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Povero popolo
(a cura di Sandro Pascucci - www.signoraggio.com)

Da un scambio di mail con un visitatore "molto particolare" del mio sito
è scaturita una discussione molto accalorata e appassionante.
Questo "pezzo" è il prodotto finale di tale discussione, scritto dal mio nuovo amico MXW

Povero popolo (di MXW)

Tu credi ancóra nel popolo e nell'etica pur essendo circondato da "furbetti della porta accanto", di cui i "furbetti del quartierino" sono solo l'iperspecializzazione? Io ho smesso da un pezzo di credere nel popolo (italiano, ma si suol dire che tutto il mondo è paese) e nella sua etica, e mi stupisce che tu, vivendo a Roma e dintorni dove tutto è amplificato, non abbia maturato il medesimo disincanto.

Facciamo schifo. Uso la prima persona plurale - pur ritenendomi nella parte, ahimè assai minoritaria, sana - perché non sono di quelli che dicono "Abbiamo vinto" ed "Hanno perso".
Sbandieriamo un enorme bisogno di legalità, ma di fronte alla prospettiva di risparmiare un pugno di euro non ci facciamo scrupolo d'incentivare, e di fatto legittimare, l'illegalità comprando un motorino oppure un'autoradio palesemente ricettàti.

Invochiamo la trasparenza come una panacea, ma di fronte alla prospettiva di risparmiare l'IVA non esitiamo a seppellirla pagando prodotti, prestazioni e servizî senza fattura, salvo poi magari sbattere la testa nel muro se scopriamo che avremmo potuto legittimamente detrarre più di quel 20% o giù di lì.
Ci facciamo paladini della lealtà, ma di fronte alla prospettiva di lucrare agevolazioni o benefìci che non ci spettano non indugiamo un istante ad affossarla autocertificando l'inesistente. Con il pesantissimo effetto collaterale d'intasare i Tribunali con decine di migliaia di querele di falso; e non si arriva alle centinaia di migliaia solo perché scarseggia il personale per i controlli.

Plaudiamo al rigore, ma di fronte a scadenze e forme certe - per adempimenti burocratici e/o contabili - troviamo normale il minarlo trincerandoci dietro cavilli d'ogni genere al solo scopo di tirare in lungo il contenzioso fino al prossimo condono.

Pretendiamo che lo Stato faccia la sua parte nel regolare la nostra società, ed è una pretesa giusta, ma facciamo a gara nel sottrargli le risorse necessarie evadendo, eludendo ed erodendo le tasse dovunque è possibile. Non contenti, consideriamo un minus habens chi paga fino all'ultimo centesimo quando potrebbe farne a meno (il sottoscritto prese, in maniera forbita, del coglione IN UN UFFICIO TRIBUTARIO perché dichiarava, allora come oggi, i proventi delle piccole collaborazioni con i giornali svizzeri, che nella confinante Confederazione sono esentasse perché la ritenuta d'acconto si applica solo al di sopra di una certa cifra).

Ci ergiamo a paladini della solidarietà, ma nel concreto pensiamo di cavarcela costruendo ghetti che ci alleggeriscano la coscienza: la giornata del disabile, dell'anziano, del minore, della donna, dell'ammalato… e per i restanti 364 giorni che vadano tutti a dar via il culo e non rompano le balle.

Predichiamo bene il reinserimento di chi ha sbagliato, ma razzoliamo molto male: critiche (sacrosante) a non finire sugli USA per l'esecuzione del redento Tookie Williams, mentre nei nostri paesi e nelle nostre città migliaia di piccoli Tookies, anni ed anni dopo aver espiato il loro debito con la società, scontano una condanna a morte quotidiana venendo additàti come "quello che tot anni fa ha rubato un televisore", "quella che da giovane ha fatto la vita" e via sentenziando, con un'acrimonia che, se riversata nei nostri confronti, ci manderebbe in bestia.
I credenti si professano buoni cristiani, ma l'unico passo dei Vangeli che si ritrova nel loro agire è la parabola della pagliuzza e della trave: quelli cristiani sono valori assoluti, chi sbaglia va capìto ma condannato… salvo poi scoprire che il vero patrono d'Italia è San Cornelio, al punto che alla prova del DNA non si ricorre quasi più (ci hai fatto caso?) perché troppo spesso i riscontri erano, come dire?, imbarazzanti al di là dello scopo dell'accertamento giudiziario.

A parole condanniamo la cultura del sospetto e del vittimismo, così ben incarnata dal premier, da certi altri l(e)ader politici e da dirigenti e tifosi delle società sportive, ma nei fatti siamo adepti convinti della famosissima e pericolosissima setta di Dietrology.

Ci dichiariamo combattenti contro l'ipocrisia, ma ci prostriamo a quella somma ipocrisia che è il "politically correct", rendendolo addirittura più farsesco ed insopportabile che negli Stati Uniti dove ha avuto origine, come se il cambiare denominazione a persone, fatti e cose sia un modo efficace di ridurre il peso dei relativi problemi: solo in Italia si poteva arrivare a definire "diversamente abili" nojaltri handicappàti (lo sono anch'io in quanto invalido, sia pure "solo" al 42%, per traumi sportivi e per la mia ulcera intestinale), "sordi preverbiali" i sordomuti, "operatori ecologici" gli spazzini, "esecutori del sesso" le prostitute d'ogni tipo e genere e, ai tempi della prima Tangentopoli, "socialisti" i truffatori…

Siamo in democrazia e dunque la maggioranza impegna anche la minoranza, quindi il popolo italiano è così anche se una ristretta minoranza (di cui mi vanto di far parte) non ha queste colpe. Tu credi ancóra in un popolo così e nella sua etica? Io non ce la faccio: a me questo popolo, il nostro popolo, ha inesorabilmente, assolutamente, irreparabilmente rotto i coglioni e la sua etica antisociale, furbesca e doppiopesista suscita solo un intenso, profondo, irrefrenabile disgusto.

