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da: La_crise_mondiale_d_aujourd_hui_Maurice_Allais_1998 - "etienne.chouard.free.fr"
a cura del "servizio traduzioni PRIMIT" - si ringraziano: "seventhwave", "sergioloy", "pedux".

note del curatore: #1. abbiamo tradotto "revenus/gains provenant de la création monétaire" con il termine impiegato dalle stesse banche centrali: "redditi da signoraggio". #2. abbiano lasciato, ridondando la traduzione, il termine "ex nihilo", poiché è un termine che accomuna quasi tutti gli scritti sulla materia, in molte lingue.

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Questo presentato è un testo fondamentale di una personalità importante, Maurice Allais: esso fu dapprima un articolo lungimirante e caustico pubblicato su “Le Figaro” del 12,19 e 26 ottobre 1998 nella rubrica Opinioni; poi fu ripreso e annotato in un appassionante libro pubblicato dalle coraggiose edizioni Clément Juglar: numerose note e aggiunte supplementari che troverete nel libro (non qui) permettono all’autore di rispondere alle obiezioni che gli furono presentate. Il risultato è notevole, vivo, utile: è Economia Politica ad uso di cittadino.

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Maurice Allais

La crisi mondiale dei giorni nostri

Per profonde riforme delle istituzioni finanziarie e monetarie

1. La Grande Depressione del 1929-1934 e i suoi insegnamenti essenziali

La Crisi del 1929 è stata la conseguenza di un’espansione sconsiderata dei crediti di borsa che negli Stati Uniti l’ha preceduta, e della ascesa anomala delle quotazioni di Borsa che essa ha causato.

Riguardo alla crisi mondiale dei giorni nostri, non c’è nulla di più istruttivo, a voler ben intendere, della Grande Depressione del 1929-1934. Come scrisse una volta Vilfredo Pareto:

«E’ tutt’altro che certo che la Storia si ripeta sempre allo stesso modo: quel che è certo è che si ripete sempre entro certi confini che potremmo definire “principali” […] Gli avvenimenti dei passato e quelli del presente si danno mutuo sostegno […] per la propria reciproca comprensione».

L’ascesa delle quotazioni e il loro crollo

Negli Stati Uniti l’indice Dow Jones dei valori industriali passò da 121 nel giorno 2 gennaio 1925 a 381 il 3 settembre 1929, ossia un aumento del 215% in quattro anni e otto mesi. Sprofondò a 230 il 30 ottobre, ossia una riduzione del 40% in due mesi, corrispondente a riduzioni ancor più elevate per alcune azioni.

L’indice Dow Jones non avrebbe raggiunto il suo minimo di 41,2 che l’8 luglio 1932, ossia una diminuzione dell’89 % in tre anni. Non avrebbe ritrovato la sua quotazione del 2 gennaio 1925 che nel giorno del 24 giugno 1935, e la quotazione del 3 settembre 1929 che il 16 novembre 1954.

Il crollo delle quotazioni di Borsa dal 1929 al 1932, con tutte le sue conseguenze, rappresenta probabilmente uno dei crolli più incredibili conseguente a un’ascesa speculativa di azioni che il Mondo abbia mai conosciuto. Mentre la Borsa saliva, coloro che compravano, il più frequentemente a credito, vedevano le loro previsioni per le crescite azionarie confermate l’indomani, e il giorno seguente la quotazione veniva a giustificare le previsioni del giorno prima.

L’ ascesa è proseguita finché alcuni operatori di Borsa sono stati indotti a considerare che le azioni erano state palesemente e considerevolmente sopravvalutate, e allora hanno iniziato a vendere, addirittura anche a speculare al ribasso. Le quotazioni cominciarono a scendere non appena smisero di salire, e allora il ribasso giustificò il ribasso, e subentrò di conseguenza un clima di pessimismo generalizzato. Il crollo non poteva fare quindi altro che amplificarsi.

Un rialzo dei valori di Borsa non commisurato ai valori dell’economia reale

Alla vigilia stessa del giovedì nero del 24 ottobre 1929, quando il Dow Jones sprofondò a 299, una diminuzione del 22% dal suo massimo di 381 del 3 settembre 1929, la quasi totalità dei migliori economisti, tra i quali ad esempio il grande economista americano Irving Fisher, riteneva che l’impennata della Borsa americana fosse perfettamente giustificata dalla prosperità dell’economia, dalla stabilità generale dei prezzi e dalle prospettive favorevoli dell’economia americana.

Tuttavia, a prima vista, l’impennata delle quotazioni di borsa del 215% dal 1925 al 1929 appariva incomprensibile rispetto all’evoluzione dell’economia americana in termini reali. n quattro anni infatti, dal 1925 al 1929, il prodotto interno lordo reale non si era alzato che del 13%, la produzione industriale soltanto del 21%, e il tasso di disoccupazione era rimasto stazionario al livello del 3%.

Nello stesso periodo il prodotto interno lordo nominale non si era alzato che dell’11%, il livello generale dei prezzi era diminuito del 2%, la massa monetaria (denaro in circolazione più depositi a vista e a tempo) non si era alzata che di circa l’11% [1].

Tuttavia, dal gennaio 1925 all’agosto 1929, la velocità di circolazione dei depositi bancari americani a New York si era alzata del 140%. E’ questo aumento della velocità di circolazione dei depositi nelle banche di New York che permise l’aumento delle quotazioni di Wall Street [2].

La depressione

Il clima di pessimismo che fu generato dal crollo della borsa del 1929 ebbe come conseguenza, tra il 1929 e il 1932, una contrazione di circa il 20% della massa monetaria e di circa il 30% dei depositi bancari [3].

Al tempo stesso la Federal Reserve cercava, ma invano, di opporsi a questa contrazione aumentando l'offerta monetaria del 9%. Gli speculatori, che avevano comprato delle azioni con dei fondi prestati a breve termine, si videro costretti a chiederne nuovi a tassi di interesse molto alti, perfino a vendere a un prezzo qualunque per fare fronte ai propri impegni.

I ritiri di massa di certi depositi causarono il fallimento di un gran numero di banche [4], e da ciò si ebbe un aumento della contrazione di massa monetaria. Questo pessimismo, questo clima di tensione e questa contrazione della massa monetaria ebbero come conseguenza una diminuzione del prodotto interno lordo nominale del 44%, del prodotto interno lordo reale del 29%, della produzione industriale del 40%, e dell'indice generale dei prezzi del 21%.

Il tasso di disoccupazione passò dal 3,2% nel 1929 al 25% nel 1933, ossia 13 milioni di disoccupati [5], per una popolazione attiva di 51 milioni. La popolazione totale degli Stati Uniti non era allora che di circa 120 milioni.

Un indebitamento eccessivo

La Grande Depressione fu considerevolmente aggravata nel corso del suo svolgimento da un indebitamento eccessivo prima del crollo di borsa del 1929, tanto all'interno quanto al di fuori degli Stati Uniti. All'interno degli Stati Uniti la quantità totale dei debiti dei privati e delle imprese [6], corrispondente in gran parte a dei crediti bancari, era aumentato di gran misura tra il 1921 e il 1929. Nel 1929 rappresentava circa 1,6 volte il prodotto nazionale lordo americano. Rispetto al crollo dei prezzi e la diminuzione della produzione nel corso della Grande Depressione, il peso di questi debiti si rivelò insopportabile.

Parallelamente, tra il 1921 e il 1929, l'indebitamento dello Stato federale, quello degli Stati e delle municipalità si erano ugualmente accresciuti considerevolmente. Nel 1929 rappresentavano rispettivamente circa il 16,3% e il 13,2% del prodotto interno lordo americano.

Al di fuori degli Stati Uniti, l'ammontare delle riparazioni dovute dalla Germania era stato fissato nel 1921 a 33 miliardi di dollari, rappresentando circa il 32% del PIL americano nel 1929. A titolo di debiti di Guerra [7], le nazioni europee dovevano agli Stati Uniti circa 11,6 miliardi di dollari, rappresentanti circa l'11% del PIL americano.

