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Il nichilismo della finanza

da:
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2554 (I PARTE)
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2559 (II PARTE)
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2586 (III PARTE)

I PARTE

Luigi Copertino
10/01/2008

Proprietà e capitale non sono la medesima cosa.
Si tratta di due termini che esprimono concetti opposti.
Come già osservava all'inizio del XX secolo Francesco Avigliano, socialista eretico, delle intuizioni del quale fu debitore anche Ezra Pound, se un tempo si era ricchi perché si possedevano beni reali (terre, immobili, mezzi di produzione) con l'età moderna, invece, fece la sua comparsa un concetto di ricchezza astratto e virtuale: la ricchezza finanziaria e monetaria (1).
Il capitale, appunto, è innanzitutto monetario ed in tal senso Fernando Ritter, per distinguerlo dal capitale costituito da beni reali, ha giustamente parlato di pseudocapitale
(2).
Tuttavia, prima del passaggio all'età post-moderna, ossia all'età post-industriale, passaggio che segna anche l'apice spirituale e storico del processo di decristianizzazione, il capitale monetario era comunque legato all'economia reale perché esso rimaneva subordinato al superiore bene comune, particolare o universale, vale a dire della Polis o dell'Imperium o, in età moderna, dello Stato nazionale, come era naturale che fosse in epoche nelle quali l'economia stessa era considerata soltanto una delle funzioni della comunità politica, non la prima né la seconda.
L'economia era subordinata a superiori istanze sovraeconomiche.

La comparsa della banca e dell'oro-carta: primo passo della finanziarizzazione dell'economia.
Nel medioevo ed agli albori della modernità la moneta era ancora aurea o argentea.
La moneta, pertanto, era un bene reale e, come tale, era oggetto di proprietà da parte del suo portatore ossia da parte di chi ne veniva legittimamente in possesso.
Con la nascita della banca comparve la carta-moneta che è giuridicamente una cambiale bancaria, la note of bank o banconota, emessa dal banco depositario delle riserve di moneta aurea ed argentea che artigiani e mercanti ad esso affidavano in custodia.
In particolare erano i mercanti ad essere agevolati, negli spostamenti, dalla possibilità loro offerta, dalla rete internazionale di cambiavalute, che avevano banchi aperti sulle piazze di tutt'Europa,
di portare con sé soltanto lettere di cambio, ossia ricevute bancarie, coperte da riserve di moneta aurea o argentea.
Infatti i mercanti esibendo, presso il banco della piazza ove momentaneamente si trovavano, la lettera di cambio, ossia la banconota, potevano ottenere monete metalliche nella quantità corrispondente al valore nominale della ricevuta esibita.
Il banco a sua volta avrebbe recuperato il quantitativo di moneta metallica sborsata presso il banco di emissione della lettera di cambio, esibita dal mercante di passaggio.
Il sistema fu ben accetto anche perché era più sicuro far circolare note bancarie che moneta metallica.
Le monete auree o argentee, rimanendo depositate presso il banco, assolvevano inizialmente alla funzione di garantire la copertura, e dunque il valore, delle banconote.
Queste, infatti, erano emesse in forma di cambiali recando la dicitura, ancora visibile qualche anno fa sulle vecchie lire, pagabili a vista al portatore accompagnata dalla firma del legale rappresentante del banco di emissione (che nel caso delle vecchie lire era quella del governatore della Banca d'Italia).
Attualmente la divisa cartacea dell'euro non reca più nessuna dicitura del genere e tuttavia su di essa compare ancora la firma del governatore dell'istituto di emissione ossia della Banca Centrale Europea, a dimostrazione che giuridicamente la natura cambiaria della banconota non è cambiata.

La riserva aurea, quindi, aveva originariamente la funzione di evitare che lo strumento finanziario si svincolasse dalla concretezza di un bene reale come l'oro ed in ultima analisi che si svincolasse dall'economia reale.
Con il tempo, poi, instauratasi per consuetudine la fiducia popolare nella solidità delle banconote,
in quanto a copertura aurea garantita, si giunse alla virtualizzazione del valore della moneta cartacea.
Ciò poté avvenire nel momento in cui, per la consuetudinaria fiducia instauratasi, nessuno più pretese presso la banca di emissione l'effettiva conversione in oro o argento delle banconote.
La fiducia che esse ormai godevano presso il pubblico era tale che cittadini ed operatori economici iniziarono a far circolare direttamente tra loro, come mezzo di pagamento, le note di banco, senza più preventivamente richiederne la commutazione in moneta metallica.
Questa circolazione diretta trasformò le banconote, da cambiali, in vera e propria moneta corrente.
Il sistema bancario iniziava, così, ad esercitare il suo dominio occulto sulla vita dei popoli, mediante il controllo che la finanza poteva esercitare in tal modo sull'economia (3).
Tale sistema andò successivamente organizzandosi intorno all'istituzione in ogni nazione di una Banca Centrale.
Le Banche Centrali nascono originariamente come banche private dotate delle speciali prerogative del monopolio dell'emissione di carta moneta e dell'autonomia, statutariamente garantite dal sovrano.
Nel corso del XX secolo le Banche Centrali furono progressivamente subordinate al controllo dello Stato fino a diventare uno strumento delle politiche monetarie degli esecutivi nell'ambito dello sviluppo e del rafforzamento dello Stato sociale.
In Italia il completamento della subordinazione della Banca d'Italia allo Stato, ossia, come si ebbe a dire all'epoca, la sua pubblicizzazione, fu una delle riforme sociali più importanti effettuate durante gli anni trenta del XX secolo dal regime fascista.
A partire dagli anni ottanta del secolo scorso in tutti gli Stati occidentali (in Italia la cosa avvenne sotto la guida di Andreatta e Ciampi, con il probabile ruolo di suggeritore Guido Carli, che riuscirono a far accettare il divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia) le Banche Centrali sono riuscite a riconquistare le loro originarie ed assolute prerogative di incontrollabilità e di autonomia non solo nell'emissione monetaria ma anche nella gestione delle manovre fondamentali di politica monetaria, come quella del cosiddetto tasso di sconto dalla quale dipende il costo del denaro e quindi la sopravvivenza sul mercato di molte aziende e di molti posti di lavoro.

L'autonomia intangibile delle Banche Centrali è oggi palesemente statuita dall'articolo 107 del Trattato di Maastricht (4).
Il regime di subordinazione della Banca Centrale allo Stato non garantiva in senso assoluto che la funzione monetaria fosse esercitata a fini di bene comune perché da un lato il potere politico era spesso portato ad abusare dello strumento monetario fino ad ingenerare inflazione, dall'altro lato laddove vi fosse collusione tra banchieri centrali e ministri di turno, inalberati da questa o quella loggia, il dominio finanziario sull'economia poteva egualmente, sebbene indirettamente, esercitarsi per fini devianti.
Tuttavia il tandem tra potere politico, responsabile delle sue decisioni di fronte al Parlamento e sottoposto pertanto al suo controllo ed in ultima istanza al controllo del corpo elettorale, e potere central-bancario costringeva quest'ultimo potere ad un costante patteggiamento con il potere politico, democraticamente eletto e responsabile.
L'equilibrio tra potere politico e potere tecnico bancario costringeva ambedue i poteri ad una reciproca ed autolimitante coordinazione e se il potere politico trovava, nel gioco dei reciproci rapporti di forza, un freno da parte del potere bancario quest'ultimo dal canto suo era spesso costretto a subire decisioni contrarie agli interessi immediati della consorteria central-bancaria.

