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Una moneta, una sola Banca centrale
[di Galimberti Fabrizio]

Sole 24 Ore di sabato 11 ottobre 2008, pagina 23

Una moneta, una sola Banca centrale
di Galimberti Fabrizio

in molti invocano una nuova Bretton Woods per ridisegnare il sistema finanziario e poter governare le irregolarità globali. L'economista Mundeli indica la positiva esperienza dell'euro per introdurre una divisa mondiale che argini i danni e riduca i costi. Una moneta, una sola Banca centrale. Dall'ex presidente Fed Paul Volcker l'invito ad accelerare i tempi della scelta politica. Il progetto ha avuto molti sostenitori da Keynes al Nobel Jan Tinbergen. La prima idea nasce in Italia con Scaruffi nel Cinquecento.

I have a dream, disse Martin Luther King. Era un sogno politico, sogno di una società non più divisa da sanguinosi odi razziali. Ma i sogni possono anche essere economici, e se la crisi che ci avvolge è stata fortunatamente incruenta, non è meno devastante per i destini della comunità.

Quale puo' essere un "sogno" per lenire le ferite inferte da questi epocali rivolgimenti? Mentre i pompieri aprono gli idranti per salvare la casa che brucia, non è sbagliato per gli architetti guardare oltre l'emergenza e cominciare a fare piani per nuove fondamenta e case ignifughe. Si parla spesso di nuove Bretton Woods, di nuove architetture del sistema finanziario internazionale, di rifondazioni istituzionali che eliminino le pericolose discrasie fra un'economia globale e un governo dell'economia frammentato. Quale potrebbe essere, allora un sogno degli economisti? Se questi, secondo alcuni, debbono tacere, hanno tuttavia ancora il diritto di sognare, e il sogno è presto detto: una moneta unica mondiale, una sola Banca centrale, una sola vigilanza.

Utopia? Forse. Ma, come scrisse il premio Nobel di economia Robert Mundell (uno dei propugnatori della moneta unica), «..è sorprendente constatare quanto rapidamente gli umori possono cambiare e gli statisti possono svincolarsi dai vecchi modi di pensare». Le grandi riforme non si fanno mai o quasi mai (l'euro fu un'eccezione) per lente sedimentazioni di pacati ragionamenti, ma hanno solitamente bisogno di uno strattone della realtà, di uno sfibramento dell'abisso, di una grande paura che indurisca le volontà. E la crisi sistemica attuale potrebbe proprio essere il catalizzatore che costringe a «pensare in grande». L'idea di una moneta unica mondiale - con l'inevitabile corollario di una sola Banca centrale - non è una velleitaria e fumosa fuga in avanti. Il pedigree intellettuale è di tutto rispetto. E si adorna, oltre al già citato Mundell (secondo cui «il numero ottimo dimonete è come il numero ottimo di dei: un numero dispari, possibilmente inferiore a tre») di altri premi Nobel di economia, da Jan Tinbergen a James Tobin.

John Maynard Keynes, in uno scritto del 1942, propose un' Unione valutaria internazionale, fondata sul bancor, per stimolare commerci e sviluppo. E non sono solo gli economisti nelle torri d'avorio (Keynes non era certamente uno di quelli) a proporre questi grandiosi progetti. Pierre Werner, un primo ministro lussemburghese, avanzò nei primi anni Settanta la proposta di una moneta mondiale (chiamata «Mondo»). E pi recentemente Paul Volcker ha dichiarato: «Un'economia globale ha bisogno di una moneta globale». Sembra che il primo seme fu gettato in Italia, dal viareggino Gasparo Scaruffi, un mercante e banchiere che a Reggio Emilia, nel Cinquecento, propose una moneta mondiale dall'improbabile nome (l'etimologia è greca) di «alitinonfo»:vuol dire «veraluce» e avrebbe restituito verità e trasparenza a tutte le transazioni. Il seme non cadde mai sulla buona terra, non mise mai radici o fu soffocato dai rovi. Ma rimase sempre nell'inconscio collettivo degli studiosi, al punto che nel novembre 2000, nelle sale austere del Fondo monetario a Washington, si tenne un seminario dal titolo: «Un mondo, una moneta».