Infine erano stati concessi debiti privati, principalmente bancari e quasi esclusivamente alla Germania, per un totale globale di 14 miliardi di dollari nel 1929, rappresentanti circa il 13,5% del PIL americano.

I debiti di guerra si erano rivelati non restituibili. La Germania non aveva potuto onorare che abbastanza parzialmente i suoi debiti, e questo principalmente con dei fondi chiesti a prestito.

Lo sviluppo della Grande Depressione fu stato particolarmente aggravato dal carico di tutti questi debiti e dai movimenti internazionali dei capitali a breve termine che ne risultarono, come conseguenza di complesse interdipendenze di ogni sorta tra le economie europee e l'economia americana. Tutti questi debiti dovettero infatti essere ridotti e rateizzati nel corso della Grande Depressione.

Sui movimenti massicci di capitale e sulle svalutazioni competitive

A partire dagli Stati Uniti la Grande Depressione si estese a tutto l'Occidente, generando dappertutto il crollo dell'economia, disoccupazione, miseria e disperazione. In seguito all'abbandono del Gold Standard da parte della Gran Bretagna nel settembre 1931, si avvicendarono svalutazioni a catena. La più spettacolare corrispose all'abbandono del Gold Standard da parte degli Stati Uniti nell'aprile del 1933.

Tutto questo periodo si può caratterizzare contemporaneamente da speculazioni sulle valute, da movimenti massicci di capitali, da svalutazioni competitive e da politiche protezionistiche dei diversi Paesi per cercare di proteggersi dai disordini esterni.

Finalmente, verso la fine del 1936, i rapporti di cambio tra le valute principali non erano molto diversi da quelli che erano stati nel 1930, prima che cominciasse il ciclo delle svalutazioni.

Fattori Psicologici e fattori monetari

Se l’ascesa delle quotazioni di Borsa, tra il 1925 e il 1929, ha qualcosa di incomprensibile rispetto all’evoluzione dell’economia americana in termini reali nel corso dello stesso periodo, allo stesso tempo la riduzione dell’attività economica in termini reali, tra il 1929 e il 1932, non sembra essere affatto meno stupefacente, almeno a prima vista. Come è quindi possibile che il crollo dei titoli di Borsa poté trascinarsi dietro una tale diminuzione dell’attività economica?

In realtà questi due fenomeni, che a prima vista sembrerebbero apparire un pò paradossali, si chiariscono perfettamente quando si considerano assieme i fattori psicologici e i fattori monetari.

Allorché la congiuntura è favorevole, gli incassi attesi diminuiscono e, da questo fatto, la spesa globale aumenta. Allorché è sfavorevole i risparmi desiderati aumentano e la spesa globale diminuisce [8]. Allo stesso modo la fiducia nella fase di rialzo suscita la creazione dal nulla (ex nihilo) di mezzi di pagamento bancari e l’incertezza nel momento del crollo causa la distruzione di mezzi di pagamento precedentemente creati dal nulla (ex nihilo) [9].

L’ascesa spinge all’ascesa, e il ribasso spinge al ribasso.

Gli speculatori nella fase di rialzo o di ribasso delle azioni non considerarono i “fondamentali”, ma fecero una valutazione psicologica sulla base di ciò che gli altri avrebbero fatto.

La Grande Depressione del 1929-1934 e il meccanismo del Credito 

L'origine e lo sviluppo della Grande Depressione del 1929-1934 rappresentano certamente la migliore dimostrazione che si possa fare degli effetti nocivi del meccanismo del Credito:

  • La creazione di denaro dal nulla (ex nihilo) da parte del sistema bancario
  • La copertura frazionaria dei depositi
  • Il finanziamento di investimenti a lungo termine attraverso prestiti a breve
  • Il finanziamento della speculazione da parte del credito
  • Le variazioni di valore reali della valuta e dell'attività economica che ne risultano

L'ampiezza della crisi del 1929 è stata la conseguenza inevitabile dell'espansione irragionevole dei crediti di borsa che l'ha preceduta negli Stati Uniti e dell'aumento anomalo dei titoli di Borsa che l'ha permessa, se non causata.

Sia riguardo la prosperità dell''economia sia riguardo l'aumento dei titoli fino al 1929, la diagnosi dell'opinione generale era per entrambi generalmente affermativa. Si trattava di una “New Era” di una “nuova era di prosperità generale che si allargava al Mondo intero”.

A conseguenza di ciò l'analisi che qui precede mostra con quale prudenza si debba considerare la prosperità di un'economia in termini reali, nel momento in cui si creano squilibri potenziali, a prima vista inferiori per valore relativo, ma suscettibili di portarsi dietro, allorché si concretizzano e si accumulano, delle modifiche profonde della psicologia collettiva.

Niente di sostanzialmente nuovo nella Crisi del 1929 

Ecco qui per tratti essenziali, delineato lo sviluppo della New Era, negli Stati Uniti e nel Mondo, negli anni che hanno preceduto il crollo del 1929, ecco l'ignoranza, un'ignoranza profonda di tutte le crisi del XIX secolo e del loro significato reale. La crisi del 1929-1934 non è stata infatti che una ripetizione particolarmente marcata delle crisi che si sono avvicendate nel XIX secolo [10], delle quali senza dubbio la crisi del 1873-1879 era stata una delle più significative.

Tutte le grandi crisi dei XVII, XIX, e XX secolo sono state infatti la conseguenza di uno sviluppo eccessivo delle promesse di pagamento e della loro monetizzazione [11] [12]. Ovunque in tutti i periodi storici le stesse cause generano gli stessi effetti, e ciò che deve arrivare arriva. Gli economisti più lucidi, come Clément Juglar e Irving Fisher [13], hanno analizzato in profondità i meccanismi delle crisi, la loro genesi e il loro sviluppo. Sfortunatamente costoro sono rimasti sconosciuti e non sono stati ascoltati. Se si fossero captati a fondo i loro messaggi, se si fossero comprese appieno le loro analisi, la situazione odierna sarebbe tutt'altra.

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2. La crisi mondiale dei giorni nostri

Il propagarsi della Crisi

A partire del giugno 1997 una crisi monetaria e finanziaria ha preso il via in Asia e prosegue anche al momento. Lo svolgersi di questa crisi, che è stata tanto inaspettata quanto grave, è stato molto complesso. Nonostante ciò essenzialmente tra il 1997 e il 1998 si possono distinguere tre fasi: da giugno a dicembre 1997, da gennaio a giugno 1998, e da giugno a ottobre 1998 [14].

La prima fase, quella da giugno a dicembre 1997, esclusivamente riguardante l'Asia, ha avuto inizio con una speculazione al ribasso assai marcata sulla valuta Tailandese, portando a una sua svalutazione del 18% il 2 luglio 1997. Questo periodo è stato caratterizzato dalla caduta delle valute e delle Borse dei Paesi asiatici: la Tailandia, la Malesia, l'Indonesia, le Filippine, Taiwan, Singapore, Hong Kong, la Corea del Sud. La caduta media dei loro indici di borsa è stata di circa il 40%. Rispetto al dollaro le valute della Tailandia, della Corea, della Malesia e dell'Indonesia si sono svalutate rispettivamente di circa il 40%, 40%, 50% e 70%.

La seconda fase, da dicembre 1997 a giugno 1998, ha dato luogo, dopo una breve ripresa in gennaio-febbraio, a nuove cadute delle Borse Asiatiche. Sul periodo nell'insieme la caduta media dei valori è stata di circa il 20%.

Il fatto saliente di questo periodo è stato il ritorno negli Stati Uniti e in Europa di capitali prestati a breve termine in Asia, spingendo al rialzo allo stesso tempo i valori di Borsa negli Stati Uniti e in Europa. Il rialzo è stato particolarmente marcato a Parigi, dove il CAC e' aumentato di circa il 40% da dicembre 1997 a luglio 1998, rialzo due volte più grande che a New York.