Il «misterium iniquitatis» finanziario

La moneta cartacea, in forma di cambiale o ricevuta di deposito di beni reali, è molto più antica del cristianesimo.
Di essa fa cenno la Sacra Scrittura nel racconto di Tobia: «In quel giorno Tobi si ricordò del denaro che aveva depositato presso Gabael in Rage di Media… Perché dunque non dovrei chiamare mio figlio Tobi e informarlo, prima di morire, di questa somma di denaro? Chiamò il figlio e gli disse: '…Ora, figlio, ti faccio sapere che ho depositato dieci talenti d'argento presso Gabael figlio di Gabri, a Rage di Media. Non temere se siamo diventati poveri…'. Allora Tobi rispose al padre: '… Ma come potrò riprendere la somma, dal momento che lui non conosce me, né io conosco lui? Che segno posso dargli, perché mi riconosca, mi creda e mi consegni il denaro? …' Rispose Tobi al figlio: 'Mi ha dato un documento autografo e anch'io gli ho consegnato un documento scritto; lo divisi in due parti e ne prendemmo ciascuno una parte; l'altra parte la lasciai presso di lui con il denaro. Sono ora vent'anni da quando ho depositato quella somma … Va dunque da Gabael a ritirare il denaro» (Tobia 4,1-21; 5,1-3).
Il racconto prosegue con il viaggio di Tobi, che riuscirà a recuperare la somma per il vecchio padre, esule a Ninive, trovando persino moglie.
Nel suo viaggio Tobi è assistito da un misterioso personaggio, che in realtà è l'Arcangelo Raffaele, inviatogli in soccorso da Dio, al quale spetta, alla fine, nel momento in cui svela la sua vera identità a Tobi ed alla moglie, rivelare il senso spirituale di tutta la vicenda che è quello dell'uso giusto e misericordioso dello strumento monetario: «E' bene tener nascosto il segreto del re, - dice il messaggero celeste - ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio. (…). Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l'elemosina con la giustizia. Meglio il poco con giustizia che la ricchezza con ingiustizia. Meglio è praticare l'elemosina che mettere da parte oro. L'elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l'elemosina godranno lunga vita. Coloro che commettono il peccato e l'ingiustizia sono nemici della propria vita» (Tobia 12,7-10).
Questo episodio biblico non è solo una anticipata rivelazione della caritas cristiana (nel suo senso trascendente prima che morale) ma pone anche un fondamentale principio di etica economica: quello per cui il credito trova la sua unica giustificazione nella propria funzione sociale.
Nasce qui la concezione del credito sociale (social credit), tradizionalmente propria del pensiero economico cattolico, dai Padri della Chiesa, Sant'Agostino, Sant'Ambrogio fino a San Tommaso d'Aquino, San Bernardino da Siena, Sant'Antonino da Firenze, Duns Scoto ed all'invenzione francescana dei Monti di Pietà, che nel XX secolo economisti eretici come Clifford Hugh Douglas e Silvio Gesell (quest'ultimo con l'idea sabbatica della moneta prescrittibile), ai quali si richiamava Ezra Pound nei suoi studi poetico-economici, faranno propria.

Infatti, nel racconto biblico di Tobia la creazione di moneta, mediante emissione di una promessa di pagamento, è strumento finalizzato a sovvenire ai bisogni del povero Tobi, suo padre: il documento emesso da chi detiene la riserva di denaro presso di sé, nel racconto Gabael di Rage, svolge la propria funzione a favore del vero proprietario del valore monetario in esso incorporato, ossia il vecchio Tobi, e non, come succede nell'emissione monetaria cartacea odierna, a favore di chi ha il monopolio legale a creare il simbolo cartaceo.
Al tempo stesso, però, l'episodio biblico in questione ha il proprio fondamento storico nell'antico uso semitico del mamré (o memrà) che era una promessa di pagamento in forma scritturale, papiracea o in tavolette di terracotta, circolante nell'area vicino-orientale.
Sembra che la solidarietà creditizia intraetnica, ossia esclusiva tra israeliti, nelle promesse di pagamento, alla quale per la legge mosaica tutti i membri del popolo ebreo erano tenuti, sicché l'israelita possessore di un mamré poteva riscuotere indifferentemente il proprio debito presso un qualunque confratello e non necessariamente presso quello che aveva emesso la promessa di pagamento (da qui, al fine di non inflazionare il mercato oltre che per dovere di misericordia, il settennale anno sabbatico di cancellazione di ogni debito), facesse sì che i mamré ebraici fossero diventati mezzo di pagamento in tutta l'area compresa tra antico Egitto e Mesopotania, accettati da tutti proprio perché avvalorati da quella solidarietà intraetnica che, mano a mano che gli israeliti iniziarono a praticare scambi commerciali con i popoli vicini, fu resa non più esclusiva ai soli rapporti tra ebrei ma estesa anche a quelli con i non ebrei.
Ma, in tal modo, ossia con l'accettazione dei mamré senza la contropartita della riscossione del debito, ovvero senza la contropartita dell'adempimento della promessa di pagamento, assenza di contropartita indotta dalla fiducia nella solidarietà interetnica degli israeliti debitori, quella che in origine nasce come una sorta di esposizione debitoria di ogni israelita verso gli altri israeliti e di tutti gli israeliti verso i pagani diventa, per rovesciamento, una posizione di egemonia creditizia in favore di coloro, gli ebrei, che emettevano i mamré
(5).
Con la conseguenza che l'influenza israelitica nel mercato finanziario dell'epoca divenne talmente notevole fino al punto che, deviando dal senso spirituale delle Scritture, gli israeliti iniziarono a leggere in senso letterale e materialistico passi come «Il Signore tuo Dio ti benedirà come ti ha promesso e tu farai prestiti a molte nazioni e non prenderai nulla in prestito; dominerai molte nazioni mentre esse non ti domineranno» (Deuteronomio 15,6).

Quando Nostro Signore Gesù Cristo ammoniva che non è possibile servire due padroni, opponendo l'adorazione luciferina a mammona all'adorazione autentica a Dio (Matteo 6,24; Luca 16,13), Egli si riferiva al tesoro monetario custodito nel Tempio (per gli antichi, e gli ebrei non facevano eccezione, i templi erano anche centri finanziari posti sotto la protezione del dio cui il santuario era dedicato), il mammona, per l'appunto, gestito dal Sinedrio e costituito, nel caso del tempio di Gerusalemme, in gran parte da promesse di pagamento, ossia titoli di credito ormai usati come moneta corrente con il conseguente capovolgimento delle parti tra l'emittente, apparente debitore ma occulto creditore, e il possessore di quei titoli circolanti, apparente creditore ma inconsapevole debitore.
Nel mondo greco-romano non sembra che la circolazione di moneta cartacea fosse la norma e comunque non godeva, laddove sussistente, del favore della res pubblica e dei cittadini.
Non a caso alla rarità monetaria aurea si faceva fronte, da parte dell'erario, con la frode, inflazionistica, di tagliare le monete auree con metalli meno preziosi, quando non addirittura vili: l'uso della carta moneta, se fosse stato accettato, avrebbe risolto il problema con il semplice aumento del quantitativo di moneta stampata e la conseguente inflazione.
Di carta moneta, a dimostrazione della sua origine prevalentemente orientale, parla invece Marco Polo nelle sue memorie di viaggio in Asia, dove essa circolava sotto imperio del Gran Khan come, dunque, moneta emessa dallo Stato e garantita dall'autorità del sovrano.
Forse, è da scoperte come questa che l'uso della carta moneta iniziò, mediatore il mondo islamico che faceva da cuscinetto geografico e culturale tra Occidente ed Asia, a diffondersi anche nell'Europa medioevale.
Ma, qui, la mancanza, causa la frammentazione feudale e comunale, di una forte autorità politica, come quelle degli imperi teocratici asiatici, lasciò lo strumento cartaceo in balia, come si è detto, dei cambiavalute e dei banchieri, perlomeno fino alla comparsa del sistema central-bancario.


