaso Padoa-Schioppa, Domenico Siniscalco
1999
Umberto Agnelli, Franco Bernabè, Paolo Fresco, Francesco Giavazzi, Mario Monti,
Tommaso Padoa-Schioppa, Alessandro Profumo.
La
presenza della Bonino alla riunione del 1998, serve a spiegare il perché dei
suoi exploit del 1999, oppure è solo una coincidenza? Ha forse trovato qualche
gruppo di potere pronto a finanziarla? In cambio di che cosa? Non lo sapremo
mai, però il dubbio rimane.
L’ultimo
incontro
L’ultimo
incontro del Gruppo si è tenuto in Portogallo dal 3 al 6 giugno. Un settimanale
Portoghese dal nome “The News” (tutti gli articoli scritti al riguardo sono
ancora disponibili sul sito HYPERLINK http://www.the-news.net) è stato il primo
ad annunciare la notizia della riunione annuale con l’edizione del primo maggio
e da allora ha seguito l’escalation della preparazione dell’incontro fino ad
arrivare a pubblicare la lista dei partecipanti. Sembra che il Governo
portoghese abbia ricevuto migliaia di dollari dai Bilderbergers per organizzare
un servizio militare compreso di elicotteri che si occupasse di garantire la
loro privacy e sicurezza. Nella tavola 2 trovate i nomi di chi ha partecipato
all’incontro. Le informazioni che sono trapelate, hanno permesso la stesura di
una possibile agenda dei temi trattati:
1)
Governo Globale: stato di avanzamento della formazione di un blocco Asiatico
sotto la leadership del Giappone. Libero mercato, moneta unica e unione
politica sono gli obiettivi da raggiungere nella regione. Il modello Europeo è
anche il punto di riferimento per la costituzione dell’Unione Americana tra USA
e Canada.
2)
Guerra in Kosovo: formazione di un Grande Stato d’Albania a seguito della
dichiarazione d’indipendenza del Kosovo. Ridisegno dei confini della regione
con il continuo smembramento della Yugoslavia attraverso il ritorno
all’Ungheria della provincia del nord composta da 350.000 persone di etnia
ungherese. Proseguimento dello stato di instabilità e di conflitto della
regione. Pianificazione della ricostruzione delle infrastrutture della regione
a spesa dei contribuenti occidentali.
3)
Esercito dell’Europa Unita: attuare al più presto la sostituzione delle Forze
Armate della NATO con l’istituzione di Forze Militari dell’Europa Unita.
L’immagine negativa che la NATO si è costruita durante il conflitto mette a
rischio le sue operazioni. L’idea è che nella fase di avviamento l’Esercito
Statunitense sia da supporto a quello Europeo.
4) Anno
00: i Bilderbergers sono preoccupati dall’impatto del Millenium Bug, secondo le
loro previsioni sarà molto peggiore di quanto ci si possa aspettare. Un
possibile progetto da intraprendere potrebbe essere quello di nominare un
personaggio di fama internazionale per aiutare l’opera di sensibilizzazione
necessaria.
5) Medio
Oriente: preparazione di un accordo di pace nella regione, con la dichiarazione
dello Stato di Palestina. Apparentemente le condizioni di pace non saranno così
gradite da Israele e quindi potrebbero rappresentare il pretesto per futuri
conflitti e tensione nella regione.
6)
Tassazione Globale a supporto dell’ONU: l’obiettivo è finanziare il centro
operativo del Governo Mondiale, con l’introduzione di una tassa sul commercio
via Internet. Questa tassa sarà sostituita in futuro da una tassa diretta
individuale che sarà raccolta in nome dell’ONU, direttamente da ogni singolo stato.
I fatti
degli ultimi tre mesi, sembrano dimostrare che la maggior parte dei punti di
questa agenda sono in fase di attuazione.
Conclusioni
Le
informazioni presentate sono il risultato di una vasta ricerca. Anche se ciò
può sembrare molto strano o lontano dalle nostre certezze, il tutto è partito
da una realtà concreta dei nostri giorni, di cui è apparso un articolo sul
Corriere della Sera: i Bilderbergers. Per riuscire a “digerire” e a
sintetizzare tutto quello che ho scoperto, ho dovuto mantenere il mio spirito
aperto e soprattutto, in molte occasioni, sono dovuto andare oltre il mio
normale modo di pensare. Il mio obiettivo non vuole essere quello di affermare
una verità ma quello di offrire uno spunto per la riflessione e per una propria
ricerca. Solo con un forte spirito critico possiamo conoscere la verità, essere
liberi, diventare cittadini emancipati e quindi contribuire a un mondo
migliore.
http://www.nonsiamosoli.org
Tratto
dal sito www.nwo.it
La
storia segreta e il Nuovo Ordine Mondiale
"Il
mondo si divide in tre categorie di persone: un piccolissimo numero che fanno
produrre gli avvenimenti; un gruppo un po’ più importante che veglia alla loro
esecuzione e assiste al loro compimento, e infine una vasta maggioranza che
giammai saprà ciò che in realtà è accaduto". Così si espresse Nicholas
Murray Butler. Giova ricordare chi era questo personaggio. Il Dr. Nicholas
Murray Butler è stato presidente dell’Università di Columbia, presidente della
Carnegie Endwment for International Peace, membro fondatore, presidente della
Pilgrims Society e membro del Council on Foreign Relations (CFR) e capo del
British Israel. Taluni autori denunciano, sempre con maggiore insistenza, che è
in atto una cospirazione superpolitica, "religiosa" o satanica che
coinvolge l’alta finanza, le massonerie e l’integralismo islamico. I fili della
storia, asseriscono questi studiosi, si tirano proprio nelle logge massoniche e
nei consigli di amministrazione delle multinazionali e delle grandi banche. La
Rivoluzione francese fu una congiura massonica, preparata da "società di
pensiero" – uguali a quelle studiate da Augustin Cochin (1876-1916) – e da
altri gruppi di pressione. La Rivoluzione bolscevica fu una congiura
giudaico-massonica. Diversi storici sono convinti di questo.
Lo
stesso "Times" (10 marzo 1920) confermò il complotto: "Si può
considerare ormai come accettato che la rivoluzione bolscevica del 1917 è stata
finanziata e sostenuta principalmente dall’alta finanza ebraica attraverso la
Svezia: ciò non è che un aspetto della messa in atto del complotto del
1773". Estrema importanza assume, sempre al riguardo della rivoluzione
russa del febbraio del 1917, il fatto che, non affatto casualmente, il governo
fosse costituito principalmente da massoni, tra questi risaltava Kerensky. E’
anche rivelatore il libro "Rossija nakanune revoljucii" di Grigorij
Aronson, che fu pubblicato nel 1962 a New York e che riporta delle missive di
E. D. Kuskova, moglie del massone Prokopovic, legato da grande amicizia al
confratello Kerensky. In una di queste lettere, datata 15 novembre 1955, si
legge: "Avevamo la ‘nostra’ gente dappertutto. (...). Fino a questo
momento il segreto di questa organizzazione non è stato mai divulgato, eppure
l’organizzazione era enorme. Al tempo della rivoluzione di febbraio tutta la
Russia era coperta da una rete di logge". L’iniziato Jean Marques-Rivière
scrisse: "L’esoterismo, con la sua forza sul piano ideologico, guida il
mondo". Non bisogna stupirsene. E’ innegabile il diffondersi, nelle maglie
della nostra società, di una subdola propagazione di idee, combattute con
inflessibilità dalla Chiesa, ma non estirpate del tutto, che ora godono di un
pericoloso risveglio e diffusione. E’ una letteratura imponente quella dei
cosiddetti cospirazionisti, disprezzata dagli storici ufficiali, che, invece,
non obiettano quando la stessa metodologia viene adottata dalla sinistra e
dall’estrema sinistra, vedi "golpe De Lorenzo", "strategia della
tensione", ecc. che non sono altro che capitoli di una teoria della
cospirazione, che nega di esserlo.
Il lato
occulto della storia contemporanea è complesso e, oltremodo, variegato.
Insospettabili VIP. del mondo che conta sono affiliati ad oscuri ordini
esoterici. L’ex presidente americano George Bush è un 33° grado della
Massoneria di Rito Scozzese, lo ha rivelato Giuliano Di Bernardo, Gran Maestro
della Massoneria italiana, al quotidiano "La Stampa" (23 marzo 1990).
Bush sarebbe stato iniziato, nel 1943, alla setta "Skull and Bones"
(Teschio e Ossa) dell’Università di Yale, fondata nel 1832. George Bush ha
diretto anche la Cia. La Skull and Bones assieme a società come il Rhodes
Trust, secondo l’autorevole rivista inglese "Economist" (25 dicembre
1992), sono la moderna risorgenza degli "Illuminati di Baviera" di
Jean Adam Weisshaupt (1748-1830). Anche suo padre Prescott sarebbe stato membro
della setta "Skull and Bones". Di essa farebbero parte le più potenti
famiglie degli Stati Uniti (1). Tra queste vale la pena di menzionare "la
famiglia Harriman, della Morgan Guaranty Trust, è Skull and Bones da
generazioni. Petrolio: ci sono i Rockefeller, fra gli iniziati. Studi legali di
grido. Poltrone alte della Cia. Vicepresidenza degli Stati Uniti". E’
anche molto interessante venire a sapere che, secondo quanto scrive lo storico
Antony C. Sutton in "America’s Secret Establishment" (liberty House
Press. Bilings 1986, pagg. 207 e segg.), la "Skull and Bones" è
collegata al movimento New Age e ad essa, asserisce ancora Sutton, non sono
estranei aspetti satanisti. Marylin Ferguson nel suo libro "The Aquarian
Conspiracy", una vera e propria Bibbia del movimento New Age, mette
assieme Huxley con Teilhard de Chardin, Carl Gustav Jung, Maslow, Carl Rogers,
Roberto Assagioli, Krishnamurti, ecc. tra i personaggi, che sono da considerare
come padri spirituali del New Age. Aldous Huxley e suo fratello Julian,
quest’ultimo fu il primo dirigente dell’U.N.E.S.C.O., erano anche membri di
importanti affiliazioni mondialiste, tra queste ricordo l’anglosassone Fabian
Society. Sui vertici del mondialismo, René Guenon, che era un 33° grado del
Rito Scozzese Antico Accettato e un 90° del Rito Egiziano di Memphis-Misraim,
ebbe ad affermare: "…ma dietro tutti questi movimenti non potrebbe esserci
qualcosa di altrimenti temibile, che forse neanche i loro stessi capi conoscono,
e di cui essi a loro volta quindi, non sono che dei semplici strumenti? Noi ci
accontenteremo di porre questa domanda senza cercare di risolverla qui"
(cit. da "Il Teosofismo", edizioni Arktos, 1987, vol. II, pag. 297).
Ritornando alla "Skull and Bones" la sua importanza può essere ben
compresa se si riflette che, nel 1917, essa diresse, tra l’altro, quel centro
finanziario denominato "120 Brodway", finanziatore del bolscevismo in
Russia e del nazismo in Germania che, tra l’altro, portò al potere.
Non ci
si meravigli se, a questi livelli, parole come "destra e sinistra"
non hanno più significato, più esattamente, non si bada a razze, religioni o
ideologie: questi sono solo mezzi da utilizzare per raggiungere il fine ultimo,
su scala mondiale, con l’antica strategia del "divide et impera". E,
a questo punto, non meraviglia venire a conoscenza delle trattative segrete
intercorse tra George Bush ed alte personalità del governo dell’Iran, che poi
hanno portato allo scandalo dell’Irangate. Gli accordi furono resi possibili da
Khomeini e dal suo entourage, comprendente buona parte dei suoi ministri, il
capo della polizia, il comandante dell’esercito, il procuratore generale del
tribunale islamico, il capo della polizia segreta, ecc., sono, o sono stati,
affiliati alla Grande Loggia dell’Iran, che è sottoposta alla dipendenza della
Gran Loggia d’Inghilterra. E’ poi noto che l’ex presidente George Bush è
esponente di rilievo della sinarchia internazionale, figura di spicco del
C.F.R, della Trilaterale, della potente Pilgrims Society oltre che della Skull
and Bones. E’ anche interessante accennare ad un articolo, firmato M.
Dornbierer, apparso, il 29 gennaio 1991, sul giornale messicano
"Excelsior" che spiegava lo "smisurato sionismo" di Bush
documentando la sua origine ebraica secondo quanto indicato nell’Enciclopedia
ebraica castigliana. Bush è inoltre un W.A.S.P. (White Anglo-Saxon Protestant),
ovvero un americano convinto che la sua origine razziale e le sue convinzioni
religiose lo pongano al di sopra degli altri uomini. Scrive Blondet che
"secondo Sutton, lo storico della Skull and Bones, la stessa locuzione
‘Nuovo Ordine Mondiale’ descrive il fine ultimo che gli affiliati alla società
segreta di Yale s’impegnano a perseguire...
A questo
i membri dell’Ordine s’impegnerebbero a giungere attraverso la gestione di
conflitti artificialmente generati, come quello tra nazismo e comunismo.... Per
Sutton, questa filosofia segreta dell’Ordine rivelerebbe la sua origine tedesca
(che Sutton ritiene di poter provare): gli iniziati sarebbero dei tardi seguaci
di Hegel, votati a far progredire il mondo attraverso opposizioni, tesi e
antitesi, per poi comporle in una sintesi superiore. L’ipotesi, affascinante,
può essere superflua. A noi sembra sufficiente evocare uno dei motti, delle
insegne della Massoneria, che suona: Ordo ab Chao, l’Ordine (nasce) dal
Caos". L’idea del "Nuovo Ordine del Mondo" è perseguita con
accanimento. Del presidente Bill Clinton, scrive Epiphanius (Op. cit. pag.
497): "la sua educazione l’ha ricevuta nella britannica Oxford, dove venne
ammesso nel super elitario ‘Rhodes Group’, una società superiore dell’area del
POTERE affine alla ‘Skull and Bones", come scrisse l’’Economist’ inglese
nel suo numero del 25 dicembre 1992. L’’Economist’ elencava una decina delle
maggiori ‘società d’influenza’ del mondo occidentale rivelando la loro comune
derivazione dall’Ordine degli Illuminati di Weisshaupt fondato nel 1776.
Clinton appartiene anche al C.F.R., alla Commissione Trilaterale e al
Bilderberg…". Clinton ha portato con sé Les Aspin (CFR) che, tra l’altro,
ha firmato la "Dichiarazione di Interdipendenza", che è, in sostanza,
- una mozione del Congresso che nel 1962, proponeva di cancellare dalla
Costituzione ogni dichiarazione di sovranità nazionale, in quanto ostacolo
all’instaurazione di un ‘Nuovo Ordine Mondiale’". "Il Rhodes Group –
ci fa sapere ancora Epiphanius, alla nota 145, pag. 497, del suo
"Massoneria e sette segrete" (cit.) – nacque nel 1891 per iniziativa
di Lord Cecil Rhodes, ricchissimo personaggio legato ai Rothschild, assieme a
Lord Milner, Lord Isher, Lord Balfour e un Rothschild, intorno all’idea-guida
di organizzare una federazione mondiale di cui U.S.A. e Impero britannico
sarebbero stati il centro propulsore. Il mezzo per attuarla consisteva in una
selezione elitaria dei quadri protagonisti degli ambienti universitari,
politici, finanziari. Attorno a questo nucleo iniziale permeato delle idee
mondialiste e socialiste della Fabian Society, sorsero i gruppi della Round
Table che a loro volta, nel 1919, diedero vita ai due odierni pilastri del
potere mondialista, cioè gli Istituti Affari Internazionali britannico
(R.I.I.A.) e americano (C.F.R.). Il Rhodes Group, al pari della Skull and
Bones, controlla il C.F.R., (che a sua volta controlla la Trilaterale), il
governo-ombra americano il cui comitato direttivo annovera personaggi in grado
di gestire bilanci superiori a quello annuale lordo americano".
Ritornando
al progetto del Nuovo Ordine Mondiale, già il 17 febbraio del 1950 il banchiere
James Warburg, alla Commissione Esteri del Senato, era stato fin troppo chiaro
quando aveva affermato: "Che vi piaccia o no, avremo un governo mondiale,
o col consenso o con la forza". Anche con le stragi. Il Palazzo Federale
"Alfred P. Murrah" ad Oklahoma, U.S.A., viene fatto saltare in aria
da una tremenda esplosione, il 19 aprile del 1995. Le vittime furono 168.
Furono sospettate dell’attentato e arrestate tre persone: Timothy McVeigh,
Terry Nichols e James Nichols. L’FBI ha iniziato "col dichiarare che il
meccanismo esplosivo era un’auto-bomba imbottita di 1.000 libbre di esplosivo.
Poi era un’auto con 1.400 libbre. In seguito si trattava di un camion con 4.000
libbre. Adesso è un furgone per traslochi con 5.000 libbre di esplosivo".
Ted Gunderson, ex dirigente dell’FBI, al contrario di quanto vuol far credere
il Dipartimento di Giustizia Americano e cioè che si è trattato di "una
singola semplice bomba fertilizzante", ha affermato che: "la bomba
era un congegno elettroidrodinamico a combustibile gassoso (bomba barometrica),
che non è possibile sia stata costruita da McVeigh... la bomba utilizzata era
un sofisticato congegno A-neutronico, usato dall’esercito americano...".
Sam Cohen, padre della bomba neutronica, il 28 giugno dello stesso anno, al
telegiornale della KFOR-TV ha dichiarato: "Non mi interessa quanto
fertilizzante e gasolio hanno usato, non sarebbe mai stato sufficiente. Cariche
di demolizione, piazzate sulle colonne chiave, hanno fatto lo sporco
lavoro". Antefatto: non è stato molto pubblicizzato che, "il 28 marzo
1994, l’Assemblea Legislativa dello Stato dell’Oklahoma passò una risoluzione
che colpiva quello che veniva percepito come un programma di governo mondiale.
Fu il primo e forse il solo Stato ad approvare tale legislazione". Di seguito
riporto alcuni estratti relativi alla decisione dell’Assemblea Legislativa
dell’Oklahoma:
"Risoluzione
N. 1047:
Una
risoluzione in relazione alle forze militari degli Stati Uniti e alle Nazioni
Unite; si presenta una petizione al Congresso affinché cessi determinate
attività concernenti le Nazioni Unite...
Considerato
che non c’è appoggio popolare per l’instaurazione di un "nuovo ordine
mondiale" o di una sovranità mondiale di qualsiasi tipo, sia sotto le
Nazioni Unite o sotto qualsivoglia organismo mondiale in qualsiasi forma di
governo globale;
Considerato
che un governo globale significherebbe la distruzione della nostra Costituzione
e la corruzione dello spirito della Dichiarazione di Indipendenza della nostra
libertà e del nostro sistema di vita.
...sia
deliberato dalla Camera dei Rappresentanti della seconda Sessione della 44ma
legislatura dell’Oklaoma:
Che al
Congresso degli Stati Uniti sia con la presente rammentato di:
(...).
Cessare ogni supporto per l’instaurazione di un "nuovo ordine
mondiale" o qualsiasi altra forma di governo globale.
Che al
Congresso degli Stati Uniti è con la presente rammentato di astenersi dal
prendere qualsiasi ulteriore iniziativa verso la fusione economica o politica
degli Stati Uniti in un organismo mondiale o qualsiasi altra forma di governo
mondiale. (Fonte: Newsgroup alt.
conspiracy, via Pegasus computer networks, Australia)".