La fine di questo periodo è stata caratterizzata da un ribasso delle materie prime assai marcato e dal crollo della Borsa di Mosca di circa il 60%. Nel corso di questo periodo le difficoltà degli intermediari finanziari in Giappone si sono fatte vieppiù gravi e lo Yen ha continuato a perdere valore. Allo stesso tempo si sono verificate tensioni monetarie molto forti in America Latina. La terza fase ha avuto inizio nel luglio 1998 con forti tensioni politiche, economiche e monetarie in Russia [15].

Il Rublo ha cessato la propria convertibilità. Il 2 settembre aveva perso il 70% del suo valore, ed era cominciato un fenomeno di iperinflazione. Questa situazione ha causato dei forti crolli di titoli negli Stati Uniti e in Europa. Il crollo del CAC 40, di circa il 30%, è stato incredibile. Questa crisi si è estesa rapidamente al Mondo Intero. Nessuno oggi sembrerebbe davvero in grado di prevederne lo sviluppo con un certo grado di certezza.

Nei Paesi asiatici, che hanno subito dei crolli considerevoli delle loro valute e delle loro Borse, i fondi speculativi di capitali hanno causato dei gravi problemi sociali. Ciò che è quantomeno sconfortante, è che le grandi istituzioni internazionali sono molto più preoccupate dalle perdite degli speculatori (indebitamente definiti investitori) che dalla disoccupazione e la miseria provocate da questa speculazione.

La crisi mondiale dei giorni nostri e la Grande Depressione: profonde somiglianze

Sembrerebbero esserci delle profonde somiglianze tra la Crisi Mondiale dei giorni nostri e la Grande Depressione del 1929-1934. La creazione e distruzione di mezzi di pagamento attraverso il sistema del credito, il finanziamento di investimenti a lungo termine attraverso fondi imprestati a breve termine, la generazione di un indebitamento gigantesco, una speculazione massiccia sulle azioni e le valute, un sistema finanziario e monetario fondamentalmente instabile.

Tuttavia esistono differenze di rilievo tra le due crisi. Ci sono fattori persino più aggravanti. Nel 1929 il Mondo era diviso in due zone distinte: da una parte L'Occidente, essenzialmente gli Stati Uniti e l'Europa, e, dall'altra parte, il mondo comunista, la Russia sovietica e la Cina. Una grande parte dell'attuale Terzo Mondo era sotto al dominio degli imperi coloniali, sostanzialmente quello inglese e quello francese.

Nei giorni nostri, dopo anni '70, ha avuto luogo una mondializzazione dell’economia via vai sempre più estesa geograficamente, includendo i Paesi una volta sotto il controllo degli antichi imperi coloniali, la Russia e i Paesi dell'Europa dell'Est dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989. La nuova divisione del Mondo si basa su disuguaglianze dello sviluppo economico. C'è inoltre una considerevole differenza di scala tra la situazione del 1929 e quella attuale, poiché quella odierna riguarda il Mondo intero.

A partire degli anni 70 è evidente una seconda differenza, ugualmente significativa e certamente ancora più grave, rispetto alla situazione del Mondo del 1929. Una spinta ed eccessiva mondializzazione ha portato con sé tremende difficoltà. Si sono manifestate ovunque instabilità sociale, disuguaglianze, particolarmente marcate negli Stati Uniti, e una pesante disoccupazione nell’Europa Occidentale.

La Russia e i Paesi dell'Europa dell'Est hanno riscontrato allo stesso modo delle difficoltà di grado vieppiù elevato in ragione di una liberalizzazione troppo spinta. Mentre nel 1929 la disoccupazione non ha avuto luogo in Europa che in seguito alla crisi finanziaria e monetaria, una marcata disoccupazione è presente già oggi all'interno dell'Unione Europea per ragioni molto differenti, e questa disoccupazione potrebbe peggiorare di molto nel momento in cui la crisi finanziaria e monetaria mondiale odierna dovesse intensificarsi.

Non si dovrebbe infatti insistere troppo sulle profonde somiglianze, a ogni modo profonde, che esistono tra la crisi dei giorni nostri e le crisi che l'hanno preceduta, tra le quali la più significativa è indubbiamente quella del 1929. Ciò che in effetti è realmente importante non è tanto l'analisi delle dinamiche relativamente complesse e dei tecnicismi della crisi attuale, quanto piuttosto la profonda comprensione dei fattori che l'hanno provocata.

Da questa comprensione dipende in realtà una corretta diagnosi della crisi attuale e l'elaborazione di riforme che sarebbe opportuno attuare per mettere fine a queste crisi che non smettono di devastare le economie da almeno due secoli, sempre più gravi in ragione della loro progressiva estensione al Mondo Intero.

La creazione e distruzione di modalità di pagamento attraverso il meccanismo del credito

In buona sostanza il meccanismo del credito provoca la creazione dal nulla (ex nihilo) di modalità di pagamento, poiché il possessore di un deposito presso una banca lo considera come un incasso disponibile, mentre, allo stesso tempo, la banca ne ha prestato la parte più grande che a sua volta, redepositata o meno presso una banca, è considerata come un incasso disponibile dal suo ricevente. A ogni operazione di credito si ha in questo modo una duplicazione di moneta. A conti fatti il meccanismo del credito provoca una creazione di denaro dal nulla (ex nihilo) attraverso dei semplici giochi di scritture contabili [16]. Basandosi sostanzialmente sulla copertura frazionaria dei depositi, esso è instabile alla base.

Il volume dei depositi bancari dipende infatti da una decisione duplice, quella della banca di prestare a vista e quella di chi prende a prestito di indebitarsi. Il risultato è che la quantità globale della massa monetaria è estremamente sensibile alle fluttuazioni congiunturali. Tende a crescere in un periodo di ottimismo e decrescere in un periodo di pessimismo: da ciò si hanno effetti destabilizzanti.

E' infatti certo che, per la maggiore, l'ampiezza di queste fluttuazioni è il risultato della leva dei crediti e che, senza l'amplificazione della creazione (o della distruzione) monetaria per mano delle Banche, le fluttuazioni congiunturali sarebbero considerevolmente smorzate, se non eliminate del tutto [17].

Da sempre si è potuto parlare di "Miracoli del Credito". Per i beneficiari del credito c’è in effetti un qualcosa di miracoloso in questo meccanismo, poiché esso permette di creare dal nulla (ex nihilo) un potere di acquisto effettivo che fa leva sul mercato, senza che questo potere di acquisto possa essere considerato come il compenso per un servizio reso.

Tuttavia, tanto la mobilizzazione di "veri risparmi" da parte delle banche è sostanzialmente utile per permettere il finanziamento degli investimenti, quanto l’affermazione di "falsi diritti" da parte della creazione di moneta è sostanzialmente nociva, tanto dal punto di vista dell'inefficacia economica, che essa compromette attraverso la distorsione del prezzi che essa provoca, che dal punto di vista della distribuzione dei redditi, che altera e rende ingiusta.

Il finanziamento di investimenti a lungo termine attraverso dei fondi imprestati e breve termine

Attraverso l'utilizzo di depositi a vista e a breve termine dei propri correntisti, una banca arriva a finanziare degli investimenti a termine medio e lungo corrispondenti ai prestiti concessi ai suoi clienti. Questa attività si basa così sullo scambio di promesse di pagamento a un termine dato dalla banca con promesse di pagamento dei clienti a scadenze più dilazionate mediante il pagamento degli interessi.

Il totale degli attivi e dei passivi del bilancio di una banca sono uguali, ma tale uguaglianza è puramente contabile, poiché si basa sulla corrispondenza di elementi di natura differente: al passivo depositi a vista e a breve termine della banca, all'attivo crediti a termine più lungo corrispondenti ai prestiti effettuati dalla banca.

Da questo risulta un'instabilità potenziale permanente del sistema bancario nel suo insieme, poiché le banche sono in ogni momento nell'incapacità assoluta di fare fronte a dei ritiri di massa di depositi a vista o a termine prossimi alla scadenza, non essendo i loro attivi disponibili che a termini più lunghi. Se tutti gli investimenti nei Paesi in via di sviluppo fossero stati finanziati dalle banche, grazie a dei prestiti privati di una durata almeno della stessa lunghezza, e se il finanziamento dei disavanzi di bilancio delle transazioni correnti degli Stati Uniti fossero stato assicurati unicamente da finanziamenti esteri a lungo termine, tutti gli squilibri non avrebbero avuto che una portata molto più ridotta, e non esisterebbero rischi anche peggiori.