"Credere nel popolo e nell'etica"? In Italia no, grazie. Non in quest'Italia di furboni e furbetti la cui furberia è inferiore solo al loro ego: tutti maestroni, ma è bastata una Wanna Marchi con contorno di figlia, convivente e "maestro di vita" per inculare a sangue mezza nazione…

Le caratteristiche del nostro popolo, per inciso, suonano a parziale discarico dei nostri amministratori, politici ed economici: la classe politica e l'establishment economico sono in linea di principio espressioni della società in cui operano. In soldoni: la botte dà il vino che ha, ed ha poco senso il tuonare contro la diffusione di corruzione e malcostumi quando chiunque può, dall'alto dirigente fino al bottegaio e pure al privato cittadino, si reiventa alla luce dei princìpi del market(t)ing e del man(n)ag(g)ement, trattando etica (laica) e morale (religiosa) alla stregua di zavorre buone solo per gli altri.

A questo punto è fatale il "credere nelle istituzioni e nella matematica". Le istituzioni risalgono a gente di spessore ben superiore a quello di nojaltri, e qualsiasi malgestione, ancorché duratura, può minarle, ma non snaturarle; in questo sforzo il premier ed alcuni suoi alleàti stanno dando il peggio di sé, ma per fortuna i meccanismi d'autotutela non mancano e le istituzioni sopravvivranno a questi invasori con meno traumi di quanto temiamo. La matematica, poi, almeno quella, è incontrovertibile; ne abbiamo avuto le ennesime riprove nel vedere quanto è stato facile, a Bruxelles, far tremontare… ops, tramontare tutti i disegni della sedicente "finanza creativa", alias "finanza cre(a)tina".

Tutti furbetti, tutti maestroni… salvo poi non saper vedere al di là del proprio naso e fare perciò la fine di quello delle vecchie cinquanta lire, che rivive nel Tafazzi di Aldo, Giovanni e Giacomo. Ti ricordi, diversi anni fa, quando sulle linee ferroviarie locali chiusero parecchie biglietterie e ridussero all’osso i controllori, in contemporanea con l’introduzione delle obliteratrici e dell’obbligo di timbrarci i biglietti prima di salire sui treni? Non ci voleva Einstein per intuire che, in quell’ottica di risparmio, un drastico calo della vendita di titoli di viaggio avrebbe messo a rischio le linee, perché i calcoli dei passeggeri si fanno su biglietti ed abbonamenti, ma anche quella volta ci facemmo riconoscere come italiani; no, mi sbaglio: quella volta, più che italiani, sembrammo portoghesi: quanti, un giorno dietro l’altro, in treno senza biglietto, quante risatine di scherno e quanti gesti dell’ombrello rivolti alle allora Ferrovie dello Stato per le mille, duemila, tremila lire risparmiate… salvo poi scagliarsi contro le FS dopo l’annuncio che un sacco, ma davvero un sacco di linee locali erano diventate “rami secchi” e rischiavano drastiche riduzioni del servizio o addirittura la soppressione (rischi scongiuràti in pochi casi).

E bisognerebbe credere in un un popolo di questa levatura? E quest’etica suicida sarebbe quella cui affidarsi? A me non pare proprio, a te – adesso, ripensando a tutte queste situazioni – spero nemmeno…

A questa stregua, se proprio dobbiamo ispirarci ad un popolo, tanto vale prendere esempio da quello svizzero. Non è messo granché bene, dato che la confinante Confederazione non è una vera democrazia – i referendum senza quorum la rendono di fatto una dittatura delle minoranze – ed il culto del segreto bancario non è esattamente un incentivo all’onestà (se già non l’hai letto non perderti l’immortale capolavoro “La Svizzera lava più bianco” di Jean Ziegler, quello de “La privatizzazione del mondo”), ma la gente, quella normale e non di origine nostrana, non cede alle tentazioni del furbismo. Ne abbiamo un riscontro diretto: in terra elvetica la chiusura di parecchie biglietterie e la riduzione all’osso dei controllori lungo le linee ferroviarie locali furono più o meno contemporanee che da noi ed altrettanto l’introduzione delle obliteratrici, ma da loro le linee secondarie sono tutte o quasi salve ed in generale il settore è stato potenziato. La differenza? Sono svizzeri, non italiani e nemmeno portoghesi: la possibilità di passarla liscia è enorme, ma il biglietto si fa e si paga, per principio. L’importanza di non essere furbetti!

Lotta dura contro il furbismo, dunque, e poi potremo ricominciare a credere nel nostro popolo. Non illudiamoci, però: impostiamo noi la lotta, ma la porteranno avanti i nostri figli e la vinceranno, se va bene, i nostri nipoti.

20/01/2006 - MXW


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