Cosa
dire di questi fatti? Quale oligarchia misteriosa dirige, in segreto, i vari
governi delle nazioni? Lascio al lettore il compito di arrivare a delle
conclusioni. Alla luce di certi accadimenti i governi, la politica e gli stessi
politici assumono contorni sbiaditi, sfumati. Misteri che travasano nella
storia altri misteri frammisti a bugie. Pochissimi, forse, sanno che "Il
fascismo non è nato in Italia e in Germania. Ebbe la sua prima manifestazione
in Russia, col movimento dei ‘Cento Neri’, completo già all’inizio del ‘900
nelle sue azioni e nei suoi simboli: la violenza politica, l’antisemitismo
feroce, i neri stendardi col teschio".
Chi tira
i fili della storia?
Ricercare
certe dinamiche è cosa ardua specie quando riguarda la sfera politica e ciò che
sembra del tutto casuale, in molti casi, è stato attentamente preparato.
Franklin Delano Roosvelt, presidente americano e 33° del Rito Scozzese, nonché
appartenente alla Pilgrim Society e al C.F.R., il governo-ombra americano,
affermò: "In politica nulla accade a caso. Ogni qualvolta sopravviene un
avvenimento si può star certi che esso era stato previsto per svolgersi in quel
modo". Quindi una oscura oligarchia, tira le fila di fantocci, solo
apparentemente, alla ribalta della scena politica. Aveva ragione Benjiamin
Disraeli, statista inglese del secolo scorso, quando disse: "Il mondo è
governato da personaggi ben diversi da quelli creduti da coloro i quali non
sanno guardare dietro le quinte". Neppure i partiti contano poi molto.
Essi stessi sono a loro volta manovrati, usati, in relazione a degli scopi
precisi. René Guenon ci informa, nel suo articolo "Réflexions à popos du
pouvoir occulte" pubblicato, con lo pseudonimo di Le Sphinx, sul numero
dell’11 giugno 1914, pag. 277, della rivista cattolica "France
Antimaconnique", che "Un potere occulto di ordine politico e
finanziario non dovrà essere confuso con un potere occulto di ordine puramente
iniziatico… Un altro punto da tenere presente è che i Superiori Incogniti, di
qualunque ordine siano e qualunque sia il campo in cui vogliono agire, non
cercano mai di creare dei ‘movimenti’ (…). Essi creano solo degli stati d’animo
(état d’esprit), ciò che è molto più efficace, ma, forse, un poco meno alla
portata di chiunque. E’ incontestabile che la mentalità degli individui e delle
collettività può essere modificata da un insieme sistematico di suggestioni
appropriate; in fondo, l’educazione stessa non è altro che questo, e non c’è
qui nessun ‘occultismo’ (…). Uno stato d’animo determinato richiede, per
stabilirsi, condizioni favorevoli, e occorre o approfittare di queste
condizioni se esistono, o provocarne la realizzazione". Al riguardo dei movimenti rivoluzionari
sempre il Guénon, nel suo libro "L’Esoterismo di Dante" (Ediz,
Atanòr, Roma 1971), spiega: "...tali movimenti sono talvolta suscitati o
guidati, invisibilmente, da potenti organizzazioni iniziatiche, possiamo dire
che queste li dominano senza mescolarvisi, in modo da esercitare la loro
influenza, egualmente, su ciascuno dei partiti contrari". Sul fenomeno del
terrorismo delle Brigate Rosse e su quello di estrema destra, il giudice Pietro
Calogero, uno dei magistrati che più ha studiato il problema, ammetteva
l’esistenza di: "una rete di collegamenti che si raccoglie intorno a un
centro di interesse unitario, che permette ai due terrorismi di procedere
insieme nell’assalto dello Stato".
Quali
misteriosi personaggi si celano dietro le quinte dei vari governi?
Serge
Hutin racconta, a tal proposito, quanto accadde ad uno scrittore inglese che
sotto lo pseudonimo di Robert Payne pubblicò a Londra, nel 1951, un’opera
intitolata "Zero. The
story of terrorism". Payne cercò di dimostrare che la strategia del
terrore ha abili registi dietro le quinte dei governi apparenti. All’uscita
della pubblicazione si verificarono tutta una serie di "coincidenze"
molto strane. Tutte la copie del libro furono acquistate da misteriosi
personaggi prima ancora che venisse messo in vendita. I giornali ignorarono
l’opera nonostante il carattere sensazionale delle rivelazioni in essa
contenute. La casa editrice Wingate, una delle più importanti di Londra fallì
improvvisamente. Robert Payne morì qualche mese dopo in circostanze a dir poco
misteriose. Hutin osserva "La sola spiegazione possibile era che l’autore
avesse scoperto l’esistenza, a livello mondiale, di governanti
occulti...".
La
domanda che ora si pone è: come si procederà alla frantumazione degli Stati per
la realizzazione del Governo Mondiale?
Scrive
Blondet: "Michel Albert è un grand commis della politica
sovrannazionale... oggi presidente delle Assurances Générales de France, una
delle grandi entità finanziarie che hanno promosso il Mercato Unico Europeo.
Nel 1989, Albert ha pubblicato un saggio, subito tradotto in Italia
dall’editrice il Mulino con il titolo: Crisi, Disastro, Miracolo. Il libro
contiene una prognosi sulla fine degli Stati nazionali che rivela un’analisi
sicuramente elaborata negli uffici-studi della Trilaterale, e un progetto di
ingegneria sociale. …"L’Europa ‘92 lancia il Mercato Unico all’assalto
degli Stati nazionali. Li smantellerà". Come? Con "l’anarchia che
risulterà" da "un mercato libero e senza frontiere in una società
plurinazionale che non riesce a prendere decisioni comuni". A questo
"disastro" pianificato, l’oligarchia spera seguirà il
"miracolo": gli Stati nazionali devastati invocheranno "una
moneta comune, una Banca centrale europea e un bilancio comunitario". Il
programma, tuttavia, era già chiaro nel lontano 1957: "Creare un mercato
monetario e finanziario europeo, con una Banca europea (...) il libero flusso
dei capitali tra i paesi membri e, infine, una politica finanziaria
centralizzata". L’attuazione del programma per insediare un "Nuovo
Ordine Mondiale" collegato al movimento "New Age" (di cui parlo
più diffusamente nel mio saggio "Il serpente e l’arcobaleno", Ediz.
"Segno" di Udine), o chiamata anche "Nuova Era", "Età
dell’Aquario" o Era del "Condor", come dicono gli studiosi delle
civiltà pre-colombiane, si articola in più strategie per realizzare questa
grande utopia della parodia del Romanum Imperium. Fantapolitica e tendenza al
complottismo? Tutt’altro. Ecco due esempi italiani. Leggete cosa la rivista
americana "Eir" scriveva: "Il 2 aprile 1993... il capogruppo Dc
alla Camera, Gerardo Bianco, e il suo collega al Senato, Gabriele De Rosa,
presentano un esposto alla procura di Roma, chiedendo di appurare se c’è una
cospirazione politica per distruggere l’ordine costituzionale italiano (...)
Gli scandali rappresentano un tentativo da parte delle forze Anglo-Americane,
segnatamente la Fra Massoneria, di orchestrare una generale destabilizzazione
della nazione italiana per distruggere il sistema politico esistente e
insediare un nuovo ordine, a loro più gradito". Ai cronisti, che
chiedevano a Mancino cosa c’è dietro le stragi italiane, lui rispose: "Non
escludo un ruolo della finanza internazionale". Strategie occulte della
secret fraternity bancaria internazionale. David Rockefeller "credendo di
parlare a orecchie fidate, nel ‘91... ha ammesso: 1) che una cospirazione
esiste ‘da quaranta anni’; 2) che essa ha lo scopo di instaurare nel segreto
‘un governo mondiale’ e ‘la sovranità nazionale’ dei banchieri; 3) che il
nemico dei cospiratori è ‘l’autodeterminazione nazionale’".
Nel
frattempo, si verificano nel mondo barbarie, solo apparentemente, prive di
sottile regia, occulta naturalmente. Ed è interessante apprendere quanto il
misterioso personaggio "esperto di un genere assai speciale", che fa
da sfondo al tema trattato da Blondet ne "Gli "Adelphi" della
dissoluzione, in una lettera indirizzata allo scrittore suggerisce:
"Può
anche darsi che il Nuovo Ordine Mondiale non possa avviarsi a un’epocale clash
of civilizations, come alcuni insiders già auspicano in America, ma si limiti a
sgranare stermini e genocidi locali, killing fields per poveri straccioni,
danze di Shiva e di Kali su carnai confinati a luoghi dove l’uomo è abbondante
e ‘sprecabile’. (…). Un’accusa è sempre pronta, a squalificare e ridicolizzare
chi esprime ad alta voce le idee che io sommessamente descrivo: quella di
‘complottista’, di allucinato immaginatore di complotti universali. A queste
lapidazioni moderne si prestano volontari precisi ambienti giornalistici; espressione
di una categoria umana tra le più artificiali, la più ridicolmente sicura di
‘vivere’ in proprio, mentre è la più totalmente ‘vissuta’ e agitata dalle idee
correnti, dagli états d’esprit dominanti, dai climi culturali egemoni che
‘Altri’ hanno pur diffuso nell’aria".
Sulla
finanza d'assalto... notorio
Il
22/12/2003, in piena esplosione dei crac Cirio e Parmalat, il pool di banche DS
(1) si mette d'accordo per uno strano pagamento di un debito, come se si
trattasse della sua metà, del tipo: "Mi devi 100? Dammene 50, e non se ne
parla più".
Roba da
stockisti per fondi di magazzino? Più o meno è così, ma si tratta di
un'operazione "a saldo e stralcio" che prevede la cancellazione del
50% del debito complessivo che il partito di Fassino e D'Alema ha con tali
banche e che ammonta a 235 milioni circa di euro(2)!
Ora, la
metà di 235 è 117,5 e non si tratta di 117,5 ciccioli andati a male, ma di
117,5 milioni di euro, vale a dire:
117.500.000
X 1936,27 = 227.511.725.000
duecentoventisette
miliardi e mezzo di lire
Che
senso abbia un simile trattamento di favore a un partito politico da parte di
banche, proprio quando risparmiatori ad esse collegati stanno pagando sulla
loro pelle la "finanza creativa" dei Tanzi e la disattenzione nel
collocamento di "junk bonds" (obbligazioni fasulle, chincaglieria) da
parte di sportellisti poco svegli, mi è difficile dirlo.
Una
simile discrepanza di trattamento tra DS e "normali" risparmiatori mi
sembra poco promettente per il futuro dell'economia italiana.
È
infatti iniziato il secondo decennio della pazzia, da me annunciato nella
pagina di auguri 2004 di buon anno pubblicata un mese prima (il 27/11/2003)
(http://digilander.libero.it/afimo/2004_decennale_della_pazzia.htm), non tanto
perché i webmasters di ABBACO FILOSOFICO DELLA MONETA siano dei veggenti, ma
semplicemente perché basta essere normali esseri umani pensanti per accorgersi
di ciò.
Infatti,
dopo i cinque anni (1996-2001) di centro-sinistra con i tre governi
"Prodi", "D'Alema" e "Amato" ad alta spremitura fiscale
per:
ciò era
- almeno per me - assolutamente prevedibile.
Chi
osserva il passato di ieri in rapporto all'oggi, può ben aspettarsi cosa
succederà domani, anche e soprattutto se l'oggetto di osservazione è il
subumanesimo imperante, vale a dire un "umanesimo" basato sulla
"specie", anziché sull'individuale. Certamente è difficile che l'uomo
della specie comprenda l'Abbaco filosofico della moneta, Pound o Steiner(3).
Faccio prima a dirgli: io, come uomo della specie ho una normale defecazione
giornaliera, quindi prevedo che anche domani l'avrò. Non per questo sono un
preveggente. Mi scuso con gli umani per questo "passaggio", ma sono
ancora alterato al solo ricordo di quei 5 anni di pacatezza e di tolleranza
rossastre... e non solo di quelli...
E
dunque: perché l'inizio del 2004 non fa che riproporre l'inizio del decennio
passato? Cosa accadde dieci anni fa, a cavallo tra il '92 e la fine del '93?
"Niente!"
Prese solo il via la svendita delle grandi aziende pubbliche italiane ai gruppi
stranieri. Fu un'operazione inaugurata da San Giorgio (poiché di costui molti
parlano ancora come di un santo, chiamerò "S. Giorgio" lo speculatore
internazionale George Soros, protagonista fra l'altro di un'indimenticabile
cena newyorkese in compagnia di Massimo D'Alema, diventato anch'egli - sul
finire degli anni '90 - se non un santo, il "massimo statista"). A
quel tempo, San Giorgio - oggi riciclatosi come nemico implacabile di Bush e
come guru dei no global - giocò dunque molto pesantemente contro la lira, la
nostra lira. Fu così che iniziò, nella primavera del 1992, l'operazione di
spoliazione dell'Italia. Tutto avvenne con una serie di avvenimenti-chiave:
Al
quinto mese di quell'anno, 23/05/1992, la mafia uccise il giudice Falcone, che
stava indagando non solo sui rapporti tra mafia e business politici, ma
soprattutto su somme ingenti di denaro sporco del Pcus. Falcone avrebbe dovuto
infatti incontrarsi di lì a pochi giorni col procuratore moscovita Stepankov,
in merito a tale questione di denaro sporco, come venne dichiarato poi dallo
stesso Stepankov nel 1999, durante una presentazione del libro "L'oro di
Mosca" di Valerio Riva. Le competenze di Falcone sui flussi di denaro
sporco passavano così al collega Borsellino, che - regolarmente - saltò per
aria due mesi dopo. Sempre nella
primavera di quello straordinario 1992, Luigi Ramponi, capo dei servizi segreti
militari (Sismi), si lasciò scappare la frase "O la Dc e il Psi si
rinnovano, oppure sono destinati a morire". Il resto è storia. Il
17/03/92, Vincenzo Scotti allora ministro degli Interni, lanciò l'allarme -
allertando tutti i prefetti - contro il rischio di possibili attacchi
finalizzati a destabilizzare la politica italiana.
Sarà poi
lo stesso Scotti, nel 1999, a raccontare la verità a Paolo Cirino Pomicino:
"Tutto
nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi
che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da
informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali
sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con
indagini giudiziarie nei confronti dei leaders dei partiti di governo".
Successe
tutto in pochi mesi, fra marzo e luglio 1992:
A
settembre, i capi di Polizia e dei Carabinieri, durante una cena, affermarono
poi che Scotti aveva fatto bene a lanciare quell'allarme. E infatti, cinque
mesi prima, egli veniva oltretutto "informato dal Sisde che a notte fonda
due camion stracarichi di documenti erano partiti da Botteghe Oscure"(4),
come risulta dal libro "Strettamente riservato", senza che ad oggi
siano pervenute querele o smentite all'autore, il "Geronimo"
Pomicino(5). Nel primo decennio della pazzia si incominciava dunque a
"svendere" l'Italia e immediatamente - settembre '92 -, quasi in
contemporanea con la nomina di Giuliano Amato a premier, l'agenzia di rating
Moody's si incazzò molto contro l'Italia, quasi per dire: "Ci sono modi e
Moody's per (s)vendere!". Senza un motivo apparente, non appena giunse a
Palazzo Chigi la bella faccia da onesto di Giuliano Amato, noto frequentatore
di ambienti finanziari americani, Moody's fece retrocedere i Bot italiani alla
serie C della credibilità. E perché? Certamente non ci voleva un grande genio
per affermare il dissesto dei conti pubblici italiani... È sempre stato così...
E così era anche due anni prima, nel '90, quando l'agenzia di rating metteva
invece i Bot italiani ancora in serie A. E Moody's, pertanto, si affrettò a
motivare la sua valutazione negativa in quanto non vi sarebbero state
sufficienti garanzie italiane in fatto di privatizzazioni dei beni pubblici.
Purtroppo però, l'andare a finire sulla sua lista nera, significa che gli
speculatori internazionali si precipitano per disfarsi dei Buoni del Tesoro del
"paese unwilling" ("paese non volenteroso")... E così
accadde, e per contrastare il crollo, l'Italia si comportò sciaguratamente di
conseguenza: offrì tassi di interesse più alti sui suoi Bot al fine di
ingolosire gli speculatori. Si sa, un rischio maggiore lo si affronta più
volentieri a fronte di una prospettiva di maggior guadagno. Carlo Azeglio
Ciampi, all'epoca capo di Bankitalia, non perse tempo: ad ogni brutto voto di
Moody's aumentò i tassi dei Bot, ottenendo lo strepitoso risultato che ad ogni
1% di aumento corrispondeva un esborso aggiuntivo di diciassette mila miliardi
di vecchie lire per i contribuenti italiani. Per "salvare la lira",
Ciampi spese invano quaranta mila miliardi e nonostante questo sforzo la
svalutazione della nostra moneta si attestò sul 30% del valore. L'Italia finì fuori
dallo Sme. E, in onore dell'italica capacità di saper riconoscere i talenti,
Ciampi fu chiamato a sostituire Giuliano Amato a Palazzo Chigi. Così iniziava
il primo decennio della pazzia...
E i
pazzi della "Banda d'Italia", tutti agitati nella fregola della privatizzazione,
fecero tutto in quattro e quattr'otto. Bisognava privatizzare, di corsa, tutto.
Lo chiedeva Moody's, non si poteva scherzare! Prima del capitombolo della lira,
Giuliano Amato non perse tempo e cominciò dalle basi: cercò consulenti e
partners per far partire la "rivoluzione liberale". E come consulenti
il governo italiano scelse le tre maggiori banche d'affari di Wall Street:
Goldman Sachs, Merrill Lynch, e Salomon Brothers, perfetto "trio
lescano" delle meraviglie, che divenne consulente del governo italiano per
le privatizzazioni. Peccato che sotto questa veste molti speculatori
internazionali vennero a conoscenza di informazioni riservate in merito alle
imprese da privatizzare.
Molti
erano quelli che sapevano, e molti erano ingolositi da questi
"bocconi". C'era però un problema: come fare tombola?... come
accaparrarsi le aziende senza pagarle per quello che era il loro reale valore?
Semplice! Occorreva una bella svalutazione della lira rispetto al dollaro!
Soprattutto per chi disponeva di tanti dollari per acquistare le aziende, essa
sarebbe stata la benvenuta! E, quando si dice il caso: accadde proprio così! Si
cominciò con Moody's e si finì al largo di Civitavecchia, dove, il 2 giugno
1992 a bordo del panfilo Britannia, partito dal porto laziale, e in navigazione
lungo le coste della Sicilia, si svolse la famosa riunione del gruppo
Bilderberg. Tra i navigatori a bordo del Britannia c'erano - oltre ai Reali
britannici - i rappresentanti della Barclays Bank, della Warburg, della Merril
Lynch, della Salomon Brothers, e della Goldman Sachs.