Ciò che, per contro, è davvero pericoloso è l'amplificazione degli squilibri attraverso il meccanismo del credito e l'instabilità del sistema finanziario e monetario nel suo complesso, sia a piano nazionale che internazionale, che ha provocato. Questa instabilità è stata considerevolmente aggravata attraverso la rimozione dei vincoli sulle movimentazioni di capitali in gran parte del Mondo.

Lo sviluppo di un gigantesco indebitamento

A partire dal 1974, lo sviluppo universale dei crediti bancari e la pesante inflazione che ne è risultata hanno abbassato, per un decennio, i tassi di interesse reali a dei valori molto bassi, addirittura negativi, provocando a loro volta inefficienza e impoverimento. A veri risparmi si sono sostituiti finanziamenti a lungo termine basati su una creazione monetaria dal nulla (ex nihilo). In questo modo sono stati compromessi i presupposti di equità e di efficienza. Il funzionamento del sistema ha portato contemporaneamente allo sperpero di capitale e alla distruzione del risparmio.

E’ principalmente grazie alla creazione monetaria che i Paesi in via di sviluppo sono stati portati ad attuare piani di sviluppo troppo ambiziosi, o meglio irragionevoli, e a ritardare le soluzioni del caso. E’ tanto facile acquistare che ci si può accontentare di pagare con promesse di pagamento.

La maggior parte dei paesi debitori hanno dovuto procurarsi, attraverso nuovi prestiti, le risorse necessarie per finanziare gli ammortamenti e gli interessi dei loro debiti e per realizzare nuovi investimenti. Un pò alla volta, tuttavia, la situazione è diventata insostenibile. Parallelamente a questa situazione, l’indebitamento percentuale del prodotto nazionale lordo, e il peso percentuale delle spese pubbliche delle pubbliche amministrazioni dei Paesi sviluppati hanno raggiunto livelli insostenibili.

Una speculazione massiva

Dal 1974, si é sviluppata su scala mondiale una speculazione massiva. La speculazione sulle valute e quella su azioni, obbligazioni e prodotti derivati ne rappresentano due esempi significativi. Nel marzo 1973, la sostituzione del sistema a cambio fluttuante con quello a scambi fissi, ma revisionabili, ha accentuato l’influenza della speculazione sui cambi, alimentata dal credito. Associato al sistema dei cambi fluttuanti, il sistema di credito attuale ha fortemente contribuito all’instabilità dei tassi di cambio (a partire dal 1974).

Durante questo periodo ha avuto luogo una speculazione sfrenata sui tassi di cambio relativi alle principali valute: il dollaro, il marco tedesco e lo yen. Grazie al meccanismo del credito ogni valuta poteva essere acquistata a credito attraverso un’altra.

Anche la speculazione sulle azioni e le obbligazioni è stata di rilevante importanza. A New York, dal 1983, si sono sviluppati ad un ritmo esponenziale mercati sugli stock-index futures, sulle stock-index options, sulle options on stock-index futures, sugli hedge funds e su tutti i “prodotti derivati” presentati come panacea.

Questi mercati a termine, dove il costo delle operazioni é molto più ridotto rispetto alle operazioni per contanti e dove le posizioni sono presi a credito, hanno incrementato la speculazione e generato una grande instabilità dei titoli. Essi Sono stati accompagnati da uno sviluppo accelerato di fondi speculativi, gli hedge-funds.

Infatti, senza la creazione della moneta e del potere di acquisto dal nulla (ex nihilo) che permette il sistema di credito, non sarebbero stati possibili le impennate dei titoli di borsa rilevati prima delle grandi crisi, poiché ad ogni spesa adibita all’acquisto di azioni, per esempio, corrisponderebbe una diminuzione di una somma equivalente ad alcune spese, e questo svilupperebbe dei meccanismi regolatori tendenti a arginare una qualsiasi speculazione ingiustificata.

Che si tratti di speculazione sulle valute o di speculazione sulle azioni, o sui prodotti derivati, il Mondo è diventato un grande casinò con tavoli da gioco distribuiti in ogni angolo del Globo. Il gioco e le offerte, alle quali partecipano milioni di giocatori, non si fermano mai. Alle quotazioni americane si succedono quelle di Tokyo e di Hong Kong, poi quelle di Londra, Francoforte e Parigi.

Ovunque la speculazione è favorita dal credito, poiché si può comprare senza pagare e vendere senza disporre. Si constata spesso una dissociazione tra i dati dell’economia reale e i titoli nominali determinati dalla speculazione. Su tutte le piazze, questa speculazione frenetica e febbrile, è permessa, alimentata e amplificata dal credito. Mai nel passato essa aveva mai raggiunto un tale livello.

Un sistema monetario e finanziario fondamentalmente instabile

L’ intera economia mondiale si basa attualmente su gigantesche piramidi di debiti che si appoggiano le une sulle altre in un equilibrio instabile. Non si era mai assistito nel passato ad un accumulo così importante di promesse di pagamento. Non era mai era stato così difficile affrontare questo problema e non si era assistito ad una tale minaccia di un crollo generale.

Tutte le difficoltà riscontrate derivano dalla non conoscenza di un fatto fondamentale: nessun sistema decentralizzato economico può funzionare correttamente se la creazione incontrollata dal nulla (ex nihilo) di nuovi mezzi di pagamento permette di sfuggire, almeno per un periodo, agli aggiustamenti necessari. Tutte le volte si può così pagare le proprie spese o i propri debiti con delle semplici promesse di pagamento, senza alcuna contropartita reale.

Di fronte a tale situazione, tutti gli esperti sono alla ricerca di mezzi ed espedienti per risolvere queste difficoltà, ma nessun accordo reale viene realizzato basandosi su soluzioni definite ed efficaci. Nell’immediato la quasi totalità degli esperti non vede altre soluzioni, all’occorrenza di pressioni esercitate da banche commerciali, istituti di emissione e il FMI, che la creazione di nuovi mezzi di pagamento che permettano ai debitori e agli speculatori di far fronte al pagamento degli ammortamenti e degli interessi sui debiti, appesantendo ancora sugli oneri per il futuro.

Al centro delle difficoltà riscontrate si trova sempre il ruolo nefasto del sistema di credito attuale, e della mostruosa speculazione che esso permette. Fino a quando non si riformerà il quadro istituzionale in cui essa fa leva, si reincontreranno sempre le stesse difficoltà, con modalità diverse secondo le circostanze. Tutte le grandi crisi del XIX e XX secolo sono nate dallo sviluppo eccessivo di promesse di pagamento e dalla loro monetizzazione.

Particolarmente significativo è l’assenza totale di qualsiasi rimessa in discussione del fondamento del sistema di credito e del suo funzionamento reale, ossia la creazione di moneta dal nulla (ex nihilo) da parte del sistema bancario e la pratica generalizzata di finanziamenti a lungo termine con fondi presi in prestito a breve termine. Senza esagerare il meccanismo attuale della creazione di moneta dal credito risulta essere “il cancro” che consuma irrimediabilmente le economie di mercato in mano privata.

Il crollo della dottrina del laissez-faire mondialista

Da due decenni, è stata imposta a poco a poco una nuova dottrina, quella del libero scambio mondiale, che prevede l’eliminazione di qualsiasi ostacolo ai liberi movimenti di merci, servizi e capitali.

Seguendo questa dottrina, la scomparsa di qualsiasi ostacolo a questi movimenti sarebbe una condizione necessaria e sufficiente per un utilizzo ottimale delle risorse su scala mondiale. All’interno di ciascun Paese tutti i gruppi sociali vedrebbero migliorata la propria situazione. Solamente il mercato era considerato come possibile portatore di equilibrio stabile, e avrebbe avuto maggiore efficacia quanto più fosse stato esteso su scala Mondiale. In ogni caso conveniva sottomettersi a questa dottrina.