La Banca d'Inghilterra e il «misterium iniquitatis»

La prima Banca Centrale nacque in Inghilterra nel 1694.
Non si tratta affatto di una casualità storica ma di un vero e proprio segno dei tempi.
Infatti, tale parto avvenne nell'Inghilterra dell'apostasia anglicana, nella quale i cattolici venivano martirizzati per la loro fedeltà alla Chiesa di Roma.
Era, quella, l'Inghilterra che aboliva legalmente l'Eucarestia, la cui celebrazione fu dichiarata reato.
William Paterson, uno strano avventuriero con legami rosacruciani, fu l'ideatore e fondatore della Banca d'Inghilterra.
Egli per allettare i potenziali soci svelò loro l'arcano segreto della gnosi finanziaria racchiuso nella formula «la banca trae beneficio dall'interesse su tutta la moneta che crea dal nulla».
La Banca d'Inghilterra nacque sotto l'interessata tutela della corona la quale appaltò ad essa il monopolio dell'emissione legale di moneta in forma cartacea.
La Banca fondata dal Paterson, emettendo in regime di monopolio moneta cartacea, ossia in sostanza moneta creata ex nihilo a costo zero (o quasi, scontando soltanto i costi tipografici di stampa della cartamoneta), lucrava l'interesse maturato sulla moneta prestata sia allo Stato sia al pubblico indotto, quest'ultimo, alla fiducia nel nuovo istituto di emissione dall'imprimatur regale di cui esso godeva in via esclusiva.
Giustamente anche Marx, nell'unica pagina de Il Capitale nella quale affronta la questione del capitale monetario, per il resto completamente trascurata ed estranea dai suoi orizzonti, osserva che le Banche Centrali, nate sul modello inglese, sono nient'altro che parassiti viventi della rendita loro assicurata dal debito pubblico che esse stesse, prestando con una mano ciò che ricevevano maggiorato degli interessi con l'altra, contribuiscono a creare, ponendone tutto il peso sulle spalle dello Stato e quindi della comunità e dell'economia nazionale (6).
Se, inizialmente, anche la Banca d'Inghilterra e le altre Banche Centrali operavano con una riserva aurea, a garanzia delle banconote emesse, ben presto tale garanzia diventò parziale in quanto l'emissione era effettuata in quantità più che proporzionale rispetto al deposito aureo effettivamente posseduto, ingenerando così inflazione.
L'efficacia del sistema, dimostrata dall'ormai acquisita accettazione fiduciaria delle banconote da parte del pubblico, indusse i suoi inventori e fruitori alla graduale abolizione della riserva aurea. Tale abolizione è stata palesemente e formalmente dichiarata nel 1971 con la fine degli Accordi di Bretton Woods.
Tali Accordi dal 1946 garantivano la stabilità degli scambi monetari internazionali sulla base del Golden Standard.
Nel sistema di Bretton Woods, che è all'origine del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, il dollaro fungeva da moneta di riserva per tutte le altre valute.
Negli anni successivi alla stipula degli Accordi, tuttavia gli USA, nel perseguimento dei propri obiettivi geo-strategici e militari planetari, avevano inondato i mercati di una quantità di dollari superiore alle riserve auree depositate presso la Banca Mondiale.

La Francia, all'epoca guidata da De Gaulle, che perseguiva una sua politica antiamericana intesa all'edificazione di un'Europa delle patrie ad egemonia franco-tedesca, pretese, in omaggio a quanto stabilito dagli stessi Accordi di Bretton Woods, la conversione in oro della riserva di dollari in possesso della Banca Centrale francese.
Il braccio di ferro tra USA e Francia, appoggiata quest'ultima anche da altri Stati, proseguì oltre la presidenza di De Gaulle.
Gli Stati Uniti vennero così a trovarsi in una situazione di grave difficoltà finanziaria ed internazionale.
Fino a quando Nixon, nel 1971, proclamò unilateralmente la cessazione della convertibilità in oro del dollaro, ponendo fine al sistema di Bretton Woods.
In tal modo tutto il sistema finanziario mondiale fu trasformato in un'enorme giro planetario di assegni a vuoto, senza più nessuna garanzia reale.
Se con l'abolizione della riserva aurea non si ebbe il crollo dell'intero sistema planetario di scambi valutari ciò si deve al semplice fatto che esso, in realtà, si regge sulla inconsapevole accettazione fiduciaria delle banconote da parte del pubblico mondiale.
Accettazione, storicamente, in origine  consuetudinaria ma successivamente imposta con il corso forzoso dei simboli monetari cartacei.
Nel 1971 divenne, così, palese l'operazione magica che sin dall'inizio era stata alla radice, occulta, del processo di finanziarizzazione dell'economia.
Il sogno alchemico della trasformazione della carta in oro, realizzato dal sistema bancario internazionale, palesa il retroscena esoterico che si nasconde dietro tale trasformazione.
La cripticità iniziatica delle grandi organizzazioni transnazionali (FMI, Banca Mondiale, WTO, Bildenberg, Council for Foreign Relations, Unione Europea, Trilaterale, etc.) e la lingua di legno usata dalle élite finanziarie che le guidano, svelano la loro origine nell'antico esoterismo luciferino, la cui promessa suadente e prometeica, quanto ingannevole, già sibilò nelle orecchie dei nostri progenitori: «eritis sicut Dei» (Genesi, 3, 5).
In questa gnosi monetaria prende forma l'ultima espressione dell'iniquità ofidica che già fu la rovina dell'umanità adamitica.
Il misterium iniquitatis
è una vera e propria Antirivelazione che, nel tentativo di imitare la Rivelazione Divina, custodita dalla Chiesa cattolica, ha bisogno di farsi fede carpendola con l'inganno.
L'atto di  fiducia del pubblico nel valore, virtuale ed immateriale, delle banconote, in circolazione, è per l'appunto la fede, dell'umanità ingannata, su cui si basa l'iniqua religione monetaria dominante.

La trasformazione della carta in oro, resa possibile dalla accettazione fiduciaria, è un'eucaristia luciferina che, nell'età in cui nei centri storici delle città le antiche chiese e cattedrali sono sostituite dai nuovi templi delle banche, pretende di surrogare, in un'imitazione blasfema della Transustanziazione, l'Eucaristia cristiana.
L'abisso di lucida esaltazione nichilista e prometeica, con cui l'iniquo potere monetario è riuscito ad irretire il cuore umano, è evidente sin dall'affermazione con la quale il Paterson inaugurava i fasti della Banca d'Inghilterra.
Infatti, come si è visto, lo speculatore rosacruciano attribuiva all'uomo il potere, che è solo di Dio, di creare ex nihilo.
Pretesa dalla quale discende l'essenza nichilista che sta alla base dell'economia liberista e che si va manifestando in modo ormai palese nella nostra epoca post-moderna nella quale va trionfando la finanziarizzazione dell'economia con la conseguente deindustrializzazione ed il conseguente vassallaggio della politica, ormai abdicante dal suo ruolo che è quello di conseguire il bene comune, ai poteri finanziari globali.
Forse iniziamo solo ora a capire, più a fondo, il significato spirituale ed escatologico dell'ammonimento di Cristo, da noi già citato, sull'impossibilità di servire due padroni, Dio e mammona.
Un avvertimento in qualche modo profetico che finora è stato considerato, anche dall'esegesi, soltanto alla stregua di un ammonimento di tipo etico o ascetico (Matteo 6,24).
E forse iniziamo a capire il senso metafisico dell'antica condanna dell'usura proferita dal Dio di Abramo (7).