Per la
cronaca, la Barclays Bank, per esempio, controllava la Bank Leumi(6), il più
grosso istituto finanziario israeliano, già proprietario della Union Bank of
Israel; la famiglia dei Warburg, assieme ai Rothschild, agli Oppenheimer, agli
Schroeder e ad altri aristocratici sionisti, "divennero i principali
sostenitori finanziari di Adolf Hitler"(7), tutti nomi ampiamente
documentati nel libro "Droga S.p.A., la guerra dell'oppio", in cui è
dimostrato come queste famiglie sono a loro volta controllate dall'oligarchia
britannnica: "L'élite britannica funziona come le Famiglie della mafia. A
partire dalla prima Guerra dell'Oppio, incontriamo sempre gli stessi nomi alla
testa delle più importanti banche britanniche [...] I rampolli di queste stesse
famiglie controllano non solo ogni banca importante, ogni grossa compagnia
mineraria e di trasporti di Londra, ma anche la HongShang, la Jardine Matheson,
la Barclays Bank, l'Anglo-American Corporation, la N.M. Rothschfld e la Lazard
Frères. Come dimostreremo, le famiglie che appartengono a questa mafia sono le
stesse che dirigono la politica ed i servizi segreti della Gran Bretagna, così
come facevano i loro nonni durante le Guerre dell'Oppio e i loro trisavoli
contro le colonie che si ribellavano all'impero britannico. Ad un esame più
attento però, l'immagine popolare della mafia si rivela come una sorta di
negativo fotografico: gli italiani, gli ebrei, i cinesi Ciao Ciu e le altre
minoranze etniche coinvolte nel traffico degli stupefacenti sono semplicemente
gli alleati dell'oligarchia britannica, in quanto le loro solide reti familiari
assomigliano e sono parallele a quelle dell'oligarchia. Ma l'oligarchia
britannica è qualcosa di più profondo e di più sinistro. Essa è così potente in
Gran Bretagna che mentre uno dei nipoti della Famiglia sdogana una spedizione
di oppio a Hong Kong, lo zio regola i pagamepti tramite una grossa banca
londinese, il cugino spedisce oro dal mercato di Hong Kong e un altro parente
nei servizi segreti britannici tiene a bada la polizia antinarcotici
americana"(8).
Ma
proseguiamo. Fra gli italiani, erano presenti: Mario Draghi, direttore delegato
del ministero del Tesoro; Riccardo Galli, dell'Iri; Giovanni Bazoli,
dell'Ambroveneto; Antonio Pedone, del Crediop; Beniamino Andreatta; dirigenti
dell'Eni, Agip, Mediobanca, Comit, Generali e Società autostrade. Il giorno
dopo, al Tg1, il giornalista Maurizio Losa annunciava che a Milano "ora,
nell'inchiesta sulle tangenti, c'è anche il nome di Bettino Craxi". Uno
dei pochi a dire "no" all'operazione Britannia fu il direttore
generale del Tesoro, Mario Draghi, lo stesso che nel 1999 si trovò ad opporsi a
Massimo D'Alema al momento della scalata di Colaninno a Telecom, quando il
Tesoro fu espressamente invitato dal capo del governo a disertare il Cda di
salvataggio anti-opa e a spianare così la strada all'incredibile speculazione
che si concluse con l'acquisizione di Telecom. Spesse volte la stampa manettara
e moralista è indifferente alla dignità umana. Perciò nessuno parlò del
comportamento di Draghi, quando scese dal Britannia per evitare di partecipare
a quella che sembrava diventare e che effettivamente fu "una svendita
delle grandi aziende pubbliche italiane alle multinazionali americane e
britanniche"... In seguito fu lo stesso Draghi ad ammettere il suo
imbarazzo durante un intervento in aula alla Camera per rispondere alle
interrogazioni di tre parlamentari sul caso. Guarda caso, dopo quella
"merenda" sul Britannia del 2 giugno 1992, nel solo settore tradizionalmente
più importante per la nostra economia, quello agroalimentare, numerose furono
le ditte svendute agli stranieri: la Locatelli, l'Invernizzi, la Buitoni, la
Galbani, la Negroni, la Ferrarelle, la Peroni, la Moretti, la Fini, la
Perugina, e la Mira Lanza. L 'operazione Britannia garantì alle multinazionali
anglo-americane di mettere le mani su quasi il 50% (precisamente il 48%: 34
agli americani e 14 ai britannici) delle aziende italiane finite in mano
straniera. Sul finire degli anni '90 sarebbe invece stata la volta dei francesi
a fare il mega shopping nei settori strategici della grande distribuzione,
della gestione delle acque, e dell'alta moda, mentre la stampa libera,
democratica e antifascista... dormiva. Ma sarebbe meglio dire che prestava
bellamente il fianco al nemico. Infatti, in quel periodo di colonizzazione
mascherato dall'incipiente cosiddetta "rivoluzione" di Mani Pulite,
il trombonismo mediatico giocò un ruolo fondamentale.
Nel
luglio '92, appena la Goldman Sachs annunciò che la lira era pericolosamente
sopravvalutata, ad agitare il "rischio Italia" cominciò subito -
guarda caso - il Financial Times, proprietà di Samuel Brittan, e continuò
l'Economist, proprietà di Evelyn De Rotschild, ed il Washington Post (della
Salomon Brothers e dei Lazard) diede man forte. In Italia, l'allarme mediatico
del "trio lescano", pardon, anglo-americano, fu amplificato a
dismisura dai giornali di Agnelli, di De Benedetti e della Confindustria.
Nell'agosto del 1993, Nicola Mancino, ministro degli Interni, a seguito
dell'ondata di attacchi terroristici che colpirono il paese, dichiarò:
"Non escludo un ruolo della finanza internazionale". Tre mesi dopo, il 5 novembre, fu il
"venerdì nero" della lira anche a seguito di voci londinesi su un
possibile avviso di garanzia nei confronti del presidente Oscar Luigi Scalfaro,
oggi noto girotondino. Il 6 novembre, è la volta di Ciampi. Allora, da bravo
presidente del Consiglio, scrisse una lettera a Vittorio Mele, procuratore capo
della Repubblica di Roma, affinché "avviasse le procedure relative al
delitto previsto all'art. 501 del codice penale, considerato nell'ipotesi delle
aggravanti in esso contenute". Ciò che è incredibile è che proprio lui,
questo grande lavoratore nella manipolazione di capitali, chiedeva di indagare
su un possibile reato di aggiotaggio da parte di chi aveva operato contro la
lira e i titoli quotati in Borsa. Nel dicembre 1993 l'Italia era divenuto un
paese a completa sovranità limitata, e gli esperti del FMI (Fondo Monetario
Internazionale) vennero dunque a Roma per correggere il bilancio stilato dal
governo Ciampi, e dissero: "Benino, ma bisogna fare di più". Per il
FMI, ridurre il deficit pubblico non bastava. Occorreva ottenere un avanzo
primario del 4-5% entro il 1994-'95.
E come
fare? Semplce! Attraverso "ulteriori azioni fiscali"!
E chi
poteva fare ciò? Chi poteva accollarsi il peso politico di una simile
responsabilità in un momento in cui le sedute della Camera si tenevano a
Palazzo di Giustizia? Dopo le elezioni amministrative del novembre 1993, la Dc
scomparve. E ciò favorì la grande affermazione della coalizione di sinistra,
guidata dall'allora Pds, mentre la Borsa festeggiava la vittoria degli
"ex" compagni! Ma come! Fino a pochi anni prima, la vittoria
elettorale di un partito di sinistra avrebbe significato il crollo delle Borse!
Invece allora, subito dopo la vittoria della Quercia, la Borsa di Milano
guadagnò 2,5 punti. E per di più, i primi entusiasti acquirenti furono
investitori stranieri. Come mai? Stranamente tra il primo e il secondo turno
delle amministrative, Financial Times e Le Monde, i due giornali
dell'establishment che non hanno mai digerito la discesa in politica di
Berlusconi, si precipitarono a Roma per intervistare, deferenti, Achille
Occhetto. In entrambe le interviste Occhetto si disse fermamente intenzionato -
ovviamente - a proseguire sulla linea politica di Carlo Azeglio Ciampi. E oplà:
la rivoluzione di cui la finanza internazionale aveva bisogno era nel '93 già
delineata: la sinistra avrebbe lasciato che capitali e aziende fuggissero
all'estero come chiedevano le leggi del libero mercato, nuovo dogma dei
post-comunisti. In compenso i nuovi leader dell'Italia dalle "mani
pulite" avrebbero avuto mano libera per esercitare in patria tutto
l'antifascismo che volevano. Questo, secondo me, fu il vero motivo che fece
decidere nel 1994 Silvio Berlusconi a scendere in campo, cosa che causò poi un
ulteriore crollo della lira il 25 maggio 1994, quando la Borsa perse il 2,6% in
poche ore, a seguito di voci - sempre londinesi, guarda caso - su un presunto
avviso di garanzia contro il nuovo presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
E, ovviamente, l'avviso arrivò "puntualmente" qualche settimana dopo,
recapitato a mezzo stampa dal quotidiano della Fiat. Oggi, nel secondo decennio
della pazzia, dopo che i camerieri dei banchieri hanno ramazzato tutto e sono
stati smascherati, i banchieri sono rimasti allo scoperto. Siamo perciò ora
all'osso dell'oramai putrefatto organismo sociale. E adesso - dopo i fatti di
FIAT, Cirio, e Parmalat - si incomincia ad avvertire da lontano un pallido
clima dialettico sulla riforma della magistratura. Il presidente dell'ANM
(Associazione Nazionale Magistrati) Edmondo Bruti Liberati propone oggi la
rimozione dei magistrati arraffoni. Ovviamente, nella sua relazione
introduttiva al Congresso ANM di Venezia del 5-8/02/04 intitolata
"Giustizia più efficiente e Indipendenza della magistratura a garanzia dei
cittadini", egli non si esprime in questi termini, e si riferisce a quei
magistrati inadatti a superare i controlli sulla loro professionalità e sulla
"qualità" e quantità del lavoro svolto. Parla soprattutto di
"qualità": di "impegno per la qualità del servizio
giustizia", di leggi che hanno inciso solo negativamente "sulla
qualità e sulla funzionalità del servizio giustizia", di lesioni gravi dei
diritti dei cittadini che ricadono pesantemente "sul sistema economico e
di impresa e sulla stessa tenuta della civile convivenza. Insomma è un problema
centrale per la qualità della nostra democrazia", di impegno sempre
maggiore "in qualità e quantità di decisioni di giustizia" per
contribuire al "miglioramento della qualità del servizio, attraverso gli
strumenti della formazione e della verifica della professionalità dei
magistrati", dell'attuale impossibilità di "rendere un servizio
giustizia di qualità in tempi accettabili", ecc.
Devo
dire che tutto questo lungo discorso dell'Edmondo palesa una certa ingenuità, e
come studioso del linguaggio mi sembra che la parola "qualità",
collocata nel contesto di un regno della quantità di moneta ramazzata faccia
rabbrividire. Infatti oggi, al fine di disfarsi dei magistrati inidonei,
bisognerebbe rimuoverli tutti. E mi spiego. La questione è alquanto
problematica. Secondo la cultura del diritto ci sarebbe infatti un solo caso in
cui emerge chiaramente la necessità di rimozione del magistrato. Questo caso è
quando il reato consiste in un fatto notorio. Ciò però comporta il seguente
problema: se il fatto notorio nessuno lo nota, è ugualmente un fatto notorio?
Se la risposta è affermativa, allora bisognerebbe stabilire per quale motivo
tutti i magistrati sono ciechi volontari oppure perché fanno tutti gli gnorri.
Si arriverebbe allora a scoprire che abbiamo dei magistrati completamente
subumani, insomma molto più vicini all'annimale che all'umano. E probabilmente
è così. I magistrati sono dei delinquenti esattamente come i politici. Occorre
allora spiegare il contenuto del concetto di "notorio": si intende
per "notorio" tutto ciò che per avere rilevanza giuridica non necessità
di prova alcuna, né di accertamento giudiziale. A questo punto, ecco un esempio
clamoroso di fatto notorio: è notorio che la banca centrale emette moneta
prestandola. A conferma e salvaguardia di questo prestito, essa vanta sulla
moneta il diritto inestinguibile di signoraggio, che è analogo al vincolo
ipotecario sugli immobili. È altresì notorio - in quanto fatto storico - che la
banca centrale poteva affermare di essere proprietaria della moneta quando la
moteta era concepita come titolo di credito rappresentativo della sua relativa
riserva aurea, per cui era convertibile in oro a richiesta del portatore. Poi -
altro fatto notorio - venne però abolita la convertibilità (1912). E - di nuovo
un altro fatto notorio - venne abolita - con la fine degli accordi di Bretton
Woods (1971) addirittura anche la riserva stessa. La moneta diventò perciò
simile ad un francobollo di antiquariato, avente valore per convenzione, senza
bisogno di riserva aurea e, come ogni bene mobile, è proprietà del possessore
in buonafede. In base a tutti questi fatti notori, risulta che il valore della
moneta viene creato non solo dal cittadino che la stampa, ma parimenti dal
cittadino che l'accetta. Infatti il valore sorge - e sempre sorgerà -
attraverso il rapporto fra una cosa e l'altra o fra una persona e l'altra. Ne
consegue - se fosse notato ma evidentemente non lo è perché il pensare umano è
carente - che all'atto dell'emissione la moneta dovrebbe essere accreditata,
non prestata. Altra cosa che dovrebbe essere notoria ma che non lo è, consiste
nel fatto che le banche centrali, pur avendo cessato di essere proprietarie,
per i fatti sopra citati, continuano a comportarsi come tali, vale a dire:
continuano ad emettere moneta prestandola, ma così facendo prestano ciò che non
appartiene loro, prestano il dovuto, e conservano il diritto di signoraggio,
che in tal modo diventa diventa ipoteca non sul debito del debitore, ma sul
credito del creditore, una vera e propria pazzia. Per questo motivo ho chiamato
il 2004, il decennio della pazzia, il secondo decennio della pazzia, in attesa
che il fatto diventi notorio... e che l'umanità guarisca dalla sua malattia: la
rimozione del proprio giudizio critico, per cui ciò che è notorio non viene
notato...
E se
nessuna norma stabilisce chi è il proprietario della moneta all'atto
dell'emissione, non si potrà mai sapere chi - nella fase della circolazione
monetaria - è creditore, e chi è debitore, perché manca la certezza del
diritto. Considerando che i fatti notori qui evidenziati costituiscono fattispecie
criminose di truffa, associazione a delinquere, falso in bilancio, usura, e di
istigazione al suicidio da insolvenza, i magistrati non malati dovrebbero
essere tenuti a promuovere immediatamente i relativi procedimenti penali come
adempimento di atto dovuto.
Pertanto,
per salvaguardare la "buona qualità" dei provvedimenti giudiziari, i
magistrati sani, a tutela delle vittime dei suddetti reati - auspicata da
Edmondo Bruti Liberati - dovranno:
Una
volta constatato che la banca centrale, prestando il dovuto, carica il costo
del denaro del 200% oltre gli interessi, rendendo impossibile la puntualità dei
pagamenti, e causando il suicidio da insolvenza (malattia sociale che non ha
precedenti nella storia), la relativa responsabilità dovrebbe dunque ricadere -
proprio grazie ad un'ANM capace di osservare i propri provvedimenti sulla
"qualità" della giustizia - non solo sui banchieri, ma anche
sull'ordine dei magistrati per aver ignorato il "notorio". Se dunque
queste premesse - a mio parere incontestabili per un essere umano sano - non
saranno notate dai magistrati, si avrà come conseguenza che, per legge, esse
non potranno rientrare nei fatti "notori", e che la proposta
dell'Edmondo di "rimozione" dei magistrati inidonei - non potendo
riferirsi anche a coloro che la propongono, vale a dire alla totalità della
Magistratura - avrà un solo modo per essere attuata: "rimuovere" gli
altri, cioè le persone che per il loro pensiero non conforme a quello
democraticamente dominante saranno considerate alienate. Come è stato per
Pound, che fu rinchiuso in manicomio per il suo pensiero anti usurocratico, così
continuerà ad avvenire per ogni cittadino "colpevole" di pensare in
modo diverso rispetto alla maggioranza democratica? Io non credo. Sono venuto
su questo pianeta per dire pane al pane e vino al vino. Forse mi potranno anche
mettere in manicomio in nome della democrazia, ma proprio per questo motivo, la
democrazia risulterà essere, per dirla alla Ugo, una "cagata
pazzesca". Se le banche vorranno garantire realmente l'esistenza di un
"sistema Italia" nazionale senza truffare ulteriormente il popolo,
dovranno "mettersi a posto", cioè rinsavire, incominciando a prendere
atto del loro essere contro il popolo, situazione esattamente identica a quella
della Federal Reserve Bank. A seguito delle note vicende Cirio e Parmalat, e a
seguito di tutti gli altri fatti notori che non si vogliono notare, la sfiducia
dei cittadini verso gli istituti finanziari e verso il risparmio è destinata a
crescere sempre più, e ciò porterà al tracollo di questo falso sistema
creditizio italiano e mondiale: falso in quanto è un sistema di debito sociale,
mentre dovrebbe essere un reale sistema di credito sociale. In tempi di moneta
unica e di Europa a 25 nazioni, il sistema bancario, anziché essere ciò che
avrebbe dovuto, e cioè il massimo ganglo vitale per la sovranità nazionale e per
il popolo sovrano, è stato trasformato in sistema usurocratico mondiale in cui
la sfida tra finanza e risparmio esprime la massima alienazione in cui il
genere umano è caduto, col rischio di una terza guerra mondiale. La sfida tra
una ripresa di fiducia legata all'economia reale e quindi a un sistema
creditizio, funzionale all'imprenditoria, e il perpetuarsi di un sistema di
economia finanziarizzata dove le imprese sono concentrate più che sui profitti
da produzione, sui tavoli da gioco del grande casinò finanziario mondiale, deve
cessare, in quanto è la sfida stessa al sano pensare umano imposta dal subumano
e da tutti coloro che non ne vogliono sapere (rimozione) di giudicare
criticamente (giudizio critico) ciò che è iniquo.
(1) Cfr.
l'Editoriale 2004 di "Tempi duri"; cfr. altresì: si tratta del
"pool di banche creditrici del partito dei Democratici di Sinistra
capeggiate da Carisbo - gruppo San Paolo-Imi - con un credito di circa 30
milioni di euro, e costituite inoltre da Banca Intesa e Capitalia - creditrici
ognuna per 21 milioni di euro - e da Monte dei Paschi di Siena con un credito
di circa 3,5 milioni di euro" (vedi anche:
http://www.perlulivo.it/pipermail/gargonza/msg15784.html).
(2)
Ibid.
(3)
"L'individuale in me - spiega Steiner nella sua Filosofia della libertà -
non è il mio organismo coi suoi impulsi e i suoi sentimenti, ma il mondo
unitario delle idee, che risplende in questo organismo. I miei impulsi, i miei
istinti, le mie passioni fanno soltanto che io appartenga alla specie generale
uomo, la circostanza che in questi impulsi in queste passioni e sentimenti, si
estrinseca un ideale in un modo particolare, crea la mia individualità. Per i
miei istinti e impulsi io sono un uomo come se ne trovano dodici per dozzina;
per la particolare forma dell'idea per cui nella dozzina mi designo come io,
sono un individuo. Per le differenze della mia natura animale, solo un essere a
me estraneo potrebbe distinguermi dagli altri. Per il mio pensare, cioè per
l'attivo riconoscimento dell'elemento ideale che vive nel mio organismo, mi
distinguo io stesso dagli altri. Dell'azione del delinquente, non si può quindi
dire che derivi dall'idea. Anzi, è proprio la caratteristica delle azioni
delittuose di derivare dagli elementi extraideali dell'uomo".
(4) Cfr.
nota 1.
(5)
Ibid.
(6)
Kalimtgis-Goldman-Steinberg, "Droga S.p.A., la guerra dell'oppio",
Ed. Logos, Roma, 1980.
(7)
Ibid.
(8)
Ibid.