I seguaci di questa dottrina, di questo nuovo integralismo, erano diventati tanto dogmatici quanto lo erano i comunisti prima del crollo del comunismo definitivo con la caduta del muro di Berlino nel 1989. Infatti per questi ultimi la dottrina di libero scambio mondiale doveva imporsi a tutti i Paesi e, qualsiasi difficoltà si fosse presentata, sarebbe stata considerata temporanea e transitoria.

Tutti i Paesi in via di sviluppo dovevano necessariamente aprirsi al Mondo esterno: a testimonianza di questo veniva portato costantemente come esempio la crescita rapidissima dei Paesi emergenti del Sud est asiatico, dove era presente un polo di crescita maggiore per tutti i paesi occidentali.

Per i paesi sviluppati, l’abolizione di tutte le barriere e i dazi era una condizione necessaria per la propria crescita, come dimostravano in modo evidente i successi delle “tigri asiatiche”, e veniva anche detto che L’Occidente non avrebbe dovuto che seguire il loro esempio per ottenere una crescita senza precedenti e l’annullamento della disoccupazione [18]. Soprattutto la Russia, i paesi comunisti dell’Est, i Paesi asiatici e la Cina in prima fila, rappresentavano i maggiori poli di crescita, capaci di offrire all’Occidente possibilità di sviluppo e ricchezza senza precedenti.

Tale era in buona sostanza la dottrina di portata universale che era stata imposta al Mondo ed era stata considerata, all’alba del XIX secolo, il pilastro per una nuova epoca d’oro. E’ stata il CREDO indiscusso di tutte le grandi organizzazioni internazionali degli ultimi due decenni: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’Organizzazione di Cooperazione e Sviluppo Economico o l’Organizzazione di Bruxelles.

Tutte queste certezze sono state spazzate via dalla profonda crisi sviluppatasi dal 1997 nel Sud Est asiatico, successivamente nell’America Latina per culminare in Russia nell’agosto 1998 e infine interessare le istituzioni bancarie e le borse americane ed europee nel settembre del 1998. Questa crisi ha provocato ovunque, soprattutto in Asia e in Russia, estesa disoccupazione e gravi difficoltà sociali. Ovunque il credo della dottrina del libero scambio mondiale sono stati rimessi in discussione. Sono due i fattori più rilevanti di questa crisi mondiale, la più importante dopo quella del 1929:

  • L’instabilità potenziale del sistema finanziario e monetario mondiale
  • La mondializzazione dell’economia sul piano monetario e su quello reale [19].

E così quello che doveva succedere è successo. L’economia mondiale, sprovvista di ogni sistema reale di regolamentazione e sviluppata in un quadro anarchico, non poteva che arrivare, presto o tardi, ad una situazione di grandi difficoltà. La dottrina in voga aveva ignorato totalmente un dato essenziale: una liberalizzazione totale degli scambi e dei movimenti di capitale non era possibile; era auspicabile solo in un quadro di insieme generale che raggruppasse paesi economicamente e politicamente associati e paragonabili tra di loro in termini di sviluppo economico e sociale. Infatti il Nuovo Ordine Mondiale, o meglio il Preteso Ordine Mondiale, è crollato, e non poteva che crollare. L’evidenza dei fatti ha finito per avere il sopravvento sugli incantesimi della dottrina.

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3. Per profonde riforme delle istituzioni finanziarie e monetarie

Gli elementi principali

Se noi consideriamo non soltanto la Storia di questi ultimi decenni, ma allo stesso modo quella degli ultimi due secoli, e persino anche quella dei secoli predenti, i fattori finanziari e monetari dimostrano di avere un’importanza eccezionale nel funzionamento dell’economia nel suo insieme.

Effettivamente se non sono assicurate condizioni monetarie e finanziarie appropriate, l’esperienza mostra che non si potrà avere né efficacia dell’economia, né equità nella distribuzione dei redditi. L’instabilità economica, la sotto-produzione, la disuguaglianza, il sotto-impiego, la disperazione e la miseria che ne risultano, ne sono le conseguenze peggiori.

Tuttavia i profondi disordini riscontrati non possono essere in alcun modo considerati come la risultante inevitabile del funzionamento di un’economia di mercato; essi sono stati, e lo sono in generale, la conseguenza di politiche finanziarie e monetarie messe in atto in un quadro istituzionale inappropriato.

Più che mai sono necessarie riforme, profonde e radicali:

  • riforma del sistema del credito
  • stabilizzazione del valore reale dell’unità di conto
  • riforma dei mercati borsistici
  • riforma del sistema monetario internazionale

Il sistema del credito

Infatti il sistema attuale del credito, l’origine del quale è stata persino contingente (accidentale, non necessaria), appare come del tutto irrazionale, e questo almeno per otto ragioni:

  • la creazione (o la distruzione) irresponsabile di denaro e potere d’acquisto attraverso decisioni di banche e privati
  • i finanziamenti di investimento a lungo periodo con fondi imprestati a breve
  • la confusione tra risparmio e moneta
  • la grande sensibilità del meccanismo del credito alla situazione congiunturale
  • l’instabilità fondiaria che essa genera
  • l’alterazione delle condizioni di massima efficacia dell’economia
  • l’alterazione della distribuzione dei redditi
  • infine l’impossibilità di un controllo approfondito del sistema del credito da parte dell’opinione pubblica e del Parlamento, in ragione della sua eccezionale complessità

Per ciò che concerne l’esperienza di almeno due secoli riguardo i disordini di ogni sorta e riguardo il costante alternarsi di periodi di espansione e recessione, bisogna considerare che i due fattori principali che li hanno amplificati in modo considerevole, se non provocati, sono la creazione di moneta e di potere d’acquisto dal nulla (ex nihilo) attraverso il meccanismo del credito e il finanziamento di investimenti a lungo periodo attraverso prestiti a breve periodo. Si potrebbe tuttavia facilmente rimediare a questi due fattori attraverso una riforma d’insieme che permettesse, se non di metter fine alle fluttuazioni congiunturali, almeno di diminuirne considerevolmente l’ampiezza.

Questa riforma si deve basare su due principi fondamentali:

  • La creazione di moneta deve essere di competenza dello Stato e dello Stato soltanto. Tutta la creazione di moneta eccedente la quantità di base da parte della Banca centrale deve essere resa impossibile, in maniera tale che scompaiano i “falsi diritti” derivanti attualmente dalla creazione di moneta bancaria.
  • Tutti i finanziamenti d’investimento a un termine prestabilito devono essere assicurati da fondi di prestito a scadenze maggiori, o tuttalpiù alla stessa scadenza.

La riforma del meccanismo del credito deve così rendere contemporaneamente impossibile sia la creazione di moneta dal nulla (ex nihilo), sia il prestito a breve termine per finanziare prestiti a lungo termine, e non deve permettere prestiti a scadenze più vicine di quelle corrispondenti ai fondi prestati. Questa doppia condizione implica una modifica profonda delle strutture bancarie e finanziarie basandosi sulla completa separazione delle attività bancarie, come si presentano ad oggi, e la loro attribuzione a tre categorie di istituzioni distinte e indipendenti:

  1. banche di deposito che garantiscono solamente, a esclusione di tutte le operazioni di prestito, gli incassi e i pagamenti, e la tutela dei depositi dei loro clienti: le spese corrispondenti saranno fatturate a questi ultimi, e i conti dei clienti non potranno avere alcuno scoperto.
  2. banche di prestito che prestano a scadenze prestabilite. Poiché esse prestano a scadenze minori, l’ammontare complessivo dei prestiti non potrà eccedere l’ammontare complessivo dei fondi imprestati.
  3. banche d’affari che prestano direttamente al pubblico o alle banche di prestito e che investono i fondi prestati nelle imprese.

Nel suo fondamento, una tale riforma renderebbe impossibile la creazione di moneta e di potere d’acquisto dal nulla (ex nihilo) attraverso il sistema bancario e il prestito a breve scadenza per finanziare prestiti a scadenza maggiore. Essa non permetterebbe che prestiti a scadenza più breve che quella corrispondente ai fondi imprestati. Le banche di prestito e le banche d’affari servirebbero come intermediari tra i risparmiatori e i prestatori. Sarebbero sottoposte a un obbligo imperativo: prendere in prestito a lungo termine per prestare a scadenza più breve, il contrario di ciò che avviene adesso [20].