Luigi Copertino


Note
1) Confronta F. Avigliano, L'enigma sociale, Ar, Padova, 1994. L'Avigliano alle pagine 15 e 16 della sua opera osservava: «Fino a qualche secolo fa, si era ricchi di terre, case e oro. Da qualche secolo a questa parte, la civiltà capitalista è venuta generando una nuova ricchezza, la quale, non essendo né terre, né case, né oro, è per definizione un artificio. Tale è la… finanza capitalistica dei depositi e dei titoli, la quale incombe sull'umanità povera di tutte le classi sociali come il più tremendo dei flagelli, perché essa prospera, non già nella produzione di abbondante ricchezza, ma… nella distruzione della ricchezza (…). Infatti, dal 1914 al 1920 il debito mondiale è salito da 200 a 1.275 miliardi-oro. (…) una novità mostruosa, che fino a qualche secolo fa non esisteva, genera … un cumulo sempre più colossale e inaudito di un artificio che la civiltà capitalista fa funzionare come oro, anzi meglio dell'oro. (…) nuova ricchezza in titoli… come la bacchetta magica… storicamente realizzata, cioè, come disponibilità potenziale di denaro a fiume, inesauribile. L'artificio è, dunque, evidente. E' evidente che v'è una minoranza di uomini, la quale… possiede… una ricchezza artificiale… in una cifra sbalorditiva, nientemeno che tredici volte cento miliardi-oro, cioè, cinquanta volte l'oro coniato in tutto il mondo, che è appena di una trentina di miliardi. Questa minoranza di uomini, dunque, ha nelle mani un potere di dominio e di corruzione addirittura fantastico, non già in forza (giova ripeterlo) della tradizionale ricchezza, ma in forza di un fatto nuovo che è un artificio mostruosamente antisociale. Dell'intima essenza flagellatrice di questo artificio, gli economisti non si accorgono, e tanto meno il pubblico; …». Da notare come le conclusioni di Avigliano troveranno sanzione canonica nel Magistero di Pio XI nei passi 105, 106 e 109 della Quadragesimo Anno dove si condanna il dominio dell'«imperialismo internazionale del denaro» sull'economia reale. L'Avigliano, del resto, aveva intuito l'essenza nichilista ed esoterica della finanziarizzazione dell'economia laddove accenna al potere distruttivo di ciò che egli definisce artificio e laddove paragona la ricchezza artificiale alla bacchetta magica.
2) Confronta F. Ritter Lo pseudocapitale, Scheiwiller, Milano, 1970/1975.
3) Un dominio che Pio XI nella Quadragesimo Anno (1931) ha chiaramente condannato:
«E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione di ricchezza, ma l'accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell'economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Questo potere diviene poi più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l'organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l'anima dell'economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare. (…) Nell'ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò… non meno funesto ed esecrabile, l'imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene» (numero 105 - 106 - 109).
4) Tale articolo sancisce testualmente: «Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente trattato e dallo Statuto del SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali), né la BCE (Banca Centrale Europea) né una Banca Centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni e dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle Banche Centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti» (Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee N.C. 191/15 del 29/07/1992). Come si vede l'UE è, impoliticamente, ancella della consorteria central-bancaria che decide in piena ed intangibile autonomia la politica monetaria degli Stati membri e quindi conseguentemente le politiche sociali, economiche, fiscali. Il Trattato di Maastricht ha sancito di fatto e di diritto la morte della sovranità nazionale e dell'idea stessa di Stato sicché c'è da chiedersi se il rituale elettorale democratico abbia ancora un senso dal momento che la volontà popolare risulta ab origine castrata di ogni potenzialità.
5) Questo, del resto, come si dirà, è ancora oggi lo stesso trucco sul quale si basa l'emissione di carta moneta in forma di falsa cambiale da parte delle Banche Centrali. In tal modo esse sono solo in apparenza debitrici del valore reale che dovrebbe sottostare alle banconote ma che, in realtà, perlomeno dal 1971, con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro, non esiste più. Notizie circa il mamré possono trovarsi in Francesco Cianciarelli, Le origini storiche della moneta e la sua influenza nelle vicende umane, Università di Teramo, Corso di Perfezionamento in Studi dei Valori Giuridici e Monetari, Teramo, 1996.
6) Confronta Karl Marx Il Capitale, libro primo, tomo II, Editori Riuniti,VIII edizione, Roma 1974, pagoine 817-818: «Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l'accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca d'Inghilterra (1694). La Banca d'Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo all'otto%; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un'altra volta al pubblico in forma di banconote. Non ci volle molto tempo perché questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d'Inghilterra stessa diventasse la moneta nella quale la Banca faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi sul debito pubblico. Non bastava però che la Banca desse con una mano per aver restituito di più con l'altra, ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che aveva dato».
7) Ha significativamente scritto in proposito Maurizio Blondet: «Ora cominciamo a capire perché la Chiesa e i teologi medievali vietavano il prestito a interesse, così come lo vieta l'Islam, e come lo vieta persino l'ebraismo, almeno negli scambi tra ebrei. Perché nell'economia usuraia, le imprese sono obbligate a crescere per pagare gli interessi, sotto pena di sparizione. Non sono dunque i bisogni umani a dettare il ritmo dell'economia, ma le esigenze della banca. La crescita del prodotto interno lordo non è - non è sempre - necessaria al benessere delle popolazioni; è l'imperativo imposto contro i veri interessi del popolo, allo scopo di massimizzare la retribuzione del capitale». Confronta Maurizio Blondet Schiavi delle banche, EFFEDIEFFE, Milano, 2004, pagina 153.
Da qui l'evidenza del fatto che l'economia, come oggi concepita, è antiumana anche perché, defraudando l'essere umano del suo tempo (per l'Aquinate l'usuraio ruba il tempo che è dono di Dio all'umanità), costringe l'uomo a tenere lo sguardo in basso, fisso sulla terra, distogliendolo dal Cielo. Quando Gesù Cristo parlava della Provvidenza di Dio («Non cercate… che cosa mangerete e berrete, e non state con l'animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta», Luca 12, 29-31) richiamava la vocazione essenzialmente contemplativa dell'uomo, nel disegno di Dio, che è stato creato per amare il suo Creatore godendo dei frutti della creazione donati a lui dalla Gratuità del Padre Celeste. Nel Genesi l'uomo, prima del peccato, è custode
dell'Eden (confronta Genesi 2, 15-17) ed il lavoro diventa pena solo al momento della cacciata dal Giardino. L'economia usuraia aumenta il peso di tale pena.

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II PARTE

Nichilismo della Finanza (seconda parte)
Luigi Copertino
12/01/2008

Il valore indotto della banconota falsa cambiale bancaria
Il fatto che, dopo la dichiarazione di Nixon, le banconote, moneta-debito gravata di interesse, continuassero tranquillamente a circolare, sorrette soltanto dalla fiduciaria accettazione del pubblico, avrebbe dovute rendere evidente che la vera fonte del valore della carta moneta non era la copertura aurea, venuta meno, ma la fiducia popolare.
Le banconote, in altri termini, hanno valore, anche se private della garanzia aurea, soltanto perché sono accettate dal popolo.
Si tratta dunque di un valore indotto nel senso che esso è incorporato nel simbolo cartaceo dall'accettazione fiduciaria da parte del pubblico (8).
Giuridicamente siamo in presenza di un nuovo bene reale sebbene di quel tipo che, in giurisprudenza, si definisce immateriale.
Ma non, per questo, privo di tutela giuridica.
Questo bene reale immateriale, ossia il valore indotto dalla accettazione fiduciaria delle banconote, è ciò che costituisce il potere
d'acquisto della carta moneta.
Se le banconote non fossero accettate dal pubblico esse non avrebbero alcun valore né potere d'acquisto, come è avvenuto molte volte nella storia in presenza di situazioni eccezionali sul tipo degli eventi bellici.
Non è infatti lo Stato a conferire, con un atto legale, valore alle banconote perché laddove il pubblico, per un qualsiasi motivo, non le accettasse come mezzi di pagamento, non ponendo in esse alcuna fiducia, l'imposizione del corso forzoso non sarebbe comunque obbedita.
Dopo l'abolizione della riserva aurea, si è reso evidente che la forma giuridica, sotto la quale le banconote continuano a circolare, è quella di una falsa cambiale: infatti, attualmente presso nessuna banca è possibile ottenere il pagamento in oro o argento del loro valore nominale.