George
Soros si fa beffe della magistratura italiana
Il 5
ottobre il mega speculatore George Soros, perdendo la flemma da affarista della
City, ha deriso l’attività della magistratura italiana all’incontro organizzato
all’hotel Omni Shoreham di Washington, alla presenza di centinaia di banchieri,
economisti, politici e giornalisti internazionali nel contesto dell’incontro
annuale del Fondo Monetario Internazionale. Dopo che Soros aveva elaborato la
sua analisi sulla crisi finanziaria mondiale, evitando accuratamente di
menzionare il suo ruolo personale negli attacchi speculativi degli hedge funds
contro le monete di molte nazioni, un giornalista dell’Executive Intelligence
Review, lo ha sfidato pubblicamente:
Jeff
Steinberg: "Perché non ha detto ai presenti che lei è sotto indagine
giudiziaria da parte delle autorità italiane, così come da parte dei governi di
Taiwan e di altri paesi asiatici e dell’Europa Centrale per le sue
manipolazioni monetarie?"
George
Soros: "So di essere sotto indagine da parte delle autorità italiane, ma
agli italiani piace fare queste indagini e io non le considero serie!".
Gli
uffici delle Procure di Napoli e di Roma stanno conducendo un’inchiesta sulle
attività speculative di Soros & Co. che colpirono la lira nel settembre del
1992 e in varie altre occasioni nei mesi seguenti. La procedura è stata
sollecitata da un esposto alla magistratura presentato nell’ottobre del 1995 da
Paolo Raimondi, presidente del Movimento Internazionale per i Diritti
Civili-Solidarietà, organizzazione italiana associata con il movimento
dell’economista e politico americano Lyndon LaRouche, l’autore della vera
proposta per una nuova Bretton Woods contro il crollo finanziario in corso. A
seguito dell’attacco speculativo di Soros, l’incompentenza e la complicità di
personaggi italiani quali Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi, allora
rispettivamente governatore della Banca d’Italia e direttore generale del
Tesoro, hanno regalato a Soros e agli speculatori 15.000 miliardi di lire, una
perdita secca provocata da un utilizzo più complice che maldestro di riserve
per 48 miliardi di dollari che non ha impedito una svalutazione della lira del
30%. La magistratura italiana e le altre autorità responsabili per la difesa
degli interessi economici nazionali sono state recentemente chiamate nuovamente
a indagare su simili attività speculative soprattutto dopo la bancarotta
dell’hedge fund LTCM, al quale George Soros è tutt’altro che estraneo. Come ha
riportato anche la stampa nei giorni passati, l’Ufficio Italiano Cambi (UIC) ha
partecipato nel LTCM con almeno 250 milioni di dollari di riserve della Banca
d’Italia, soldi che hanno poi fornito la base per gigantesche operazioni di
finanza derivata nella speculazione anche contro la lira. A Washington George
Soros ha poi perso le staffe quando l’EIR ha pubblicamente denunciato i suoi
finaziamenti internazionali a organizzazioni e operazioni che promuovono la
‘droga libera’.
Steinberg:"
Come giustifica la sua idea di una società aperta con il fatto di essere il più
grande finanziatore di organizzazioni che promuovono la liberizzazione della
droga?".
Soros:
"È una bugia!"
Steinberg:
"Ho partecipato a cinque conferenze organizzate dalla Drug Policy
Foundation (DPF) che lei finanzia; e ho sentito con le mie orecchie quello che
questi personaggi dicono dopo che le telecamere vengono spente. Promuovono la
legalizzazione del crack e di ogni altra droga illegale."
Soros:
"Io non l’ho mai incontrata in questi meeting".
Steinberg:
"Devo ricordarle le date e i posti? Lei conosce [il presidente della DPF]
Eric Sterling?"
Soros:"Vedo
che lei è certamente un grand’uomo, ma questo è troppo. Me ne vado!"
Due
procure indagano su Soros
I
procuratori Guerriero e Martellino hanno accolto le indicazioni dell'esposto
del Movimento Solidarietà.Un segnale di resistenza al liberismo. Due indagini
sono state aperte sul conto del finanziere internazionale George Soros, una dalla
Procura della Repubblica di Roma e l'altra dalla Procura della Repubblica di
Napoli, per accertare il suo ruolo nell'attacco speculativo contro la lira e
contro altre monete europee avvenuto nel settembre del 1992. La notizia è stata
diffusa dal quotidiano romano Il Tempo che il 3 febbraio ha scritto con molto
risalto in prima pagina "Soros, l'ammazzalira, nel mirino dei
giudici." La notizia è stata ripresa tra gli altri anche da Il Giornale.
Il sostituto procuratore di Roma Cesare Martellino ha annunciato di aver
ordinato una serie di accertamenti alla Guardia di Finanza. Il pubblico
ministero di Napoli Antonio Guerriero ha iniziato le indagini sulle attività
della Banca d'Italia nella crisi della lira del 1992. I due dirigenti della
banca centrale, Carlo Azeglio Ciampi, che era Governatore, e Lamberto Dini, che
era direttore generale, sono poi diventati Presidenti del Consiglio dei due
governi di "tecnici" responsabili della politica di privatizzazione
su tutto il fronte e di tagli alla spesa pubblica per soddisfare la logica del
Trattato di Maastricht. L'attacco speculativo del settembre 1992 portò ad una
svalutazione della lira del 30% ed al prosciugamento delle riserve della Banca
d'Italia, che fu costretta a bruciare 48 miliardi di dollari nel vano tentativo
di arginare l'attacco speculativo. La crisi portò anche allo scioglimento del
Sistema Monetario Europeo. Le indagini ora aperte sono state sollecitate da un
esposto di Paolo Raimondi e Claudio Ciccanti, rispettivamente presidente e
segretario generale del "Movimento Internazionale per i Diritti Civili -
Solidarietà", inoltrato alla fine dell'ottobre 1995 alle Procure di
Milano, Roma, Napoli e Firenze. Il noto avvocato romano Giuseppe de Gori
rappresenta il Movimento Solidarietà nella procedura legale. Il movimento si
rifà alle idee politiche ed economiche di Lyndon LaRouche, l'economista
americano e candidato alla presidenza nel partito democratico. L'esposto
(pubblicato sul numero 5 di Solidarietà, ottobre 1995) documenta le dirette
responsabilità di Soros nell'attacco alla lira e stabilisce inoltre un
collegamento tra questa manovra e l'incontro segreto tenuto a bordo del panfilo
reale "Britannia" della regina Elisabetta II d'Inghilterra, avvenuto
il 2 giugno 1992, nel corso del quale esponenti del mondo bancario e
finanziario anglo-olandese incontrarono delle personalità italiane per
complottare la completa privatizzazione delle partecipazioni statali a prezzi
stracciati.
Tra i
partecipanti di quell'incontro c'erano i rappresentanti delle banche Barings e
S.G. Warburg, Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e
Beniamino Andreatta. L'esposto chiede alle autorità giudiziarie di stabilire se
le attività di Soros costituiscano una violazione dell'articolo 501 del codice
penale, secondo il quale è prevista una pena carceraria fino a quattro anni per
chi provoca la svalutazione della moneta nazionale e dei titoli di stato con
mezzi illeciti. Queste azioni riflettono il tentativo di retroguardia di alcune
forze politiche ed economiche che stanno cercando di fermare, o almeno
rallentare il processo di disintegrazione delle istituzioni dello stato. Esse
si agganciano anche a quelle forze e interessi americani, sopratutto intorno al
Presidente Clinton, che stanno cercando di arginare le folli politiche di tagli
proposte da Gingrich, che è nel contempo uno dei più accesi sostenitori della
"libera" speculazione della finanza derivata. Infatti, le attività di
George Soros sono oggetto di indagini da parte di organi ufficiali americani,
soprattutto a partire dal giugno 1993 quando l'allora presidente della
commissione bancaria del Congresso, il democratico Henry Gonzalez sollevò la
questione della grande speculazione e di Soros in una storica seduta. La crisi
in Italia ha già raggiunto l'orlo dell'abisso e minaccia adesso di gettare la
nazione in un caos totale aprendo le porte ad una cannibalizzazione
dell'economia italiana da parte delle forze finanzarie ispirate dalla City di
Londra.
Dini e Fazio
In
questo contesto è interessante notare il fatto che il 26 gennaio il Primo
ministro uscente Lamberto Dini ha presentato al Parlamento il rapporto
semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, in cui si diceva che i
servizi segreti italiani erano stati chiamati a svolgere delle indagini sulle
continue operazioni di destabilizzazione economica e finanziaria dell'Italia.
Nel documento si leggeva che "i mercati valutari e le Borse delle
principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai
danni della nostra moneta originate, specie in passaggi delicati della vita
politico-instituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate
riguardante la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle
periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo." L'azione dei servizi è
quindi stata indirizzata "alla verifica di eventuali strategie di
aggressione sistematica alla nostra sicurezza economica, in un momento in cui è
possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente."
Il rapporto presentato da Dini, ma certamente da lui non preparato, evitava di
identificare il noto caso di George Soros. Lo stesso giorno, il prof. De Gori,
per conto del Movimento Solidarietà, ha mandato una nota al Presidente della
Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, chiedendogli di sollecitare un intervento del
Consiglio Superiore della Magistratura. Il giorno dopo, 27 di gennaio, parlando
a Roma in occasione del Cinquantesimo Anniversario dell'Ufficio Italiano Cambi
(UIC), il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, denunciava che i
mercati finanziari sono troppo forti e le banche centrali non sono più in grado
di resistere alle operazione speculative sui mercati dei cambi. "Oggi,
diceva Fazio, se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di
fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la
dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di
fuoco".
Per
l'Italia, il cambiamento del clima c'è stato nel 1990 e il vento ha cominciato
a soffiare nel 1992: nell'arco di quei dodici mesi l'UIC ha utilizzato tutte le
sue riserve di 8 miliardi di DM per cercare inutilmente di smorzare la furia
dei venti speculativi. Sul mercato italiano dei cambi si registra una
esplosione delle transazioni internazionali che toccano i 50 mila miliardi
giornalieri. Fazio concludeva ammettendo che le banche centrali del mondo non
possono far altro che assecondare i "venti" finanziari e monetari. La
dichiarazione di Fazio, tardiva, conferma la giustezza dell'analisi e degli
interventi del movimento di LaRouche a livello internazionale e del Movimento
Solidarietà in Italia. Ad esempio, il 28 giugno 1993 il Movimento Solidarietà
tenne una conferenza a Milano dove vennero denunciate le operazioni speculative
del Britannia e della finanza derivata contro gli interessi nazionali. (Vedi
Solidarietà dell'ottobre 1993 anno 1, numero 1). Siamo adesso in campagna
elettorale. Il governo Dini e il tentativo di Antonio Maccanico, due civil
servant della grande finanza internazionale, sono colati a picco su due scogli:
il primo si chiama Maastricht, e la sua sostanza è la logica infernale di tagli
al bilancio, che, contrariamente alle paranoie monetariste, non pareggiano i
bilanci ma fanno detonare le mine sotto i resti dell'economia reale; il secondo
è costituito da una resistenza, seppur tardiva e disorganizzata, alla
speculazione e alle privatizzazioni selvagge complottate sul Britannia.
Inoltre, anche se molti non se ne sono ancora accorti, la campagna elettorale
americana insegna che le forze sociali e produttive hanno già sconfitto i
candidati e le politiche dei neo conservatori di Gingrich e vogliono invece
dibattere i temi strategici del rilancio dell'economia produttiva,
dell'occupazione, della tecnologia. Una campagna elettorale può essere momento
di lavaggio del cervello di massa se si impone agli elettori un dibattito su
argomenti virtuali, oppure un momento di educazione e di responsabilizzazione
se si introducono le grandi sfide di oggi, contro il neo malthusianesimo, il
post industriale, la geopolitica destabilizzante e la cultura della morte.
Esposto
della Magistratura contro Gorge Soros
Il
seguente documento è stato presentato dal Movimento Solidarietà al Procuratore
della Repubblica di Milano il 27 ottobre 1995
Paolo
Raimondi , in qualità di Presidente del "Movimento Internazionale per i
Diritti Civili - Solidarietà" e Claudio Ciccanti, in qualità di segretario
generale dello stesso Movimento, portano all'attenzione del signor Procuratore
della Repubblica di Milano alcuni fatti e considerazioni relative alle attività
speculative contro la lira, intraprese dal cittadino americano George Soros a
partire dal 1992. Il 30 ottobre 1995 il signor George Soros, controllore del
fondo di investimento "Quantum Fund", dovrebbe ricevere una laurea
`honoris causa' in economia all'Università di Bologna e, secondo i bollettini
stampa, uno dei coordinatori di tale manifestazione sarebbe il prof. Romano
Prodi. Si chiede l'apertura di un procedimento giudiziario nei confronti del
sig. George Soros e per motivare tale richiesta si espongono i seguenti fatti:
I. Il sig.
George Soros, per sua stessa ammissione in molte interviste alla stampa e alla
televisione, è stato uno dei principali promotori, organizzatori e beneficiari
del gigantesco attacco speculativo contro la lira, la sterlina britannica, il
franco francese e altre monete europee nel settembre 1992, che ha costretto
alla libera fluttuazione al di fuori del Sistema Monetario Europeo (SME)
ponnedo una seria ipoteca sul futuro dello stesso SME.
Secondo
resoconti della stampa economica, George Soros avrebbe incassato in pochi
giorni almeno 400 miliardi di lire (28 milioni di dollari) nella speculazione
contro la lira e ben 1.200 miliardi di lire operando contro la lira sterlina.
Soros e
il suo fondo di investimento"Quantum Fund" sono tra i più abili
operatori sui mercati speculativi dei derivati, strumenti finanziari
contrattati globalmente per una media di 1.000 miliardi di dollari al giorno.
La tecnica utilizzata dagli speculatori in derivati permette loro di operare su
cifre enormi disponendo in realtà solo una minima parte dell'ammontare
nominale. La stessa tecnica sarebbe stata utilizzata da Soros anche nella
speculazione contro la lira, per la quale ha potuto mobilitare un miliardo di
dollari impegnando di suo solo 50 milioni di dollari e raccogliendo il resto in
crediti, utilizzando i 50 milioni come garanzie collaterali.
La
nostra moneta, da 760 lire per un marco tedesco, ha perso subito il 30% del suo
valore ed è continuata a scivolare fino alle 1200 lire per un marco con
conseguenze drammatiche per le risorse dello stato, con perdite in ricchezza
reale e in occupazione (la lira si è ovviamente anche indebolita nei confronti
delle altre monete a partire dal dollaro). Tutte le importazioni di energia, materie
prime e tecnologia sono in dollari o in marchi.
La
Bundesbank, la banca centrale tedesca, ha speso inutilmente 60 miliardi di
marchi per la difesa del franco francese, della lira e delle altre monete dello
SME. La Banca d'Italia avrebbe utilizzato tra il giugno e il settembre 1992, 48
miliardi di dollari di riserve per difendere, senza successo, il valore della
lira.
II. La
precisione dell'attacco, spiegato dai media come frutto di qualità quasi
"magiche" del sig. Soros, dovrebbe invece sollevare dubbi su
possibili azioni illegali e criminali di aggiotaggio e di "insider
trading", di possesso di informazioni riservate che, se utilizzate, danno
allo speculatore un margine di vantaggio e di sicurezza per poter anticipare
movimenti su titoli, valori e cambi delle monete.
È stato
infatti annotata nel 1992 l'esistenza, per esempio, di un contatto molto
stretto e particolare del sig. Soros con Gerald Carrigan, presidente della
Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell'apparato della Banca
centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche
riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne
poi immediamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria "Goldman Sachs
& co." come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldaman
Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a
livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella
politica delle privatizzazioni in Italia.
In
Italia inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima collaborazione del sig.
Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e
attuale presidente della "Albertini e co. SIM" di Milano, una delle
ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del
consiglio di amministrazione del "Quantum Fund" di Soros.
III. L'attacco
speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e preparato
dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht "Britannia" della
regina Elisabetta II d'Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza
internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei
derivati, come la S.G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la
controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero
del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la
privatizzazione dell'industria di stato italiana. A seguito dell'attacco
speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta
privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della
grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato
italiano e dell'economia nazionale e dell'occupazione. Stranamente, gli stessi
partecipanti all'incontro del Britannia avevano già ottenuto l'autorizzazione
da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le
privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla
Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L'agenzia stampa EIR
(Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida
operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze
parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in
discussione l'intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione.
IV. Il
"Quantum Fund", il fondo di investimento controllato da Soros,
registrato nelle Antille Olandesi, annovera i seguenti personaggi nel suo
consiglio di amministrazione:
Alberto Foglia
( Banca del Ceresio di Lugano);
Isidoro
Albertini (Albertini e co. SIM Agenti di Cambio, di Milano);
Richard
Katz ( direttore della Rothschild Italia Spa);
L.
Amedée de Moustier ( IFA Banque di Parigi);
Boat
Notz di Ginevra;
Edgar de
Picciotto (Union Bancaire Privée (UBP) di Ginevra);
Claudio
Segré di Ginevra;
Nils O.
Taube(socio d'affari di lord Rothschild nella finanziaria "St. James's
Place Capital plc");
Un
esempio dell''ambiente' del "Quantum Fund": Edgar de Picciotto.
De
Picciotto presiede la UBP , la terza banca svizzera, nata dalla fusione della
Compagnie de Banque et d'Investissements, la banca privata della famiglia
Picciotto, e della Trade Development Bank (TDB) appartenente ad Edmund Safra.
Safra fu coinvolto in un'inchiesta aperta nel 1989, assieme alla Shakarchi
Trading Company, accusata dalla DEA, l'agenzia anti droga americana, di essere
legata al cartello colombiano della cocaina. L'inchiesta su Safra fu poi
archiviata. Il 27 novembre 1994 la polizia americana ha arrestato in Florida Jacques
Handali, funzionario della Union Bancaire Privée sotto l'accusa di riciclaggio
di soldi della droga tra gli USA e la Svizzera. Su richiesta americana, la
procura di Ginevra aveva aperto un'inchiesta parallela e il giorno dopo furono
perquisiti gli uffici della UBP di Ginevra. Contemporaneamente a New York
venivano arrestati diversi individui accusati di aver svolto le mansioni di
corrieri, trasportando valigette di narcodollari dagli USA alle casse della UBP
in Svizzera. Mentre i vertici della UBP si dichiarano innocenti accusando
Handali di aver agito per proprio conto, gli inquirenti americani sostengono il
contrario, grazie alle prove ottenute attraverso un cliente di Handali che in
realtà era un informatore della polizia. Ad uno degli incontri tra Handali e il
cliente-informatore, questi viene invitato a Ginevra dove incontra nella sede
dell'UBP una persona di più alto livello nell'operazione. Il
cliente-informatore viene incoraggiato a investire in uno dei principali fondi
di investimento europei.
V. Come è
stato menzionato già all'inizio, è lo stesso George Soros ad ammettere
pubblicamente di essere uno dei principali speculatori internazionali. Ad
esempio, in un'intervista rilasciata al quotidiano inglese The Guardian il 19
dicembre 1992, riportata anche nel documento "Lo sviluppo moderno
dell'attività finanziaria alla luce dell'etica cristiana", preparato dalla
Commissione Pontificia "Justitia et Pax", Soros testualmente dice:
"Sono certo che le attività speculative hanno avuto delle conseguenze negative.
Ma questo fatto non entra nel mio pensiero. Non può. Se io mi astenessi da
determinate azioni a causa di dubbi morali, allora cesserei di essere un
efficace speculatore. Non ho neanche l'ombra di un rimorso perchè faccio un
profitto dalla speculazione sulla lira sterlina. Io non ho speculato contro la
sterlina per aiutare l'Inghilterra, né l'ho fatto per danneggiarla. L'ho fatto
semplicemente per far soldi." Questa dichiarazione vale anche per la lira
italiana. In un altro articolo scritto per il Times di Londra il 12 settembre
1995, Soros dice a riguardo del suo operato speculativo: "Mi sono mosso
nell'ambito di regole decise da altri. Se le regole falliscono, non è colpa mia
in quanto partecipante, ma di coloro che le hanno decise... quando gli speculatori
fanno profitti, in qualche modo le autorità hanno fallito."