Una tale organizzazione del sistema bancario e finanziario permetterebbe la realizzazione simultanea di condizioni fondamentali quali:

  • l’impossibilità assoluta di creazione di moneta e di potere d’acquisto al di fuori della quantità di base creata dalle autorità monetarie.
  • L’eliminazione di tutto lo squilibrio potenziale risultante dal finanziamento di investimenti a lungo termine a partire da prestiti a breve o medio termine.
  • L’espansione della massa monetaria complessiva, costituita unicamente dall’ammontare di base, a tasso stabilito dalle autorità monetarie [21]
  • La notevole se non totale riduzione dell’ampiezza delle fluttuazioni congiunturali [22]
  • l’attribuzione allo Stato, cioè alla collettività, del reddito da signoraggio proveniente dalla creazione di moneta, e il conseguente alleggerimento delle imposte attuali
  • un controllo agevole da parte dell’opinione pubblica e del Parlamento della creazione monetaria e delle sue implicazioni.

Tutti questi vantaggi sarebbero certamente fondamentali. I profondi cambiamenti necessari dalla loro attuazione andrebbero a scontrarsi naturalmente contro forti interessi e contro pregiudizi profondamente radicati. Rispetto alle gravi crisi che il sistema attuale del credito non ha smesso di provocare da almeno più di due secoli e continua a provocare attualmente, e che le autorità monetarie si rivelano sempre più incapaci di controllare, questa riforma appare come una condizione necessaria per la sopravvivenza di un’economia decentralizzata e per la sua efficacia.

La riforma dell’indicizzazione. La stabilizzazione del valore reale dell’unità di conto

Il funzionamento di un economia di mercato si basa su un enorme numero di investimenti per il futuro. L’efficacia dell’economia, come la sua equità, implica che questi investimenti siano rispettati, che i calcoli economici non siano falsi e che né i creditori né i debitori siano defraudati. Conviene perciò che l’applicazione di tutti gli investimenti non sia alterata dalle variazioni del potere d’acquisto dell’unità di conto. Ciò comporterà l’obbligo legale in futuro di dotare tutti i prestiti a medio e lungo termine dello Stato, delle imprese e dei privati, di una garanzia in potere d’acquisto, nella base e negli interessi, e questa garanzia sarà assicurata dall’indicizzazione nel valore reale dei pagamenti e degli interessi, rispetto all’indice generale dei prezzi.

Infatti, di fronte a queste variazioni, solo un’indicizzazione nel valore reale di tutti gli investimenti per il futuro, e in particolare di tutti i prestiti e i contratti salariali a tempo indeterminato [23], potrà assicurare un funzionamento efficace ed equo dell’economia. Una tale indicizzazione tornerà a introdurre implicitamente nell’economia, per tutte le operazioni sul futuro, un’unità di conto dal valore stabile, unità di cui l’utilizzo è indispensabile per il suo funzionamento corretto, sia per assicurare la sua efficacia sia per non compromettere l’equità della ripartizione dei redditi [24].

È importante comprendere bene la natura di un tale sistema d’indicizzazione. Non si tratta di bloccare l’economia in un sistema di vincoli incompatibili e impossibili da sostenere. Si tratta semplicemente di rendere l’economia più efficace, di liberarla, per gran parte, di tutti i vincoli legati all’incertezza del futuro, e di stabilire appieno il principio di onestà nella stipulazione dei contratti. Il funzionamento di un tale sistema tenderà a rendere impossibile tutta la distorsione dei prezzi e dei redditi. Permetterà di preservare sia l’efficacia dell’economia sia l’equità di ripartizione dei redditi [25]. L’indicizzazione stessa sarà fondamentalmente un mezzo di riduzione dell’incertezza del futuro, e di generazione di efficacia[26]. In ogni caso, rifiutare l’indicizzazione degli investimenti sul futuro equivarrà a istituzionalizzare la perversione di tutti i calcoli economici e la defraudazione dei debitori o dei creditori.

La riforma dei mercati di borsa

Che le borse siano diventate dei veri e propri casinò, dove si giocano delle enormi partite di poker, non sarebbe dopo tutto di grande importanza, poiché mentre alcuni guadagnano altri perdono, se le fluttuazioni generali delle quotazioni non generassero, come fanno, delle profonde ondate di ottimismo e di pessimismo, che influiscono considerevolmente sull’economia reale. E’ qui che appare il carattere irrazionale e nocivo del quadro istituzionale attuale dei mercati di borsa. Il sistema attuale è fondamentalmente antieconomico e sfavorevole ad un funzionamento corretto dell’economia. Non può che essere vantaggioso per gruppi minoritari assai piccoli. Per essere efficacemente utili, ciò che possono essere, i mercati borsistici devono essere riformati:

  • il finanziamento di operazioni di borsa attraverso la creazioni di mezzi di pagamento dal nulla (ex nihilo) da parte del sistema bancario, deve essere reso impossibile
  • i margini corrispondenti agli acquisti e alle vendite a termine devono essere considerevolmente aumentati e devono consistere in liquidità
  • la valutazione continua delle quotazioni deve essere soppressa e rimpiazzata su ogni piazza finanziaria da una sola quotazione giornaliera per ogni valore
  • i programmi automatici di acquisto e vendita devono essere vietati
  • la speculazione sugli indici e i prodotti derivati deve essere vietata

Una sola quotazione per giorno su ogni piazza finanziaria sarà nel lungo periodo preferibile; ridurrà in modo considerevole i costi, e sarà favorevole a tutti gli investitori, grandi e piccoli. Più un mercato è esteso e più le quotazioni che si stabiliscono sono significative ed eque.

La riforma del sistema monetario internazionale

La struttura monetaria internazionale attuale è caratterizzata dalle più grandi perversioni:

  • l’instabilità dei tassi di cambio fluttuanti
  • gli squilibri dei bilanci di pagamento correnti
  • svalutazioni competitive
  • lo sviluppo di una speculazione sfrenata sui mercati dei cambi
  • l’utilizzo a livello mondiale, come unità di conto di valore, del dollaro il cui valore reale sul piano internazionale è straordinariamente instabile e imprevedibile
  • la contraddizione fondamentale tra una liberazione totale dei movimenti di capitali a breve termine e l’autonomia delle politiche monetarie nazionali

Una riforma del sistema monetario internazionale, una nuova Bretton-Woods, è assolutamente necessaria. Implicherà in particolare:

  • L’abbandono totale del sistema dei cambi fluttuanti e il suo rimpiazzo attraverso un sistema di tassi di cambio fissi, ma eventualmente rivedibili
  • tassi di cambio assicuranti un equilibrio effettivo dei bilanci di pagamento [27]
  • L’interdizione di tutte le svalutazioni competitive
  • L’abbandono totale del dollaro come moneta di conto, come moneta di cambio e come moneta di riserva sul piano internazionale
  • La fusione in uno stesso organismo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e del Fondo Monetario Internazionale
  • La creazioni di organizzazioni regionali
  • L’impossibilità per le grandi banche di speculare per proprio conto sui cambi, le azioni e i prodotti derivati
  • infine, l’istituzione progressiva di un’unità di conto comune sul piano internazionale, attraverso un sistema appropriato di indicizzazione.

Le verità stabilite (i dogmi) contrari alla ragione

Si possono prendere decisioni giuste per il futuro solo se si può fare tesoro degli insegnamenti del passato. I disordini monetari e finanziari sono sempre stati constatati nel passato sono stati considerevolmente aggravati, se non causati, dall’assenza di istituzioni monetarie e finanziarie appropriate, che permettessero un funzionamento sia efficace che giusto di un’economia di mercato.

Di fatto delle istituzioni che generano esse stesse i semi della propria distruzione devono essere riformate. E’ ben certo che i fortissimi interessi dei gruppi di pressione monetaria e finanziaria e le dottrine regnanti non sono affatto favorevoli a queste riforme, tanto è forte la tirannia dello status quo.

