Il potere politico asservito alle Banche centrali.
Draghi nuovo Governatore della Banca d’Italia.
Sembrerebbe assurdo, ma è proprio vero: le Banche centrali
nazionali, stampano, emettono, controllano la moneta di una nazione,
la prestano al governo e ne lucrano interessi. Ma c’è di
più; anche se può sembrare incomprensibile, salvo
eccezioni molto rare , in tutto il mondo il potere di emettere
moneta è nelle mani di società private, che operano
in completa autonomia e segretezza, senza dover rendere conto
ad alcuno.
TRANNE ECCEZIONI MOLTO RARE, IN TUTTO IL MONDO IL POTERE DI EMETTERE
MONETA E’ NELLE MANI DI SOCIETA’ PRIVATE CHE OPERANO
IN AUTONOMIA E SEGRETEZZA, AL RIPARO DA CONTROLLI INDISCRETI.
I loro soci realizzano enormi profitti con l’esercizio del “signoraggio”.
Il “signoraggio” era in epoche ormai lontane il profitto
che gli Stati ricavavano attribuendo alle monete da loro coniate
un valore superiore a quello del metallo che contenevano. E finché si
trattava di metalli preziosi il costo di una moneta era pur rilevante
, per cui il “signoraggio” non era poi così considerevole
com’è oggi, cioè la differenza tra il costo
della carta e della stampa e il valore nominale del biglietto
di banca che si voglia prendere in esame; ma non basta, i soci
privati continuano a chiedere agli Stati - e gli Stati continuano
inspiegabilmente a pagare - gli interessi sulle somme che figurano
prestate dalle banche per aver fornito dei biglietti stampati.
L’assurdo si può spiegare tornando a molti anni addietro,
quando la moneta aveva una copertura di garanzia in oro, che la
Banca, almeno nominalmente avrebbe corrisposto al portatore del
biglietto di banca. Ma oggi, essendo stata abolita la copertura
di garanzia in oro, e quindi venuta meno la convertibilità in
oro, le banconote sono moneta “a corso forzoso” e
pertanto non traducibile in ugual valore di preziosi; ciononostante
le banche continuano a considerare la moneta emessa come loro
legittima proprietà, e pretendono di incassarne gli interessi
(chiamati con un eufemismo “tasso di sconto”).
Hanno scritto Giacinto Auriti e Agostino Sanfratello:
La banca tosa quindi due volte la comunità nazionale della
sua “lana”, del “suo valore monetario”:
la prima perché la espropria di tutto il suo ammontare, “prestandoglielo”;
la seconda perché la “indebita “stabilmente
del suo ammontare e dei suoi interessi.
La Banca Centrale Europea: BCE
Analogamente si è fondata la Banca Centrale Europea, di
cui le singole banche nazionali dei Paesi membri sono divenute
articolazioni in base al trattato di Maastricht. Questo trattato
però si limita a considerare solo l’emissione della
moneta senza trattare del diritto di proprietà dell’euro
né di come questo diritto debba essere attribuito. E’ ovvio
quindi che l’euro ha il valore nominale convenuto soltanto
per effetto dell’accettazione da parte dei governi e delle
collettività.
Anche in Europa quindi la finanza e l’economia vengono prima
della politica.
All’epoca firmatari per l’Italia furono il ministro
degli Esteri Gianni De Michelis ed il ministro del Tesoro Guido
Carli (già governatore di Bankitalia), con il mandato del
Gran Maestro Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica, e
di Giulio Andreotti , Presidente del Consiglio.
Va rilevato per maggior chiarezza che prestando denaro all’atto
dell’emissione significa imporre un costo del denaro del
200 per cento ( variabile col “tasso di sconto”) con
conseguente indebitamento degli europei verso la BCE pari al doppio
di tutto l’euro in circolazione.
Nel solo 2002 la BCE ha sottratto agli europei dei Paesi aderenti
ben 7.000 miliardi di euro, corrispondenti alla differenza (signoraggio)
tra il valore nominale delle banconote ed il costo di stampa delle
stesse, gravato dell’interesse.