Ma come si raccorda questo progetto della moneta unica con la crisi che stiamo attraversando? La crisi è stata essenzialmente una crisi di fiducia, che ha spazzato i mercati finanziari mondiali trasformando i punti dolenti dei titoli tossici in una fuga indiscriminata dal rischio, e in ci spegnendo la voglia di spendere di imprese e famiglie. L'avidità da un lato, le «male regole» dall'altro, non sarebbero necessariamente assenti con una moneta unica mondiale. Ma in quel contesto istituzionale la risposta delle autorità monetarie sarebbe stata per definizione coordinata e univoca; in quel contesto probabilmente la crisi non si sarebbe verificata, perché una Banca centrale unica avrebbe fin dall'inizio mediato fra diverse filosofie e sarebbe stata meno facilmente dominata dal permissivismo che ha condotto alle bolle americane del credito.

La crisi finanziaria non sarebbe stata complicata da crisi valutarie, i carry trade che hanno fatto spumeggiare enormi flussi di capitali non avrebbero potuto esistere per definizione. Ma i vantaggi della moneta unica vanno al di là di un recinto di contenimento dei danni delle crisi. Vi sono enormi guadagni di efficienza dalla riduzione dei costi di transazione e dalla liquidità dei mercati. E poi, ci sono i motivi di fondo, la logica estensione del processo che ha portato i Paesi avanzati ad affidare il potere monetario a una Banca centrale indipendente. Se la moneta è troppo importante per essere gestita da Governi con corti orizzonti elettorali, e se globalizzazione e liberalizzazione hanno fatto della moneta un'entità cui «il mondo è patria come ai pesci il mare», logica vuole che a gestire la moneta debba essere un'istituzione altrettanto globale.

Già oggi il numero di monete nel mondo sta diminuendo, pur se aumenta il numero dei Paesi: vi è dietro un processo di fissione politica e fusione economica. Il numero di Paesi aumenta, man mano che tanti confini innaturali del passato e tante tendenze separatiste portano a ridisegnare le mappe, ma quello delle monete no perché si manifestano possenti i vantaggi, fra Paesi che commerciano intensamente fra loro (come sta succedendo in misura crescente con l'vvento della globalizzazione), di un'Unione monetaria. Si manifesta, insomma, una tendenza a separare la sovranità politica dalla sovranità monetaria, vista giustamente come illusoria in un mondo globalizzato.

Qual è, allora, l'ostacolo vero a questa grande riforma? L'ostacolo è politico. Dal punto di vista tecnico non ci sono grandi problemi a istituire una moneta mondiale, che sarebbe ovviamente fiduciaria e non avrebbe quindi bisogno di alcun collegamento a correlati fisici (oro o panieri di materie prime). Dal punto di vista economico verrebbe meno uno dei meccanismi di aggiustamento degli squilibri, quello che agisce attraverso il cambio; ma le economie, come sappiamo dall'esperienza dell'euro, hanno altri meccanismi di aggiustamento.

L'ostacolo è politico, la riuncia a quel possente simbolo di identità nazionale che è la moneta. Ma il "miracolo" dell'euro insegna: come ricordava lo stesso Mundell, il fatto che Paesi con una moneta che in qualche caso durava da mille anni abbiano avuto la forza e la passione per rinunciare a questo simulacro e annegarlo nel crogiuolo di una moneta nuova, fa pensare che quest'altra tappa finale dell'unificazione monetaria non sia un traguardo impossibile.

fabrizio@bigpond.net.au

da. http://rassegnastampa.mef.gov.it/mefnazionale/View.aspx?ID=2008101110823030-1


12/10/2008 : signet@work : sandro pascucci : www.signoraggio.com v.0.5
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