VI. Per
queste sue attività speculative, il signor Soros è stato in più occasioni
oggetto di indagini dirette o di richieste di indagini.
Il caso
più importante risale al 18 giugno 1993, quando in un discorso pronunciato al
Congresso americano, il parlamentare democratico texano Henry Gonzalez,
Presidente della Commissione Bancaria e Finanze del Congresso USA, ha richiesto
un'inchiesta sulle attività finanziarie internazionali dello speculatore George
Soros. Nello stesso discorso, l'on. Gonzalez aveva anche detto: "Quello
che fanno le grandi banche non è un'attività normale ma è speculazione. In
effetti giocano d'azzardo... Siamo ormai ad oltre mille miliardi di dollari che
circolano nel sistema, ma le nostre autorità, che per la vigilanza del sistema
bancario internazionale dovrebbero essere quelle del Federal Reserve Board, non
si rendono conto di quanto accade.. Anche per questo la nostra Commissione ha
aperto un'inchiesta sui proventi della droga. Si stima che ammontino a circa
300 miliardi di dollari le attività di riciclaggio dei soldi della droga."
In
Italia il 6 agosto 1993, il deputato democristiano Raffaele Tiscar ha
presentato un'interrogazione al ministro del Tesoro per chiedere l'apertura di
un'inchiesta su George Soros e sulle sue attività speculative contro la lira
nel contesto della politica di privatizzazioni discussa sul
"Britannia". Altri parlamentari di vari partiti e orientamenti
politici, tra cui l'On. Antonio Parlato, hanno in varie occasioni presentato
interpellanze parlamentari per far luce sulle attività di George Soros in
Italia.
VII. In varie
occasioni, anche le più alte autorità dello stato italiano hanno sollevato
pubblicamernte dubbi sull'operato di interessi finanziari internazionali, con
eventuali agganci italiani, nelle operazioni speculative e di destabilizzazione
contro l'Italia.
Marzo
1993. A seguito di una repentina e sorprendente declassificazione di titoli di
stato e di altri titoli italiani da parte della agenzia privata di rating
"Moody's", che aveva portato a un crollo della lira e della Borsa, il
Presidente Luigi Scalfaro chiese pubblicamente se dietro una tale decisione ci
fosse qualche ragione destabilizzante. Allo stesso tempo da Londra arrivarono voci
di un avviso di garanzia contro il Presidente del Consiglio Giuliano Amato,
cosa che aiutò l'attacco speculativo.
Agosto
1993. Il ministro degli interni Nicola Mancino, a seguito dell'ondata di
attacchi terroristici, dichiarò: "Non escludo un ruolo della finanza
internazionale".
5
novembre 1993. Fu il "venerdì nero" della lira anche a seguito di
voci provenienti da Londra su un possibile avviso di garanzia nei confronti del
Presidente Luigi Scalfaro. Il giorno dopo, l'allora Presidente del Consiglio Carlo
Azeglio Ciampi scrisse una lettera al Procuratore Capo della Republlica di
Roma, Vittorio Mele, perchè "avviasse le procedure relative al delitto
previsto all'art. 501 del codice penale, considerato nell'ipotesi delle
aggravanti in esso contenute." Cioè si chiedeva di indagare su un
possibile reato di aggiotaggio da parte di chi aveva operato contro la lira e i
titoli quotati in Borsa.
25 maggio 1994. Ancora una volta la lira crollò e la
Borsa perdette il 2,6% in poche ore a seguito di voci provenienti da Londra su
un presunto avviso di garanzia contro il nuovo Presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi.
IN BASE
AI FATTI ESPOSTI, si chiede l'apertura di un procedimento giudiziario nei
confronti del signor George Soros, per verificare se la sua ammessa attività
speculativa sia stata svolta in VIOLAZIONE dell'articolo 501 del codice penale
("Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle
borse di commercio"). Si fa notare che l'articolo 501 specificamente
prevede un raddoppio delle pene "se dal fatto deriva un deprezzamento
della valuta nazionale o dei titoli dello stato".
(L'articolo 7 del codice penale prevede che
il cittadino italiano o straniero anche se commette in territorio estero il
predetto reato deve essere punito secondo la legge italiana.)
in
VIOLAZIONE dell'articolo 2628 del codice civile ("Manovre fraudolente sui
titoli delle società").
in
VIOLAZIONE dell'articolo 2595 del codice civile ("Limiti legali della
concorrenza") che dice: "La concorrenza deve svolgersi in modo da non
ledere gli interessi dell'economia nazionale..."
in
VIOLAZIONE dell'articolo 2598, paragrafo 3 del codice civile ("Atti di
concorrenza sleale").
in
VIOLAZIONE dell'articolo 2041 del codice civile ("Dell'arricchimento senza
causa") .
È
opportuno anche verificare se tale attività speculativa sia in violazione
dell'articolo 41 della Costituzione della Repubblica Italiana secondo cui
"l'attività economica non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale
o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità
umana".
È
opportuno anche ricordare che l'articolo 3 della stessa Costituzione prevede
che "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico
e sociale, che limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, che
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese."
[Solidarietà,
anno V n. 1, febbraio 1997]
Come i
Rothschild controllano il Quantum Fund
Il
Presidente del Movimento Solidarietà Paolo Raimondi, dopo aver presentato nei
mesi passati un esposto alle Procure della Repubblica di Napoli, Roma, Firenze
e Milano contro George Soros per l'attacco speculativo contro la lira del
settembre 1992, ha distribuito, a partire dallo scorso 25 novembre, la seguente
dichiarazione ai magistrati, parlamentari e giornalisti che si sono interessati
al caso, per puntualizzare in maniera ancora più definitiva le denunce di cui
si è fatto promotore.
Sono
venuto a conoscenza del fatto che le reti della banca Rothschild stanno
cercando di ostacolare coloro che in qualche forma si oppongono alla politica
di assalto piratesco della grande finanza internazionale, che prende la forma
di una privatizzazione e che nella sostanza esige la svendita dell'impresa a
partecipazione statale. All'inizio di ottobre avevo emesso un comunicato di
denuncia del ruolo della Rothschild Italia come advisor nella privatizzazione
del Banco di Napoli (La Rothschild ha svolto lo stesso ruolo nella svendita
dell'ENI) identificando il nefasto ruolo di Richard Katz , già direttore della
Rothschild Italia e al contempo membro del comitato esecutivo e direttore del
Quantum Fund di George Soros, l'affondatore della lira nel settembre 1992. La
Rothschild vorrebbe ora vantare una nuova verginità che si sarebbe rifatta
semplicemente sostituendo Richard Katz al vertice della banca. Per questo
ritengo opportuno aggiungere qualche altro elemento su alcune operazioni poco
chiare dell'intero gruppo Rothschild, con particolare riferimento alle
compenetrazioni operative tra il gruppo internazionale dei Rothschild e il
Quantum Fund di Soros. Sia chiaro: è il gruppo Rothschild nel suo complesso a
operare insieme al Quantum Fund. Richard Katz è semplicemente uno strumento, un
predicato, di questo intreccio finanziario.
Di
seguito si riportano alcuni fatti salienti che non intendono essere il
resoconto finale della ricerca. L'urgenza di ostacolare le privatizzazioni
impone di intervenire adesso senza attendere il quadro completo. (Per evitare
il gioco delle scatole cinesi secondo cui "vi sono differenti banche per
differenti rami della famiglia Rothschild", si fa notare che, mentre i
legami e le copartecipazioni sono sempre esistite, il 27 ottobre i vari rami
bancari-finanziari si sono ufficialmente riuniti per ridefinire una strategia
ed un vertice comuni).
I legami
dei Rothschild con il Quantum Fund di George Soros risalgono a prima della
creazione del Quantum Fund N.V. la cui sede centrale è a Curaçao, nelle Antille
Olandesi. Negli anni settanta George Soros insieme al socio Jim Rogers ha
lavorato per la Arnold & S. Bleichroeder ,Inc. e per il Bleichroeder Fund,
finanziaria che operava in sintonia con i Rothschild. Nel 1969 Soros lasciò in
raporti amichevoli la Bleichroeder portandosi con sé un gruppo di investitori
della stessa, muovendosi già allora nella direzione che avrebbe condotto alla
creazione del Quantum Fund. Si fa notare che la Bleichroeder di New York è
attualmente, insieme alla Citibank N.A. di New York, la principale fiduciaria
del Quantum Fund.
Ecco i
principali personaggi dell'intreccio Soros-Rothschild:
Georges C. Karlweis . Secondo quanto riportato da un
ex partner di George Soros, Karlweis è stato uno dei primi partecipanti al
lancio del Quantum Fund N.V.. Lo troviamo dal luglio 1985 direttore della banca
N.M. Rothschild & Sons LTD di Londra, presieduta da Evelyn de Rothschild.
Con Karlweis, nel comitato direttivo della banca troviamo anche Richard Katz,
Edmund de Rothschild, E.L. de Rothschild, Lord Jacob de Rothschild (capi dei
vari rami della famiglia), Henry Ergas, che conduce l'uffico di Roma, e il noto
Alfred Hartmann. Nel 1988 Karlweis figura come direttore della Banque Privée di
Ginevra di Edmund de Rothschild. Nel 1991-92 è nel consiglio di amministrazione
della Rothschild Bank AG di Zurigo del Barone Elie de Rothschild, presidente
della banca di cui Alfred Hartmann ne è il vice presidente. Karlweis è stato
anche coinvolto nelle operazioni sporche del mafioso e trafficante di droga
Robert Vesco, come la grande truffa dell'International Overseas Service (IOS)
creato da Bernie Cornfeld e con sede in Svizzera. Con l'IOS lavorò anche il
nostro Beniamino Andreatta, collaboratore di Prodi e attivo partecipante
nell'incontro sul Britannia del 2 giungo 1992. Attualmente Karlweis è direttore
della NM Rothschild & Sons, vice presidente della Banque Privée di Ginevra
e presidente della Banque de Gestion Edmond de Rothschild del Principato di
Monaco. Richard Katz. Direttore del Quantum Fund. In un resoconto pubblico del
Quantum Fund del 1993 figura anche come membro del comitato esecutivo. Il suo
rapporto con i Rothschild è di lunga data. Lo troviamo nel 1988 ad esempio
nella lista dei direttori della N.M. Rothschild & Sons LTD di Londra,
guidata da Evelyn de Rothschild. Sulla stessa lista si trovano Georges
Karlweis, Alfred Hartmann, Herny Ergas (direttore della filiale Rothschild a
Roma) e Lord Jacob de Rothschild, presidente della St. James Place Capital,
banca d'affari di Londra. Lo stesso anno Katz figura come direttore capo degli
investimenti della Rothschild (NM) Asset Management, responsabile del
portafoglio esteri della Rothschild (NM) Fund Management LTD. Almeno fino al
1993 è direttore della Rothschild Italia insieme a Sir Derek Thomas. Sir Thomas
è stato ambasciatore britannico a Roma per il periodo 1987-89; nel 1990 diviene
direttore della Rothschild Italia e della Rothschild Europa, consigliere
europeo per la N.M. Rothschild & Sons, di cui è direttore dal 1991 ad oggi.
Sir Thomas dal 1991-92 è uno dei massimi dirigenti del British Invisibles, gli
organizzatori del meeting sul Britannia il 2 giugno 1992. (Del British
Invisibles parleremo oltre).
Nils O.
Taube. Direttore del Quantum Fund. Nel resoconto pubblico del Quantum Fund del
1993 figura come membro del Comitato esecutivo. Taube è socio di Lord Jacob de
Rothschild, presidente della banca St. James Place Capital di Londra. Secondo
il rapporto annuale della banca del 1993 egli figura tra i direttori insieme a
Nathaniel de Rothschild, punto di riferimento della famiglia Rothschild negli
USA e a Parigi. Nel rapporto della stessa banca del 1996, egli figura come
Principal Investment Advisor (principale consigliere per gli investimenti)
della banca. Nel 1988 era il direttore degli investimenti della Rothschild (J)
Investment Management LTD di Londra. È doveroso sottolineare il seguente punto:
nel resoconto del Quantum Fund del 1993 appaiono 8 direttori di cui 4 sono
membri del comitato esecutivo. Due di questi quattro, Richard Katz e Nils O.
Taube, lavorano per i Rothschild. Una coincidenza? Questi sono gli uomini che
hanno agito nel 1992 per far crollare la lira sotto l'ondata della
speculazione.
Vediamo
ora brevemente il personaggio di Alfred Hartmann . Lo abbiamo già trovato nel
1988 con Richard Katz tra i direttori del NM Rothschild & Sons di Evelyn de
Rothschild Londra. Nelle stesso anno è manager generale della Rothschild Bank
AG di Zurigo, presieduta dal Barone Elie de Rothschild. Nel 1991-92 ne diventa
vice presidente. Nella dirigenza della stessa banca troviamo Georges C.
Karlweis e il Dr. Jürg Heer, famoso anche in Italia. Nel 1992 Jürg Heer
dichiarò di aver pagato 5 milioni di dollari ai killer mafiosi di Roberto
Calvi. Nella Relazione di Minoranza della Commissione d'inchiesta sulla P2 del
sen. Pisanò (p.121) si legge che il 22 aprile 1981 la banca Rothschild di
Zurigo fondò a Monrovia (Liberia) una società di nome Zirka per conto di
Umberto Ortolani e Bruno Tassan Din. Otto giorni dopo il Banco Ambrosiano
Overseas di Nassau (ex. Cisalpine) erogò a favore della Zirka 95 milioni di
dollari che vennero subito trasferiti a Zurigo presso la Rothschild Bank. E 45
dei 95 sembra siano scomparsi durante il periodo della detenzione di Calvi
nella primavera-estate del 1981 (Carlo Palermo, Il quarto livello", pag.
245). Nei resoconti bancari svizzeri del 1987-88 Alfred Hartmann figura un po'
dappertutto. È direttore della banca The Royal Bank of Scotland AG di Zurigo,
direttore della Lavoro Bank di Zurigo (controllata dalla Banca Nazionale del
Lavoro), della banca del Gottardo di Ginevra, della finanziaria Creafin di
Zurigo, e presidente della Banque de Commerce e de Placements SA (BCP) di
Ginevra. La BCP era posseduta dalla Bank of Credit and Commerce International
(BCCI), la banca internazionale del riciclaggio, delle operazioni del traffico
di armi e di droga utilizzata dai servizi britannici e dalle reti di Bush-North
dell'Iran-Contras per operazioni sporche. La BCCI, che controllava anche la
Italfinance International Spa di Roma, fu chiusa a seguito di un'indagine
condotta dalle autorità americane. Le verità più scottanti di quella vicenda
non vennero mai alla luce perché George Bush decretò tutta una serie di
insabbiamenti. Queste coperture favorirono anche Hartmann che si dovette
dimettere dalla Lavoro Bank, ma lo troviamo allegramente vice presidente della
Rothschild AG di Zurigo nel 1991.
Rothschild
Italia. È da questi interessi che la Rothschild Italia Spa di Milano, filiale
della MN Rothschild & Sons di Londra viene creata nel 1989. Richard Katz ne
è stato direttore, in particolare durante le operazioni speculative contro la
lira del Quantum Fund del 1992 (di cui è direttore e membro del comitato
esecutivo). Nel 1990 era direttore della Rothschild Italia anche sir Derek
Thomas , ex ambasciatore britannico a Roma nel periodo 1987-89 e dal 1990 ad
oggi figura chiave del British Invisibles, oltre ad essere direttore dal 1991
della NM Rothschild & Sons LTD di Londra. Thomas condivide attualmente
questa posizione nella banca di Londra con personaggi eccellenti quali Lord
Wakeham, già presidente della Camera dei Lords e membro del governo in più
occasioni, Norman Lamont, che i Rothschild "prestarono" alla politica
nel 1972 passando attraverso parecchi ministeri economici fino a diventare
ministro del Tesoro nel 1990 per fare poi ritorno alla "casa madre"
nel 1993. Secondo i resoconti del 1996, boss della banca Rothschild Italia è
Eric de Rothschild, che figura tra i direttori della NM Rothschild & Sons
di Londra, mentre il direttore è Stefano Marsaglia, che proviene dalla Cir di
De Benedetti.
British Invisibles (BI) . Sono gli
organizzatori del meeting dei banchieri della City tenutosi sul Britannia, alla
presenza della regina Elisabetta II, il 2 giugno 1992 per complottare la
privatizzazione dell'industria di stato italiana che doveva far seguito alla
svalutazione della lira provocata da Soros e co. Citando dal discorso tenuto
sul Britannia nelle acque del porto di Dublino, Irlanda, nel 1995, da Neil
Jaggers, membro dell'esecutivo del BI e direttore per gli affari dell'Europa
orientale, "il British Invisibles è un ente privato che ha per scopo la
promozione della City di Londra". Gli "invisibles" sono i
"servizi" dell'alta finanza della City. BI funziona come punto di
unione tra la finanza privata e il governo britannico. BI conta attualmente 114
membri, tutta l'élite finanziaria di Londra, parecchi rappresentanti del
governo e della Bank of England, la banca centrale.
Naturalmente
la Rothschild ha un ruolo di primo piano negli Invisibles. Ad esempio, secondo
il rapporto del 1996 della BI, Sir Derek Thomas , direttore della NM Rothschild
& Sons, già ambasciatore britannico a Roma nel periodo 1987-89, membro del
BI dal 1992, è stato fino al 10 settembre 1996 presidente del comitato LOTIS
(Liberalization of Trade in Services Committee, Comitato per la
liberalizzazione del commercio in servizi). Rory Allan, della NM Rothschild
& Sons, è membro del comitato del BI per l'Unione degli Stati Indipendenti
( l'ex URSS). William Lamarque, della NM Rothschild & Sons, è membro del
"gruppo Cina" del BI. British Invisibles organizza seminari in tutti
i punti strategici del globo appetibili alla City, soprattutto elaborando piani
di privatizzazioni, apertura dei mercati alla finanza derivata, eliminazione di
ogni barriera alla penetrazione del liberismo selvaggio della City. In molti
casi, dice Jagger, BI ha il privilegio di usare lo yacht reale
"Britannia", spesso in combinazione con le visite della regina
Elisabetta II o del duca di Kent, gran maestro della massoneria di rito scozzese.
Il British Invisibles nel passato ha organizzato ogni anno una decina di simili
incontri; per il 1997 BI ha già prenotato il Britannia, con o senza la regina,
per 20 incontri d'affari.
Sulla
base di quanto sopra intendo ribadire la necessità di ritirare il mandato dato
dal Tesoro alla Rothschild di operare come advisor nelle privatizzazioni del
Banco di Napoli, dell'ENI e di eventuali altre imprese di stato; la necessità
di fermare il processo di privatizzazione in quanto basato su premesse che
danneggiano l'interesse nazionale, cioè sulla combinazione Britannia-Soros,
speculazione/svalutazione/privatizzazione; la necessità di continuare nelle
indagini sull'"affaire Britannia-Soros" sia a livello di Procure
della Repubblica che a livello di commissioni parlamentari.