Se appena ci riflettiamo, non ci sarà nessuno che potrà credere
che i nostri politici siano così incapaci o stupidi da
non rendersi conto dell’enormità di questa rapina.
Dunque dovremmo pensare che per una qualche segreta ed incomprensibile
(?) ragione abbiano dovuto accettare questo stato di cose.
Tutto ciò meriterebbe un discorso a parte; per ora ci limiteremo
a constatare che il primo passo verso l’unificazione europea
fu molto significativamente soltanto un grosso, enorme affare
finanziario.
Nazionalizzazioni delle Banche centrali
E’ pur vero che
nel 1946 in Gran Bretagna la Bank of England fu formalmente nazionalizzata
e lo stesso avvenne in Francia con la Banque de France, ma entrambe
continuarono ad essere di fatto dominate dagli antichi patrons.
In Francia Mayer, il vero capo della banca Rothschilds, fu per
lunghi anni ministro e anche Primo Ministro. Più tardi
De Gaulle nominò Primo Ministro
George Pompidou, che era il direttore della Banca Rothschilds.
Nel 1937 la sovranità monetaria fu restituita allo Stato
tedesco con la nazionalizzazione della Reichsbank. Si produsse
un notevole successo economico, ma essendo un fatto avverso al
sistema finanziario internazionale da molti perspicacemente si
pensa che fu la prima causa della rovina di Hitler, poiché: «Se
gli fosse stato permesso di completarlo, altre nazioni avrebbero
certo seguito il suo esempio…». ( Generale britannico
John Frederick Charles Fuller, A military History of the Western
World, Minerva Press, London, 1956).
L’Italia consegnata alla grande finanza
internazionale
La Banca d’Italia non si poteva considerare un’azienda
privata, in quanto era proprietà di banche IRI, come il
Credito Italiano, la Banca Commerciale, Queste banche furono “privatizzate”;
in effetti furono svendute alla cupola usuraia di Wall Street,
e la fraudolenta vicenda va raccontata con qualche particolare
degno di ricordo.
Il governo Amato nel 1992 si affidò alle tre maggiori banche
d’affari di Wall Street, come consulenti internazionali
delle privatizzazioni: Goldman Sachs, Merril Lynch, Salomon Brothers,
ben conosciute come i veri centri del potere finanziario e politico
statunitense. Amato e Prodi avevano proclamato a destra e a sinistra
che le privatizzazioni, tra gli altri vantaggi, avrebbero consentito
la moltiplicazione e la differenziazione dei centri del potere
economico. Non è da credere che i due cervelloni non sapessero
in anticipo in quali mani saremmo caduti.
All’epoca Draghi, che per 10 anni è stato direttore
generale del ministero del Tesoro (dal 1991 al 2001) fu considerato
l’artefice delle privatizzazioni.ed è ritenuto uno
dei più validi sostegni dei poteri forti durante la spoliazione
del patrimonio nazionale tanto che in seguito divenne il numero
due della Goldman Sachs e risiedeva a Londra, fatto questo indicativo
dei suoi rapporti con la City.
E proprio la Goldman Sachs ha svolto un ruolo importante nella
speculazione sulla svalutazione della lira del 1992,.necessaria
premessa per consentire l’acquisto delle imprese da privatizzare
a prezzi stracciati. Autore della relativa tempesta valutaria
fu George Soros, l’agente dei banchieri internazionali amico
personale e cliente di Romano Prodi.
Governatore di Bankitalia era all’epoca Carlo Azeglio Ciampi
che bruciò 48 miliardi di dollari per difendere inutilmente
la lira che perse il 30% del suo valore. Nonostante la brutta
figura - o forse non fu ritenuta tale dai nuovi poteri forti -
fu poi eletto Presidente della Repubblica.
Draghi nuovo Governatore della Banca d’Italia.
Draghi ha ottenuto l’incarico di vicepresidente operativo
per l’Europa della Goldman Sachs, tuttavia a nessuno dei
politici italiani è venuto in mente che esiste un evidente
conflitto di interessi con la carica di Governatore della Banca
d’Italia; non se n’è accorto neanche chi l’ha
nominato, E’ evidente a chiunque che la nomina non può non
far piacere alla “Cupola usuraia “ di Wall Street
ed in particolare ai nuovi padroni delle Banche privatizzate.