La castrazione degli Stati nazionali

La cosiddetta economia di carta inaugurata con la comparsa della moneta cartacea, che oggi sta diventando ancora più immateriale mediante la trasformazione della moneta di carta in meri flussi cibernetici nel vortice speculativo delle Borse mondiali, è fondata sull'induzione fiduciaria dirottata verso un esito nichilista delle relazioni sociali.
Il processo, finora descritto, di progressiva dematerializzazione della moneta, che è stato storicamente parallelo all'itinerario filosofico verso il nichilismo effettuato dal pensiero occidentale, ad iniziare da Lutero e da Cartesio, se da un lato ha senza dubbio contribuito allo sviluppo dei traffici e dell'economia, in modo però predatorio e caotico, dall'altro lato ha prodotto due nefaste conseguenze.
La prima è stata la progressiva sottrazione allo Stato moderno della sovranità monetaria, in parallelo alla sottrazione ad esso della stessa sovranità nazionale della quale quella monetaria è un aspetto essenziale.
La sovranità monetaria è, infatti, di chi controlla il monopolio dell'emissione monetaria.
Ora, come si è visto, tale monopolio è stato gradualmente assunto dalle Banche Centrali, le quali hanno a tal punto travalicato gli stessi poteri politici, democraticamente espressi dalla sovranità popolare, che oggi godono per dettato legislativo della più assoluta autonomia sotto la direzione di inamovibili, e comunque incontrollabili, governatori espressi dalla lobby transnazionale finanziaria e dalle consorterie central-bancarie.
La seconda conseguenza è stata l'affermarsi di una visione esclusivamente finanziaria dell'economia secondo la quale l'idolo cui tutto deve essere sacrificato è la stabilità della moneta in nome della lotta all'inflazione, anche quando tale sacrificio significa attuare politiche deflattive con rigida restrizione della liquidità ossia del potere d'acquisto ed aumento della disoccupazione e della povertà conseguente all'indotta depressione, in tal modo generata, nell'economia reale.
Come ha osservato Luttwak (9), quella del central-banchismo è una religione azteca che si nutre di sacrifici umani, perché se è vero che l'inflazione, ed in particolare la iper-inflazione, è un male tale da far crollare l'intera struttura economica mondiale, è altrettanto vero che la deflazione è la morte stessa, il gelo assoluto, dell'economia.
Inflazione e deflazione sono due mali da evitare, come l'inondazione e la siccità.
Il dogma della più assoluta rigidità anti-inflazionista, imposto a tutti i governi del pianeta dalla lobby central-bancaria mondiale, sta aprendo sotto i piedi dell'umanità il baratro della deflazione, ancor più letale per l'economia reale del rischio inflazione.
Infatti, nell'impossibilità di ottenere (come vorrebbe la scuola monetarista di Friedmann) l'equilibrio perfetto tra quantità di moneta in circolazione e quantità dei beni e dei servizi prodotti, un po' di inflazione, costantemente tenuta sotto controllo e contenuta in limiti accettabili e sopportabili dal sistema economico, è corroborante per la produzione e lo scambio.

Al contrario, la deflazione, con il conseguente crollo dei prezzi e degli investimenti, porta dritto verso la depressione e la disoccupazione di massa.
Quando la moneta era aurea l'economia era sanamente vincolata a valori e beni concreti per il fatto stesso che la moneta era essa medesima un bene concretamente reale.
La stessa rarità dell'oro era un elemento di contenimento naturale dell'inflazione.
Ma al tempo stesso la natura aurea della moneta, che generava la rarità monetaria, era una delle cause dell'incapacità dell'economia a svilupparsi, proprio perché il potere d'acquisto sussisteva in misura estremamente limitata.
Con la comparsa della banconota il limite naturale della rarità monetaria fu superato e se da un lato questo ha reso possibile lo sviluppo economico dall'altro lato, essendo proprio dell'animus gnostico la volontà sacrilega di infrangere, nel tentativo di fare dell'uomo un dio, i limiti naturali posti all'umanità, sono stati creati valori fittizi ed immateriali ed è stato così possibile drogare inflazionisticamente l'economia con una facilità fino ad allora sconosciuta non dovendosi più ricorrere al taglio delle monete auree con metalli di bassa lega ma semplicemente stampando nuova cartamoneta.
Fu proprio questa la tentazione cui non seppero sovente resistere i ceti politici e che ha successivamente convinto, sotto l'interessata persuasione della lobby central-bancaria planetaria, quegli stessi ceti politici a cedere la sovranità monetaria ai governatori delle Banche Centrali mediante il riconoscimento legislativo e costituzionale della più completa ed incontrollata autonomia degli istituti di emissione.
Nel passaggio, in atto, alla fase post-moderna del processo di secolarizzazione, questo prodotto della progressiva dematerializzazione della moneta, che è la banconota, ha trovato il suo consequenziale compimento nei flussi di impulsi finanziari cibernetici che, come le pulsioni erotico-omicide interattive su internet, corrono sulla rete informatica planetaria delle Borse mondiali spostando in tempo reale il capitale volatile ed immateriale da un capo all'altro del pianeta.
La speculazione finanziaria è ormai incontrollabile dagli Stati nazionali che si vedono sempre più privati di risorse da destinare a scopi sociali e nazionali.

La finanziarizzazione ha prosciugato l'economia reale di liquidità proprio nel momento storico nel quale, giunto alla sua piena espansione il processo di globalizzazione dell'economia, con l'abbattimento di tutte le frontiere ed i dazi, a causa del rarefarsi delle materie prime, in particolare di quelle energetiche, ad iniziare dal petrolio, i costi di produzione ed i prezzi di mercato, invece di diminuire come vuole la teoria smithiana del liberoscambio, aumentano vertiginosamente, arricchendo iniquamente, per la sproporzione speculativa, il capitale ed impoverendo il lavoro, in particolare quello dipendente, al quale si richiede, ingiustamente, un eccessivo contenimento salariale nonché la subordinazione a forme sempre più contrattualmente precarie di prestazione lavorativa.
Infatti, le risorse finanziarie evaporano verso gli eterei spazi della bolla speculativa in attesa di tornare di tanto in tanto su quei territori che si assoggettano al diktat liberista dello smantellamento dello Stato sociale.
Di conseguenza gli Stati nazionali vengono letteralmente castrati perché essi non dispongono più di entrate fiscali sufficienti a coprire il costo dei servizi pubblici, cosa che poi li spinge a spremere fiscalmente i contribuenti privando l'economia reale di quel poco di ricchezza che i poteri finanziari non hanno ancora dematerializzato e ingenerando ancor più povertà senza, d'altro canto, riuscire a coprire il fabbisogno pubblico (indebitamente accresciuto, poi, dalla voracità della Casta ossia di politici, senza più dignità e senso dello Stato, ridotti a camerieri dei banchieri).
Da qui l'epocale tendenza a privatizzare ed esternalizzare non solo i servizi  ma persino le stesse funzioni procedurali ed amministrative della Pubblica Amministrazione ed addirittura le stesse più tradizionali funzioni dello Stato come la giustizia e la difesa che nei Paesi anglosassoni vengono già appaltati ai privati.
Il liberismo finanziario, favorevole alla pura speculazione, non persegue affatto obiettivi di sviluppo sociale ed economico ma soltanto il più rapido ed immediato profitto sganciato da ogni legame con l'economia reale e quindi con realtà concretamente sociali quali la produzione, lo scambio e l'occupazione.
Al liberismo finanziario interessa tutt'al più la riduzione dei fattori inflazionistici nell'economia mondiale, perché la rarefazione della liquidità sostiene verso l'alto il valore borsistico delle valute e dei titoli su cui la finanza transnazionale specula.
Se da un lato la finanza globale teme l'inflazione, tuttavia, dall'altro lato, contribuisce a crearla perché ogni operazione di tipo speculativo, basata sulla creatio ex nihilo di valori finanziari fittizi partendo da basi reali quasi nulle (l'effetto moltiplicatore di un'operazione speculativa sui derivati, ad esempio, è capace di moltiplicare esponenzialmente in pochi istanti somme minime e quindi di far fare altissimi profitti senza rischio produttivo ed imprenditoriale), gonfia in maniera inimmaginabile la bolla speculativa.