Regine,
innominabili e mafiosi filantropicamente nel Quantum Fund. Stralci del dossier
pubblicato dall'EIR del 1 novembre 1996 che mettono in risalto alcuni dei
collegamenti più sporchi e blasonati di Soros. La rivista americana Time lo
caratterizza come un "moderno Robin Hood", che ruba ai ricchi per
donare ai poveri: a fare le spese delle speculazioni di George Soros sarebbero
le grandi banche centrali mentre egli investirebbe i suoi guadagni nelle
economie emergenti dell'est Europeo, dove promuove la sua utopia della
"Società aperta", qualcosa che si spaccia come "cultura di
sinistra". La realtà è che ruba a tutti per conto di un'élite
ristrettissima di ricchi, e che dietro lo zuccherino delle sue imprese
"filantropiche" nell'Europa orientale c'è la medicina mortale della
"terapia shock" somministrata alle economie dell'est da quelli della
sua cordata, dal professorino di Harward Jeffrey Sachs allo svedese Anders
Åslun, con i quali ha ampiamente collaborato Romano Prodi. L'idea di fondo della
"società aperta" è creare le precondizioni necessarie per l'acquisto
a prezzi stracciati delle immense proprietà minerarie e d'altra natura che
costituiscono l'ultima ricchezza tangibile di tutto i paesi ex comunisti. Per
questo le sue 19 fondazioni diffuse nei paesi dell'Est fanno proficua opera di
conversione degli ex marxisti in liberisti dell'ultima ora. Basta pagare. Soros
salì alla ribalta mondiale nell'autunno 1992, quando orchestrò un'ondata
speculativa contro la lira e la sterlina per frantumare il Sistema Monetario
Europeo. Disse di essersi messo in tasca, solo speculando sulla sterlina, oltre
un miliardo di dollari. Con la lira fatta a pezzi, i suoi amici in Italia si
scatenarono per vendere le partecipazioni statali agli acquirenti stranieri che,
anche nella molto improbabile prospettiva di un prezzo equo in lire, avrebbero
sborsato il 20-30 per cento in meno del dovuto. Come abbiamo documentato più
volte, non fu un'occasione fortuita, ma fu una trappola ordita a bordo del
panfilo della corona inglese Britannia, al largo di Civitavecchia il 2 giugno
del 1992, quando Mario Draghi e Beniamino Andreatta guidarono un incontro dei
grand commì nostrani con i rappresentanti delle grandi banche inglesi tra cui
la Warburg e la Barclays. Gli onori di casa al centinaio di ospiti convenuti
per discutere la svendita dell'Italia furono fatti dalla regina Elisabetta II.
Da
allora Soros si pavoneggia nel suo alone di "re Mida". Come dice lui
stesso, quello che tocca diventa oro. Lo scopo è quello di egemonizzare il
mondo della speculazione, far correre i polli dove lui getta il becchime. Nel
1993 lanciò un'operazione di acquisto dell'oro (diceva che la Cina aveva deciso
di rimpinguare notevolmente le riserve), tutti dietro a comprare e si arrivò al
rialzo del 20% del prezzo; poi, insieme al suo compare Jimmy Goldsmith, si
disfece segretamente dei suoi acquisti realizzando profitti notevoli.
Operazioni analoghe le ha condotte da allora in diverse piazze del mondo,
specializzandosi sulle speculazioni contro le monete: ha condotto attacchi
contro il marco tedesco e contro le monete della Tailandia, Malesia, Indonesia
e Messico.
Dietro
il Quantum Fund
Naturalmente
il personaggio è artificiale, o meglio, è un personaggio costruito per gestire
dei fondi altamente speculativi per investitori che non sono disposti ad
esporsi. Il suo fondo d'investimento Quantum Fund gestirebbe somme tra gli 11
ed i 14 miliardi di dollari di depositi e, come dice lui stesso, tra gli
investitori più importanti conta la stessa regina Elisabetta. Insieme alla
regina non è difficile intravedere il grosso dell'oligarchia britannica ed
europea. Il Quantum Fund è registrato nelle Antille olandesi con tutti i
trucchi necessari per non dovere presentare alcuna trasparenza ad autorità di
sorta, né sulle entità delle operazioni né sull'identità dei depositanti.
Evidentemente si tratta di una "graziosa concessione" della monarchia
olandese. Secondo la commissione dell'OCSE sul riciclaggio del denaro, le
Antille Olandesi sono il principale centro di riclaggio del denaro della droga,
soprattutto della cocaina dell'America Latina. Di americano Soros ha solo il
passaporto, mentre il suo quartier generale è a Curaçao. Per evitare possibili
interferenze delle autorità americane Soros non figura nemmeno tra i manager
del suo fondo, e a mala pena figura sulla carta come "consulente
d'investimento" attraverso la sua ditta di New York, la Soros Fund
Management. Soros ha riempito la direzione del suo Quantum Fund di inglesi,
svizzeri e italiani, evitando accuratamente cittadini americani. Mentre il
grosso degli investimenti proviene dall'impero dei Rothschild, come è
ampiamente documento nlle pagine precedenti, anche gli altri elementi del
Quantum Fund costituiscono un quadro inquietante. Il più noto è Edgar De Picciotto,
"uno dei banchieri più furbi di Ginevra" che figura nel Consiglio
d'Amministrazione del Quantum Fund e presiede la CBI-TDB Union Banque Privée,
una banca privata di Ginevra che gestisce grandi capitali sul mercato dell'oro
e degli "Hedge Funds", i fondi d'investimento off-shore, soldi che
quasi per definizione non possono essere più distinti dai proventi della droga.
De
Picciotto è praticamente da sempre socio del banchiere Edmond Safra,
proprietario della Republic Bank of New York. Secondo alcune indagini questa
banca è la principale esportatrice in Russia di banconote americane, per
miliardi di dollari. Il fabbisogno di dollari in Russia cresce in maniera
direttamente proporzionale alla criminalità che opera quasi esclusivamente con
i "contanti verdi". Safra è indagato dalle autorità americane e
svizzere per il riciclaggio dei proventi della droga di turchi e colombiani. La
Trade Development Bank (TDB) di Safra si fuse nel 1990 con la CBI di De
Picciotto, dando vita alla TDB-CBI Union Banque Privée. Anche se i termini
della fusione sono mantenuti segreti, di fatto De Picciotto entrò nel consiglio
di amministrazione della American Express svizzera, mentre due direttori della
American Express di New York sono entrati nel consiglio d'Amministrazione della
Banque Privée. Safra aveva venduto la Trade Development Bank alla American
Express Inc. negli anni Ottanta. La American Express, nel cui consiglio figura
anche Henry Kissinger, è stata colpita da diversi scandali per il riciclaggio
del denaro della droga. De Picciotto iniziò la sua carriera sotto Nicholas
Baring della omonima banca londinese che per secoli è stata la banca della
famiglia reale inglese. Dopo il crac del marzo 1995 la Baring è stata rilevata
dal gruppo olandese ING, anch'esso molto esposto nel riciclaggio. Si tenga
presente che Peter Baring partecipò al vertice del Britannia del 1992 a
Civitavecchia. De Picciotto è inoltre socio di lunga data di Carlo De
Benedetti. I due figurano nel C.d'A della Societé Financière de Genève. Il
motivo principale dell'uscita di De Benedetti dalla Olivetti è che ha usato i
patrimoni industriali come fiches sul tavolo verde dei derivati, evidentemente
perdendo. All'inizio degli anni Ottanta De Benedetti ebbe un ruolo di primo
piano nella bancarotta del Banco Ambrosiano, tragicamente conclusasi con
l'omicidio, secondo un macabro rituale massonico, di Roberto Calvi a Londra. Le
responsabilità dell'impiccagione di Calvi sotto il ponte dei Blackfriars sono
state rivendicate da ambienti Rothschild (vedi pag. 20, sotto Alfred Hartmann).
Tra i numerosi scandali per riciclaggio di denaro in cui sono stati implicati
De Picciotto e la sua Union Banque Privée spicca l'arresto, avvenuto nel
novembre 1994, di Jean-Jacques Handali e di altri dirigenti della UBP. Secondo
la Procura di Miami, Handali e la UBP costituivano la "swiss
connection" in una rete internazionale di trafficanti turchi e colombiani.
Tra i personaggi più legati a De Picciotto spicca Helmut Raiser, un misterioso
mercante di armi che farebbe affari in società con Grigori Luciansky, il
personaggio della mafia russa che controlla la holding russo-svizzera Nordex
Group. Il contingente italiano nel vertice del Quantum Fund di Soros è
costituito da Isidoro Albertini, titolare di una delle società
d'intermediazione mobiliare più prestigiose di Milano e da Alberto Foglia che
dirige a Lugano la Banca del Ceresio.
Rich, Reichmann & Co.
Esperti
che hanno condotto inchieste su Soros per conto del Dipartimento di Stato USA
affermano che almeno 10 miliardi di dollari del Quantum Fund provengono da
investitori "silenziosi", che preferiscono cioè l'anonimato, e che
hanno chiesto a Soros di mandare in frantumi la stabilità monetaria europea.
Questo spiega perché Soros, che si vanta di avere tra i suoi investitori la regina
e le principali case bancarie inglesi, abbia colpito così duramente la sterlina
nell'autunno del 1992. La contraddizione apparente svanisce tenendo conto del
fatto che era il modo più sicuro di mettere in pratica la decisione strategica
inglese di frantumare lo SME, che è la strategia thatcheriana per eccellenza.
Tra gli
investitori "silenziosi" vengono segnalati Marc Rich, un mercante di
petrolio e di metalli ricercato dalla giustizia americana, e Shaul Eisenberg,
ex pezzo grosso dei servizi segreti israeliani che fa il mercante di armi nel
Medio Oriente ed in Asia. Il governo dell'Uzbekistan gli ha interdetto gli
affari nel paese dopo aver scoperto una serie di truffe e corruzioni colossali.
Un altro socio di Soros è Rafi Eytan che in passato teneva a Londra i collegamenti
tra il Mossad e lo spionaggio inglese. Gli affari più grandi, trattando
soprattutto alluminio e petrolio, Marc Rich li ha fatti in Unione Sovietica,
poi Russia, tra il 1989 ed il 1993. In quello stesso periodo il Nordex Group di
Grigori Luciansky raggiunse un fatturato di miliardi di dollari vendendo
soprattutto alluminio e petrolio russi. Secondo il Wall Street Journal del 13
maggio 1993 le imprese di Rich in Russia sono finite sotto inchiesta per
truffa. La lista potrebbe continuare all'infinito, ma i contorni del protettore
di Romano Prodi e della sua scuola "liberista" dovrebbero essere
ormai chiari.
[Solidarietà, anno IV n. 1, febbraio 1996]
L’inchiesta
su Soros stana la "Banda dei cinque"
L'indagine
proposta dal Movimento Solidarietà è entrata nella fase calda. Ciampi &Co.
dovevano sapereche nel 1992 la lira non avrebbe retto l'assalto speculativo di
George Soros e sperperarono 15 mila miliardi in una difesa a dir poco sospetta.
"Se, come sembra, l'inchiesta su George Soros andrà avanti, Mani Pulite
diventerà una barzelletta", ha dichiarato Paolo Raimondi, presidente del
Movimento Solidarietà, a commento dell'incoraggiante notizia che la Procura di
Roma ha avviato una nuova fase dell'inchiesta sullo speculatore internazionale.
Raimondi era a Roma per una serie di consultazioni alla fine di gennaio, nei
giorni in cui alcuni quotidiani davano grande risalto al contenuto dell'esposto
con cui il Movimento Solidarietà aveva fatto avviare l'inchiesta. "Noi non
crediamo alle battaglie politiche per vie giudiziarie", ha aggiunto
Raimondi, che ha proseguito: "La nostra iniziativa è stata concepita per
organizzare e stimolare la riscossa di tutte le forze che si oppongono alla
politica di distruzione dell'economia nazionale imposta dal FMI, da Maastricht
e dai mercati finanziari guidati da Londra". Come Solidarietà ha riferito
più volte, l'esposto presentato da Raimondi e Claudio Ciccanti (segretario del
Movimento Solidarietà) chiede di verificare se l'attacco alla Lira del
settembre 1992, che fece uscire la nostra moneta dal Sistema Monetario Europeo
svalutandola del 30%, facesse parte della stessa strategia discussa sulla
riunione del "Britannia" il 2 giugno dello stesso anno. Sul Britannia
erano infatti riuniti i principali banchieri della City per conto dei quali
George Soros condusse la speculazione contro la Lira. Alcuni di loro poi
parteciparono alla grande svendita chiamata privatizzazione, chi direttamente
chi in consorzio con altri alleati della City. Nell'esposto si chiede di
appurare se Soros, nel suo attacco alla Lira, abbia goduto di notizie riservate
di fonte italiana. Rimane infatti un mistero il comportamento delle nostre
autorità monetarie che, sapendo già dal maggio precedente di non poter reggere
all'attacco speculativo, riversarono nell'inutile difesa della Lira 48 miliardi
di dollari per poi capitolare. Invece, quel comportamento fece guadagnare a
Soros 280 milioni di dollari in una settimana e forse molto di più. La perdita
secca per le casse della banca centrale, che ha dovuto riacquistare le riserve
di valuta a Lira deprezzata, è stata calcolata in circa 15 mila miliardi di
Lire, una mini-finanziaria. L'accusa di complicità sembra concretizzarsi già
nella prima fase dell'inchiesta (che procede a Napoli e Roma, mentre Firenze e
Milano si sono fatti da parte per motivi diversi), almeno nei confronti di uno
dei timonieri della Lira nel settembre 1992, Piero Barucci, allora ministro del
Tesoro e membro della "Banda dei cinque" che controllava la politica
monetaria (gli altri erano l'allora capo del governo Giuliano Amato, l'allora e
attuale Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi, l'allora governatore di
Bankitalia e attuale superministro dell'Economia Carlo Azeglio Ciampi e
l'allora Direttore di Bankitalia e attuale ministro degli Esteri Lamberto
Dini). Infatti, come ha rivelato il Corriere della Sera in un ampio servizio
del 27 gennaio, dedicato all'inchiesta sollecitata dal Movimento Solidarietà,
Barucci è oggi presidente della AFV, una società di intermediazione finanziaria
(sim). Il guaio dell'AFV non è solo che essa svolge attività speculativa, ma
che la lettera "F" sta per Alberto Foglia, fondatore della AFV e
nientepopodimenoche presidente del consiglio di amministrazione del Quantum
Fund di George Soros! Lo stesso quotidiano di via Solferino sottolinea la
precaria posizione di Barucci quando, nel riferire il testo dell'esposto (vedi
riquadro), elenca i nomi di consiglieri del fondo di Soros e nota che Alberto
Foglia è "partner nella Sim ora presieduta da Barucci". Naturalmente,
dato che le indagini, proprio per la loro serietà, sono coperte dal massimo
riserbo, non è dato sapere di più. Ma non è difficile immaginare lo stato di
disagio in cui si trovano attualmente il Barucci e il resto della Banda dei
Cinque, indicato dal modo in cui si è verificata una prima, agitata reazione
alle "cattive" notizie giudiziarie.
Ciampi
scende in campo
In una
evidente contromossa, i protagonisti del Settembre Nero della Lira hanno
anticipato la "loro" versione dei fatti. Come se avesse letto in anticipo
il servizio che doveva uscire l'indomani, domenica 26 gennaio, Ciampi si è
sentito in dovere di spiegare il comportamento della Banca d'Italia in quella
crisi. Si badi bene: finora, dopo quattro anni e mezzo, Ciampi non aveva speso
una parola sull'argomento. Parlando ad una riunione degli operatori di cambio
(quindi tra galantuomini), l'attuale vero capo del governo Prodi ha dapprima
scaricato ogni responsabilità: egli non fece che obbedire agli ordini del
governo. "Le decisioni sulle parità delle monete sono sempre e da sempre
di competenza dell'esecutivo." Poi Ciampi è passato all'offensiva. La
crisi della Lira, a suo avviso, è stata positiva perché "l'atmosfera di
dramma" che l'accompagnò permise "l'adozione di quelle rilevanti
misure di correzione di bilancio che il governo aveva invano cercato di varare
prima". In altre parole, la battaglia persa contro la speculazione fu lo
shock necessario a fare accettare agli italiani quattro anni di stangate che
non sono altro che trasferimenti netti di risorse a favore della rendita
finanziaria. Ma Ciampi si spinge oltre: il 31 luglio, quando la Lira era già
sottoposta a una pressione speculativa (e la Banda dei Cinque sapeva che non
avrebbe retto), Amato era riuscito a strappare ai sindacati il famoso accordo
salariale giustificandolo tra l'altro con la necessità di rimanere nel Sistema
Monetario Europeo e quindi di combattere l'inflazione. "Amato racconta
Ciampi riuscì nell'intento perché voleva tenere il cambio: Se avesse detto `io
domani svaluto', l'intesa non la faceva". Avete capito bene: Ciampi si fa
bello per non aver concesso gli aumenti salariali e per aver invece regalato 15
mila miliardi a Soros attraverso la manovra speculativa! Perché poi, sembra
proprio che quelle decisioni siano state prese più a Via Nazionale che a
Palazzo Chigi. Perlomeno a quanto afferma un testimone dell'epoca, l'allora
segretario del PSI Bettino Craxi. Le parole di Craxi vanno prese cum grano
salis, tenendo presente la situazione particolare dell'esule di Hammamet;
ciononostante, le circostanze riferite sembrano veritiere. Craxi ha scritto una
lettera al Corriere, pubblicata con risalto in pagina economica, per dire la
sua sui fatti del `92 riferiti nel servizio del 27 gennaio. Amato lo chiamò
all'inizio della pressione speculativa, scrive Craxi, per chiedere consiglio su
quale linea di condotta tenere. È credibile che Amato, nominato Presidente del
Consiglio su indicazione del PSI, si consultasse con il segretario del partito.
Craxi avrebbe suggerito di non sprecare risorse e svalutare. Amato
evidentemente non tenne conto del consiglio, anche se ritelefonò ad Hammamet
per avvisare Craxi dell'imminente svalutazione. Le circostanze riferite da
Craxi descrivono un Presidente del Consiglio in cerca di suggerimenti in una
crisi più grande di lui. Amato non emerge certamente come la figura del
comandante che dà ordini, tantomeno alla Banca d'Italia, come sostiene Ciampi.
È più probabile il contrario: che nel panico di quei giorni, il governo abbia
seguito le indicazioni di "chi ne sapeva di più", e cioè dei grandi
sacerdoti della moneta di Via Nazionale. Un'impressione confermata dalla
lettura del libro L'Isola del Tesoro, del summenzionato Piero Barucci.
Evidentemente presagendo di essere il primo capro espiatorio quando fosse scoppiata
la tempesta, Barucci ha scritto il libro come una difesa in anticipo. Secondo
il libro (e anche qui la descrizione sembra credibile), Barucci piomba
dall'esterno in una compagine governativa dove comandano altri e lui assiste
impotente ad avvenimenti che gli passano sopra la testa. In ogni caso, il
cerchio dei sospetti si stringe sempre più attorno a Ciampi e ai suoi uomini.