Sui giornali italiani c’è stato un coro conformistico
di consensi, sia a destra che a sinistra; il Wall Street Journal
ci spiega che mister Draghi dovrà “fare ordine nella
confusione ereditata da Antonio Fazio” - ma non ci parla
di Fiorani, Gnutti e soci, amici di noti uomini di sinistra – a
loro preme stigmatizzare il fatto che ”Fazio ha sempre tentato
di bloccare gli investitori stranieri”. E viene pertanto
il sospetto - starei per dire la certezza - che a tutto l’inghippo
non sia stato estraneo lo zampino di Wall Street.
I finanzieri esteri guardano alle banche italiane come a un obiettivo
molto attraente per l’alta propensione al risparmio dei
correntisti italiani, ma erano trattenuti dalla politica considerata
protezionistica di Fazio.
Abbiamo quindi l’uomo giusto al posto giusto per consegnare
le banche italiane alla grande finanza internazionale.
Dalla proverbiale padella nella brace: pur essendo sfuggiti alla
banda Fiorani & C., non per questo si sentiranno più sicuri
i piccoli risparmiatori italiani.
Il sistema bancario nazionale
Molti pensano che una banca rastrelli la ricchezza dei risparmiatori,
a cui largisce un basso interesse, per poi prestarlo ad interesse
più alto, ricavandone un utile proporzionato, ma nel
contempo svolgendo anche un’opera sociale fornendo capitali
agli operatori economici che ne hanno bisogno
Non è così. Le banche contano sul fatto che non
tutti i risparmiatori contemporaneamente pretendano di ritirare
i loro depositi e quindi prestano, fino a circa 10 volte il capitale
rastrellato dai risparmiatori, così creando moneta fasulla: “moneta
virtuale”. Si fa cioè circolare caricandolo di interessi
ciò che non c’è. Ecco perché nella
maggior parte dei paesi in cui operano le banche, ci sono regole
o leggi che permettono ad un istituto bancario di chiudere i battenti
se troppi risparmiatori esigono tutti insieme i loro soldi.
In estrema sintesi, la banca crea denaro dal nulla, scrivendo
solo cifre sullo schermo di un computer, ma pretende pagamenti
puntuali su denaro che non esiste ed è pronta a prendere
l’auto, la casa ed altri beni reali, che esistono, in caso
di mancato pagamento.
Ripercussioni sul sistema politico
Un tale sistema monetario non può essere poi così ermeticamente
clandestino che non mostri i suoi macroscopici difetti sul piano
morale, sociale e politico ai politicanti di ogni Paese. Bisogna
arguirne dunque che abili politicanti abbiano trovato il modo
di ottenere finanziamenti per i loro costosissimi partiti. Tanti
altri tacciono per la concreta paura di venire schiacciati da
un potere finanziario troppo forte per poter essere combattuto.
D’altro canto i finanzieri d’assalto delle grandi
e piccole società finanziarie sono molto propensi a mettere
il naso nella politica. Basti ricordare, come fa Into Azzali sul
N° 14, Anno IV, di “Historica Nuova” un’affermazione
divenuta famosa, di Meyer Amschel Rothschild, artefice delle fortune
del grande gruppo bancario internazionale Rothschild:
“Mi si consenta di emettere e controllare la moneta di una
Nazione e non mi preoccuperò affatto di chi ne emana le
leggi”.
Joaquin Bochaca nel suo “ La finanza y el poder” (Ediz.
Bausp, 1979, Barcellona) descrive la dipendenza dei presidenti
americani, eletti a suffragio universale, dal grande potere finanziario
chiamato “the Establishment”, il governo invisibile,
o “the Power Elite”. Ed è ovvio che sia così,
basti pensare ai costi iperbolici di una campagna elettorale per
i presidenti degli States.