Questi ultimi 50 anni sono stati tutti dominati da una sequenza di dottrine dogmatiche sempre sostenute con la stessa sicurezza, ma persino in contraddizione le une con le altre, irrealistiche, schiacciate poi le une sulle altre dall’evidenza dei fatti. Nello studio della Storia, nell’analisi approfondita degli errori passati, si ha troppa propensione a prendere in considerazione delle semplici affermazioni, troppo spesso basate su puri sofismi, su modelli matematici irrealistici, e su analisi superficiali delle circostanze del momento.

In ultima analisi tutti i mezzi messi in campo, tutte le misure attuate, non hanno sempre che il medesimo oggetto: rimandare al futuro i provvedimenti necessari, grazie alla concessione di nuovi prestiti e la creazione dal nulla (ex nihilo) di nuovi mezzi di pagamento, comportando così un nuovo aumento globale di promessi di pagamento. Non si tratta che di espedienti, di per sé perfettamente destabilizzanti, e che non fanno altro che aumentare l’instabilità potenziale generale del sistema, rendendola sempre più pericolosa. Di fatto la quasi totalità delle difficoltà attuali sono il risultato da un lato della totale mancanza di conoscenza delle condizioni monetarie e finanziarie per un funzionamento efficace ed equo di un’economia di mercato, e dall’altro della struttura inappropriata delle istituzioni bancarie e dei mercati finanziari.

Le quattro riforme che propongo, del sistema monetario e finanziario, dell’indicizzazione, dei mercati borsistici, e del sistema monetario internazionale, sono indipendenti le une dalle altre, e possono altresì essere applicate separatamente in alcuni Paesi o in tutti. Ciascuno di essi porterà molto beneficio all’economia nel suo insieme. Ma, se saranno applicati congiuntamente, i loro effetti benefici si troveranno considerevolmente rinforzati gli uni attraverso gli altri. Queste non sono affatto delle riforme qualunque che si aggiungono a migliaia altre, ciascuna delle quali tenta semplicemente di riparare ai disastri risultanti dalla precedente e causandone di nuove.

Si tratta di riforme fondamentali che interessano la vita di tutti i giorni di milioni di cittadini. Queste riforme indispensabili non sono mai state realizzate, neppure ventilate, né dai liberisti, giustamente preoccupati di favorire l’efficacia dell’economia, né dai socialisti, giustamente attaccati all’equità della distribuzione dei profitti. La ragione non è affatto semplice. Gli uni e gli altri non hanno smesso di essere accecati dall’ incessante ripetizione da entrambe le parti di pseudo verità e da pregiudizi errati.

Infatti più le idee dominanti sono diffuse, più si trovano in qualche modo radicate nella psicologia dell’uomo. Nel caso fossero anche sbagliate, finirebbero per acquisire, attraverso la loro semplice e incessante ripetizione, il carattere di verità stabilite che non sarebbero mai messe in discussione senza doversi scontrare con l’ostracismo attivo di gruppi di pressione di ogni sorta. L’unico risultato di questa situazione non è stato che gravi disgrazie per milioni e milioni di persone, tra le quali naturalmente quelle più duramente colpite sono state le più povere.


[1] La massa monetaria M1 (denaro in circolazione più depositi a vista) era aumentata del 3,8% e la massa monetaria M2 (M1 più depositi a tempo) del 10,8%. La moneta di base B (liquidità + depositi presso il Federal Reserve System) non era aumentato che dello 0,9%. Le differenze M1-B e M2-B, corrispondenti ai depositi bancari, non erano aumentati che del 5,0% e 12,8%.

[2] La spesa globale di fatto è equivalente al prodotto della massa monetaria per la velocità di circolazione.

[3] Infatti la massa monetaria M1 diminuì del 21% e la massa monetaria M2 del 23%, le differenze M1-B e M2-B diminuirono rispettivamente del 31% e del 28%.

[4] In un sistema a copertura frazionaria dei depositi nessuna banca può fare fronte a ritiri di massa. Nel 1931 erano fallite 2550 banche americane.

[5] Per aiutare i disoccupati non c’era allora che istituti di carità privata.

[6] distruggere il credito, mutui e passività

[7] Considerati indebitamente dagli Stati Uniti come semplici debiti commerciali.

[8] La variazione della spesa globale D comporta due elementi: il primo proporzionale allo scarto relativo tra la quantità globale degli incassi trattenuti M (uguale alla massa monetaria) e la quantità globale degli incassi desiderati Md (uguale alla quantità globale degli incassi che l’insieme degli operatori desiderano detenere), e il secondo uguale all’aumento relativo della massa monetaria M. L’incasso globale desiderato dipende essenzialmente da fattori psicologici. In un periodo di ottimismo Md diminuisce, e in un periodo di pessimismo Md aumenta. A tutta la diminuzione di Md corrisponde così un aumento della spesa globale D, e a tutto l’aumento di Md corrisponde una diminuzione della spesa globale D. La recessione si trova così aggravata (Allais 1968, Moneta e Sviluppo. L’equazione fondamentale della dinamica monetaria p. 83). Un’appendice nel libro spiega l’equazione fondamentale della dinamica monetaria.

[9] La creazione di denaro scritturale dipende da una volontà duplice, la volontà delle banche di prestare e la volontà degli operatori economici di prendere a prestito. In tempi di prosperità questa doppia volontà esiste e il denaro scritturale aumenta. In tempi di recessione questa doppia volontà sparisce e il denaro scritturale diminuisce.

[10] Al momento della crisi del 1837 il reverendo Leonard Bacon dichiarava nel suo sermone del 21 maggio “Pochi mesi fa la ricchezza senza precedenti del nostro Paese era tema universale di vanto. Un così rapido sviluppo di risorse, un aumento così rapido della ricchezza pubblica e individuale, una così grande manifestazione dello spirito di impresa, una così forte e all’apparenza razionale fiducia nella prospettiva di illimitato successo, non si erano mai visti in precedenza. Ma quanto all’improvviso tutta questa prosperità si è arrestata! Questa fiducia, che di questi tempi e soprattutto nella nostra Nazione, è la base dello scambio commerciale sta fallendo in ogni direzione; e tutti gli interessi del nostro Paese sembrano convulsi e disorganizzati. Il commerciante, la cui attività era condotta su principi sani, raccoglie fallimenti dopo fallimenti, fino a che chiude la sua attività e licenzia i suoi lavoratori. Lo speculatore che sognava sé stesso ricco, vede che le sue ricchezze immaginate spariscono come dissolte nel nulla. Che cosa altro ci aspetti davanti…. questo è abbastanza per sapere che la miseria si farà di ora in ora più estesa e intensa” (in “Booms and Depressions”, Irving Fisher, 1932).

[11] Sulle crisi del XIX secolo Clemént Juglar scriveva già nel 1860 “Le crisi commerciali sono il risultato di alterazioni profonde nel movimento del credito. Non è forse il credito la semplice possibilità di potere accettare come mezzo di scambio una promessa di pagamento? La funzione di una banca o di un banchiere è accettare dei debiti con delle promesse di pagamento. La sola pratica del credito porta così, attraverso l’abuso che si è portati a farne, alle crisi commerciali. Il credito è il motore principale, esso da la spinta: è esso che, attraverso la firma di un semplice titolo commerciale, di una lettera di cambio, conferisce la possibilità di comprare che sembrerebbe illimitata. Ciò che favorisce lo sviluppo degli affari e la crescita dei prezzi è il credito. Ogni scambio di un prodotto da luogo a una nuova promessa di pagamento…” (in Clemént Juglar “Des Crises commerciales et leur retour périodique” 1860. seconda edizione 1889)

[12] ho presentato un’analisi sintetica delle relazioni di causa ed effetto della dinamica monetaria nell’introduzione della seconda edizione del mio lavoro “Économie et intérêt” pp 115-174.(Edizioni Clément Juglar. ).

[13] Guardare in particolare Irving Fisher: “Booms and Depressions” 1932, “Stamp Scrip” 1933, “Stable money. A history of the movement” 1934; “100% money” 1935.