I
sorosiani si scoprono
A
giudicare dallo zelo con cui gli stessi media che hanno amplificato le tardive
spiegazioni di Ciampi si sono profusi in sospette apologie di George Soros, si
deve presumere che, se ricevevano ordini, i ciampisti li ricevevano dal mega
speculatore americano o dai suoi padroni inglesi. L'oscar spetta a La
Repubblica (proprietario Carlo De Benedetti, che fece incontrare Soros e Di
Pietro) che, in un sol giorno, il 31 gennaio, ha pubblicato tre articoli, in
tre pagine diverse, in difesa della Banda dei Cinque e di George Soros. Prima,
un grosso servizio intitolato "Craxi-Ciampi, è polemica sulla svalutazione
del `92", in cui ampio spazio viene concesso alle argomentazioni di Ciampi
sopra riferite. Nella sezione culturale, un'intera pagina viene dedicata a
George Soros, dipinto come un genio che dispensa saggezza filosofica sui mali
del... libero mercato. L'autore è il noto scrittore latinamericano Vargas Losa,
che come Soros è a favore della legalizzazione della droga. Dimostrando una
illimitata fiducia nella imbecillità dei suoi lettori, dipinge Soros come un
interprete della dottrina sociale della Chiesa. In pagina editoriale,
l'apologia del genio economico di Soros viene affidata a Giorgio Ruffolo,
veterano esponente della sinistra tecnocratica italiana. Ruffolo tratta Soros
come un "pentito" della speculazione a cui occorre prestare ascolto
perché sa quel che dice. Fa finta di trattare Soros oggettivamente, ma una
settimana dopo Ruffolo ha partecipato a Bruxelles ad una conferenza
organizzata, finanziata e presieduta proprio da Soros, che ha riunito un gruppo
di intellettuali europei. Scopo della conferenza, lanciare la campagna per una
"società aperta" nell'Europa occidentale, sulla scorta delle
esperienze svolte da Soros nell'Est Europa, con l'obiettivo di varare nel 1988
un'assemblea costituente europea. Non ci interessa sapere se i partecipanti all'iniziativa
abbiano ricevuto il solito "rimborso spese" della serie Nomisma, ma
piuttosto far capire al lettore l'esistenza di collegamenti e disegni politici
che a definire "complotto" si pecca di modestia. Nell'articolo di
Repubblica Ruffolo prende per buona la versione sorosiana dei fatti del `92,
con la quale esordisce: "Ebbi il primo segnale - dice Soros nella sua
autobiografia - di una crisi imminente della sterlina da un discorso del
presidente della Bundesbank, Schlesinger." Dopodiché Soros avvicinò
Schlesinger e "capii immediatamente che cosa voleva dirmi. Era un
incoraggiamento a vendere la lira italiana". Più in là, Soros rincara la
dose: "Abbiamo eseguito gli ordini del nostro maestro, la
Bundesbank". La sua teoria è confutata come minimo dal fatto che la Bundesbank
ha speso almeno 60 miliardi di marchi per difendere le monete dello SME,
principalmente il franco francese.
Le
provocazioni del Financial Times
Come
afferma Raimondi nell'intervista citata all'inizio, l'Italia è vittima di una
politica economica distruttiva di cui Soros e la Banda dei Cinque sono
rappresentanti. Questa politica oggi prende il nome di "Maastricht",
anche se non si tratta altro che della vecchia politica del Fondo Monetario
Internazionale. La beffa è che, benché la politica di Maastricht sia stata
congegnata per distruggere gli stati nazionali, con la Germania come obiettivo
principale, il fatto che i primi della classe nell'adottare la politica di
bilancio per raggiungere i famigerati parametri siano i tedeschi si presta a
manipolare i meno fortunati, come l'Italia, contro la Germania. Abbiamo visto
con quale disinvoltura Soros e i suoi cortigiani italiani addirittura accusano
la Bundesbank della speculazione contro la lira, senza tema di essere
ridicolizzati. Così, alla fine di gennaio, il Financial Times, il principale
organo dei padroni di Soros nella City di Londra, è riuscito quasi ad innescare
una crisi tra Roma e Bonn inventandosi l'esistenza di un piano segreto tedesco
per tenere fuori l'Italia dalla moneta unica. L'articolo del Financial Times è
stato il segnale per una rinnovata campagna internazionale contro la Germania
che viene dipinta come il Quarto Reich. Questa è la stessa identica campagna
lanciata nel 1989 dalla premier inglese Margaret Thatcher, con cui fu estorta alla
Germania la tacita promessa di farsi promotrice della politica di Maastricht in
cambio del "nulla osta" per la riunificazione tedesca. Il ricatto ha
effetto sui due versanti: contro la Germania, costretta a fare la prima della
classe, e contro gli altri che ne sono gelosi. La provocazione è stata poi
rilanciata domenica 9 gennaio da Beniamino Andreatta, in un'intervista al
Corriere, dove l'attuale ministro della Difesa accusa la Bundesbank di avere
condotto nel passato operazioni di aggiotaggio contro la lira. Da quale
pulpito: proprio Andreatta era a bordo del Britannia il 2 giugno 1992, quando
si complottò la privatizzazione delle aziende a partecipazione statale assieme
ai protagonisti del successivo assalto contro la lira. In una dichiarazione
pubblicata sullo Strategic Alert dell'EIR, Paolo Raimondi ricorda che nel 1992,
il gioco politico della City e dei suoi alleati fu quello di utilizzare
speculatori di grido come Soros per far saltare il Sistema Monetario Europeo e
soprattutto di minare un possibile orientamento unitario dell'Europa
continentale verso la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali
conosciuti come il Triangolo Produttivo e anche come "Piano Delors".
Con la vittoria geopolitica britannica, dichiara Raimondi, "abbiamo avuto
anni di privatizzazione, saccheggio dell'economia produttiva e l'esplosione
della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di
destabilizzazione riparte oggi, quando l'Europa continentale viene nuovamente
attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire,
nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo
Eurasiatico, la Nuova Via della Seta, che dalla Cina, attraversando l'intera
Asia, unisce le nazioni e i popoli fino all'Atlantico, in un grandioso programma
di sviluppo e crescita tecnologica e industriale." [Solidarietà, anno IV
n. 1, febbraio 1996]
Il
Corriere della Sera : "Il sostituto procuratore vuole verificare..."
Il 27
gennaio 1996, il Corriere della Sera ha pubblicato un servizio in cui si dava ampio
risalto all'iniziativa del Movimento Solidarietà che ha portato ad aprire
l'inchiesta su George Soros. Eccone alcuni stralci. "Le due inchieste
partono dalle Procure di Roma e di Napoli. Ma al centro hanno lo stesso attacco
alla lira del settembre del `92, che portò banche e speculatori internazionali,
tipo il famoso George Soros, a soffiare riserve in valuta per 48 miliardi di
dollari alla Banca d'Italia. Questa istituzione dello Stato in quei giorni
comprò lire ad oltranza per sostenere inutilmente il cambio della moneta
nazionale, come voleva il governo di Giuliano Amato. Il sostituto procuratore
di Roma Cesare Martellino (...) vuole verificare se influenti italiani hanno
operato illegalmente dietro banche e speculatori, quando questi investirono capitali
colossali contro la lira, provocandone l'uscita dal Sistema Monetario Europeo
(Sme) e una svalutazione di circa il 30 per cento. Martellino per ora ha
iscritto nel registro degli indagati solo Soros (...). Punto di partenza è un
esposto presentato da Paolo Raimondi e Claudio Ciccanti del gruppo
"Solidarietà", emanazione italiana di un movimento politico Usa,
impegnato in una campagna contro la grande speculazione finanziaria e vicino al
partito democratico.(...) Le inchieste in corso a Roma e Napoli sembrano
interessate soprattutto a verificare se ci fu una diffusione di notizie
riservate: un'illegalità sospettata con frequenza negli ambienti finanziari
italiani, non solo dal caso Eni-San Paolo del "venerdì nero" della
lira nell'85. Per esempio Piero Barucci, come ministro del Tesoro del governo
Amato, dovette fare i conti anche con una misteriosa talpa" che avrebbe
anticipato informazioni sulla prevista privatizzazione del Credito Italiano.
(...)
"Soros
è indagato perché si vuol capire come mai rischiò migliaia di miliardi contro
la lira con tanta sicurezza. Non è che all'epoca banche e speculatori sapevano
che la Banca d'Italia avrebbe difeso a oltranza la moneta italiana, comprando
lire in cambio di valuta anche quando poteva sembrare inutile a tanti analisti
finanziari? Nell'esposto presentato dal movimento Solidarietà" viene
segnalato un rapporto di Soros con Romano Prodi, allora consulente della banca
Goldman Sachs, impegnatissima sui mercati finanziari. (...) Sono elencati anche
i nomi di consiglieri del fondo di Soros, tra cui l'agente di cambio italiano
Isidoro Albertini e i finanzieri svizzeri Alberto Foglia (partner nella Sim ora
presieduta da Barucci) ed Edgard de Picciotto. Viene pure ricordata la vicenda
del Britannia", il panfilo reale dove, secondo alcune interrogazioni
parlamentari, esponenti di banche d'affari straniere avrebbero organizzato
l'attacco alla lira, per ridurre il costo delle aziende pubbliche italiane da
privatizzare."
Barucci
e l'isola del teSoros
Il
ministro del Tesoro all'epoca della crisi della Lira del '92, oggi presidente
di una finanziaria di cui è proprietario un socio di Soros, confessa nel libro
L'isola italiana del Tesoro, pubblicato nel 1995, che il movimento di LaRouche
diede del filo da torcere ai "Piratizzatori", denunciando per primo
il famoso meeting sul Britannia e catalizzando l'opposizione alla "banda
dei cinque". Barucci rivela che lui era stato invitato sul Britannia e
difende i partecipanti, tra cui il Direttore del Tesoro Mario Draghi, dalle
accuse allora pubblicate dall'EIR, in un documento intitolato: "La
strategia anglo-americana dietro la privatizzazione in Italia: il saccheggio di
un'economia nazionale", diffuso nel dicembre 1992. "Non riesco a
comprendere scrive Barucci come mai un episodio come tanti (uno di mille
convegni che si tengono in Italia) sia assurto a così grande fama". Il
socio di Soros non dice che l'incontro "come tanti" si svolse su
territorio britannico, appunto, sul panfilo della Regina Elisabetta, fuori
delle acque territoriali italiane. "Ero anche io fra gli invitati a
quell'incontro. Non partecipai solo per pigrizia. Potei poi appurare che Draghi
vi era andato soltanto per dovere di ufficio e spero che non sia più disturbato
per una questione inesistente. Il fatto è che sono dovuto andare come ministro
un paio di volte nelle Commissioni parlamentari ad assicurare che quel giorno
il Britannia non si era trasformato in un covo di complottardi, decisi a
consegnare l'economia italiana a gruppi stranieri facilmente identificabili".
Più avanti, raccontando gli scontri sulle privatizzazioni, Barucci spiega:
"Il punto di partenza restava sempre l'incontro sul Britannia; i fantasmi
che tormentavano la mente e lo spirito di alcuni commentatori avevano le solite
fisionomie. La parola d'ordine era evidente: creare, in tutti i modi possibili,
un gran polverone attorno alle privatizzazioni in modo da fermarle. "Era
stato messo in circolazione 'mirata' un appunto [quello dell'EIR] dal titolo La
strategia anglo-americana dietro la privatizzazione in Italia: il saccheggio di
un'economia nazionale. L'avevo letto, nel tardo autunno del 1992, sia pure
senza un grande impegno, perché vi avevo scorto stilemi culturali ben noti. La
cosa si fece però improvvisamente seria quando il capo dello Stato, avendone
ricevuta copia due o tre mesi dopo, mi chiese un motivato parere. Cosa che feci
puntualmente, facendogli avere, anche in questo caso, una risposta che nessuno
al ministero ha mai visto (...).
"Si
partiva, in questo appunto, dalla certezza che nel mondo è all'opera un gruppo
di potere, dai più non conosciuto, fatto di interessati e spregiudicati
finanzieri, di volontà di potere, di legami di razza, di relazioni
intercorrenti tra società che operano attraverso organizzazioni, non dirò
occulte, ma che almeno amano vivere nell'ombra. (...) E poi ci si inoltrava in
una lunga disquisizione per dimostrare che la svalutazione della lira era stata
oggetto di veri e propri speculatori della finanza internazionale, con Moody's
che aveva funzionato da catalizzatore, pronti, a conseguire vantaggi finanziari
secondo la loro natura di veri e propri avventurieri"."
Il
lettore noti come il banchiere Barucci si mostri scandalizzato all'idea che la
lira fu oggetto di un attacco speculativo. Ma se non erano gli speculatori che
vendevano lire, allora chi era? "Filantropi" come Soros? Barucci
prosegue: "Scrissi a Scalfaro, dopo pochi giorni, che ravvisavo nel
documento la vecchia tesi, che è alla radice di ogni nazionalismo e che ha
turbato spesso la vita democratica della Nazione, per cui la colpa per i nostri
problemi è sempre da attribuire ad altri che, per definizione, sono fuori da
noi. Di qui, il passo a credere al complotto organizzato contro di noi è molto
breve. Autoassolversi per poter continuare a peccare: ecco ripresentarsi il
vizio dei peccatori incalliti e impenitenti". In altre parole, affiancando
l'accusa di "nazionalismo" ai "legami di razza" dei
banchieri denunciati nel documento, Barucci vuole bollarlo di fascismo. In
realtà "i legami di razza" sono inventati da Barucci di sana pianta
per far quadrare i suoi "stilemi culturali". Nella calunnia, però, il
socio degli speculatori ci va cauto, perché investirebbe anche il capo dello
Stato. Proprio in quel periodo, il Presidente Scalfaro aveva infatti levato la
voce contro Moody's, rea di un'altra retrocessione dei titoli italiani,
accusandola di "destabilizzare" il paese. [Solidarietà, anno IV n. 2,
maggio 1996]
Soros,
re della droga libera
Un
dossier dell'EIR illustra la strategia dei liberisti per i quali una delle
fonti di profitto sicuro è il mercato degli stupefacenti.La guerra di Clinton
al riciclaggio dei narcodollari ha messo in seria difficoltà le banche inglesi
LA CAMPAGNA del Movimento Solidarietà contro lo speculatore George Soros ha
raggiunto una nuova dimensione a metà marzo, quando il procuratore di Milano
Francesco Greco ha aperto un'inchiesta che si aggiunge a quelle già aperte dai
colleghi di Napoli e Roma, tutte sulla base dell'esposto presentato dal
Presidente del Movimento Solidarietà Paolo Raimondi (cfr. Solidarietà
dell'ottobre 1995 e del febbraio 1996). Vari organi di stampa nazionali, tra
cui l'Espresso ed il Foglio, notavano allora che il mega speculatore è
impegnato ad acquistare le imprese "privatizzate" dal governo Dini.
Ovvero, dopo che la lira è stata svalutata di oltre il 30% a seguito
dell'assalto speculativo di Soros del 1992, ed a seguito di un ben orchestrato
fallimento nel piazzare i titoli di imprese privatizzate sul mercato nazionale,
Soros ci fa la carità, ci offre benigno una miseria per i gioielli di famiglia,
dalla Dalmine all'ENI alla STET, mentre è pronto a monopolizzare le
informazioni facendo la parte del leone nel progetto Hermes.
La lobby
della liberizzazione
L'aspetto
nuovo più importante sulle malefatte di Soros è stata segnalato dalla rivista
americana EIR, che ha dedicato il numero del 22 marzo a dimostrare che Soros,
oltre ad essere uno speculatore, è anche il re della droga libera: è impegnato
nella più grande campagna internazionale per la legalizzazione che è partita
dall'inizio dell'anno per contrastare un imponente programma di guerra alla
droga varato da Clinton. L'EIR spiega che Soros cominciò la carriera sotto gli
auspici dei Rothschild, che ancora oggi sono tra i finanziatori noti delle sue
attività disponendo di due consiglieri nell'amministrazione del Quantum Fund
NV, la finanziaria di Soros registrata nelle Antille Olandesi.
Il
capitale iniziale fu dato a Soros da George Karlweis, il quale, sempre coi
soldi dei Rothschild, finanziò, alla fine degli anni Sessanta, il famoso
truffatore internazionale Robert Vesco. Vesco ottenne altri soldi dagli
ambienti della Anti Defamation League, soprattutto da Michael Milken, e lanciò
la famosa truffa internazionale dell'Investors Overseas Services (IOS), un
fondo comune d'investimento con il quale riciclò i soldi della droga anche il
grande capo della mafia Meyer Lansky. La truffa fruttò 260 milioni di dollari.
Entrato nella clandestinità, Vesco divenne braccio destro di Carlos Lehder
Rivas del Cartello di Medellín in Colombia e poi tuttofare di Fidel Castro per
le faccende sporche: dal narco-terrorismo allo spionaggio industriale. In
Italia l'IOS di Vesco realizzò le sue truffe attraverso il fondo di diritto
lussemburghese Fonditalia di cui era consigliere Beniamino Andreatta. Nel
giugno 1992 Andreatta partecipò al vertice segreto sul panfilo
"Britannia" in cui fu ordito il crollo della lira dell'ottobre 1992
nell'interesse di Soros. Allievo di Andreatta è Romano Prodi che ha lavorato
direttamente per Soros, insieme a Jeffrey Sachs (vedi oltre), e poi si è
interessato perché il suo "ex" datore di lavoro ricevesse la laurea
ad honorem a Bologna. In questo contesto ricordiamo che l'ex ministro Antonio
Martino, insieme all'esponente della famiglia guelfa Max von Thurn und Taxis, è
sin dall'inizio degli anni Ottanta uno dei massimi esperti dell'arci-liberista
Società Mont Pelerin in materia di "economia sommersa", un'eufemismo
per l'economia della droga. Le principali attività di Soros sul fronte della
droga negli ultimi anni possono essere così schematizzate:
Ha
elargito più di 10 milioni di dollari alla Drug Policy Foundation (DPF), la
principale lobby americana per la legalizzazione. Ha aperto un proprio centro
allo stesso scopo, il Lindesmith Center, affidandolo al dirigente del DPF Ethan
Nadelman. Ha elargito altri milioni di dollari a fondazioni che si battono per
la legalizzazione. Tra queste la più importante è la Drug Strategies, diretta
da Malthea Falco, fondatrice della NORML (altra importante lobby per la
legalizzazione della marijuana) e sposata ad un dirigente della Council on
Foreign Relations. Ha promosso conferenze. Nell'ottobre 1995, mentre a Bologna
davano la laurea a Soros, in America il suo centro Lindesmith ha iniziato la
vendita delle videoregistrazioni della conferenza "Approcci nuovi alla
politica per la droga, legalizzazione e regolamentazione", sponsorizzata
dall'associazione degli avvocati di New York tra il 10 ed il 12 ottobre. La
stragrande maggioranza dei relatori proveniva dai pensatoi di Soros: il Lindesmith,
il DPF, il Drug Strategies e Partnership for Responsible Drug Information.
Un'altra
conferenza si è tenuta in autunno allo Hoover Institute di Palo Alto in
California (una succursale di fatto della Società Mont Pelerin) a cui hanno
partecipato 38 esperti di polizia e magistratura. A tessere le lodi della
legalizzazione è intervenuto l'ex segretario di Stato George Shultz, che da
tempo si è dedicato alla causa della DPF, e Kurt Schmoke, un direttore del DPF
e sindaco di Baltimora. Quest'ultimo ricevette tempo fa un assegno di 100 mila
dollari dal DPF per le sue attività a favore delle legalizzazione.