Tutto questo spiega perché spesso gli indici azionari di Borsa salgano, invece di scendere come succedeva quando l'economia non era ancora così finanziarizzata, all'annuncio di licenziamenti e riduzione di personale: infatti gli speculatori vedono nella disoccupazione non un dramma sociale
(e ad un tempo un dramma nazionale dal momento che gli Stati, a differenza delle aziende, non possono licenziare i propri cittadini) ma semplicemente un fattore di riduzione dei consumi e perciò di diminuzione dell'inflazione e di aumento di quella stabilità monetaria che garantisce loro le migliori condizioni possibili nel gioco speculativo delle Borse.
L'atteggiamento degli speculatori è di assoluta cecità.
Presi dalla febbre nichilista del profitto rapido e facile essi non s'avvedono, nel vortice annebbiante del loro egoismo, che la riduzione dei consumi a causa della disoccupazione e della sottoccupazione, congiunte all'aumento dei prezzi da crisi di energia e materie prime, porterà prima o poi alla recessione ed al fallimento di quelle stesse aziende i cui titoli azionari salgono gonfiati dalla deflazione dovuta alla riduzione del potere d'acquisto dei lavoratori, in altri termini alla rarefazione della moneta corrente, proprio mentre i prezzi, anziché diminuire, salgono anch'essi per via dell'inflazione causata dalla rarità di materie prime ed energia e dall'eccessiva creazione di valori finanziari fittizi da parte dello stesso sistema bancario.
E se per il momento, nonostante la recessione in atto a seguito dell'esplosione a fine XX secolo della bolla speculativa della new economy, non abbiamo ancora avuto una depressione mondiale sul tipo di quella del 1929 è soltanto perché la globalizzazione ha permesso ai mercati di trovare uno sfogo verso i cosiddetti Paesi emergenti come la Cina e l'India.
Ma a lungo andare, quando in tutte le aree del pianeta le condizioni saranno di totale saturazione dei mercati o di totale riduzione generalizzata dei consumi, l'implosione depressiva e deflativa dell'economia mondiale sarà, salvo fattori attualmente imponderabili, inevitabile.


Il vero problema della Politica nell'età postmoderna globale

L'incapacità degli Stati nazionali a controllare, dirigere a fini sociali e nazionali, e a radicare il capitale volatile transnazionale è la misura dello svuotamento della sovranità nazionale da parte di un aggressivo e dissolutorio liberismo finanziario globale.
Il vero problema della politica oggi è quello di individuare gli strumenti per ricondurre sotto il controllo dello Stato i flussi finanziari immateriali in modo da subordinare il capitale volatile al prioritario bene comune nazionale attraverso l'immobilizzazione ovvero la conversione di quel capitale in investimenti produttivi ed occupazionali.
Anche, laddove fosse necessario, mediante politiche coercitive e regolatrici dell'eccessiva libertà finanziaria.
Lo sforzo comune dovrebbe essere quello di individuare le vie nuove per restaurare il primato del politico sull'economia nella post-modernità e per immobilizzare il capitale immateriale trasformandolo in beni concreti come sono innanzitutto, per la loro valenza occupazionale,
le aziende la cui proprietà, poi, deve essere diffusa e distribuita, seguendo i canoni del magistero sociale cattolico, in forme partecipative, comunitarie  e comproprietarie, fra tutti i membri del corpo sociale della nazione, con conseguente creazione di posti di lavoro e di reddito da salario e da partecipazione agli utili ed ai dividendi sociali.
Non si tratta di tornare alla moneta aurea ma di restituire, con quali mezzi è da stabilire, allo Stato la sua sovranità.
La prima misura di una politica orientata in tal senso dovrebbe, sicuramente, essere quella di ricondurre nel dominio statuale il potere di emissione della cartamoneta, circoscrivendo, al tempo stesso, onde evitare gli errori del passato, tale potere statuale di idonei strumenti di controllo tecnico atti ad impedire che, come appunto in passato, il ceto politico possa abusarne provocando eccessiva inflazione.
Una seconda misura dovrebbe essere quella dell'attribuzione al cittadino della proprietà del valore indotto della moneta, bene reale immateriale da esso stesso creato con l'accettazione dei simboli monetari cartacei, trasformando con opportune disposizioni legislative la natura giuridica delle banconote, di cui egli è portatore, da false cambiali, come essa è attualmente, in simboli di un bene reale di proprietà del legittimo portatore dei simboli medesimi.


La riforma bancaria di Maurice Allais

Tuttavia alle prime due misure sopra indicate se ne dovrebbe affiancare un'altra fondamentale:
la riforma del sistema bancario suggerita da Maurice Allais, un geniale onesto economista, premio Nobel.
Una riforma atta a riportare la funzione creditizia alla sua originaria vocazione di supporto finanziario alla crescita stabile di un'economia sociale.
Come ha ben spiegato Maurizio Blondet (10), la riforma proposta da Allais si muove nel solco
del social credit di Douglas e Gesell.
Per Allais l'attività bancaria deve essere dissociata e suddivisa tra due diverse categorie di istituti, indipendenti e distinti tra loro.
Alla prima categoria, che Allais chiama banche di deposito, devono essere attribuiti gli incassi,
i pagamenti e la custodia dei depositi dei clienti e deve essere interdetta ogni funzione di prestito.
Sono i clienti a dover pagare il servizio della custodia del denaro a questo tipo di banche, come succede nel caso di colui che si reca a teatro e dopo lo spettacolo ritira il cappotto, depositato a vista, presso la guardarobiera compensandola, per il servizio di custodia, con una mancia.
La seconda categoria di istituti bancari deve essere, per Allais, costituita da banche di prestito alle quali deve essere attribuita la funzione creditrice vera e propria vincolandola rigidamente, però, alla regola per cui l'ammontare globale dei prestiti effettuati da tali banche non può mai eccedere l'ammontare dei fondi da esse prese in prestito dai depositanti: questi ultimi, depositando il proprio denaro in questo tipo di banche, sono sin dall'inizio consapevoli di destinarlo al prestito in favore
di imprese ed altre attività economiche pubbliche o private, e dunque consapevoli di non poterlo ritirare se non alla scadenza pattuita (tre mesi, un anno, cinque anni, etc.), conseguendo, però, il diritto ad una ricompensa, in forma di interesse, per l'uso concesso ad altri del proprio denaro.
Le banche di prestito avrebbero il loro compenso nella quota di interesse loro spettante su quello pagato dal debitore.
In questo caso, quindi, l'interesse non è lucrato su denaro creato dal nulla e, soprattutto, esso è lucrato a compenso di un servizio reale.
Mentre nel sistema vigente ogni apertura di credito da parte di una banca è effettuata in modo più che proporzionale rispetto alle riserve di valuta depositate ed esistenti nelle proprie casse, ingenerando così inflazione da creazione artificiale di moneta creditizia, nel sistema proposto da Maurice Allais verrebbe impedito al sistema bancario di creare moneta dal nulla.
Inoltre, nel sistema proposto da Allais, vincolando il credito alla misura effettiva dei depositi reali, lo sviluppo lungi dall'essere rallentato sarebbe soltanto riportato ad una crescita fisiologica, connessa agli autentici parametri dell'economia reale.
Verrebbe così frenata la follia consumista che reifica l'umanità soggiogandola alla libido dominandi dell'usurocrazia globale.