[14] Ricordo che la mia analisi non riguarda che il periodo giugno 1997 – ottobre 1998. La redazione di questo capitolo è terminata il primo novembre 1998.

[15] Il fallimento dell’economia sovietica è stato assolutamente prevedibile. Il passaggio brutale, secondo le direttive degli esperti americani, a un’economia di mercato in mano privata dopo settantadue anni di collettivismo non poteva che fallire. Nella mia monografia del 3 aprile 1991, “L’Unione Europea e i Paesi dell’Est nel contesto odierno” presentata al terzo simposio dell’Unione io scrissi: “Non sarebbe senza pericolo nascondere tutti i rischi che comporta il passaggio, benché graduale, a un’economia di mercato di proprietà privata: la comparsa praticamente inevitabile di nuovi ricchi, la creazione di disuguaglianze palesi e niente affatto giustificate che il mercato non potrà realmente appianare fino a che quando la concorrenza diverrà sufficiente, le forme di gestione di impresa privata più o meno risoluta, la disoccupazione, l’inflazione, la dissoluzione dei costumi, etc. Sono questi i rischi più gravi dai quali i Paesi dell’Est dovranno premunirsi. (…) Occorre rendere questo passaggio oggetto di un Piano di Decolletivizzazione. Può sembrare paradossale, almeno a prima vista, che un liberale come me possa incoraggiare una pianificazione per uscire dall’organizzazione collettivista centralizzata. E’ tuttavia una necessità assoluta.” E’ ciò che avrebbero dovuto fare al posto della baraonda liberista che è stata applicata. Ancora oggi sono convinto che solo una pianificazione potrebbe fare uscire la Russia dalla grave crisi che la attanaglia.

[16] Non è che a partire della pubblicazione nel 1911 dell’opera fondamentale di Irving Fisher “The purchasing power of money” che è stato pienamente riconosciuto che il meccanismo del credito provoca una creazione di moneta.

[17] Come le variazioni della spesa globale dipendono contemporaneamente dall’eccesso di massa monetaria sul volume globale degli incassi desiderati e dalle variazioni di massa monetaria, il meccanismo del credito nel suo complesso ha un effetto destabilizzante perché in periodi di espansione della spesa globale la massa monetaria aumenta mentre gli incassi desiderati diminuiscono, e in periodi di recessione la massa monetaria decresce mentre gli incassi desiderati aumentano.

[18] I tassi di crescita elevati delle tigri asiatiche sono stati male interpretati. In buona sostanza essi sono il risultato del fatto che queste economie si sono sviluppate in ritardo rispetto alle economie già sviluppate e che un’economia cresce tanto più quanto essa è in ritardo. Sulla dimostrazione di questa affermazione direi fondamentale guardate il mio scritto del 1974 “L’inflation française et la croissance. Mythologie et réalité “, capitolo II, p. 40-45.

[19] vd. il mio scritto “Combats pour l’Europe” 1994.

[20] Con questo sistema non sarebbe creata altra moneta eccettuata quella della Banca Centrale, e il reddito da signoraggio proveniente dalla creazione di moneta da parte della Banca Centrale sarebbe restituito allo Stato, ed esso stesso permetterebbe nelle condizioni attuali di abolire la quasi totalità delle imposte progressive sul reddito. Vedere il mio saggio “Pour la réforme de la fiscalité”. Una riforma tale avrebbe il vantaggio della chiarezza e della trasparenza. Oggi i redditi da signoraggio provenienti dalla creazione di moneta sono spartiti tra mani ignote, senza che nessuno possa realmente identificare chi è che ne trae profitto. Questi redditi non fanno che causare ingiustizia e instabilità e, favorendo investimenti non realmente redditizi per la collettività, non fanno che causare uno sperpero di capitale. Fondamentalmente la creazione di denaro dal nulla (ex nihilo) effettuata dal sistema bancario è identica, non esito mai a dirlo per fare ben comprendere con cosa si ha a che fare, alla creazione di denaro da parte dei falsari, per questo motivo giustamente condannati dalla legge. Nel concreto essa provoca gli stessi risultati. La differenza è chi ne trae il profitto.

[21] Il tasso di aumento della moneta di base sarebbe uguale al tasso di aumento del Prodotto Interno Lordo reale, aumentato del tasso atteso di crescita dei prezzi, all’inizio del 2% (si ritrova il K % di Milton Friedman).

[22] Come è mostrato da uno studio econometrico approfondito.

[23]Infatti la distribuzione dei guadagni realizzati dall’azienda tra i suoi dipendenti e i suoi azionisti sarebbe certamente agevolata se lo stipendio comprendesse tre elementi: (1) un elemento principale indicizzato sul livello generale dei prezzi, secondo un contratto limitato al tempo. (2) un elemento cointeressante alla buona gestione aziendale e differenziato secondo l’attività all’interno dell’impresa. (3) infine un elemento complementare indicizzato sui guadagni reali dell’azienda e suscettibile di variazione, in più o in meno, secondo i risultati dell’azienda.

[24] L’indicizzazione obbligatoria in valore reale di tutti gli investimenti per il futuro oltre a una certa durata, che potrebbe essere ragionevolmente fissato uguale a un anno, sembrerebbe essere una esigenza sia di equità che di efficacia. Gli incassi non sarebbero affatto indicizzati. L’indicizzazione potrebbe essere basata vantaggiosamente sulla valutazione del deflattivo del prodotto nazionale lordo nominale, che tiene conto di tutte le transazioni. Gli incassi, non indicizzati per natura, si svaluterebbero al tasso desiderato dell’aumento dei prezzi, ossia il 2% all’inizio. La loro tesaurizzazione così non potrebbe quindi che essere vantaggiosa.

[25] Vedere il mio saggio “Pour l’indexation” 1990 edizioni Clément Juglar. Se il loro valore reale fosse garantito, i valori a reddito fisso costituirebbero probabilmente se non la sistemazione più vantaggiosa almeno il migliore su misura del risparmiatore medio, in ragione della semplicità di gestione e della sicurezza del capitale e del reddito nel caso di Titoli di Stato e obbligazioni della grandi aziende. Infatti esiste un crescente bisogno di una protezione efficace contro le variazioni del valore reale della valuta attraverso un sistema appropriato di indicizzazione, ed esiste potenzialmente un immenso mercato per delle obbligazioni indicizzate nel capitale e nell’interesse.

[26] Indicizzando tutte le obbligazioni in denaro, i tassi di interesse reali si stabilirebbero a dei livelli che assicurerebbero all’economia tutto il risparmio reale che sarebbe necessario, e l’esperienza storica di tutti i periodi di stabilità monetaria suggerisce che i tassi sarebbero relativamente bassi, dell’ordine del 3 o 4%.

[27] Il mantenimento, da parte degli Stati Uniti, dal 1984, di un disavanzo medio annuale della loro bilancia di pagamenti di più di 10 miliardi di dollari è veramente inammissibile. Come ammettere che il più potente Paese del Mondo eserciti un tale prelevamento dal resto del Mondo?

[28] Su tutte le argomentazioni che precedono e le obiezioni che potrebbero essere presentate, in particolare dal punto di vista dell’ Unione Europea, guardare in modo particolare:
- Maurice Allais “Les conditions monétaires d'une économie de marchés“, Revue d'économie politique, mai-juin 1993.
- Vedere allo stesso modo l'introduzione alla 2da edizione del mio saggio “Économie et Intérêt “, 1998, éd. Clément Juglar (pp.154-186).
- Vedere soprattutto i miei due saggi : 1999, “La Crise mondiale d'aujourd'hui. Pour de profondes réformes des institutions financières et monétaires “; 1999, “L'Union européenne, la mondialisation et le chômage“, Éd. Clément Jugla


21/11/2008 : signet@work : sandro pascucci : www.signoraggio.com v.0.5
22/11/2008 : signet@work : sandro pascucci : www.signoraggio.com v.0.6
[http://www.signoraggio.com/signoraggio_lacrisimondiale.html]

[http://www.signoraggio.com/volantini/la_crisi_mondiale_dei_giorni_nostri.pdf]

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