Ma non si tratta soltanto dei presidenti degli Stati Uniti, il
potere finanziario può influire, come aveva previsto Rotschild,
sulle maggioranze e quindi sul governo di un qualsiasi Paese che
accetti un moderno sistema democratico; infatti partiti, campagne
elettorali, mass media, sindacati e altre organizzazioni parallele,
come circoli culturali, organizzazioni settoriali, convegni, congressi
ecc. comportano spese sempre più crescenti per tenersi
al livello degli exploit degli avversari concorrenti. Così la
democrazia , o meglio l’attuale sistema democratico, essendo
influenzabile dai finanziamenti, dipende da chi può gareggiare
in larghezza di mezzi.
A questo punto non è difficile capire come ormai tanti
governi siano asserviti al grosso potere finanziario di Wall Street,
il governo mondiale invisibile. E si capisce anche perché si
reputi necessario aprire continui focolai di guerra per esportare
ed imporre la “democrazia”, anzi il sistema democratico.
La democrazia dovrebbe essere un’altra cosa.
Bankitalia: Quis custodiet custodes ?
Dallo Stato, unico titolare della vigilanza, è stato delegato
da più di cinquantotto anni alla Banca d’Italia il
compito di sorvegliare il corretto comportamento delle altre banche
e degli istituti di credito operanti sul territorio nazionale;
ma nessun politicante sembra essersi accorto del conflitto di
interessi in atto, dato che nella banca centrale sono associate
le banche private che dovrebbero essere controllate dalla stessa
Banca d’Italia . Si ripete un vecchio vizio che affliggeva
la comunità fin dall’epoca dei Romani: “Quis
custodiet custodes?” Ne fu artefice Luigi Einaudi celebrato
governatore della Banca d’Italia, nonché parlamentare
della Consulta e pure della Costituente, e ministro delle Finanze
e del Tesoro.. Nel 1947 un apposito decreto sancì “la
compatibilità tra la carica di ministro e quella di governatore
della Banca d’Italia”.
Ma non è l’unica concessione a Bankitalia
Nel luglio del 1981 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta
liberò Bankitalia dall’obbligo di acquistare Titoli
di Stato non piazzati sul mercato secondario.
Il ministro del tesoro Guido Carli, già governatore della
Banca d’Italia, fece approvare la legge N° 82 del 7
febbraio 1992 con cui si concesse al governatore della Banca Centrale
il potere di modificare il tasso di sconto senza più doversi
consultare con il ministro del Tesoro.
Quale può essere la giustificazione del consenso da parte
dei politici?
Il potere mondiale ai banchieri internazionali
Ma non dobbiamo dimenticare che le Banche Centrali di ogni Paese,
se non sono già in mano alla grande finanza multinazionale,
possono rapidamente essere conquistate con manovre più o
meno simili a quanto accaduto con l’assalto a Bankitalia.
E vale la pena di fare una semplice considerazione: l’elezione
del dott. Ciampi a Presidente della Repubblica è stata
un’operazione rapida e concorde, riuscita alla prima votazione,
eppure Ciampi, che ora interloquisce, viaggia e si esibisce, entra
nelle case degli italiani attraverso i media che gli hanno costruito
una certa popolarità, allora era sconosciuto ai più;
non aveva certo né la personalità, né l’immagine
che gli è stata cucita addosso. Di lui si poteva dire soltanto
che era il governatore di Bankitalia, dunque dietro la sua elezione
plebiscitaria si poteva intuire la presenza di poteri forti che
riuscivano a mettere rapidamente d’accordo gli schieramenti
del Parlamento italiano. Eppure Carlo Azeglio Ciampi, come abbiamo
visto, bruciando 48 miliardi di dollari delle riserve valutarie,
in difesa della lira, non aveva certo brillato ottenendo l’effetto
sperato. Addirittura, come ha scritto Into Azzali su”Historica
nuova”, già citata, non era mancato chi aveva scritto
che quella forte svalutazione della lira non sarebbe stato un
incidente di percorso, ma “una intenzionale operazione diretta
a favorire l’ingresso in Italia di cospicui capitali stranieri,
orientati all’acquisto a prezzi stracciati delle imprese
a partecipazione statale in via di privatizzazione”.
Francesco Fatica
da: http://it.altermedia.info/economia/plutocrazia-banche-e-politica_2814.html |