La quale, ogni cristiano dovrebbe presentirlo con chiarezza, altro non è che quel potere finanziario globale cui, secondo il veggente di Patmos, saranno sottoposti tutti i popoli sedotti dalla sua apparente umanità, che nasconde in realtà la bestialità più luciferina, ed al quale egli allude in Ap. 13, 16-18: «Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei».

Luigi Copertino

Note
8)
In ordine al valore fiduciario della cartamoneta siamo indubbiamente debitori della cosiddetta teoria del valore indotto genialmente formulata dal compianto Giacinto Auriti, già ordinario di Teoria Generale del Diritto presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Teramo, nelle sue importantissime opere Il Valore del
Diritto e L'Ordinamento Internazionale del Sistema Monetario, entrambe edite, nel 1996, dalle Edizioni dell'Università, dell'Università di Teramo.
9) Confronta Edward N. Luttwak Il dio euro e i suoi profeti, in L'Espresso, 14/11/1996, pagine 94-98.
10) Confronta Maurizio Blondet Schiavi delle banche, opera citata. In particolare il capitolo 22

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III PARTE

Ancora sul «Nichilismo della Finanza»
Luigi Copertino
22/01/2008

Il lettore Ermanno B. scrive a Luigi Copertino: «Egregio dottor Copertino, sono un lettore del sito EFFEDIEFFE, impressionato dal dramma della gestione fraudolenta, perchè in mani private e gravata da debito, della valuta europea.
La macchinazione di per se non è complessa, ed una volta messa in evidenza si rivela anche facile da rimuovere, almeno dal punto di vista logico-contabile.
Tuttavia, la reazione dei cittadini, di fronte alla denuncia della truffa monetaria, non è sempre di sdegno e di schieramento, secondo i propri diritti, dalla parte dei "contestatori" del regime cleptocratico.
Perciò può anche essere utile esaminare le obiezioni dei "legittimisti", allo scopo di approfondire e documentare meglio le proprie asserzioni.
Mi riferisco ad un paio di affermazioni trovate su internet:
perchè i titoli che lo Stato emette in contropartita dell'emissione di valuta, non li consegna alla Banca d'Italia (oppure alla BCE) ma li mette in vendita a chiunque sia disponibile a comprarli?
Così gli interessi sui titoli vanno ai compratori, che possono essere i soggetti più vari, e non all'istituto di emissione il quale, anche se non potrà mai riscuotere il "capitale" costituito dal valore nominale della valuta circolante, potrebbe riservarsi la riscossione per intero degli interessi.
Ora, ciò non è controproducente per il regime parassitario che ci opprime?
Come mai esso consente la vendita di titoli di Stato al pubblico?
I "legittimisti" argomentano contro la tesi da noi sostenuta, proprio puntando sul fatto che la Banca d'Italia "non può detenere titoli di Stato": è vero?

Inoltre, cito testualmente:
Queste banche private:
1) NON nominano gli amministratori;
2) NON partecipano agli utili.
E' tutto scritto nello Statuto.
Per esigenze costituzionali lo Statuto prevede che a fronte di un prelievo forzoso
(le banche dovettero pagare le quote azionarie...), la Banca d'Italia avrebbe corrisposto agli azionisti una quota di interessi (max il 10% in casi di forte inflazione) sul capitale investito (forzosamente) dalle banche private.
In tutto, quindi, 15.600 euro all'anno
(negli anni in cui si raggiunge il 10%!!!).
Questa modesta redditività della partecipazione azionaria nella Banca d'Italia a cosa si riferisce, agli interessi da essa ufficialmente distribuiti in funzione del bilancio fraudolento in cui in signoraggio non viene messo a conto economico, bensì tra le passività finanziarie, raggirando così i gonzi che dovessero esaminare il bilancio superficialmente?
I dubbi sono miei, ma sono convinto che sono di interesse generale: infatti i "legittimisti" fanno leva su dubbi come questi per dissuaderci.
Sperando che Lei voglia rispondermi in merito, oppure segnalarmi letture sul web che chiariscano l'argomento, Le invio cordialità.

Ermanno B.»


Copertino risponde

Speriamo di riuscire a chiarire i dubbi che sembrano assillare il lettore.
Tuttavia vorremmo premettere che se il discorso sulla sovranità monetaria si lascia cadere nei tecnicismi contabili, dimenticando il prioritario piano teologico-politico della questione, per i «legittimisti», competenti di contabilità bancaria, il gioco diventa facile.
Dunque, sulla premessa che lo scrivente non è un esperto di contabilità, e quindi per non cadere nei tranelli dei «legittimisti», facciamo ampio richiamo ad un interessante articolo di un esperto del campo, il dottor Salvatore Giuseppe Verde, il quale a proposito del trucco contabile delle Banche Centrali ha scritto (confronta «Assurdità e malafede di una prassi contabile» in «Voce del Sud», anno XLI, numero 28, 03/09/1994, pagina 4):
«… Bankitalia - come tutti gli istituti di emissione aventi il privilegio dell'emissione di moneta fiduciaria - si appropria di risorse dei cittadini in misura pari all'entità delle banconote in circolazione. La cosa è del resto ammessa apertis verbis … nella relazione al disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 1993: '…In conseguenza, non si consente agli esecutivi degli Stati firmatari del Trattato (di Maastricht, ndr) di esercitare signoraggio in senso stretto: OVVERO DI APPROPRIAZIONE DI RISORSE ATTRAVERSO QUELLA FORMA DI DEBITO INESIGIBILE CHE E'LA MONETA INCONVERTIBILE A CORSO LEGALE' ».

Qui ci sia consentita una breve riflessione personale: se non sono gli Stati ad appropriarsi delle risorse derivanti dal signoraggio perché mai tali risorse devono essere di spettanza, in un modo o nell'altro del sistema central-bancario, che è prevalentemente di natura privatistica mentre le risorse da signoraggio sono un bene comune nazionale?
Altra riflessione: giuridicamente dire «debito inesigibile» è affermare un controsenso come dire che il fuoco è freddo.
Nessun debito può essere di per sé inesigibile, altrimenti non sarebbe debito.
Ora, dire che la moneta bancaria è debito inesigibile significa affermare un ingiusto privilegio a favore di chi, la Banca Centrale, emette moneta in forma di debito senza dover mai rispondere, a causa della inconvertibilità, della propria esposizione debitoria.

Ma continuiamo con la citazione di Salvatore Verde: «Benché questa situazione (la truffa bancaria dell'appropriazione di risorse da signoraggio, ndr) talvolta - come nel caso accennato - venga confessata, di solito viene invece occultata mediante l'espediente contabile di esporre al passivo del bilancio l'importo relativo alla circolazione (nel 1993: 92.507.777.422.000 lire) che invece - per il fatto di essere debito inesigibile - non vi dovrebbe figurare… Ne deriva che il bilancio di Bankitalia in realtà - come si dice in gergo contabile - 'quadra' solo aritmeticamente e formalmente, ma non sostanzialmente (altra riflessione personale: siamo di fronte ad un falso in bilancio? Giriamo la domanda, come tentò il compianto Giacinto Auriti, ma senza ottenere né risposta né giustizia, alla competente Procura della Repubblica o, visto che siamo in Europa, alla Corte di Giustizia Europea, se competente)».
«E meglio sarebbe - continua Verde - se i 93.508 miliardi circa venissero ripartiti imputandoli ad accantonamenti vari e fondi di riserva. O meglio ancora ad 'utili da ripartire', con grande beneficio dei signori partecipanti ed anche dello Stato che ne percepirebbe quota notevole come imposta sul reddito, a sollievo dei contribuenti o a decurtazione del debito pubblico».