Ha
promosso la carriera dell'"economista" Jeffrey Sachs che dalla fine
degli anni Ottanta ha propagandato la "terapia d'urto" nei paesi
dell'ex Patto di Varsavia. Attualmente Sachs è un dipendente di Soros, il quale
gli mise gli occhi addosso quando il professorino di Harward si andava vantando
di essere l'architetto del "miracolo finanziario boliviano", che nei
fatti fu la vendita di un intero paese, la Bolivia, a una mafia di trafficanti
di cocaina. Sachs propone apertamente e esplicitamente la "liberizzazione
finanziaria dei dollari della droga". Attraverso le sue fondazioni Open
Society, Soros investe annualmente circa 500 milioni di dollari esentasse in
cosiddetti progetti culturali. Si tratta di operazioni che si estendono a 24
paesi, tra cui soprattutto quelli dell'Est europeo, il Sud Africa ed Haiti. Al
centro di questa rete "caritativa" c'è l'Open Society Institute (OSI)
di New York presieduto da Aryeh Neier. Costui vanta dodici anni di esperienza
alla testa del Human Rights Watch, un ente, sempre finanziato da Soros, che
agisce negli ambienti britannici e dell'ONU nel mondo, soprattutto dove Soros
ha deciso di investire. Da quando Neier dirige l'OSI, dai conti dell'ente
risulta che la principale attività "caritativa" di cui si occupa è la
legalizzazione della droga. L'8 luglio 1994 Soros annunciò che nel corso di tre
anni l'OSI avrebbe donato 10,5 milioni di dollari alla DPF. Nel maggio 1994 la
Banca Mondiale convocò Nadelman, del centro Lindesmith, per tenere un resoconto
sulla situazione mondiale della droga. Quando l'amministrazione Clinton mostrò
di non gradire che il resoconto fosse fatto da un aperto fautore della
liberizzazione, la Banca Mondiale preferì annullare l'intera seduta piuttosto
che rinunciare al portavoce di Soros.
[Solidarietà,
anno IV n.3, luglio 1996]
George
Soros finanzia la liberizzazione degli stupefacenti in Europa orientale
Droga,
eutanasia e cultura liberista-decostruzionista sono le strategie globali del
noto speculatore indagato da tre procure italiane per il crac della lira del
1992. Alcuni effetti della sua politica in Polonia Nel numero precedente,
Solidarietà ha pubblicato, riprendendolo dalla rivista EIR, un dossier sulla
strategia del megaspeculatore George Soros per la droga libera, ed ha tracciato
un primo organigramma dei principali individui e istituzioni impegnati in
questo sordido progetto. In questo numero vediamo come l'"Open Society
Institute" (OSI) di New York, il principale canale con cui Soros finanzia
la campagna per la liberizzazione, sta allargando le iniziative agli ex paesi
comunisti, cercando di coinvolgere i governi di quella parte del mondo nel
tentativo di ostacolare la guerra alla droga dell'amministrazione Clinton.
L'ultimo numero della rivista trimestrale Open Society News dell'OSI, contiene
un articolo intitolato "Alternative di Politica sulla Droga", il cui
occhiello recita: "L'OSI incoraggia esperti dell'Europa orientale a trovare
alternative all'approccio da guerra alla droga" per contrastare il consumo
di stupefacenti nella regione." L'articolo è firmato da Jean-Paul Grund,
direttore del "Programma Internazionale di Riduzione dei Danni"
dell'OSI. Grund sostiene che la "riduzione dei danni" sia oggi la
politica preferita, nel momento in cui il consumo di stupefacenti aumenta
sensibilmente in tutto il settore comunista. Il vantaggio, egli afferma, è che
esso "limita il danno alla società e ai tossicodipendenti" invece di
"cercare di eliminarlo". Grund sostiene che la nozione di
"riduzione dei danni... sta entrando a far parte del dibattito pubblico
nei paesi dell'Europa centrale e orientale... ora è il momento di applicare
programmi come la distribuzione di metadone, l'istruzione e l'uso di siringhe
pulite... Anche se il pensiero dominante è più tradizionale che progressista,
le linee di battaglia non sono ancora state tracciate. Nella maggior parte dei
paesi, ci sono interessi occulti che sostengono l'approccio proibizionistico e
della guerra alla droga". La maggior parte della gente è aperta a idee
ragionevoli (sic)".
Grund va
poi al nocciolo della questione: "Benché convinti del bisogno di politiche
di riduzione dei danni, molti simpatizzanti vedono grandi ostacoli alla sua
realizzazione. I sostenitori devono manovrare con attenzione, spiegando
costantemente i loro piani e programmi ai politici e alle forze dell'ordine, la
cui cooperazione è essenziale per il successo di progetti nuovi e vulnerabili.
Il compito di educare il pubblico e la stampa è enorme. L'opinione pubblica
influenza le posizioni che i politici sono disposti a difendere, ed è più
facile fare i duri sulla droga, piuttosto che spiegare la logica sottile ma
evidente della riduzione dei danni. I sostenitori si trovano a spendere un
sacco di tempo a educare i potenziali e gli attuali critici. In aggiunta, essi
devono contrastare gli sforzi del governo USA e delle Nazioni Unite che
reclutano gli ex paesi comunisti alla guerra mondiale contro la droga ".
L'OSI ha finora finanziato programmi nella Repubblica Ceca, in Bulgaria,
Croazia, Lettonia, Macedonia e Polonia. Di fronte a questi investimenti
colossali assume una luce molto sinistra la dichiarazione fatta da Soros a
Bologna, che, rispondendo alle accuse dell'EIR di essere uno speculatore,
affermò che lui agisce nell'ambito della legalità. Dalla sua strategia degli
investimenti traspare un corollario di tale affermazione: i soldi sono prima
diretti a costringere i governi a legalizzare attività illecite e poi nelle
attività così "legalizzate".
La
macchina culturale
Per la
sua manovra liberizzatrice, Soros conta su una vasta infrastruttura
"intellettuale" che sta costruendo nei paesi dell'Est sin dal 1991.
Principalmente si tratta della CEU, la Central European University, che ha centri
dirigenziali a Budapest, Praga e Varsavia. Dal materiale propagandistico della
CEU per l'anno 1996-1997 risulta alquanto evidente che l'università condivide
scopi e soldi con gli altri satelliti del sistema Soros: l'OSI, l'Open Media
Research Institute e altri. Per iscriversi alla CEU lo studente deve fare
domanda presso gli uffici della Fondazione Soros nel proprio paese. Per ora
l'Università ha uno riconoscimento "provvisorio" e dentro l'anno
prossimo conta di ottenere il pieno riconoscimento dai "reggenti"
dell'Università dello stato di New York. Il Consiglio dei garanti è presieduto
da Soros in persona a cui fanno da contorno Colin Campbell della Rockefeller
Broth. Fund; lord Dahrendorf del St. Antony's College di Oxford; Bornislaw
Geremek dell'Accademia delle Scienze polacca e William Newton-Smith, uno dei
rettori dell'Università di Oxford. Il personale accademico proviene da Oxford e
da altre istituzioni britanniche come la London School of Economics, dove lo
stesso Soros si laureò sotto sir Karl Popper. Gli scritti inediti di questo
"luminare aristotelico" vengono oggi pubblicati dalla CEU. La CEU
ripropone nell'era "post-comunista" tutta l'eredità positivista e
decostruzionista, che fu prodotta dall'impero austro ungarico nella sua fase
crepuscolare e che fu allora utilizzata dagli inglesi per creare la Scuola di
Francoforte, come base culturale per sostenere l'ideologia comunista. A tale
scopo vengono invitati a tenere lezioni alla CEU di Praga professori come
Jacques Derrida, il teorico del decostruzionismo, "delfino" di
sinistra dell'ideologo nazista Heidegger (Cfr. Solidarietà, anno III n. 2,
maggio 1995 pag. 22). Lo scopo della CEU è ripiantare nelle élite intellettuali
dell'Europa centrale, sotto l'occhiuta supervisione britannica, quegli stessi
semi che all'inizio del secolo produssero comunismo e nazismo. In quest'ottica
di Heidegger, Adorno e Hanna Arendt, il nemico numero uno è sempre lo stato
nazionale. Nel 1993 la CEU patrocinò diverse conferenze sul tema
"L'individuo contro lo stato", e ancora corsi di studio in cui si
insegna che le "tradizioni caratteristiche dell'Occidente" sarebbero
quelle "hegeliane, positiviste, fenomenologiche e durkheimiane". Un
altro corso è intitolato "Filosofia politica moderna: Hobbes, Locke,
Rousseau, Kant ed Hegel". A Varsavia si danno corsi che si ispirano alle
dottrine dell'Istituto Tavistock di Londra, come quello sul tema "Dalle
tribù alle nazioni e ritorno" oppure, "Avventure post-moderne del
corpo" ecc.
Conseguenze
in Polonia
Il
risultato di questo lavaggio del cervello è che non solo i giovani più
promettenti di intere nazioni non saranno in grado di ribellarsi alla nuova
schiavitù, ma contribuiranno per primi ad imporla al loro paese. La nuova
schiavitù è più che evidente dallo sfascio economico subito dalla Polonia
sottoposta ai programmi degli economisti di Soros: primi fra tutti il massone
Geremek e l'ex ministro delle Finanze Balcerowitz. Per la prima volta dopo la
guerra, in Polonia il numero dei decessi ha superato quello delle nascite, con
una diminuzione dei matrimoni di oltre un terzo nell'ultimo decennio. Il 60%
delle coppie di giovani sposati non può permettersi un proprio tetto e deve
convivere con i genitori. I settori dell'industria più gravemente colpiti sono
quelli che tiravano di più: cantieristica navale, acciaio, carbone, macchine
utensili (che erano esportate persino negli USA). Sulla rivista del Partito dei
Contadini, Ludwik Staszynski ha denunciato un piano cosciente volto a
destabilizzare il paese imponendo "esperimenti" e
"riforme", e ne ha attribuito le responsabilità al fautore della
terapia shock, Leszek Balcerowicz.
Cavalli
diversi per la stessa strategia
Oggi,
sebbene la cordata dei "neo-liberali" sia stata bocciata alle
elezioni, la politica che essi hanno applicato per conto di Soros viene
fedelmente continuata dai loro successori "comunisti". Negli ambienti
politici polacchi è evidente che la situazione ha superato da tempo il livello
di guardia della tollerabilità. Il problema principale riguarda però la
definizione di un'alternativa: non c'è nessuno che si faccia avanti con un
programma di sviluppo. E forse questo ci dà la misura più esatta delle
operazioni "culturali" di Soros. Un esponente dell'opposizione fa
giustamente osservare: "Come reagirebbe il governo americano se la Polonia
sfidasse le condizioni del Fondo Monetario Internazionale?". Domanda
alquanto retorica, almeno per il momento, visto che l'Ambasciata USA a Varsavia
finanzia la Fondazione Stefan Batory, uno degli istituti di George Soros. È uno
scandalo grave, anche se i 13 mila dollari non sono una cifra colossale, perché
dice tutto su chi controlla i rapporti tra i due paesi. La fondazione Batory
raccoglie la maggior parte degli artefici della "Terapia d'urto" che
ha devastato il paese, e adesso si occupa di acquistare personalità politiche
di tutte le colorature e varietà con cui gestire le successive fasi della
"decostruzione" del paese.
Eutanasia
Il
numero di maggio della rivista statunitense The Chronicle of Philantropy ha
dedicato un ampio servizio sulle fondazioni impegnate a promuovere gli ospizi
per la morte come alternativa alle cure ospedaliere. Si tratta insomma
dell'eutanasia nazista in formula nuova, non più imposta dai decreti di Adolf
Hitler, ma "richiesta come diritto" che, stando ai miliardi investiti
nella propaganda, risulterebbe di gran lunga più importante del diritto alla
vita. Alla testa dell'iniziativa figura il &laqno;Project on Death in
America" che ha sin ora sborsato 25 milioni di dollari a vari organismi
predicatori di morte. L'ente fu costituito due anni fa da George Soros, il
quale ha detto al Chronicle che "da troppo tempo la gente cerca di negare
la morte" e "questo è un aspetto sfortunato della civiltà perché
produce molta sofferenza che si potrebbe evitare". Gli "ospices"
americani, che erano 500 nel 1985, sono diventati 2500 lo scorso anno. Non si
tratta delle case di riposo per anziani, ma di cliniche in cui si assiste e
affretta la morte, senza cure e terapie oltre al semplice alleviamento del
dolore. "Una volta erano considerati un elemento trascurabile
dall'establishment medico per via del rifiuto delle cure ospedaliere, gli
ospices stanno diventando la scelta preferita di numerosi pazienti",
soprattutto i numerosi malati di AIDS, dicono orgogliosi quelli del Chronicle.
Inutile aggiungere che è soprattutto la scelta preferita delle compagnie di
assicurazione che vedono enormi profitti in questa "scelta" degli
assicurati. Sul loro condizionamento, affinché finiscano col firmare
"liberamente e nel pieno delle proprie facoltà" la propria condanna a
morte, si potrebbero scrivere libri. Le assicurazioni finanziano la Robert Wood
Johnson Foundation che ha speso 28 milioni di dollari per studiare la
"qualità della morte" tra i degenti in ospedale e giungere alla
conclusione che "più di un terzo dei malati terminali muoiono nel dolore,
trascorrendo le ultime ore isolati dai propri familiari, con i medici che
ignorano le loro richieste di staccare la spina". La fondazione ha
stanziato un primo assegno di 1,2 milioni di dollari per diffondere il nuovo
verbo su come morire senza soffrire e, soprattutto, senza far soffrire il
cartello assicurativo. [Solidarietà, anno VI n. 4, settembre 1998]
Referendum
truffa negli USA e bande di narcoterroristi secessionisti in America Latina. È
la puntata più rischiosa del "filantropo" speculatore. Le autorità
elettorali di Washington hanno annunciato il 5 agosto che il referendum sulla
legalizzazione della marijuana "a scopo terapeutico", come dicono i
referendari che lo hanno promosso, non avrà luogo perché i promotori non sono
riusciti a raccogliere le firme necessarie a sostegno dell'iniziativa. Il gen.
Barry McCaffrey, direttore dell' ufficio speciale anti-droga della Casa Bianca,
si è congratulato con i cittadini che non si sono lasciati abbindolare con un
comunicato diffuso il 13 agosto in cui afferma che l'iniziativa permissionista,
è "un altro tentativo ben orchestrato di minare un'attenta politica di
controllo della droga per proteggere i nostri giovani. Iniziative del genere
sono lesive nei confronti di un sistema medico sano ed efficiente
d'impostazione scientifica (...) Non è il momento di ricorrere a trucchi
elettorali per rendere la droga più facile. È invece il momento di prendere
nella dovuta considerazione le informazioni scientifiche, che sono da tempo
disponibili, sulle conseguenze del consumo di marijuana. I cittadini hanno
fatto una scelta saggia nel respingere una politica pericolosa e la confusione
retorica di quest'iniziativa referendaria".
Come è
stato riferito da Solidarietà in passato, dal 1994 George Soros investe decine
di milioni di dollari nella campagna referendaria per la droga libera. Dopo
aver ottenuto i primi successi in California e Arizona nel 1996 Soros ha
promosso un ambizioso programma referendario in altri venticinque stati
americani. I finanziamenti ufficiali di Soros passano attraverso la Drug Policy
Foundation, la principale lobby per la liberizzazione, e attraverso il suo
centro studi/propaganda, il Lindesmith Center, diretto da Ethan Nadelmann, che
dirige anche la Drug Policy Foundation e vanta notevoli appoggi presso la Banca
Mondiale. Nel sistema permissivistico sorosiano negli USA figurano inoltre la
Drug Strategies, la NORML, la Partnership for Responsible Drug Information.
Oltre ai finanziamenti diretti ci sono poi i grossi sostegni indiretti e quelli
"culturali" provenienti dalla rete "filantropica" della
Open Society Institute di Soros e dai principali santuari del liberismo: il
Council on Foreign Relations e la Mont Pelerin Society.
Gran
parte di questa struttura di legalizzatori della droga sulla busta paga di
Soros si è data convegno l'11 giugno scorso alla George Washington University,
sotto gli auspici del Dipartimento di Antropologia (progetto Ande), per
incontrare le delegazioni di coltivatori di coca provenienti da Perù, Bolivia e
Colombia. Il titolo dell'incontro è stato: "Guerra alla droga: dipendenza
dal fallimento". I cerimonieri provenivano dal Washington Office on Latin
America (WOLA), ente finanziato ufficialmente da Soros, dall'Institute for
Policy Studies (IPS) e dalla succursale di questo ad Amsterdam, il
Transnational Institute. Quest'ultimo ospita nei suoi uffici "Coca
90s" organismo che fa capo all'antropologo britannico Anthony Hennan,
fondatore della Lega anti-proibizionista internazionale di Soros, consulente
dell'Organizzazione mondiale della Sanità e del Parlamento Europeo. Ovviamente
è legatissimo a Ethan Nadelmann. I progetti di Coca 90, sono stati promossi dal
European NGOCouncil on Drugs and Development (ENCOD)per studiare le scuse
terapeutico-culturali da opporre alla eradicazione delle colture di coca
portate avanti dai governi di Bolivia e Perù. In 5 anni il governo Fujimori ha
eliminato il 40% delle piantagioni. Il boliviano Hugo Banzer, presidente dal
1997, conta di eliminare la coltura della coca entro il suo mandato
quinquennale. Ospiti d'onore all'incontro di Washington sono gli stati sei
esponenti dell'associazione andina dei coltivatori di coca (CAPHC). Il
boliviano Evo Morales, che dirige i cocaleros del CAPHC non ha potuto
partecipare perché non ha ottenuto il visto. Dalle discussioni si è capito che
qualcosa di grosso sta per colpire la regione andina, probabilmente una
riedizione su scala globale dell'insurrezione dei produttori che si verificò
nella Colombia meridionale tra il luglio e l'agosto del 1996. In tale occasione
l'organizzazione narco-terrorista FARC indusse, armi alla mano, interi villaggi
a ribellarsi contro le forze armate.
Héctor
Orozco Orozco, il sindaco di Forencia, uno dei villaggi colpiti da
quell'insurrezione, disse allora all'EIR: "Le marce avvenivano sotto il
controllo dei guerriglieri e dei coltivatori di coca (...) erano state
organizzate sei mesi prima. Per sei mesi sono andati casa per casa, nella
regione di Caquetá, minacciando le persone, raccogliendo soldi, viveri,
tutto". E quando cominciò l'insurrezione "le donne volevano andar
via, piangevano, ma non le lasciarono andare; i contadini avevano marciato per
8, 10, 15 giorni (...) non erano marce, fu un rapimento collettivo di 25 mila
persone". La linea sostenuta dai sei del CAPHC è che bisogna combattere
per impedire e contrastare ogni forma di distruzione delle colture che non sia
"negoziata" con loro, ovviamente in nome del "controllo
locale" e della "democrazia". Nessuno ha chiesto sussidi ed
investimenti per sostituire le piantagioni di coca, incentivi allo sviluppo
economico andino. Hanno chiesto soltanto di riconoscere al CAPHC il "potere"
sulle aree che controlla, cioè che i cocaleros si sostituiscano allo stato.
Coletta
Youngers, portavoce del WOLA di Soros, ha criticato la sessione speciale
dell'ONU sulla droga che si concludeva quei giorni come "il raduno più
esagitato del mondo per la guerra alla droga". Per l'8 giugno, giorno di
apertura dei lavori dell'ONU, il centro Lindesmith di Soros ha pubblicato una
pagina piena di firme dei fautori della droga libera sul New York Times.
Originariamente
l'incontro era stato indetto per rendere pubblico, alla vigilia dei lavori
dell'ONU, un rapporto in cui si screditasse "Interdizione dei ponti aerei
andini", il programma congiunto USA-Perù che sta riuscendo egregiamente ad
impedire che tra i paesi andini la mafia della droga possa impunemente trasferire
i carichi di droga. Il successo dimostra che è possibile arginare il dilagare
dei traffici illeciti e pertanto viene a crollare il dogma secondo cui "la
guerra fallisce sempre" che è l'assioma su cui si regge tutta
l'impalcatura ideologica della liberalizzazione delle droga. Dato questo
successo, e l'incapacità di trovare in sei mesi una linea di critica o di
diffamazione credibile, l'incontro è stato ridefinito in chiave insurrezionale.