Fermiamoci ancora per una riflessione: Verde sembra dire che il debito pubblico nasce a causa di questo trucco central-bancario e che correggere tale imbroglio comporterebbe una notevole riduzione del debito pubblico medesimo, senza dover tagliare pensioni, privatizzare servizi pubblici, ridurre prestazioni sanitarie e scolastiche, aumentare tasse, etc.
Anche Marx, da noi citato nel nostro articolo, riconosceva che: «L'accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche centrali…(perché) la Banca (dà) … con una mano per aver restituito di più con l'altra, (e) …, proprio mentre riceve…, rimane… creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che (ha) … dato».
Ma ascoltiamo ancora Salvatore Verde: «In sostanza, la voce 'Circolazione' che si legge alla prima riga del passivo del bilancio (di Bankitalia, ndr) dovrebbe scomparire, per apparire nelle 'note' al bilancio, oppure fra le 'voci' fuori bilancio se si volesse tenere in piedi la fictio secondo cui in un avvenire indeterminato abolendo il corso forzoso e tornando alla moneta-merce il debito cesserebbe di essere inestinguibile per tornare ad essere reale… lo Stato dovrebbe spiegare ai cittadini per quale ragione si consente ad una società per azioni sia pure 'sui generis' di appropriarsi di beni reali pari al valore di tale massa circolante di base monetaria. Infatti, lo Stato non ne usufruisce (specie dopo il 'divorzio': tra Tesoro e Banca centrale, ndr) dovendo anch'esso diventare debitore nei confronti di Bankitalia ogni volta che - essendo insufficienti le entrate fiscali e le vendite di beni demaniali - ha bisogno di denaro. L'INDEBITAMENTO NEI CONFRONTI DI BANKITALIA AVVIENE ORMAI QUASI ESCLUSIVAMENTE CONTRO IL RILASCIO DI TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO SU CUI (LO STATO, ndr) DOVRA' PAGARE (NOI DOVREMO PAGARE) SALATISSIMI INTERESSI (E PROVVIGIONI). Mentre sarebbe tanto più semplice e meno oneroso se (lo Stato o - oggi - l'Unione di Stati, ndr) emettesse direttamente tutto il denaro di cui necessita mediante l'emissione di proprie banconote. Dove sta scritto - conclude Verde - che senza un Istituto Centrale di emissione la politica monetaria dev'essere fatalmente inflazionistica? E' solo un problema di buone leggi e di uomini capaci».

Anch'io osservavo che si tratta solo di controlli tecnici sull'esercizio del potere di emissione della monete che deve tornare ad essere un potere statuale perché afferente organicamente alla sovranità nazionale o - oggi - alla sovranità dell'Unione di Stati.
Da quanto sopra esposto quel che, però, è più importante desumere è che non è rilevante il fatto che la Banca Centrale non possa detenere essa stessa i titoli del debito pubblico rilasciati dallo Stato a fronte dell'emissione di moneta bancaria.
Infatti, anche se tali titoli sono venduti all'asta in favore del pubblico, su di essi lo Stato, ossia noi, paga salatissimi interessi che, in fin dei conti, sono originati dalla fraudolenta emissione bancaria della moneta circolante, a seguito della storica sottrazione di tale potere alla nazione sovrana.
Si tenga poi conto che, al di là di questo, il vero privilegio del sistema central-bancario è nella indebita appropriazione a suo favore di quel bene immateriale che, nell'articolo, ho definito, con l'Auriti, come «valore indotto» creato dalla accettazione fiduciaria della carta moneta da parte del pubblico e che costituisce il vero «potere d'acquisto» incorporato nel simbolo cartaceo.
E non si venga a dire che il valore al simbolo cartaceo lo conferisce la Banca Centrale emittente: si metta il Governatore della Banca Centrale Europea a stampare euro su un'isola deserta e si verifichi quanto valore avrà la carta da esso stampata.

Per spiegare questa gravissima truffa, così evidente che non ce ne accorgiamo neanche, Auriti soleva fare questo esempio: «L'atteggiamento che la Banca Centrale assume nei confronti della collettività è analogo a quello di chi presta nasse vuote ai pescatori indebitando questi ultimi non solo della nasse ma anche del pesce che sarà pescato».
Fuor di metafora: le «nasse» sono i simboli cartacei che di per sé, al momento della stampa, non valgono assolutamente nulla mentre il pesce è il «valore indotto», ossia il valore che sarà incorporato, nei simboli cartacei, nel successivo momento della loro emissione e circolazione, dalla fiduciaria accettazione del pubblico, che quel valore, per l'appunto, crea.
Un'ultima annotazione sulla natura giuridica delle Banche Centrali.
Esse per lo più sono società per azioni partecipate pro-quota da diversi istituti assicurativi e dalle più importanti banche nazionali (o, oggi, europee), pubbliche ma soprattutto private.
In tal modo, le Banche Centrali risultano essere, benché esercitano poteri pubblici direttamente connessi con l'essenza stessa della sovranità, enti a carattere prevalentemente privatistico, i cui amministratori sono nominati dall'assemblea degli istituti «partecipanti».
La presenza della mano pubblica in tali assetti societari è andata sempre più diminuendo con i processi di privatizzazione degli ultimi vent'anni (si pensi, ad esempio, che la privatizzazione delle Casse di Risparmio, istituti «partecipanti» al capitale di Bankitalia, si trasformò, a suo tempo, automaticamente in una ulteriore privatizzazione della Banca d'Italia).
Sicché le stesse Banche Centrali sono rimaste esposte alle forze dirompenti di una finanza globale ormai incontrollabile dagli Stati.

Questo sistema di assetti societari e di nomine è rimasto sostanzialmente invariato anche a livello europeo con la costituzione della BCE.
In Italia, attualmente, dopo la nota vicenda di Fazio e dei «furbetti del quartiere», lo Stato è parzialmente rientrato in possesso di alcune quote di partecipazione al capitale di Bankitalia e di alcuni poteri in ordine alla nomina del Governatore (che non è più a tempo indeterminato come fu fino a Fazio).
Ma rimane il fatto che, anche per via della sua istituzionalizzazione con il Trattato di Maastricht, che si riflette anche nelle recenti riforme della nostra Costituzione, la Banca Centrale conserva tuttora la sua più totale autonomia nel decidere le politiche monetarie.
Anzi l'ultima riforma italiana, vista la qualità bassissima del nostro ceto politico, rischia di rovesciarsi in una ulteriore dipendenza della politica dalla finanza.
In altri termini, la Banca Centrale, che dovrebbe essere soltanto il «cassiere» dello Stato, magari con chiari ma limitati poteri di controllo, esclusivamente tecnico, per evitare l'abuso politico dello strumento monetario, è invece il «corpo», impolitico e di natura - si ripete - prevalentemente privatistica, che decide, per conto dello Stato o dell'Unione di Stati, ed al loro posto, i parametri finanziari entro i quali poi i politici, che altro non sono in tal sistema che i «camerieri dei banchieri centrali», possono elaborare i loro programmi di governo da sottoporre agli elettori.

Se i cittadini, però, pensano di essere ancora i veri sovrani e di essere soggetti politici di una democrazia, e non sudditi di una bancocrazia, sono solo dei poveri illusi.
Sembra che due secoli di lotte per togliere ai re cristiani la sovranità abbiano avuto come esito paradossale (ma non tanto per chi conosce i retroscena «esoterici» delle filosofie e delle rivoluzioni) quello di subordinare i popoli alla sudditanza alla consorteria central-bancaria.
Quindi, il problema non sta soltanto nei vantaggi economici lucrati immoralmente dal central-banchismo, che pure ci sono e sono immondi anche perché ricadono su pensionati, lavoratori di ogni categoria, imprenditori, ma sta soprattutto nella «castrazione» degli Stati e nell'appropriazione della sovranità monetaria, e quindi in ultima analisi della sovranità politica, da parte delle Banche Centrali e consorterie affini.

Luigi Copertino

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